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Considerazioni epistemologiche preliminari sui concetti di
“Io”, “Sé”, “Me stesso”, “Soggettività”, in psicologia e in psicoanalisi

Relazioni con la Tavola Epistemologica Universale (TEU) **

G. Giacomo Giacomini



* Direttore dell’Istituto per le Scienze Psicologiche e la Psicoterapia Sistematica di Genova - CESAD - Centro Studi per l’Analisi Dialettica. Orientamento epistemologico dell’A.: Dialettica Attualistica.
** Versione italiana del testo originale in lingua inglese pubblicato col titolo: Preliminary Epistemological Remarks on the Concepts of “I”, “Ego”, Myself”, Subjectivity”, in Psychology and Psychoanalysis: Relations with the Universal Epistemological Table (UET), nella sezione in lingua inglese di “Psicoterapia Professionale - Pro fessional Psychotherapy”, vol. XIX, 2001, pagg. 7-38.
N.B.: Le date tra parentesi, che compaiono nel testo associate ai nomi degli autori, si riferiscono all’anno dell’edizione originale delle opere e rinviano alla bibliografia che sarà pubblicata al termine del presente saggio. Il saggio, anche nella versione italiana, si compone di tre parti e sarà pubblicato integralmente nel prossimo numero di “Psicoterapia Professionale”.




Parte prima: I concetti di “Io”, “Sé”, Me stesso”, Soggettività”, in psicologia


1. Il concetto di “Io” in una prospettiva epistemologica.

Nell’età contemporanea, la confusione culturale e l’ambiguità terminologica, che così spesso caratterizzano la letteratura psicologica e psicoanalitica, sono da addebitarsi, di regola, ad una carente coscienza epistemologica da parte dei responsabili della ricerca in queste discipline.
Questa situazione è soprattutto evidente in relazione al tema dell’”Io” ed a tutta la terminologia che è usata, in psicoanalisi e in psicologia, per definirne i caratteri specifici (come “Sé”, “Me stesso”, “Soggetto”, “Soggettività”, “Personalità”, “Individualità”, “Attività mentale”, “Esperienza interiore”, ecc.).
D’altra parte, è ben noto come, nella cultura psicologica contemporanea, abbiano conseguito una posizione dominante i punti di vista del naturalismo e dell’empirismo riduzionistico.
Noi sappiamo come queste prospettive epistemologiche, in modo più o meno radicale, si rifiutano di considerare l’”Io” (così come ogni altra definizione della soggettività, quali “Sé”, “Me stesso”, “Personalità”, ecc.) come una realtà originale e autonoma.
Una simile abolizione dell’”Io”, che corrisponde alla posizione del riduzionismo psicologico, è tipicamente rappresentata, nella psicologia contemporanea, dai sistemi del behaviorismo radicale e dell’epistemologia genetica (J.Piaget).

2. L’abolizione programmatica dell’Io nel behaviorismo radicale e nell’epistemologia genetica, come esempi del riduzionismo funzionalistico e strutturalistico in psicologia.

Nella prospettiva del behaviorismo radicale (che trova in F.B.Skinner uno dei suoi più tipici rappresentanti), le modalità di adattamento del comportamento umano sono inquadrate secondo i principi del funzionalismo operazionistico.
Secondo questa posizione epistemologica, il termine “Io” può essere definito soltanto come un’astrazione illusoria che, oltre ad essere inutile, potrebbe risultare perfino dannosa, qualora fosse impiegata per indicare talune forme di comportamento adattato che venissero erroneamente assunte come espressione della nostra intenzionalità e non come conseguenza di una serie di condizionamenti rispondenti ed operanti (così come, in realtà, dovrebbero essere considerate, secondo la visione operazionistica).
Inoltre, conformemente a questo punto di vista, ogni complesso strutturato di fatti di comportamento non potrebbe essere concepito come logicamente e necessariamente determinato da leggi naturali precostituite, ma, al contrario, in ogni caso, sarebbe da riguardarsi come il risultato di pure contingenze esterne, così che sarebbe passibile di cambiamenti, in funzione delle variabili inerenti alle differenti situazioni di condizionamento ambientale.

Secondo il sistema dell’epistemologia genetica di Piaget, le strutture neurobiologiche dalle quali dipendono le operazioni intellettuali in funzione dell’adattamento dell’individuo al suo ambiente, sono geneticamente programmate conformemente alle leggi dell’universo fisico e della logica matematica dalle quali è governato il mondo della natura.
Questo sistema, in quanto conforme al principio epistemologico dell’operazionismo strutturalistico, si trova in netta contrapposizione rispetto al behaviorismo (operazionismo funzionalistico), soprattutto per quanto concerne l’origine delle strutture da cui dipende l’adattamento del comportamento umano. Tuttavia, al di là delle loro reciproche divergenze e incompatibilità, entrambi questi sistemi si ripropongono pur sempre, come programma comune, l’obiettivo riduzionistico dell’abolizione dell’Io.
In realtà, nella prospettiva dell’operazionismo strutturalistico di J.Piaget, l’autenticazione dell’individuo umano e delle sue operazioni intellettuali è rappresentata dal cosiddetto “soggetto epistemico” che corrisponderebbe all’esatta coincidenza dei processi mentali con i modelli matematici dell’universo fisico.
In una simile visione epistemologica, l’ideale della psicologia scientifica dovrebbe essere l’obbiettivazione matematico-fisicalistica del soggetto umano: in tal modo, lo stesso concetto di “Io” viene svuotato del suo autentico significato e viene radicalmente soppressa la posizione del soggettivismo.

Avremo la possibilità di valutare adeguatamente il significato di queste due diverse posizioni operazionistiche, nel loro riferimento al principio dell’Io, nel quadro della Tavola Epistemologica Universale (TEU; v. la Tavola I).

Per quanto concerne l’operazionismo strutturalistico, l’abolizione dell’Io è la conseguenza del riduzionismo strutturalistico che caratterizza questa posizione epistemologica e che rappresenta il fondamento della conoscenza scientifica naturalistica sia metodologicamente, che ontologicamente (v. la Tavola I, Sez. 1°; v. anche la Tavola II).
Secondo i presupposti del pensiero naturalistico, statuiti da Galileo, la realtà universale è scritta in un linguaggio matematico, che ne garantisce l’assoluta razionalità.
L’esperienza sensibile, invece, è considerata reale esclusivamente per quel tanto che risulti riducibile alle operazioni di quantificazione conformi alla logica matematica.
La conoscenza umana può essere definita “scientifica” ed autenticamente “reale” solo nella proporzione in cui risulti fondata, teoreticamente e sperimentalmente, sul terreno della matematica, che rappresenta, ontologicamente, la logica reale della Natura.
Conformemente a tale punto di vista, una conoscenza “scientifica” dell’Io e della soggettività è possibile solo per quel tanto che lo stesso “soggetto” sia riducibile a un “oggetto”, cioè ad un fatto o processo naturale, come una struttura fisica e/o un programma matematico.
In un simile inquadramento, una patologia “scientifica” può concepirsi soltanto come una conoscenza delle operazioni prestazionali di un sistema nervoso, mentre l’uso di termini quali “Io”, “intenzionalità soggettiva”, “esperienza interiore”, ecc., sarà da considerarsi aprioristicamente erroneo, tanto sul piano scientifico, quanto su quello della realtà.

Nella prospettiva dell’operazionismo funzionalistico, l’abolizione dell’Io è basata su ragioni sostanzialmente differenti.
Com’è noto, il presupposto epistemologico di una simile prospettiva è rappresentata dall’empirismo radicale, che considera l’esperienza immediata della sensazione come l’unica realtà originaria (v. la Tavola 1, Sez. 1B; v. anche la Tavola II).
In conseguenza di un tale postulato, tutte le strutture concettuali correlate alle funzioni di elaborazione delle idee o di percezione degli oggetti (ivi inclusa la concettualizzazione matematica, le teorie scientifiche, o persino gli oggetti fisici e la stessa natura nel suo complesso) dovrebbero essere riguardate come pure astrazioni o artificiosi costrutti, anche se i termini usati per designarle, per quanto arbitrari, potrebbero essere giustificati come strumenti economicamente utili per il controllo del mondo esterno.
In una tale prospettiva empirio-pragmatistica (che trova i suoi più significativi esponenti sia nei rappresentanti dell’empiriocriticismo e del neopositivismo dei circoli di Vienna, Berlino e Chicago, sia in quelli della tradizione empiristica e operazionistica della cultura anglosassone), l’esperienza “reale” non sarebbe altro che un flusso di sensazioni, in sé privo di qualsiasi organizzazione: anche l’organizzazione che vi è introdotta dalle forme categoriali dello spazio, del tempo, della causalità, della logica matematica, sarebbe da considerarsi soltanto come un derivato secondario della nostra immaginazione e del nostro bisogno di semplicità e di sicurezza (E.Mach, M.Schlick, O.Neurath, R.Carnap, H.Feigl, L.Wittgenstein, P.W.Bridgman, B.Russell, C.Morris, W.V.O.Quine e altri).
Pertanto, la stessa scienza non potrebbe essere fondata su un solido terreno obbiettivo, ma risulterebbe come un insieme più o meno sistematizzato di strategie e di espedienti elaborati dal sistema nervoso al fine di risolvere, di volta in volta, i problemi di adattamento di un organismo biologico, nelle sue relazioni con le contingenze dell’ambiente esterno.
Ciò che abitualmente chiamiamo “scienza” sarebbe in realtà, secondo un tale punto di vista, null’altro che il risultato di una mitologica, quanto arbitraria, ontologizzazione di concetti e di operazioni mentali di cui non si può dimostrare alcun fondamento obbiettivo di realtà, ma che, tuttavia, potrebbero rivelarsi utili per un controllo, il più possibile semplice ed economico, del nostro mondo esterno.
In proposito, noi possiamo citare, come particolarmente significativi, i seguenti passi dell’epistemologo empirista W.V.O.Quine (1951):
“Come empirista, io continuo a pensare che gli schemi concettuali della scienza non siano che uno strumento, in ultima analisi, per prevedere l’esperienza futura alla luce dell’esperienza passata. Gli oggetti fisici sono introdotti concettualmente nella situazione come intermediari convenienti: non per definizione in termini di esperienza ma semplicemente come assunti irriducibili, paragonabili epistemologicamente agli dei di Omero.
Per mio conto, come fisico laico, credo negli oggetti fisici e non negli dei di Omero: e considero un errore scientifico credere altrimenti. Ma quanto a fondamento gnoseologico gli oggetti fisici e gli dei di Omero differiscono solo nel grado, e non nel tipo. Entrambe le specie di entità entrano nella nostra concezione solo come assunti culturali. Il mito degli oggetti fisici è epistemologicamente superiore a tutti, in quanto si è dimostrato più efficace degli altri miti come espediente per erigere una struttura di cui far uso nel flusso dell’esperienza.
L’assunzione non si ferma agli oggetti fisici macroscopici. Gli oggetti a livello atomico sono assunti per far sì che le leggi degli oggetti macroscopici e, in ultima analisi, le leggi dell’esperienza, diventino più semplici e profittevoli; e non dobbiamo aspettarci o richiedere definizioni complete delle entità atomiche e subatomiche in termini di quelle macroscopiche, più di quanto non pretendiamo dalle definizioni degli oggetti macroscopici in termini di dati sensoriali. La scienza è una continuazione del senso comune, e ne continua l’esperienza d’introdurre l’ontologia per semplificare la teoria.
Gli oggetti fisici, piccoli e grandi, non sono gli unici assunti. Le forze sono un altro esempio; infatti, oggigiorno si sente dire che la linea di demarcazione tra energie e materia è antiquata.
Inoltre, le entità astratte che formano la sostanza della matematica - in ultima analisi, le classi, le classi di classi, e così via - sono un altro assunto da intendersi nello stesso senso. Epistemologicamente questi sono miti che si pongono allo stesso livello degli oggetti fisici, e degli dei, né migliori, né peggiori; differenti solo per il grado con cui facilitano i nostri rapporti con le esperienze sensoriali.
Tutta la scienza, matematica e naturale e umana, è similmente, ma ancor più a fondo, non determinata dall’esperienza. I bordi del sistema devono attagliarsi all’esperienza; il resto, con tutti i suoi elaborati miti o finzioni, ha come obiettivo la semplicità delle leggi...
A ciascun uomo è dato un patrimonio scientifico, più un continuo flusso di stimoli sensoriali; e le considerazioni che lo guidano a modificare il suo patrimonio scientifico per adattarlo alle continue sollecitazioni sensoriali sono, in quanto razionali, pragmatiche
(grassetti aggiunti).

In un simile contesto, la risposta all’interrogativo in merito alla legittimità di termini come “Io”, “Sé”, “Soggettività”, “Esperienza interiore”, “Personalità”, ecc. potrebbe solo dipendere dalla possibilità di dimostrare l’efficienza tecnologica del loro uso in una situazione operativa; è ben noto, peraltro, come l’empirista radicale neghi drasticamente, di regola, una simile possibilità.

3. L’”Io” e la sua contraddittoria abolizione nelle psicologie integrazionistiche: funzionalismo psicobiologico e strutturalismo fenomenologico- esistenzialistico.

Com’è ovvio, il significato epistemologico del termine “Io” (o “Soggetto”, “Sé”, ecc.) cambia radicalmente in quei sistemi psicologici che si ispirano a principi integrazionistici; oltre a ciò, per quanto concerne tale significato, vi sono differenze significative tra i sistemi dello strutturalismo integrazionistico e quelli del funzionalismo integrazionistico.
In effetti, l’integrazionismo psicologico respinge la possibilità di una psicologia senza un “Io” o processi “mentali”, come invece è postulato da un programma riduzionistico. Al contrario, il soggetto e la sua intenzionalità sono riconosciuti, dall’integrazionismo, come le specifiche qualità della realtà psichica e della sua originalità.
Nell’integrazionismo funzionalistico, peraltro, noi ci troviamo di fronte ad una “soggettività” la cui intenzionalità non si differenzia sostanzialmente dalla funzione di adattamento di un organismo biologico (v. la Tavola I, Sez, 2B; v. anche la Tavola II).
In realtà, la coscienza, l’intelligenza e le altre funzioni mentali superiori, non sono considerate, dallo psicologo funzionalista integrazionista, come riducibili a processi o fatti elementari, quali riflessi, impulsi, istinti, o associazioni di stimoli e sensazioni. Un funzionalista integrazionista come J.Dewey, per esempio, spiega la nascita della coscienza come conseguenza di una situazione problematica, allorché un organismo, nella sua lotta per adattarsi al suo ambiente, è costretto ad affrontare emergenze nuove, che gli automatismi istintuali non sono in grado di controllare.
Malgrado ciò, il Dewey descrive la stessa problematicità come una qualità della Natura, e non come una specifica connotazione dell’Io riflessivo (Sé).
In tal modo, la coscienza soggettiva risulta essere come il prodotto (per quanto altamente differenziato) della funzione naturale di adattamento, anzi, più specificamente, il più alto livello di tale funzione.
In una simile prospettiva, noi dobbiamo anche ricordare che, secondo J.R.Angell, la coscienza dovrebbe essere considerata nulla più che “un servizio di accomodamento”.

In un inquadramento integrazionistico strutturalistico che comprende, soprattutto, i sistemi psicologici di ispirazione fenomenologica ed esistenzialistica, i concetti dell’”Io riflessivo”, del “Sé”, del “Soggetto”, della “Coscienza”, della “Personalità”, dell’”Intenzionalità”, sono strettamente collegati al tema della trascendenza (v. Tavola I, Sez. 2°; v. anche la Tavola II).

Questi sistemi, in effetti, non soltanto assumono l’”Io”, la “personalità” e la loro intenzionalità come le tematiche più autentiche della conoscenza psicologica, ma escludono anche la possibilità di impiegare metodiche naturalistiche nella ricerca in merito a queste tematiche.
In una visione fenomenologico-esistenzialistica, le metodologie riduzionistiche e naturalistiche potrebbero solo spiegare (Erklären) le prestazioni obbiettive di un organismo biologico (Psicologia esplicativa, Erklärende Psychologie), ma non sarebbero idonee a comprendere (Verstehen) l’esperienza esteriore dell’Io, come Sé e Personalità.
In effetti, in questo caso ci è necessaria una metodologia basata su un’identificazione intuitiva ed empatica, nell’ambito di una relazione “Io-Tu” (Psicologia comprensiva, Verstehende Psychologie).
Nel sistema di K.Jaspers, questa relazione di alterità è la fondamentale caratteristica della personalità umana.
In questo senso, l’Io, come essere umano, non può essere conosciuto se non nella sua relazione con qualcos’altro.
A tale riguardo, lo Jaspers così si esprime:
“In nessun momento l’uomo è autosufficiente. Egli è ridotto a dipendere da qualcosa d’altroÉ Luomo può realizzarsi solo in quanto intende l’altro, può conoscersi solo in quanto pensa e conosce l’altro, può fidarsi solo in quanto confida in qualcosa d’altro, nella TrascendenzaÉ Egli cerca l’Essere stesso, l’infinito, l’altro. Solo il fatto che ciò esista può dargli soddisfazioneÉ
E perciò l’agire e il pensare dell’uomo sono contemporaneamente al servizio di qualche cosa che egli non comprende, nella quale egli opera, e dalla quale viene accolto e soggiogato, che lo si chiami Destino o Provvidenza”.

Pertanto, l’”Io” sperimenta se stesso come radicale defettività, che richiede la ricerca, nell’alterità e nella trascendenza, dell’origine del proprio essere.
Una conoscenza dell’essere umano basata soltanto su uno studio positivistico dei comportamenti, delle funzioni biologiche, delle operazioni prestazionali, ecc. non può offrirci altro che un’immagine esteriore e particolare dell’uomo.
Tuttavia, anche una descrizione della personalità umana come insieme delle qualità psicologiche che caratterizzano la tipologia individuale di un soggetto empiricamente osservabile, non può soddisfare i canoni di un’autentica teoria dell’Io.
Secondo K.Jaspers, qualsiasi tipologia è insufficiente, per quel tanto che si ripropone di definire i modelli contrastanti dell’essere umano in funzione di caratteri antitetici ontologizzati, che nell’uomo reale corrispondono a posizioni contraddittorie di un’esperienza interiore, così che non sarà possibile concepirli né empiricamente, né ontologicamente, ma soltanto in una prospettiva dialettica.
In un sistema fenomenologico-esistenziale, qual è quello di Jaspers, una conoscenza psicologica comprensiva dell’essere umano dovrebbe postulare necessariamente una teorizzazione dialettica dell’”Io interiore” (Sé). In tale sistema, tuttavia, l’Io interiore (Sé) non ha la possibilità di realizzare se stesso secondo un autentico sviluppo dialettico, perché le antitesi della sua esperienza interna non possono trovare una risoluzione autonoma nella sua stessa spontaneità, ma soltanto nella trascendenza dell’Essere omnicomprensivo, dal quale l’essere umano ontologicamente dipende e nel quale l’Io trova la propria dissoluzione (“naufragio”).
Come possiamo constatare, non soltanto i sistemi riduzionistici, ma anche quelli integrazionistici, che sono correlati sia con il funzionalismo che con lo strutturalismo, pervengono alla negazione dell’autentico Io riflessivo (Sé).
Questa tendenza nichilistica della psicologia contemporanea nei confronti dell’Io può essere riconosciuta come la conseguenza delle fondamentali posizioni epistemologiche raggiunte dalla nostra cultura occidentale sia nella scienza come nella filosofia (v. Tavola II).

4. L’autenticazione dell’”Io” in una prospettiva dialettica: dialettica attualistica e dialettica ontologico-metafisica.

Tutti i principali orientamenti e teorie della psicologia contemporanea trovano il loro inquadramento epistemologico nelle categorie fondamentali del riduzionismo e dell’integrazionismo, dello strutturalismo e del funzionalismo, elaborate dal pensiero occidentale nel corso del suo sviluppo storico.
In questa prospettiva storico-critica, solo la dialettica attualistica è pervenuta ad una posizione epistemologica che consente la fondazione di una teoria psicologica conforme al principio di una reale autonomia dell’Io. (v. Tavola I, Sez. 2C; v. anche la Tavola II).
In effetti, la dialettica attualistica concorda con l’assunto fenomenologico-esistenzialistico, teorizzato da K.Jaspers, secondo il quale noi non potremmo mai ridurre il nostro Io e la nostra personalità né a una serie di operazioni prestazionali, né a più o meno significative articolazioni di tratti di carattere e di esperienze comprensibili.
In realtà, il nostro Io, nella sua forma riflessiva (Sé), è incompatibile con qualsiasi immediata identificazione con tutti i contenuti possibili della sua esperienza, ai quali è pur sempre correlato nella forma trascendentale della relazione irriducibile di soggetto-oggetto.
Nella dialettica attualistica, tuttavia, la forma riflessiva trascendentale non sarà da concepirsi come un essere omnicomprensivo, ma come lo stesso Io riflessivo.
In una tale prospettiva, l’obbiettivazione della mia esperienza dovrà essere considerata non soltanto come un processo di individuazione degli oggetti esterni ed interni della mia rappresentazione fisica o psichica, ma anche, e soprattutto, in funzione della costruzione della mia personalità (Me Stesso).
La mia personalità è postulata come l’espressione pratica di me stesso e, nel contempo, come il mio ultimo fine ideale.
Se io avvertirò i miei pensieri, volizioni, comportamenti, discorsi, percezioni, desideri, rappresentazioni, ecc. come espressioni di Me Stesso, essi apparterranno alla mia soggettività, ed identificherò con loro Me Stesso; in caso diverso, io mi sentirò alienato da loro, che avvertirò in posizione negativa nei confronti di Me Stesso.
Pertanto, il senso di esteriorità o di interiorità del mondo della mia esperienza, dipenderà dai sentimenti di integrazione o di alienazione dell’Io, cioè dal fatto che io percepisca le mie esperienze come appartenenti o non appartenenti a Me Stesso.
Perciò, la mia personalità è lo stesso processo di integrazione di Me Stesso, cioè è la modalità metodica attraverso la quale io traduco, dialetticamente, la mia esperienza dell’alienazione dell’esteriorità, nell’espressione della mia stessa interiorità.
In questo senso, il vero Io riflessivo (Sé) può essere teorizzato soltanto in una prospettiva attualistica dialettica.
Questo Io riflessivo dialettico (Me Stesso) è anche la prima realtà che noi dobbiamo metodicamente considerare da un punto di vista psicologico, quando noi assumiamo il nostro “Io” come termine di riferimento per la nostra ricerca dialettica sulle nostre esperienze, nel quadro della relazione soggetto-oggetto.
All’opposto, l’osservazione dell’oggetto come termine di riferimento e realtà primaria delle nostre conoscenze, teorie e ricerche, corrisponde al punto di vista naturalistico, nel quale la scienza naturale trova il proprio fondamento.
Pertanto, secondo la dialettica, le scienze psicologiche si ricollegano alla logica dialettica della contraddizione (A = non-nonA; Io = non-non Io; soggetto = non oggetto, ecc.), mentre la logica dell’identità (A=A) è il principio razionale della scienza naturale, per la quale “Io” (Me Stesso) e “Soggetto” sono termini privi di significato.
Inoltre, in una prospettiva dialettica attualistica, la dialettica è immanente all’Io riflessivo (Me Stesso) e non può essere impiegata come metodo di ricerca su qualsiasi forma di obbiettivazione che sia ontologicamente alienata dal soggetto (sia essa concepita come oggettualità naturale, o empirica, o trascendente, quale mondo fisico, organismo biologico, istinto, meccanismo S-R, associazione sensoriale, affetti, comportamenti, idee, anima, spirito, Dio, ecc).
In effetti, per l’esperienza dialettica dell’Io riflessivo (Me Stesso), ogni oggetto autonomo corrisponde ad una negazione della realtà del soggetto.
Pertanto, l’essere oggettuale costituisce un problema per l’essere soggettivo, almeno per quel tanto che il soggetto non sia in grado di risolvere metodicamente l’alienazione oggettuale sia teoricamente che praticamente.
In tal senso, l’essere dell’Io è costitutivamente problematico, perché la “Mia” realtà dipende dall’assimilazione dialettica dell’oggetto da parte della mia soggettività (Me Stesso), conformemente alla formula logica del dialettismo (A = non-nonA).
All’opposto, nessuna situazione autenticamente problematica può essere concepita come pertinente all’oggetto in quanto realtà naturale, poiché la natura è strutturata secondo leggi matematiche che sono universali e necessarie, eterne ed immutabili (così come viene definito dalla formula logica dell’identità: A = A).
Di conseguenza, la dialettica attualistica, come teoria dell’Io riflessivo (Me Stesso) e della personalità individuale, è in antitesi con il punto di vista hegeliano, che concepisce la dialettica come la logica di una mente assoluta ontologizzata, che trascende il mio Io individuale e nella quale io, come soggettività individuale, trovo la mia dissoluzione (v. la Tavola I, Sez. 1C; v. anche la Tavola II).
Allo stesso modo, ogni realtà autonoma dell’Io riflessivo (Me Stesso) viene soppressa nel sistema del matematismo dialettico di K.Marx, che riduce il soggetto individuale ad un semplice strumento di un processo storico determinato da forze economiche materiali.

5. Criteri per la valutazione dei lavori di ricerca in psicologia e in psicoanalisi

Sulla base delle precedenti osservazioni, noi possiamo suggerire i seguenti criteri di valutazione per i lavori di ricerca in psicologia e in psicoanalisi:
a) sono individuabili sei categorie epistemologiche dalle quali dipende il significato dei concetti di “Io”, “Sé”, “Me Stesso”, Soggettività”, ecc. nella ricerca psicologica e cioè:
- il riduzionismo strutturalistico, il riduzionismo funzionalistico, il riduzionismo pseudodialettico;
- l’integrazionismo strutturalistico, l’integrazionismo funzionalistico, l’integrazionismo dialettico (v. Tavola I: TEU - Tavola Epistemologica Universale).
La conoscenza di queste sei categorie ci consente di inquadrare il concetto di “Io” (così come ogni altro termine psicologico) in un ben definito contesto epistemologico;
b) quando faccia uso del termine “Io” in psicologia e in psicoanalisi, ogni ricercatore dovrebbe specificare a quale delle suddette categorie egli intende riferirlo;
c) l’uso appropriato del termine “Io” comporta la sua concettualizzazione dialettica come soggetto e interiorità riflessiva della mia personalità (Me Stesso) (v. la Tavola I: TEU - Tavola Epistemologia Universale, Sez. 2C);
d) nella valutazione delle ricerche in psicologia e psicoanalisi, l’impiego della TEU ci consente di definire la coerenza epistemologica dei lavori in esame;
e) nel quadro della TEU e delle sue categorie epistemologiche ci è possibile comprendere tutti i diversi significati dei termini di “Io”, “Sé”, “Me Stesso”, Soggettività”, ecc. nella letteratura psicologica e psicoanalitica.

(fine della parte prima)


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