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PSYCHOMEDIA
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Riflessioni sui problemi epistemologici in psicoterapia: verso una "scientificita' del qualitativo"

Marco Inghilleri



1§. Lo stato dell'arte della Psicoterapia

Nella cultura moderna e contemporanea, la psicoterapia presenta un'immagine molto varia ed articolata sia terminologicamente che concettualmente e questo a causa sia della pluralità di indirizzi presenti e sia per l'estrema diversificazione di ciò che viene indicato con l'eufemismo di 'sofferenza psichica' o sotto l'inadeguata metafora di 'malattia mentale'(1).
L'attuale varietà dei modelli di intervento non permette di trovare una definizione univoca per ciò che sarebbe opportuno intendere col termine di psicoterapia, attribuendole un significato condivisibile da qualsiasi 'scuola' o da tutti i terapeuti. Una tale difficoltà è determinata anche dal fatto che sarebbe addirittura legittimo, e non paradossale, affermare che il numero dei modelli psicoterapeutici è pari a quello degli psicoterapeuti, in quanto ogni professionista, in sostanza, interpreta in modo personale il proprio orientamento e lo applica in maniera peculiare e non ripetibile.
La stessa figura professionale dello psicoterapeuta, quale debba essere la sua formazione di base, quale la sua formazione specifica, quali modalità di trattamento utilizzare e anche quali tipi di 'disturbi' possano essere trattati con le diverse tecniche, è tuttora oggetto di discussioni, controversie e diversità che non sembrano aver messo d'accordo nessuno(2).
Questa situazione non è per altro tipica ed esclusiva dell'Italia, si presenta in tutti i paesi occidentali ed è comprensibile se si inquadrano le psicoterapie appunto nel contesto della tradizione del pensiero scientifico e filosofico occidentale, valutandone i rapporti con i campi di studio che si collocano generalmente ad essa più vicini e cioè la psicologia e la medicina.
Nei confronti della psicoterapia, la medicina presenta ancor oggi un atteggiamento fortemente 'ambivalente' e spesso di facile ironia o diffidenza, proprio come diretta conseguenza delle difficoltà incontrate di conciliare teoricamente i metodi caratteristici della propria disciplina con quelli che si sono via via individuati come metodi psicoterapeutici.
In campo medico, la psicoterapia sembra essersi sviluppata più sul piano della pratica clinica che su quello teorico sistematico, ciò malgrado il fatto che ancora si continui spesso a rivendicare un esclusivo diritto al trattamento del 'disturbo mentale', non tenendo presente che modificare dei costrutti emotivi o delle rappresentazioni cognitive, come delle credenze o i significati inerenti ai propri temi di vita, non è un procedimento assimilabile ad un trattamento medico convenzionale(3).
Indagando invece i rapporti che legano la psicoterapia alla psicologia, è possibile vedere come la psicoterapia sia rimasta storicamente condizionata dall'impostazione data dalla medicina occidentale alla problematica della 'malattia mentale', che ne reclamava a sé il diritto di studio e di cura, dandone per scontata l'origine organica e riservando alla psicologia lo studio delle sole condizioni di 'normalità'.
Del resto, fin dalle prime fasi della propria fondazione in epoca moderna, la stessa psicologia ha avuto la tendenza a costituirsi scientificamente secondo criteri ugualmente naturalistici, accettando quindi anch'essa lo stesso presupposto scientifico della medicina e limitando il proprio campo di studi al laboratorio, alla situazione elementare, chiaramente definibile ed oggettivabile, tralasciando quindi lo studio psicologico clinico e tendendo a caratterizzarsi esclusivamente come psicologia accademica e di laboratorio.
Con l'intento, cioè, di dare a sé stessa uno statuto di maggiore scientificità e nella speranza di uniformarsi alle altre scienze naturali più 'evolute', la psicologia ha perseguito così il paradossale tentativo di oggettivare quella che per definizione è proprio la scienza del soggetto(4), dell'esperienza cosciente interiore, nelle sue diverse forme e contenuti: significati, intenzioni, 'sensazioni personali' e simili.

2§. Fattori comuni aspecifici nelle psicoterapie

Ogni approccio terapeutico differisce in maniera sensibile dagli altri. Oltre agli assunti teorici, al modello di uomo e del suo funzionamento psichico, troviamo anche diversi modi di impostare il contratto terapeutico e il setting, diversi sistemi diagnostici utilizzati per definire la psicopatologia, diversi stili per impostare e utilizzare la relazione terapeutica e, ovviamente, diverse modalità tecniche e procedurali di condurre il trattamento e diverse concettualizzazioni di quella che viene definita la "teoria della cura" (ovvero, in cosa consiste il cambiamento e che cosa, all'interno del processo terapeutico, dovrebbe indurlo). Inoltre, ogni approccio tende ad utilizzare un linguaggio almeno in parte peculiare e specifico, quasi sempre non traducibile del tutto in quello degli altri. In alcuni casi gli stessi concetti vengono espressi persino in modi differenti, in altri gli stessi termini vengono utilizzati per riferirsi a concetti almeno in parte diversi.
Stando a queste estreme difficoltà di individuazione di un campo di indagine circoscritto e ben preciso, data la sua vastità, può risultare utile ai fini della comprensione di cosa sia una psicoterapia individuare quei fattori comuni che ogni approccio condivide con gli altri. Quindi, sarà poi possibile muovere da ciò che è 'stabile' e quasi costitutivo del 'processo' terapeutico, verso una riflessione più aperta per una epistemologia possibile, utile a determinare una 'scientificità' del qualitativo'. Riflessione che almeno consenta un riferimento tra i molti approcci psicoterapeutici o che al limite possa permettere una ristrutturazione teorica grazie all'instaurarsi di un maggiore rapporto di collaborazione tra ricercatori e clinici dei diversi indirizzi di psicoterapia.
Della scienza, e nel caso specifico della psicoterapia, ognuno propone i propri criteri, metodi, euristiche, le proprie concezioni delle ipotesi, delle teorie, delle leggi, delle proprietà. In un territorio così ampio è facile trovare esempi che concordino e che giustifichino le singole epistemologie. Sembra che quasi tutte siano appropriate e descrivano correttamente ciò che accade. Ma, a ben guardare, se l'epistemologia è l'analisi di tutto quanto avviene nella scienza ed è essenzialmente prescrittiva, allora una siffatta strategia si rivela una politica da 'orticello' privato: si cercano solo conferme a sostegno della propria 'scientificità', della propria epistemologia. Ciò che risulta veramente difficile è trovare un'epistemologia che spieghi non soltanto le singole procedure, ma tutti i casi, che comprenda tutto quello che ha luogo nella scienza e perché no, quindi, anche nelle psicoterapie.
Tra le varie definizioni possibili, in questa Babele moderna, può sembrare abbastanza soddisfacente considerare la psicoterapia come "[...] un incontro tra due o più persone, in cui una definisce se stessa o viene definita come bisognosa di aiuto e richiede di essere curata o di cambiare, mentre l'altra possiede o gli vengono riconosciute determinate qualità personali e un corpo di conoscenze teoriche e tecniche, che utilizza per aiutare l'altro a produrre un cambiamento"(5).
La ricerca dei fattori comuni poggia sulla convinzione che i fattori aspecifici siano importanti almeno quanto quelli specifici nel determinare i risultati, positivi o negativi, della psicoterapia. Tuttavia, diverse ricerche hanno avanzato il sospetto che i fattori comuni aspecifici potrebbero essere addirittura i veri responsabili del potenziale curativo delle psicoterapie(6), identificati dalla letteratura internazionale secondo diversi schemi riassumibili come segue: la relazione tra cliente e terapeuta, lo schema concettuale di riferimento, la sperimentazione diretta, l'apprendimento cognitivo, i fattori legati al terapeuta, quelli legati al cliente, l'apertura e la trasparenza, l'effetto placebo, la gestione delle resistenze e il setting(7).
La relazione terapeutica si ricollega al processo di coinvolgimento emotivo tra terapeuta e cliente, che include anche il concetto di transfert e controtransfert. Il terapeuta crea, per il paziente, un contesto interpersonale caratterizzato da un 'atmosfera' o ' 'clima' in cui si possa sentire a proprio agio nell'esporre i propri problemi, provare emozioni negative e... rischiare. Si tratta di un legame emozionale di fiducia. Con una buona alleanza terapeutica, terapeuti e pazienti sanno di muoversi nella stessa direzione e di lavorare per gli stessi obiettivi, rinforzando il sentimento di una responsabilità condivisa.
Importante è anche uno schema concettuale di riferimento, che potrebbe anche essere un 'mito omerico' assai poco 'scientifico', in grado di fornire una spiegazione plausibile per i sintomi del paziente e che prescriva un 'rituale' o una procedura per affrontarli. Sembra che non importi quale spiegazione venga data del 'sintomo', purchè cliente e terapeuta credano in essa.
E' stato ipotizzato che la sperimentazione diretta sia uno dei fattori comuni in psicoterapia. I nuovi modi di sentire, pensare e comportarsi, raggiunti con la semplice discussione, il gioco di ruolo e così via, devono essere poi messi in pratica nell'ambiente naturale. E' un'esperienza emozionale correttiva che prevede, dopo il superamento delle vecchie modalità, una diversa risposta del terapeuta al paziente. In ciò il "condizionamento" operato dalla più o meno esplicita o conscia approvazione o disapprovazione del terapeuta, è cruciale.
I terapeuti fanno in modo che i loro pazienti abbiano un riscontro di se stessi presso gli altri, e che imparino a conoscersi e ad osservarsi, e quindi a capire sentimenti e azioni da un'altra angolazione. Insegnando ai clienti a cambiare il modo in cui interpretano gli eventi della propria vita, oltre a dargli un diverso modo di pensare e quindi una nuova prospettiva della vita, i terapeuti permettono un apprendimento in grado di conferire una diversa padronanza cognitiva degli eventi stessi. Attraverso il modeling, o il ruolo 'ideale' che è attribuito allo psicoterapeuta, i pazienti assimilano anche alcuni valori e abilità del terapeuta, apprendendo gli schemi comportamentali che il terapeuta stesso lascia trapelare attraverso le affermazioni, i linguaggi non verbali, le convinzioni implicite, sia mediante le immagini e le rappresentazioni di ruolo.
La suggestione e la persuasione che il terapeuta riesce a indurre sembra giocare una parte notevole, ciò nondimeno tra le qualità del terapeuta ritenute più importanti troviamo una personalità che ben si adatta all'accrescimento delle aspettative positive del cliente per il cambiamento, la capacità di motivare, saper creare un'atmosfera di sostegno in cui il terapeuta stesso si lasci guidare dal cliente per facilitare la sua autonomia.
I pazienti partecipano attivamente al processo terapeutico impegnandosi nell'autoesplorazione e nella trasparenza. Il fatto che essi abbiano già delle aspettative positive e una forte convinzione di poter cambiare grazie alla terapia, è determinante. Il processo stesso che porta questi clienti a chiedere aiuto attivamente deve far supporre che essi credano davvero al potenziale della psicoterapia. La percezione del paziente di poter eseguire con successo un comportamento specifico riprende il concetto di autoefficacia percepita di Bandura.
Molti sistemi di psicoterapia affermano che un individuo può cambiare in conseguenza di una presa di coscienza. Il disaccordo permane, al contrario, sulle tecniche ritenute più adatte perché un individuo elabori quella consapevolezza che può influenzarlo profondamente. La trasparenza dei sentimenti e dei pensieri che avviene in terapia è naturalmente diversa da quella che si ha in rapporti più informali. Si può con facilità immaginare quante cose non dette, pensieri e sentimenti non espressi il paziente indirizzerebbe volentieri al terapeuta. La relazione paziente-terapeuta aiuta nella formulazione di tali atti comunicativi espletando una funzione di 'catalizzatore', offrendo in tal modo al paziente, l'opportunità di rendere accessibile a se stesso il sistema dei costrutti o le regole cognitive, in base alle quali il paziente si forma delle convinzioni, dirige le proprie azioni e si autoprescrive i copioni emotivi corrispondenti.
Nei diversi rami della medicina, usualmente, si tende a considerare l'effetto placebo come qualcosa di aggiuntivo agli effetti terapeutici specifici dei vari mezzi. Esso ha meccanismi propri e diversi da quelli del farmaco e si basa su meccanismi psicologici più o meno conosciuti.
In psicoterapia il ruolo del placebo potrebbe essere l'aspettativa, cioè quello che il paziente si aspetta in termini di risultati con un particolare terapeuta, sia rispetto alle tecniche usate, sia alla lunghezza del trattamento.
Ogni persona cambia col proprio ritmo. Il processo del cambiamento non può essere accelerato dal terapeuta, né possiamo aspettarci che il paziente diventi come il terapeuta vuole. Tutto questo richiede che solo il paziente abbia delle aspettative.
Fin dall'inizio i pazienti possono mostrarsi restii al cambiamento, mostrando delle 'resistenze'. Iniziare a cambiare infatti implica affrontare una 'crisi' nel modo in cui si è soliti concepire la realtà, ma soprattutto significa spogliarsi delle categorie generative del proprio disagio, che hanno permesso comunque, nel bene e nel male, una possibilità adattativa.
A volte il paziente ha solo bisogno di una 'spinta'. Ma è anche vero che in molti casi qualche parente o conoscente ha già provato questa via, ed è poi per tale motivo che il paziente probabilmente si trova lì nello studio dello psicoterapeuta. L'esortazione viene trasmessa dal terapeuta in maniera sotterranea, ma la conseguenza più probabile, dopo una esortazione pura e semplice, è il dispiegarsi di una resistenza da parte del paziente. E l'esortazione può relegare il terapeuta in un ruolo che perpetua il problema.
La terapia strategica è quella che dà meno adito alle aspettative di esortazione del paziente. I terapeuti che utilizzano questo approccio hanno più spesso evidenziato che 'la soluzione è il problema'. In generale, la capacità di utilizzare le resistenze al cambiamento a vantaggio del cambiamento stesso distingue la psicoterapia dalle altre forme di scambio umano.
Il contesto curativo fornisce struttura e formalità al processo terapeutico e aiuta a distinguere la terapia dall'amicizia o da una conversazione casuale. L'uso del setting favorisce anche le aspettative del paziente che un tipo di lavoro molto particolare sta per aver ruolo e l'allestimento di un 'rituale curativo' richiede una certa partecipazione attiva da parte di entrambe le parti(8).
Quanto brevemente illustrato e descritto, può condurre alla conclusione che la 'teoria clinica' e la pratica psicoterapeutica non solo legano il disagio psichico ai propri schemi interpretativi, ma offrono al paziente la possibilità di 'oggettivarlo' come altro da sé, portandolo a condividere attribuzioni di significato, definizioni e causalità.
La psicoterapia appare essere pertanto un sistema di definizione della realtà che viene ad articolarsi lungo tre coordinate: la configurazione di una teoria della personalità e del funzionamento psichico che deve essere accettata dal paziente e dal terapeuta; l'assunzione implicita dei criteri ideologico-normativi che la sovrastano e verso cui è diretta; le attese proprie al ruolo professionale del terapeuta che rinviano sia alla corporazione di cui fa parte, sia alla domanda istituzionale(9).
L'identità, la realizzazione di sé, l'affettività, le emozioni, le rappresentazioni, le fantasie, i sogni, la relazione, sono temi fondamentali nella ricerca psicologica e psicoterapeutica sull'uomo, sono luoghi per eccellenza del simbolico, della soggettività, dell'irripetibile, i luoghi complessi e difficili, sfuggenti del 'qualitativo'. In accordo con le esigenze di fondo espresse dallo sviluppo del pensiero occidentale, psicologia clinica e psicoterapia si sono proposte come discipline 'scientifiche, deputate allo studio della realtà psichica umana, alla sua conoscenza e trasformazione. Ma è possibile studiare scientificamente la sfera del qualitativo, ciò che appunto è messo in evidenza nell'incontro psicoterapeutico?(10)

3§. Le proposte dei nuovi "paradigmi della complessità" e considerazioni epistemologiche generali

Studiare scientificamente l'area del qualitativo è dunque possibile?
E'da tempo che le scienze umane si confrontano con una simile domanda, incontrando difficoltà e ostacoli, se non adirittura vere e proprie resistenze.
Le difficoltà sono principalmente, e in linea del tutto generale, riconducibili all'adattarsi ai parametri di 'osservabilità' prescritti dalla scienza classica e all'impossibilità di ridurre i complessi 'oggetti' qualitativi entro confini che definiscono l'indagine sperimentale.
Nell'ambito clinico, descrivibile come una ricerca/azione che avviene e si svolge tramite relazioni interumane, il metodo sperimentale classico risulta fortemente inadeguato. Infatti, esso procede tramite l'isolamento di variabili e la verifica delle loro relazioni, il più possibile purificato dalla soggettività dei partecipanti all'esperimento.
Se, quindi, per il metodo sperimentale l'osservazione deve venire quanto più possibile preservata dalle distorsioni della relazione soggetto osservatore/oggetto osservato, per il metodo clinico il coinvolgimento osservatore/osservato va accettato come mezzo di conoscenza.
La psicoterapia si occupa di problemi e difficoltà di tipo emotivo e affettivo, depurarla dei fatti soggettivi vuol dire estirpare il suo stesso oggetto. La verifica sperimentale, detto in breve, rischia di annullare gli oggetti del lavoro terapeutico che sono proprio i sentimenti, gli affetti, il simbolico, la soggettività e la relazione, come testimoniano tra le altre cose anche i fattori aspecifici delle psicoterapie già menzionati in precedenza.
Nonostante ciò, il problema di una ricerca e di una pratica clinica, psicoterapeutica consapevole e controllata, confrontabile, verificabile, 'scientifica', è un problema sempre più sentito nel dibattito teorico professionale e del quale diventa sempre più evidente il rilievo sociale.
Lo sviluppo della riflessione epistemologica contemporanea, con particolare riferimento alle proposte dei nuovi 'paradigmi della complessità', sembra consentire oggi di porre la questione della scientificità nelle scienze umane, dunque anche nella psicologia, in maniera diversa e più produttiva(11).
Qual è lo statuto scientifico della ricerca psicologica e ancor più di quella clinica, psicoterapeutica? Quali 'verità' mette in luce l'indagine clinica? Qual è il ruolo dello psicologo, dello psicoterapeuta nei confronti del suo oggetto di conoscenza e di intervento? Quali principi guidano la sua osservazione, la sua pratica?
Nel provare ad affrontare queste domande inevitabilmente ci si trova a fare i conti con una tradizione di criteri di scientificità che difficilmente si adattano alle caratteristiche fortemente qualitative del lavoro psicologico. Si pone pertanto il problema della possibilità di elaborare strumenti e metodi che consentano un approccio scientifico rigoroso, ma non 'riduttivo'.
Il confronto con il 'paradigma della complessità' ha costituito, in questa direzione, un punto di svolta. Esso ha infatti prodotto una radicale trasformazione dell'approccio al problema della scientificità della ricerca, problematizzando, ampliando, modificando tale concezione e costruendo una nuova matrice per la concettualizzazione del procedere scientifico.
Il 'paradigma della complessità' opera una revisione critica dei criteri della scientificità 'classica' e li mette in connessione con i più generali principi di pensabilità del mondo, di organizzazione del modo di prodursi del sapere.
L'idea di realtà che l'epistemologia della complessità propone può essere descritta come il passaggio da una concezione della realtà come sostanzialemente unitaria e integrata, organizzata secondo un ordine univoco e atemporale, data una volta per tutte e per questo esprimibile in leggi anonime, impersonali e supreme, a un'idea di realtà in continuo costruirsi, in continuo farsi, in un continuo movimento di riorganizzazione. La realtà, cioè, non appare più come qualcosa di dato, indipendente dal soggetto umano che la percepisce. Al contrario, ciò che l'epistemologia contemporanea e la stessa ricerca scientifica propongono è profondamente diverso: si assiste alla 'proliferazione del reale in oggetti, livelli, sfere di realtà differenti e si è consapevoli che questa proliferazione è sempre tradotta nel linguaggio di un osservatore. La realtà sembra essere un sistema in evoluzione, caratterizzato da particolari vincoli e da particolari interazioni, all'interno di una particolare organizzazione, che, con il concorso del disordine, del casuale, dell'evento, costantemente si riorganizza e si trasforma.
E' questa la visione che emerge dai progressi compiuti in diversi campi della ricerca scientifica: nella fisica, nelle scienze biologiche, nelle scienze cognitive. L'idea stessa di realtà viene modificata, perde il suo carattere di 'oggettività' e si connette all'universo della conoscenza.
Secondo questa prospettiva, nel concepimento della realtà viene messo ben in evidenza il ruolo dell'osservatore/concettore (o costruttore) della realtà stessa e si pone in primo piano il problema della conoscenza e delle sue modalità di organizzazione(12).
Che cosa viene colto, allora, dall'osservazione? Ceruti sottolinea come l'adeguatezza dei nostri modi di pensare e dei nostri linguaggi non rifletta una struttura della realtà colta sub specie aeternitatis, da un punto di vista assoluto, ma sia altrimenti un'adeguatezza, qui ed ora, condizionata e costruita dai particolari fini e modelli dell'osservatore, come pure dai particolari tagli metodologici che esso adopera per accostarsi alla realtà(13).
Maturana e Varela segnalano come tutto ciò che è detto, è detto da un osservatore. Infatti, l'operazione cognitiva fondamentale che un osservatore esegue è l'operazione di distinzione, con la quale specifica un'unità come distinta da uno sfondo e uno sfondo come il dominio nel quale un'entità è differenziata. Un osservatore caratterizza un'unità, affermando le condizioni nelle quali essa esiste come unità distinguibile, ma prende coscienza di questo solo in quanto definisce un metadominio nel quale può operare con l'entità che ha caratterizzato(14). L'operazione di distinzione si presenta come il risultato di una transazione fra l'osservatore e il mondo osservato: essa si inscrive in una data cultura ed è questa che fornisce i paradigmi che consentono e impongono la distinzione(15).
Anche Von Foerster(16) sottolinea con forza il carattere sociale dell'organizzazione della conoscenza che non è un'operazione individuale prodotta all'interno della mente di ciascun individuo, ma l'acquisizione e il mantenimento dei punti di vista ha un carattere sociale.
Attraverso le pratiche quotidiane e il linguaggio, ogni epoca della storia umana produce una struttura immaginaria: la scienza è una sezione di queste pratiche sociali e le idee scientifiche sulla natura non sono che una dimensione di questa struttura immaginaria. L'immaginario scientifico, afferma Varela, muta radicalmente da un'epoca all'altra e la scienza è più simile a una saga novellistica che a una progressione lineare(17).
Le critiche di Popper al neopositivismo hanno aperto in Filosofia della scienza uno sviluppo assai importante che è consistito nell'adozione di una prospettiva storica, derivata da un maggior interesse per la descrizione della natura reale della ricerca scientifica e per i modi in cui gli scienziati decidono quali teorie accettare o almeno perseguire nella ricerca futura.
L'area di ricerca nota come Sociologia della conoscenza, poi, non ha solo mostrato come il contesto sociale influisca sul modo in cui le idee hanno origine, contingentemente e storicamente. La sua tesi è ancora più radicale, ossia che i rapporti sociali influiscono sulla forma stessa del pensiero, e l'epistemologia stessa è quindi il prodotto di formazioni sociali e varia di conseguenza da un epoca alla sucessiva(18) .
Sociologi della conoscenza come Berger e Luckmann hanno sottolineato che il mondo quale è noto a noi è una realtà costruita socialmente. Tutto ciò che conosciamo è necessariamente il prodotto di una mediazione sociale. Ci sono dei "quadri" o "cornici" (frames) per mezzo dei quali, o secondo i quali, noi vediamo il mondo e cerchiamo di farci strada in esso. Ma i quadri sono socialmente detreminati e possono variare da un sistema o sottosistema al sucessivo, o da un'epoca all'epoca seguente. Ciò che vale come conoscenza scientifica, oggettiva, è dunque, a quanto pare, ciò che è sanzionato dalla comunità scientifica, attraverso i suoi vari periodici, recensioni, libri ecc.. E la conoscenza scientifica quindi risulta essere nient'altro che un "costrutto sociale".
Bloor sostiene che la conoscenza non è "credenza vera", bensì tutto ciò che gli uomini considerano conoscenza. E dichiara che oltre alle cause sociali ci saranno altri tipi di cause che cooperano a determinare la credenza, tenendo in considerazione che la conoscenza, anziché essere meramente ed esclusivamente un prodotto di negoziati e interessi sociali, il risultato del gioco di potere, dell'effetto di san Matteo (secondo cui gli autori che hanno già pubblicato molti libri trovano facile far pubblicare altri loro libri), ha anche apporti di carattere empirico.
A parte ciò, Bloor mostra che addirittura la matematica che emerge in ogni epoca data può essere molto legata a particolari circostanze culturali e conclude che le immagini sociali forniscono dunque i quadri epistemologici(19).
Per finire, anche le ricerche di Latour e Woolgar(20) pongono in evidenza il fatto che l'attività scientifica non è "sulla natura", ma è una dura lotta per costruire la reltà. Essi sottolineano l'idea che i fenomeni scientifici sono "costituiti" dalle apparecchiature usate in laboratorio, le quali sono esse stesse i prodotti di una costruzione umana, e quindi sono influenzati da tutti i processi sociali che avvengono all'interno della comunità scientifica. Si tratta infatti di decidere se una particolare apparecchiatura debba essere considerata attendibile o inattendibile(21).
In ultima analisi, allora, possiamo affermare che la 'verità scientifica' poggia essenzialmente sull'intersoggettività e cioè sull'accordo della comunità scientifica, socialmente e culturalmente connotata: è scientifico ciò che è riconosciuto come tale dalla maggioranza degli scienziati. Pertanto, se questo è il quadro che disegna i caratteri della scienza e dell'evoluzione della ricerca, non possono non essere sottoposte a revisione critica tutte quelle posizioni che hanno tradizionalmente definito i criteri di scientificità delle affermazioni degli scienziati. E lo stesso metodo sperimentale, assunto a partire dal XVII secolo come "il metodo", l'unico in grado di produrre una conoscenza certa e definitiva, va sottoposto a una profonda revisione.
Alla luce, insomma, delle elaborazioni che l'epistemologia della complessità propone e di quanto rilevato dai sociologi della conoscenza e dalla Filosofia della scienza post-popperiana, ogni teoria, ogni modello, ogni affermazione seppur sperimentalmente provata, va messa in connessione con le condizioni di osservazione dalle quali è prodotta.
Non si cerca, chiaramente, di negare l'importanza fondamentale e l'utilità del metodo, ma piuttosto di accedere, come propone Morin, a una "scienza con coscienza", con la coscienza cioè della relatività di qualsivoglia affermazione, rispetto al sistema di osservazione/percezione/concezione, che deve essere osservato, percepito concepito nell'osservazione/percezione/concezione del sistema osservato. Tutto questo rimanda, contemporaneamente, a un problema di consapevolezza epistemologica, teorica e metodologica 'complessa' per l'osservazione.
Le argomentazioni fin qui esposte possono consentire di supporre che il punto focale della verificabilità scientifica si è spostato dall'attenzione ai procedimenti classici della generalizzazione basata sulla ripetibilità e sulla quantificazione di realtà 'oggettivamente' date e rappresentabili, all'attenzione alle teorie e ai modelli, ai dispositivi di osservazione, all'esplicitazione dei principi e dei metodi, nonché dei contenuti dell'osservazione stessa Quindi, la scientificità si connota come l'esplicitazione dei quadri teorici e metodologici che guidano ogni ricerca, delle variabili sottoposte a osservazione, della relazione tra esse e con il contesto in cui l'osservazione ha luogo. All'inizio di ogni operazione conoscitiva, anche della distinzione su cui si opererà con il metodo sperimentale, c'è comunque un atto soggettivo, una soggettività singolare che poggia su una 'soggettività collettiva', su un accordo intersoggettivo, connesso con la struttura immaginaria di una specifica epoca.
La scientificità allora è una prassi aperta al controllo intersoggettivo, che dà definizioni chiare dei concetti e dei postulati e usa procedure leggibili e ripetibili, che si avvale di un metodo razionalmente fondato per la convalida delle ipotesi teoriche: i metodi per tale convalida sono però molteplici(22).

4§. Riferimenti alla clinica

Focalizzando ora l'attenzione più in particolare sulla ricerca psicologica clinica, psicoterapeutica, risulta evidente che quanto ha valore in riferimento alla problematica generale della conoscenza e della ricerca scientifica, ha egualmente valore in questo specifico campo di applicazione: ognuna delle questioni affrontate può essere trasferita all'ambito dell'indagine sullo psichico. In tale senso l'epistemologia è interna alla psicologia, alla clinica, alla psicoterapia.
Le diverse teorie psicologiche esplorano aspetti, parti diverse della complessa realtà dello psichico, mettendone a fuoco tematiche incerte differenti e definendo 'verità' strettamente connesse agli specifici principi e dispositivi di osservazione che le caratterizzano. Ciò implica che di fronte alla stessa situazione clinica, persone con formazione differente daranno rilievo ad aspetti differenti ed etichette esplicative diverse a ciò che osservano.
Scegliere quale tra le diverse descrizioni e interpretazioni sia la più corretta non è il problema fondamentale, molto più importante è procedere secondo una logica 'e/e', avvicinando, connettendo, mettendo in relazione, con la consapevolezza di muoversi come se il proprio modello fosse vero, concedendosi così la possibilità di ulteriori strade di pensiero e relativizzando utilmente il proprio.
Questa impostazione ha valore sia per il rapporto tra le diverse discipline, sia per quello tra le diverse teorie all'interno di una stessa disciplina, ma anche in relazione agli oggetti di osservazione che spesso la ricerca ha guardato secondo una prospettiva eccessivamente semplicistica e separante.
Dai vari campi della ricerca psicologica emerge sempre più chiaramente come sia impossibile isolare il soggetto dal contesto con il quale è in relazione. La relazione (e personalmente oserei dire l'interazione), anzi, si caratterizza come lo specifico oggetto di indagine in grado di aiutarci a comprendere la fondazione e lo strutturarsi dello psichico.
Dai paradigmi sistemici al costruttivismo, al costruzionismo(23), agli studi psicodinamici che indagano sulla relazione madre-bambino, sulle relazioni familiari, sulla fondazione transpersonale dello psichismo, sulla psicopatologia, l'individuo non può più essere spiegato esclusivamente in una prospettiva intrapsichica o biologico-genetica, ma va considerato come elemento, parte di un insieme più ampio, di un contesto che lo definisce in maniera significativa e che non può essere preso in considerazione con lo specifico individuo oggetto di osservazione.
Con sempre maggiore chiarezza emerge l'implicazione dello psicologo, dello psicoterapeuta nella relazione clinica: dal suo essere presente con le proprie teorie psicologiche, metapsicologiche, con la teoria della tecnica, al suo essere presente con le proprie caratteristiche personali, emozioni e psicopatologie. Pazienti e terapeuti contribuiscono insieme, nel set(ting), alla creazione e all'evoluzione del campo terapeutico.
L'applicazione dei principi del paradigma della complessità alla relazione clinica, psicoterapeutica, apre alla ricerca di un'integrazione tra strumenti e metodi anche diversi, volti a esplorare, all'interno di un progetto coerente, aspetti, parti della molteplicità di componenti, processi, configurazioni che caratterizzano le situazioni relazionali.
Cercando di evitare di confinare la clinica e la psicoterapia nell'ambito dell' "artisticità" deprofessionalizzata e in quello dell'improvvisazione manipolativa, e volendo confrontarsi con la grande questione del metodo, con i dati empirici e con il problema della comunicabilità scientifica, molti autori, nella ricerca di metodi di valutazione adeguati alla specificità della clinica e al suo carattere di immersione nella soggettività emotivo-affettiva, simbolica, hanno individuato, come metodo, quello tipico, delle scienze umane, del cosiddetto circolo ermeneutico(24).
La proposta del circolo ermeneutico è nata in riferimento alla prassi ermeneutica, intesa come lavoro di interpretazione, che, prendendo le mosse da un testo, riattraversa il senso in esso depositato e lo riporta nella circolazione viva ed attuale delle idee e dei progetti.
A partire dalla consapevolezza ermeneutica riguardo al rapporto interprete-testo, alla presenza del senso differente di cui ambedue sono portatori e riguardo alla presenza, nell'interprete, di un 'progetto', in base al quale interrogare il testo, il concetto di circolo ermeneutico, come possibilità di confronto, nel quale una proposta può crescere in rapporto alla risposta fornita dagli altri, è stato un primo modo con il quale ci si è posti il problema di sostenere una confrontabilità rispettosa della soggettività emotivo-affettiva, simbolica, insita nelle relazioni interumane. In quest'ottica i dati delle scienze dell'uomo sono atti o eventi non separabili dai significati, cui si accede non solo con l'osservazione, ma soprattutto con la compresione dei rapporti di senso.
I fatti umani non si presentano all'osservatore dotati di oggettività naturale ed univoca, ma sono letti attraverso la 'punteggiatura' precostituita dalle categorie concettuali utilizzate.
Lo studioso della realtà umana secondo questa impostazione dovrebbe utilizzare una logica che tenga conto del fatto che egli ha a che fare con un universo già costituito all'interno dei quadri di significato da parte degli stessi agenti sociali, e l'operazione di interpretazione di tali quadri dentro gli schemi teorici rappresentano il fulcro del metodo ermeneutico.
Il termine ermeneutica è stato così esteso per includere non solo la scienza dell'interpretazione originariamente finalizzata all'interpretazione dei testi, ma di ogni sequenza di attività umane alle quali si possa assegnare un significato. Perciò alcuni propongono, talvolta in modo incondizionato, che il compito dello psicologo clinico e dello psicoterapeuta non sia quello di formulare leggi del comportamento umano, bensì quello di spiegare il 'significato' di sequenze del medesimo. Il significato delle azioni non è semplicemente 'dipendente' da colui che agisce o da coloro che assistono, ma è condizionato dalla reciproca comprensione e dall'accordo di tutte le parti in causa.
Viene così adottato il termine di 'circolo ermeneutico' per indicare l'intero complesso dei sistemi concettuali in riferimento al quale deve essere spiegato il significato delle azioni. L'ermeneuta deve porsi all'interno del 'circolo ermeneutico', dal momento che il significato delle azioni può essere compreso solo entro il sistema proprio di chi agisce. Questa è una differenza fondamentale rispetto al compito esplicativo del naturalismo razionalistico, secondo cui lo studioso resta distaccato dal proprio oggetto di studio ed è libero di scegliere il sistema concettuale cui fare rifermento(25).
Con ciò, non si intende ignorare che l'essere umano sia un organismo biologico. Semplicemente si vuole sostenere che l'uomo come persona non può essere compreso in ambito naturalistico e che i caratteri che costituiscono l'essere umano come persona non possono essere analizzati in modo soddisfacente se non si considera la natura umana in una prospettiva più ampia.
La verità 'oggettiva' deve essere cercata con i metodi della scienza naturale, mentre la ricerca della verità 'soggetiva' richiede l'uso del metodo ermeneutico, vale a dire l'interpretazione e la riflessione.
Le scienze naturali presuppongono la riflessione ermeneutica, l'umano infatti è più di un organismo biologico che risponde più o meno passivamente agli stimoli esterni. Egli è, in quanto essere umano, continuamente impegnato nella comprensione e nell'interpretazione del significato simbolico del mondo che gli sta di fronte.


Bibliografia

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Note:

1 Cfr. Filippeschi M., Celano G., Scuole di psicoterapia in Italia, Centro Diffusione Psicologia, Genova, 1988, pp. 7-16.
2 Cfr. Cionini L., Psicoterapie. Modelli a confronto, Carocci, Roma, 1998, pp. 19-37.
3 Cfr. Lombardo G.P., "Epistemologia e storia in psicoterapia. Un contributo metodologico", in Epistemologia e psicoterapia. Complessità e frontiere contemporanee, eds, Ceruti M., e, Lo Verso G., Raffaello Cortina, Milano, 1998, pp. 51-69.
4 Cfr. ibid., pp. 58-68.
5 Giusti E, Montanari C., Montanarella G., Manuale di psicoterapia integrata. Verso un eclettismo clinico metodologico, FrancoAngeli, Milano, 1995.
6 Cfr. Giusti E., Psicoterapie: denominatori comuni. Epistemologia della clinica qualitativa, FrancoAngeli, Milano, 1997.
7 Cfr. ibid., pp 35-40.
8 Cfr. ibid., pp. 40-57.
9 Cfr. Fiora E., Pedrabissi I, Salvini A., Pluralismo teorico e pragmatismo conoscitivo in psicologia della personalità, Giuffrè, Milano, 1988, pp.34-40.
10 Cfr. Di Maria F., Giannone F., "Epistemologia e scientificità del qualitativo", in Epistemologia e psicoterapia. Complessità e frontiere contemporanee, eds, Ceruti M., e, Lo Verso G., Raffaello Cortina, Milano, 1998, pp. 31-47.
11 Cfr. ibid., pp.31-32.
12 Cfr. ibid, pp. 36-38.
13 Cfr. Ceruti M., Il vincolo e la possibilità, Feltrinelli, Milano, 1986.
14 Cfr. Maturana H., Varela F., Autopoiesi e cognizione, trad. it., Marsilio, Padova, 1985.
15 Cfr Morin E., Scienza con coscienza, trad. it., FrancoAngeli, Milano, 1984.
16 Cfr. Foerster H von, "Cibernetica ed epistemologia", in La sfida della complessità, eds, Bocchi G., Ceruti M., Feltrinelli, Milano, 1985.
17 Cfr. Varela F., Scienza e tecnologia della cognizione, trad. it., Hopeful Monster, Firenze, 1987.
18 Che possa essere così sembra plausibile quando consideriamo che si deve tener conto anche della struttura della comunità sociale della scienza stessa. Si devono considerare innanzitutto i processi per mezzo dei quali vengono formati gli scienziati: processi che costituiscono di per sè un procedimento molto selettivo, tale che a certe idee vengono riconosciuti uno status speciale e una speciale approvazione, mentre altre sono ignorate o trattate con disprezzo.
Gli scienziati imparano gradualmente come comportarsi all'interno della comunità scientifica. Essi apprendono quali tipi di pratiche siano accettabili e quali no. Imparano come eseguire con successo ricerche sperimentali o teoriche. Vengono a conoscere quali tipi di problemi siano potenzialmente risolvibili e degni di esame. Infine (vorrebbe indurci a credere Polanyi) imparano ad avere una sorta di sesto senso circa quali ricerche siano sane e attendibili e quali non valga invece la pena di compiere.
In tutto questo non va dimenticato il sistema di controllo sociale che opera all'interno della comunità scientifica, principalmente attraverso il sistema della valutazione per opera dei propri colleghi.
Tutte le ricerche vengono esaminate da "lettori" specialisti prima della pubblicazione in periodici scientifici, e il processo di valutazione continua anche dopo la pubblicazione, attraverso recensioni, relazioni annuali ecc... Attraverso questo processo lungo e complesso di setacciamento viene gradualmente stabilita la "conoscenza certificata" su cui la comunità scientifica sente infine di poter fare affidamento.
19 Cfr. Bloor D., La dimensione sociale della conoscenza, tad. it., RaffaelloCortina, Milano, 1991.
20 Cfr. Latour B., Woolgar S., Laboratory Life. The Social Construction of Scientific Facts, Sage, Beverly Hills, 1979.
21 Cfr. Oldroyd D, The Arch of Knowledge. An Introductory Study of the Hystory of the Philosophy and Methodology of Science, Methuen, New York, 1986, pp. 447-475.
22 Cfr. Di Maria F., Giannone F., "Epistemologia e scientificità del qualitativo", op. cit., pp. 38-42.
23 Con il termine di costruttivismo si fa riferimento alla posizione filosofica secondo cui la realtà non è pre-data alla conoscenza, non si trova 'là fuori' a disposizione della nostra comprensione, ma è costruita dal soggetto. Ciò significa che nessuna osservazione può considerarsi obiettiva, nel senso di indipendente dal soggetto che conosce. Al contrario, ogni descrizione è autoreferenziale, ossia riflette sempre l'ordinamento imposto alla realtà dal sistema conoscitivo che la esprime. Il costruzionismo o costruzionismo sociale sostiene, invece, l'idea che il soggetto costruisca la realtà assieme agli altri individui e sposta così l'attenzione dalle rappresentazioni mentali al linguaggio, ai processi conversazionali attraverso i quali gli individui costruiscono i propri mondi, intesi come mondi condivisi. La differenza tra le due prospettive riguarda inoltre la posizione dell'osservatore. Nel caso del costruttivismo, l'osservatore si colloca all'interno dei processi elaborativi individuali, e quindi proprio per questo è nella condizione migliore per cogliere gli aspetti di chiusura dei sistemi individuali di cui si occupa. Il costruzionismo, poiché definisce come oggetto privilegiato di studio il pattern che connette gli individui, colloca l'osservatore all'esterno rispetto ai processi di elaborazione individuali, e quindi è in una condizione privilegiata per individuare gli elementi di apertura di tali processi.
24 Cfr. Di Maria F., Giannone F., "Epistemologia e scientificità del qualitativo", op. cit., pp. 43-46.
25 Cfr. Fiora E., Pedrabissi I, Salvini A., Pluralismo teorico e pragmatismo conoscitivo in psicologia della personalità, op. cit., pp. 57-61.


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