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Considerazioni epistemologiche preliminari sui concetti di
“Io”, “Sé”, “Me stesso”, “Soggettività”, in psicologia e in psicoanalisi

Relazioni con la Tavola Epistemologica Universale (TEU) **

G. Giacomo Giacomini



*Direttore dell’Istituto per le Scienze Psicologiche e la Psicoterapia Sistematica di Genova - CESAD - Centro Studi per l’Analisi Dialettica. Orientamento epistemologico dell’A.: Dialettica Attualistica.
** Versione italiana del testo originale in lingua inglese pubblicato col titolo: Preliminary Epistemological Remarks on the Concepts of “I”, “Ego”, Myself”, Subjectivity”, in Psychology and Psychoanalysis: Relations with the Universal Epistemological Table (UET), nella sezione in lingua inglese di “Psicoterapia Professionale - Pro fessional Psychotherapy”, vol. XIX, 2001, pagg. 7-38.
N.B.: Le date tra parentesi, che compaiono nel testo associate ai nomi degli autori, si riferiscono all’anno dell’edizione originale delle opere e rinviano alla bibliografia che sarà pubblicata al termine del presente saggio. Il saggio, anche nella versione italiana, si compone di tre parti e sarà pubblicato integralmente nel prossimo numero di “Psicoterapia Professionale”.

Parte seconda: I concetti di "Io", "Sé", "Me Stesso", "Soggettività", nella psicoanalisi

1. Il concetto freudiano di "Io" in una prospettiva funzionalistica: integrazionismo e riduzionismo.

Nella letteratura psicoanalitica il termine di "Io" ("Ich", "Ego", "Moi", "Yo", ecc.) pu essere usato secondo molti diversi significati.
Tale situazione può spesso verificarsi non soltanto nelle opere di diversi autori, ma anche in differenti momenti della ricerca scientifica svolta da uno stesso ricercatore.
L'esempio pi significativo, al riguardo, ci offerto dallo stesso Freud e dallo svolgimento storico della sua opera.
Com'è noto, nella dottrina psicoanalitica, la teoria dell'Io venne formulata esplicitamente nell'opera "L'Io e l'Es" che risale al 1922, in una fase già avanzata della ricerca freudiana.
In questo saggio, l'Io concepito secondo il modello funzionalistico impiegato da Freud per la teorizzazione della sua metapsicologia (cfr. TEU, Tav. I, sez.B).
In particolare, nella metapsicologia psicoanalitica il concetto dell'Io formulato secondo il punto di vista strutturale: in questo contesto, l'Io nasce come una struttura secondaria e, precisamente, come una funzione per l'adattamento del processo primario (che segue il principio del piacere) alle condizioni imposte dal mondo esterno e dal principio di realtà (cfr. Tav. VI).
Pertanto, nella metapsicologia freudiana, la struttura dell'Io (cos come lo stesso punto di vista strutturale) teorizzato secondo un metodo funzionalistico che, a sua volta, applicato, in modo alquanto contraddittorio, in una prospettiva tanto riduzionistica, quanto integrazionistica.
Di conseguenza, l'Io assume fisionomie tra loro contrastanti.

Da un lato, infatti, Freud lo definisce come la parte organizzata dei processi mentali individuali, attribuendogli funzioni essenziali.
La fondamentale funzione dell'Io sarebbe rappresentata, secondo Freud, dal sistema percezione-coscienza (P-C), il quale verifica i limiti reali che il mondo esterno contrappone alle pulsioni istintuali.
Come conseguenza pratica, questa percezione dei limiti della realtà conduce alla costituzione dei cosiddetti meccanismi di difesa: il compito di queste strutture quello di impedire il pericolo di un immediato scarico delle pulsioni, che provocherebbe reazioni ostili da parte dell'ambiente esterno, con conseguenze dannose per l'individuo.
Pertanto, la stessa sopravvivenza dell'individuo, nella sua totalità personale, dipende dall'Io, cio dalla sua capacità di sottoporre la pulsionalità cieca all'esame di realtà, in conformità al cosiddetto processo secondario.
In questo inquadramento, l'Io sembra essere teorizzato secondo un punto di vista funzionalistico integrazionistico (cfr. TEU, Tav. I, sez. 2B).
In effetti, la funzione di un sistema organizzato di adattamento alla realtà presentata come una prerogativa fondamentale della personalità e come la condizione sia per il suo sviluppo individuale, sia per la sua integrazione col mondo sociale.
Pertanto, in questa prospettiva funzionalistica integrazionistica, anche la terapia analitica assumerà come proprio fine il rafforzamento dell'Io come funzione di realtà, da cui l'individuo sarà guidato sulla strada della socializzazione e della civiltà.
In tal senso, Freud asserisce che l'Io e la terapia analitica perseguono lo stesso fine, poich l'Io si comporta come il medico nel corso del trattamento analitico, mentre la psicoanalisi, a sua volta, è uno strumento idoneo a consentire all'Io di spingere sempre pi oltre la sua progressiva conquista dell'Es:
"Gli sforzi terapeutici della psicoanalisi seguono l'intenzione di rafforzare l'Io, di renderlo pi indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, cos che possa annettersi nuove zone dell'Es." (4).
In questo contesto clinico, Freud introdusse il principio che "dove era l'Es, dovrà subentrare l'Io",mentre, sul piano teoretico, egli perveniva alla conclusione che "a causa della particolare natura della nostra conoscenza, il nostro lavoro scientifico nell'ambito della psicologia consisterà nel tradurre i processi inconsci in processi consci, cos da colmare le lacune della percezione cosciente."(5)

Da un altro lato, per, Freud non conferisce una reale autonomia al sistema dell'Io. A suo parere, non solo l'Io sorge come una particolare modificazione provocata, sulla superficie dell'originaria entità dell'Es, dalle pressioni del mondo esterno, ma persino le energie di cui l'Io dispone sono derivate dallo stesso Es.
In tal modo, l'Io forzato, da un lato, dall'Es, dall'altro, dal mondo esterno, mentre la nascita dell'Io considerata come conseguenza di una sorta di sconvolgimento dell'omeostasi originaria, che rappresenta la condizione primaria della realtà psichica.
Inoltre, secondo il punto di vista omeostatico, la funzione fondamentale del sistema nervoso non la promozione dello sviluppo dell'Io individuale, ma, al contrario, l'abolizione di ogni stimolo, al fine di conservare l'organismo in una condizione statica ed esente da qualsiasi eccitamento.
In questa prospettiva riduzionistica, lo sviluppo dell'Io diviene una pura illusione, poichè qualsiasi differenziazione della vita psichica viene ad essere annullata dal principio omeostatico, assunto da Freud come principio universale della realtà naturale, in quanto meccanismo della coazione a ripetere (in psicologia), istinto di morte (in biologia) e legge dell'entropia (in fisica) (cfr. TEU, Tav. 1, sez. 1B).
Perci, in tale contesto, il programma terapeutico risulterà affatto differente. Infatti, noi possiamo supporre di essere in grado di aiutare il paziente ad acquisire la coscienza del suo inconscio; ma difficile pensare possa esservi una reale possibilità di modificare le pulsioni inconsce e le loro leggi omeostatiche.
Pertanto, nella metapsicologia freudiana, il concetto dell'"Io" potrebbe essere teoricamente giustificato soltanto in una prospettiva funzionalistica integrazionistica, come una struttura evolutiva che organizzata in funzione di un adattamento, di un compromesso e di una mediazione tra le pulsioni istintuali ed i limiti imposti dal mondo esterno.

2. Possibilità di una concezione dell'"Io" riflessivo nella teoria freudiana del narcisismo come psicologia del "S" e "Me Stesso".

Inoltre, nella fase pi avanzata del pensiero freudiano (1922: "L'Io e l'Es") il concetto di "Io" (Ich) sembra presentarsi in forma del tutto alienata dall'"Io" riflessivo (Sé), come realtà dell'esperienza interiore.
Tuttavia, il problema dell'Io riflessivo (S) non completamente ignorato in altre, precedenti opere di Freud.
Nel suo saggio "Introduzione al narcisismo", del 1914, Freud prospett in un modo diverso la relazione tra l'Io e il principio del piacere, le pulsioni istintuali, gli oggetti e la percezione della realtà, le idee e le rappresentazioni normative, l'alterità, l'ideale dell'Io e l'autocoscienza dell'Io.
In quest'opera, Freud formul una teoria della rimozione, basata su una concezione riflessiva dell'Io.
La rimozione, egli afferma, deriva dall'Io o, meglio, con maggior precisione, dall'autostima dell'Io:
"I moti pulsionali libidici incorrono nel destino di una rimozione patogena quando vengono in conflitto con le rappresentazioni della civiltà e dell'etica proprie del soggetto. Con ci non abbiamo mai inteso che l'individuo abbia una nozione meramente intellettuale di queste rappresentazioni, ma sempre piuttosto che egli le riconosca come normative e si sottometta alle sollecitazioni che da esse gli provengono, Abbiamo detto che la rimozione procede dall'Io. Potremmo essere pi precisi e sostenere che procede dalla considerazione che l'Io ha di s."(6)
Questa impostazione introduce una concezione dell'Io che non riducibile ad un puro meccanismo di difesa; infatti l'autostima, l'autovalorizzazione, l'autocritica, ecc., corrispondono a sentimenti riflessivi dell'Io, in funzione dei quali Io attribuisco un valore (o un disvalore) a me stesso o a quella parte di me che io sono in grado di obbiettivare, al fine di accettarla (e di"reidentificarla" con me stesso), o di rifiutarla (e di "alienarla" da me stesso)
In questa prospettiva, Freud elabora la teoria di un supposto "doppio Io":
"Le stesse impressioni, esperienze, impulsi, moti di desiderio nei quali un individuo indulge, o che quanto meno elabora consapevolmente, sono respinti da un altro con la massima indignazione o almeno soffocati prima di pervenire alla coscienza". (7)

Freud, tuttavia, nel suo saggio sul narcisismo non sembra consapevole del fatto che questo dualismo dell'Io non è spiegabile senza presupporre il principio riflessivo, come costitutivamente inerente all'Io. Al contrario, egli considera il dualismo dell'Io in funzione del fatto che "un uomo ha istituito in se stesso un ideale in rapporto al quale egli misura il suo Io attuale, mentre l'altro resta privo della formazione di un ideale". (8)
A questo punto, per, Freud mostra di ignorare che lo stesso Io ideale non avrebbe la possibilità di formarsi senza un Io riflessivo e la sua forma di autobbiettivazione.
Freud presumeva che l'ideale dell'Io potesse derivarsi dal mondo esterno e, pi precisamente, da un meccanismo di introiezione - identificazione con le figure parentali, investite di cariche libidiche sublimate.
Tuttavia, tutti questi processi (contrapposizione tra l'"Io" e il mondo esterno, cio le figure parentali; identificazione tra l'"Io" e le stesse immagini parentali, ecc.) presuppongono necessariamente un Io riflessivo e possono essere spiegati solo in funzione di quest'ultimo, e non viceversa.
Lo stesso Freud afferma che all'ideale dell'Io viene rivolto l'amore di s di cui l'Io venne realmente gratificato nella sua infanzia.
In tal modo, un amore di s riflessivo viene immaginato da Freud come la condizione preliminare per spiegare la formazione dell'Ideale dell'Io.
In questo contesto, tuttavia, la stessa cosiddetta libido (cos come pure le pulsioni istintuali), dovrebbe essere teorizzata soltanto in funzione dell'Io riflessivo.
Infatti, quando Freud presenta la sua teoria dei "due uomini" all'interno dell'Io, egli non dimostra di distinguere l'Io dalla libido, ma identifica tale libido con il "primo" uomo, cio con l'Io originario che segue il principio del piacere e il sentimento di onnipotenza.
Egli, inoltre, si contraddice quando asserisce che al "primo uomo" non si possa attribuire un ideale, mentre subito dopo esprime il parere che "l'idealizzazione possibile nella sfera della libido dell'Io cos come in quella della libido oggettuale." (9)
In realtà, io posso vivere ed idealizzare le tendenze pulsionali come "spontaneità" e "sentimenti originari", in opposizione al comportamento "artificioso" di un "Io" convenzionale, ma io posso anche percepirle come forze oscure e caotiche in contrasto con l'ideale luminoso del mio Io razionale.
In altri termini, io posso identificarmi con la mia "libido", negando l'autenticità della mia normatività razionale ed etica; oppure, al contrario, posso identificarmi con questa normatività, rifiutando la mia pulsionalità libidica e distruttiva.
Con la sua teoria del "due uomini nell'Io" Freud sembra postulare nel conflitto psicopatologico una doppia identificazione dell'Io (Me Stesso) con entrambi i due uomini in contrasto tra loro: l'uno inconscio, l'altro conscio e preconscio.
A tale proposito, Freud afferma che l'Io pu prendere se stesso come oggetto, osservare se stesso, approvare o disapprovare se stesso: in tal modo, io contrappongo una parte di me stesso a Me Stesso:
"L'Io il soggetto per eccellenza, come può diventare oggetto? Ora, non vi alcun dubbio che questo possibile: l'Io pu prendere come oggetto s medesimo, trattarsi come altri oggetti, osservarsi, criticarsi e fare di s stesso Dio sa quante altre cose ancora. Così facendo, una parte dell'Io si contrappone alla parte restante". (10)

Pertanto, con l'introduzione del concetto di narcisismo, Freud, suo malgrado, mise in evidenza la necessità di una fondazione della teoria dell'Io come S (Me Stesso) riflessivo.
In effetti, secondo il punto di vista strutturale della teoria metapsicologica, l'Io soltanto una parte superficiale dell'Es, che ha subito una particolare differenziazione. Per la teoria del narcisismo primario, invece, l'Io non si distingue dalla libido originaria, anzi, si identifica profondamente con essa, come Io libidico. In questa prospettiva, anche il concetto di oggetto e di relazione di oggetto è subordinato all'Io riflessivo, poiché il primo oggetto dell'Io libidico sono precisamente io stesso, come io riflessivo obiettivato (Me Stesso). Pertanto, lo stesso oggetto esterno costruito, in primo luogo, in funzione di una proiezione o, meglio, di un'alienazione dell'Io libidico nel mondo esterno (secondo l'esempio freudiano dell'ameba).
Perci gli stessi oggetti nascono originariamente in un mondo immaginario, che costituisce la realtà primaria dalla quale dipenderà la stessa rappresentazione del mondo esterno.
Nel quadro della teoria del narcisismo, l'Io originario non pu essere identificato con l'Io cos come viene teorizzato nella metapsicologia, in funzione del punto di vista strutturale, secondo il quale il principio della differenziazione proviene dal mondo esterno.
Al contrario, il narcisismo colloca il principio della differenziazione proprio all'interno dell'Io, perch il "primo" oggetto (o "l'alterità originaria") non situato nel mondo esterno, ma sorge all'interno dell'Io riflessivo, come Me Stesso, sulla base del quale si forma ogni ulteriore obbiettivazione o rappresentazione dell'alterità e del mondo esterno.
Pertanto, in una teoria del narcisismo esplicitamente fondata sul principio dell'Io riflessivo (Me Stesso), la cosiddetta libido deve essere concepita come il processo di obbiettivazione di Me Stesso.
Si tratta di un processo dialettico, poich ogni obbiettivazione (o relazione Io-oggetto) un'alienazione di Me Stesso, ma questa alienazione corrisponde ad una differenziazione e sviluppo di Me Stesso, come essere storico e sociale (v. Tav. I, sez. 2C).
Deve essere sottolineato, inoltre, che non solo nel suo studio sul narcisismo, ma anche in altre opere di ricerca teoretica e clinica, Freud ha esplicitamente riconosciuto l'"Io" come essenziale funzione riflessiva.
A questo proposito, pu essere citata la teoria dell'inconscio come "Qualcun altro in noi":
"La postulazione dell'inconscio pienamente legittima giacch, adottando tale ipotesi, non ci discostiamo di un passo dal nostro abituale modo di pensare, che generalmente ritenuto corretto. La coscienza trasmette a tutti noi soltanto la nozione dei nostri personali stati d'animo; che anche altre persone abbiano una coscienza, una conclusione analogica che, in base alle azioni e manifestazioni osservabili degli altri, ci permette di farci una ragione del loro comportamento. (o, per usare una formulazione psicologicamente più esatta: senza riflettere pi che tanto noi attribuiamo a tutti gli altri soggetti la nostra costituzione e quindi anche la nostra coscienza, e questa identificazione il presupposto della nostra comprensione). In passato quella illazione (o identificazione) era estesa dall'Io ad altri essere umani, ad animali, piante, a esseri inanimati e a tutto il mondo, e si rivelava feconda nella misura in cui l'analogia con il singolo Io era veramente grandissima; ma divent tanto pi inattendibile tanto pi l'"altro" si discostava dall'Io. Oggi la nostra riflessione critica è già in dubbio sull'esistenza di una coscienza negli animali, la esclude nel caso delle piante e considera l'attribuzione di una coscienza agli essere inanimati come un fenomeno di misticismo. Ma anche dove l'originaria tendenza all'identificazione ha superato il nostro esame critico, nel caso degli "altri" a noi pi prossimi, gli uomini, la convinzione che essi abbiano una coscienza si fonda su un'illazione, e non pu possedere la certezza immediata della nostra coscienza personale.
Ora la psicoanalisi non chiede altro che di applicare questo tipo di inferenza anche alla propria persona - procedimento per cui non esiste, per la verità, una inclinazione naturale. Se si procede cos, bisogna dire: tutti gli atti e tutte le manifestazioni che osservo in me e che non so come collegare con il resto della mia vita psichica devono essere giudicati come se appartenessero a qualcun altro e trovare la loro spiegazione in una vita psichica attribuita a quest'altra persona."
(11)

In Freud, tuttavia, la teoria della libido principalmente elaborata secondo una prospettiva fondamentalmente riduzionistica. Infatti, la libido, come spinta vitale che tende alla differenziazione dell'Io, all'autobbiettivazione e alle relazioni Io-oggetto, contrastata dalla pulsione di Morte, che segue le leggi omeostatiche.
Inoltre, una teoria dell'Io libidico, come autoamore narcisistico non pu essere fondata su una teoria bioenergetica della libido, che conduce ad una psicologia riduzionistica delle pulsioni istintuali, dalla quale vengono esclusi i sentimenti di S dell'Io riflessivo (Me Stesso). Perciò la teoria freudiana del narcisismo pu pervenire a una coerente concezione dell'Io come sentimento di s ed esperienza riflessiva, soltanto quando sia inquadrata in una prospettiva dialettica.

3. La teoria dell'Io come psicologia del S, nella psicoanalisi contemporanea.

Nella psicoanalisi contemporanea, molti seguaci della scuola freudiana sono seriamente impegnati nelle ricerche teoretiche e cliniche intorno ai temi dell'Io e del narcisismo.
Alcuni di questi ricercatori inquadrano il concetto dell'Io nell'ambito della teoria metapsicologica e del suo punto di vista strutturale, secondo una prospettiva funzionalistica; altri, invece, lo riferiscono alla teoria freudiana del narcisismo.
Molto spesso, questi due punti di vista sono presenti in uno stesso ricercatore, il quale, peraltro, non sembra essere consapevole che essi non sono reciprocamente compatibili in una prospettiva epistemologica.
Soprattutto, occorre rilevare che la funzione del metodo dialettico per teorizzare il concetto di "Io" non generalmente riconosciuta nell'ambito della psicoanalisi contemporanea.
Tuttavia, tra i seguaci di Freud ci sono molti esempi di ricercatori dai quali il problema dialettico dell'Io stato preso in considerazione, almeno sotto certi aspetti.

In una prospettiva clinica, autori come R.Sterba (1934), W.Reich (1933), O.Fenichel (1941), hanno messo in evidenza l'importanza dell'antitesi tra l'Io "che osserva" e l'Io che " osservato", come condizione fondamentale della terapia analitica e, soprattutto, dell'analisi del carattere.
Questi autori, tuttavia, non mostrano di considerare quest'antitesi come forma costitutiva dell'Io originario e del suo sviluppo, ma soltanto come una sorta di "scissione dell'Io" che sarebbe conseguente, secondariamente, ad un'identificazione del paziente con l'analista.
Pertanto, l'Io riflessivo non ancora concepito, da questi ricercatori, come un processo psichico autonomo, ma soltanto come una forma di adattamento al setting analitico, il quale sarebbe da interpretarsi nel quadro di una teoria funzionalistica dell'Io. (V. la Tav. I, sez. B).

P.Federn (1929) e R.Waelder (1936), al contrario, hanno rilevato il carattere originario dell'Io riflessivo e la sua antitesi costitutiva, sia nella teoria, come nella terapia.
In particolare, secondo Federn, l'Io originariamente soggetto e oggetto: conosce, osserva. sente, incontra se stesso. Pi precisamente - egli afferma - Io sono il "sentire me stesso". Questo "sentimento di Me Stesso" è identificato, da Federn, con la libido primaria ed considerato l'esperienza fondamentale della mente come sentimento unitario permanente sia di Se stesso, sia della relazione d'oggetto.
Federn ha anche contestato la teoria di E.Glover, che definisce l'Io come una struttura empirica che nasce dall'associazione di esperienze nucleari e di tendenze parziali. Al contrario, egli ha teorizzato l'Io come un'esperienza primariamente unitaria e permanente, alla quale tutte le altre esperienze e tendenze parziali devono essere subordinate, cos da essere concepite come stati particolari dello stesso Io originario.

R.Waelder pu essere considerato come il primo autore che abbia introdotto una vera prospettiva dialettica nella teoria psicoanalitica.
Infatti, egli ha distinto, metodicamente, tra una psicologia psicoanalitica basata sul punto di vista economico e una psicologia del vero Io, basata sull'Io riflessivo e la sua originaria intenzionalità.
In tal senso, Waelder ha evidenziato che l'Io non pu essere concepito come una passiva recettivit di stimoli ambientali o pulsionali: al contrario, secondo un'autentica psicologia dell'Io, l'Io un reale soggetto attivo che intende risolvere i problemi che insorgono dalle esperienze sia esterne (ambientali), sia interne all'organismo (pulsionali).
In questa prospettiva, l'Io si assume come proprio compito quello di predisporre i metodi pi appropriati al fine di risolvere, nell'ambito della propria esperienza, non soltanto i problemi correlati all'ambiente esterno, ma anche quelli di ordine pulsionale e normativo, dai quali la sua organizzazione e il suo ideale di perfezione sono minacciati incessantemente.
Perci, secondo Waelder, la dialettica il principio dominante dell'Io, dal momento che egli cerca metodicamente di risolvere i propri problemi contraddittori in funzione di un ideale di integrazione, attraverso il quale l'Io trascende se stesso.
Pertanto, secondo Federn e Waelder, un Io riflessivo (S) inerente sia alla libido primaria (come amore di Sé narcisistico), sia all'intenzionalit mentale (come ideale di risoluzione dei suoi differenti problemi e come integrazione della personalit).

Il problema dell'Io riflessivo (S) anche predominante nei successivi rappresentanti della psicologia psicoanalitica del S, come H.Kohut, M.S.Mahler, W.R.D.Fairbain, O.Kernberg e altri.
Tuttavia, le tematiche che sono state teorizzate da questi ricercatori, come la relazione Io-nonIo, Autodifferenziazione ed Autoindividuazione, S coesivo ed Autoidentit, autonomia del S e dipendenza del S, narcisismo normale e patologico, autostima e autosviluppo, autobbiettivazione ed autoidealizzazione, ecc., sono formulate prevalentemente secondo una metodologia funzionalistica, non corrispondente ad loro intrinseco carattere dialettico.
Inoltre, in questa prospettiva funzionalistica, spesso presente un'opposizione, nella teorizzazione dei concetti di libido, Io, S, ecc., tra una tendenza riduzionistica ed una integrazionistica.

Noi dobbiamo tener presente il fatto che nella psicologia psicoanalitica del S una concezione integrazionistica della libido conduce ad una teoria delle relazioni oggettuali come oggetti Sé (oggettivazione di Me Stesso).
Perci il "S", cio l'obbiettivazione dell'Io (Me Stesso) è la condizione di ogni altra obbiettivazione che , in prima istanza, un'autobbiettivazione (obbiettivazione di Me Stesso).
Inoltre, in questa prospettiva, l'immaginazione, come obbiettivazione fantastica, viene postulata come la realt interiore primaria, in funzione della quale viene costruita la stessa realtà del mondo esteriore (come proiezione dell'autobbiettivazione).
Questa teoria integrazionistica dell'oggetto-S, della realt-S, della libido intenzionale-S (autoinvestimento libidico) non compatibile con la teoria naturalistica della psiche, sia nella versione strutturalistica, che in quella funzionalistica, perch non teorizza l'Io e le altre strutture e funzioni mentali come derivati dal mondo esterno (cos come invece accade nel naturalismo).
Infatti, in una prospettiva integrazionistica, gli stessi oggetti naturali esterni vengono concepiti come il risultato della differenziazione di Me Stesso.
Pertanto, ai nostri giorni, la psicologia psicoanalitica dell'Io diventata una psicologia del S (Me Stesso) e questa evoluzione rende indispensabile l'introduzione del metodo dialettico.
Una coerente concezione dell'Io non pu dunque prescindere dalla sua teorizzazione come "Me Stesso" ed Io riflessivo.
Come si gi visto, tuttavia, questa teorizzazione non possibile in un contesto funzionalistico, che assegna significati naturalistici ed empiristici alle esperienze dialettiche.

4. La teoria psicoanalitica dell'Io in una prospettiva strutturalistica.

Sebbene, in psicoanalisi, i concetti e gli argomenti riguardanti l'"Io", il "S", le "relazioni d'oggetto", ecc. siano prevalentemente formulati secondo una metodologia funzionalistica, vi sono anche autori che, per la loro trattazione, adottano modalit strutturalistiche.
Lo strutturalismo, peraltro, non offre maggiore possibilit, rispetto al funzionalismo, per la soluzione dei problemi di ordine dialettico.

Nella psicologia analitica di C.G.Jung, ad esempio, i concetti di individuazione, Sé (Selbst), e perfino della stessa dialettica, sono teorizzati secondo un punto di vista strutturalistico integrazionistico (v. Tav. I, sez. 2°).
In questa prospettiva, la psiche individuale ed i suoi processi consci ed inconsci sono subordinati a una psiche inconscia collettiva, il cosiddetto "inconscio collettivo".
In tale contesto, gli archetipi, concepiti come le fondamentali strutture dell'inconscio collettivo, esercitano un potere determinante sulla personalit individuale, sia sul piano dell'ideazione, sia a livello affettivo e pratico.
Inoltre, lo sviluppo della personalit (e, in particolare, dei processi di integrazione o di dissociazione, di evoluzione e di involuzione, ecc.) non sono attribuibili all'Io ed alla sua intenzionalit, bens, al contrario, ad una intenzionalità trascendente (la cosiddetta "funzione trascendente"), attraverso la quale le strutture e le forze archetipiche transpersonali interagiscono all'interno della psiche individuale.
Anche la costituzione del S (Selbst) assume in Jung un significato trascendente. In effetti, il S (Selbst) non pertinente all'Io (a Me Stesso) ma, secondo Jung, il risultato di un'armonica interazione dialettica tra archetipi contrastanti, dai quali l'Io viene ad essere coinvolto in una relazione di trascendenza, nella quale, peraltro, si troverebbe in una condizione di assoluta dipendenza.
Pertanto, la stessa dialettica costitutiva del processo di individuazione del S (Selbst) e della cosiddetta "funzione trascendente", non è pertinente al vero Io (cio a Me Stesso), ma all'intenzionalit trascendente dell'inconscio collettivo, in rapporto al quale Io, con la mia spontanea intenzionalit, mi trover ad essere totalmente alienato.
Di conseguenza, secondo Jung, una terapia analitica dovr essere basata sull'ascolto del discorso dell'inconscio trascendente, che rivela la sua intenzionalit transpersonale attraverso il linguaggio del mitico simbolismo degli archetipi.
In questa relazione terapeutica, l'inconscio dell'analista dovrebbe avere un ruolo di mediatore (o di catalizzatore) tra l'inconscio del paziente e l'inconscio collettivo trascendente. In questo processo di mediazione tanto l'Io del paziente quanto quello dell'analista hanno la possibilit di percepire la presenza del discorso della trascendenza e, almeno in parte, anche di decifrarlo, ma non possono sperare di alterarne l'intenzionalit transpersonale che ne il fondamento ed il cui intimo significato resta occulto e indecifrabile.

In una teoria della psicoanalisi basata su una metodologia strutturalistica riduzionistica, qual quella adottata dalla dottrina di J,Lacan, l'alienazione dell'Io ancor pi radicale. (V. Tav. I, Sez. 1).
In effetti, nella dottrina di J.Lacan, qualsiasi autenticit dell'Io totalmente esclusa, perch lo stesso linguaggio non concepito come una forma espressiva dell'Io (di Me Stesso).
Al contrario, la realtà del linguaggio e le sue leggi costitutive sono fondate sull'Es, cos che io non avrò la possibilit di conoscere il mio Io (Me Stesso) attraverso il mio linguaggio, ma sar costretto a ricercare il significato autentico delle mie parole nel discorso dell'"Altro" (l'inconscio) dal quale io "sono parlato" e rispetto al quale io mi trovo in uno stato di radicale alienazione.

Anche il sistema di W.R.Bion rappresenta un esempio significativo di una teorizzazione strutturalistica in psicoanalisi, in una prospettiva riduzionistica radicale.
In questo sistema dottrinario la relazione dialettica tra i principi antitetici di integrazione-dissociazione ridotta a una contrapposizione empirica tra entit elementari (i cosiddetti elementi ed) che vengono teorizzati secondo formule fisicalistiche.
In tal modo, ogni problematica dialettica pertinente al S interiore (Me Stesso) è totalmente ignorata e l'Io ridotto ad un "contenitore vuoto" di una serie di fatti che "accadono" al di fuori di S e dai quali esclusa qualsiasi spontaneit soggettiva.

(fine della parte seconda)


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