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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING INDIVIDUALE
Psicoanalisi in America Latina


L’ Essere interiore: una natura non sensoriale

di Flávio Carvalho Ferraz


Recensione del libro di Walter Trinca
“L’essere interiore in Psicanalisi: fondamenti, modelli e processi”

São Paulo: Vetor, 2007, 378 pag.


La lettura del nuovo libro di Walter Trinca ci stimola a una profonda riflessione sui metodi di produzione della conoscenza propri della psicoanalisi. Incuriosisce il fatto che questo non è il tema del libro! Capita che l’ abilità con cui l’ autore enuncia la sua teoria, centrata sull’ esperienza accumulata (esperienza che include tutta una polisemia presente nel testo), ci porta a pensare come tale creatività concettuale si è consolidata durante la carriera del ricercatore-analista.

Quello che in generale si concepisce come oggetto della teoria psicoanalitica non di rado implica una divisione di posizioni. Grosso modo, tali posizioni ora propendono verso una “psicopatologia”, con un perno sintomatologico del discorso che questa modalità comporta, ora fanno l’ apologia del carattere esclusivo della clinica strictu sensu, privilegiando l’ esperienza della coppia analitica e rifiutando qualsiasi generalizzazione psicopatologica che si diriga in direzione della formazione di categorie. Sono confronti epistemologici che nella penna di tanti psicanalisti appaiono inconciliabili. Certe volte assistiamo a un discorso psicoanalitico che riserva l’ oggetto della psicoanalisi, non senza una certa ragione, alla metapsicologia dell’ incontro analitico. Ciò che è analitico per eccellenza si situerebbe nella dinamica della trasferenza e della contro-trasferenza , dei processi di continenza, nell’ impatto emozionale mutuo, ecc. La singolarità assoluta di ogni analisi, nel campo della parola che si apre fra un paziente unico e il suo analista, ha un carattere “idiopatico” che, portato alle ultime conseguenze, invaliderebbe qualunque avventura psicopatologica che si tentasse effettuare nel campo teorico. Radicalizzando questo punto di vista, Freud non avrebbe potuto parlare di isteria o di nevrosi ossessiva, già che la psicoanalisi, basata sull’ incontro idiopatico, non potrebbe giustapporre due o più viaggi analitici con la finalità di produrre un discorso categoriale che si pretendesse generalizzante.

Ora, sappiamo fino all’ esaurimento che tale posizione non si sostiene nella storia della psicoanalisi. Ad ogni modo, la posizione che gli è antagonistica, ossia quella del discorso della psicopatologia, proprio per situarsi al limite del discorso medico-psichiatrico o psicologico, corre il rischio di deviare in direzione di un senso nosografico che, di forma prevalente, allontana la ricerca psicoanalitica dalla sua peculiarità analitica. La classificazione può raffreddare la volontà di lavorare alla produzione della conoscenza propriamente psicoanalitica; pertanto l’ incontro analitico al di là della dinamica interpersonale paziente-analista è irriducibile.

Perché sto dicendo tutto ciò nel parlare del libro di Walter Trinca? Perche l’ autore, come nessun’altro, conosce gli agguati che l’epistemologia e il metodo psicoanalitico riservano al ricercatore. Trinca riunisce la qualità di analista minuzioso a quella di ricercatore esperto nell’ ambito universitario. Ha affrontato nel percorso della sua vita accademica la sfida di produrre conoscenza psicoanalitica, sia tramite la dinamica dell’ incontro analitico (nel suo lavoro analitico e di supervisore) sia attraverso la costruzione di un corpo di conoscenza (come professore e orientatore ) che può effettivamente affermare alquanto sopra la sofferenza umana che non riguarda una singola analisi, ma che generalizzi una possibile affermazione, per esempio, sopra il fenomeno della fobia, o qualunque altro.

È cosi che, in questo libro, c’è una convivenza pacifica - ancor più, complementare - tra un discorso psicopatologico e un lavoro clinico. È ammirevole come l’ autore sceglie un operatore - organizzatore della sua teoria –“l’ essere interiore”- e la elevi alla condizione di concetto e, percorrendolo attraverso varie forme della sofferenza umana ( che sono più che semplici “categorie nosografiche”), le esplora e le disseca, una ad una, sotto il vaglio rigoroso di questo strumento teorico. Dalle psiconeurosi alle cosiddette patologie non-nevrotiche, nulla sfugge alla potenza di questa lente.

Il concetto di “essere interiore” non è propriamente una novità di questo libro. Trinca ha organizzato il suo percorso nei lavori anteriori , nei quali si è preoccupato di esaminare non solo la vita interiore dei suoi pazienti , ma anche dell’ analista, come nella sua opera “L’arte interiore”. “L’essere interiore”, molto ben delimitato concettualmente, non coincide ne con l’Io ne con il sé. Diversamente da quest’ultimo, possiede una natura non sensoriale. Come spiega l’ autore, “l’ essere interiore si riferisce a ciò che essenzialmente siamo dall’origine della nostra esistenza”(pag. 33). Se fosse possibile incontrare le sue radici concettuali, tanto verticali come oblique, in Freud, Klein, Winnicott e Bion, nulla giustificherebbe l’asserzione che “l’ essere interiore” è un concetto forgiato da loro. E qui entra un dato sull’ erudizione e la sensibilità dell’ autore: il suo concetto affonda radici anche nella fenomenologia, fonte dalla quale la psicoanalisi ha smesso di bere, con conseguente grande perdita. Con eccezione di analisti come Isaias Melsohn in Brasile e Christophe Dejours (citato nel libro), in Francia, che hanno saputo riconoscere ciò che questa matrice di sapere avrebbe potuto aiutare nella comprensione dell’ esperienza psichica, del contatto con se stesso e con il mondo, della realizzazione per mezzo della simbolizzazione e della funzione espressiva.

L’ idea di ”essere interiore”, fondata sulla fenomenologia, vede se stessa liberata, fin dall’ inizio, da qualunque attribuzione che gli possa essere fatta di concetto “pesante”, cioè, impotente davanti alle aporie del discorso psicologico, che chiude il campo e può paralizzare l’ investigazione, invece di mantenere aperta la disponibilità per il contatto e la conoscenza; ossia, per l’ assimilazione del singolare e del nuovo. I gradi del contatto con “ l’ essere interiore “ e le sue molteplici variazioni e problematiche servono all’ autore per esplorare un enorme numero di stati psichici. Il grado di coinvolgimento con la sensorialità accompagna, in senso inverso, il grado di contatto con l’ essere interiore. Le perturbazioni psichiche più gravi si legano alle turbolenze prodotte dall’ eccessivo coinvolgimento con i residui sensoriali. Nel senso opposto, cioè, nell’ espansione della coscienza, appare la possibilità di sperimentare l’ immaterialità. Questo ci ricorda l’ idea freudiana di sublimazione , dove il riferimento al concreto dà spazio allo stato ideale.

Per dissertare sugli stati d’animo con spettacolare disinvoltura, Trinca non usa l’oggetto che convenzionalmente viene chiamato “ studio del caso” eventualmente visto come unica possibilità di accesso alla conoscenza psicoanalitica. È qui che si rivela la sua maestria: conciliare il massimo della potenza clinica dell’ ascoltare – certamente una ottima eredità della psicoanalisi inglese – che rimane fenomenologica, una volta che sia guidata dall’ esperienza della soggettività ( la propria o quella nata dall’ incontro), ovvero il massimo della raffinatezza descrittiva. Quella che sorge, pertanto, dal retroscena del suo testo, è la presenza di un’ autore che si costruisce come analista e ricercatore con naturalezza eccezionale. Il suo raziocinio non presenta nessuna cicatrice che possa denunciare le spaccature epistemologiche certe volte presenti nell’ universo degli autori psicoanalisti, sia quelli che cadono nella trappola descrittiva del sintomo, considerato come materialità psicopatologica, sia quelli che lo rendono virtuale, facendo sorgere figure bizzarre di psicotici senza allucinazioni ne deliri, di perversi senza deviazioni comportamentali , ecc.

Trinca non esplica la sua posizione nella controversia epistemologica: egli la assume appena e prosegue esibendo la sua vasta esperienza, il cui cammino egli conosce come la palma della propria mano. Non perché egli sia lontano, evidentemente, da questo universo esplosivo. Il fatto è che egli già si trova in una posizione che non necessita più di utilizzare un discorso iniziale metodologico - accademico, sia per la sua esperienza, sia per la sua autorità; o semplicemente per eleganza. Nel senso di giustificazioni teoriche preliminari, ciò che si osserva nel libro è appena la delimitazione del concetto di “essere interiore”, da non confondersi con altre figure concettuali abbastanza note, ma con il fine di garantire al lettore l’intelligibilità delle articolazioni che appariranno in sequenza.

Il concetto di “essere interiore” serve cosi da filo conduttore per un viaggio profondo in direzione a ciò che generalmente si chiama “psichico”. Come ho già detto, nell’opera di Trinca, esso non si confonde ne con il ne con altre denominazioni metapsicologiche correnti nelle teorie psicoanalitiche. Risalta con evidenza un’ influenza della psicoanalisi inglese: la figura di Melanie Klein nel fondo, e più da vicino quelle di Bion e Winnicott, lo aiutano a dare forma a un concetto che privilegi l’integrazione nel campo di definizione dell’”essere interiore” che, senza il suo aspetto funzionale, ha come tema l’esperienza psichica ossia il contatto con se stesso. Così “l’essere interiore” è come l’operatore di un discorso che si situa molto più in alto dello stato d’animo che sopra categorie psicopatologiche, e questo è un elemento distintivo del lavoro di Trinca. Quando vediamo la serie di stati che egli pone in discussione (narcisismo, schizoide, depressione psicotica, omosessualità, paranoici, fobie, ecc.) possiamo giudicare che si tratta effettivamente di uno studio della psicopatologia attraverso la sintomatologia. Ma no! Ecco il filo del rasoio sul quale l’autore cammina: il suo operatore non è il sintomo né la metapsicologia descrittiva che gli é peculiare, ma l’articolazione tra la modalità della sofferenza psichica e la specificità del contatto con “l’essere interiore”, che può essere cosciente, incosciente o occlusivo. Questa sequenza, che comporta una gradazione della possibilità di accesso all’ “essere interiore” come nucleo irriducibile dell’identità, corrisponderebbe ai diversi gradi della patologia. È chiaro che “cosciente” e “incosciente”, in questo caso, non sono considerati nell’accezione freudiana del termine, ma si riferiscono alla possibilità di contatto.

Walter Trinca denomina gli stati d’animo con termini mutuati da diverse fonti, che possono essere di estrazione propriamente psicoanalitica, o provenienti da una psicopatologia psichiatrica. Egli propone un quadro sinottico nel quale la distanza dell’io in relazione all’essere interiore marca la gravità e la profondità dei quadri psichici descritti, e che lui denomina come “scala delle perturbazioni psichiche”. Frattanto, si giustappongono a questi termini quelli più lontani dal discorso scientifico corrente, sia psicoanalitico che psicologico. Appaiono nel suo testo nozioni come “silenzio interno”, “luce interiore”, “memoria spirituale”, “esperienza del sacro”, ecc. Si tratta di stati dell’essere denominati di forma puramente metaforica! È in questo contrasto tra categorie psicopatologiche prestabilite e stati d’animo poeticamente denominati che percepiamo il transito dell’autore fra la scienza e la pura esperienza che, pertanto, si piega alla denominazione e alla parola arricchita che la definisce.

È cosi che il libro si completa con l’approccio non-patologico: gli stati di coscienza di sé o di coscienza ampliata, quando l’autore può esaminarli dall’angolo dell’ organizzazione psichica, attraverso l’universo dell’arte, del simbolo e, come non potrebbe mancare, del sogno. Trinca semplicemente ci disorienta se supponiamo che percorreremo assieme a lui il cammino del sintomo come garante di un discorso psicopatologico. Ciò che di più fenomenico esiste nell’ufficio del psicoanalista – l’apertura all’altro senza la contaminazione di teorie sterilizzanti – è in questo libro il garante di un discorso che può aspirare, senza dubbio, alla generalizzazione in quanto è in nome dell’esperienza (qualcosa come “autocoscienza”) che si organizzano gli argomenti. Senza dubbio una impresa riservata a chi è un teorico - artista.

Flavio Carvalho Ferraz è membro del Dipartimento di Psicoanalisi dell’Istituto Sedes Sapientiae dove insegna nei corsi di Psicoanalisi e Psicosomatica. Autore, fra altri libri di Perversione (Casa do Psicologo) e L’eternità della mela (Escuta)

Traduzione dal portoghese di Luciano Petronio e Corina Fraga


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