PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOSOCIOANALISI

PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Area: Psico-socio-analisi


RIFLESSIONI SULLA CONFLITTUALITÀ
NELLA TEORIA PSICOSOCIOANALITICA

Stefano Monte

Li amavo.
Ma amavo dall’alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e nulla è più facile che veder la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall’alto delle stelle - gridavo -
guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.
Vivevano nella vita .
Permeati da un grande vento.
Già condannati.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c’era in loro un'umida speranza,
una fiammella nutrita del proprio luccichio.
Loro sapevano cos’è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di -
E’ andata come dicevo io.
Solo che non ne viene nulla.
E’ questa la mia veste bruciacchiata.
E’ questo il mio ciarpame di profeta .
E’ questo il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter essere bello.

(Szymborska : Monolog dla Kasandry - Monologo di Cassandra.).

 

SOMMARIO

  1. CONFLITTO E LETTERATURA PSICOLOGICA
  2. IL CONTRIBUTO DI W. R. BION
  3. IL CONTRIBUTO DI L. PAGLIARANI
  4. LA PACE COME ESPERIENZA EMOTIVA DI COMPLESSITÀ SECONDO L'APPROCCIO PSICOSOCIOANALITICO
  5. IL GRUPPO NATURALE COME CROGIUOLO DI ANSIE PARANOIDI
  6. IL CONTRIBUTO DELLA PSICOSOCIOANALISI
  7. VERSO NUOVI SVILUPPI
  8. PSICOSOCIOANALISI E PSICOTERAPIA ATTUALE
  9. QUALE FORMAZIONE?
  10. BIBLIOGRAFIA

1. Conflitto e letteratura psicologica

Nei principali dizionari di psicologia, sotto la voce “conflitto” si trovano le seguenti definizioni:

  • “Contrapposizione tra istanze contrastanti”. (Galimberti 1992).
  • “Un termine assai vasto, usato in riferimento a qualsiasi situazione ove vi siano circostanze, motivi, scopi, comportamenti, impulsi, ecc. reciprocamente antagonisti” (Reber A.S. 1985).
  • “Stato dell’organismo sottoposto all’azione di motivazioni incompatibili”. (Pieron H. 1951 e 1964).
  • “Generally refers to any situation where the organism (person or animal) experiences antagonistic feelings or impulses”(1). (Cardwell M. 1996).
  • “Stato psicologico di indecisione che instaura quando una persona è influenzata simultaneamente da due forze opposte di intensità approssimativamente uguale”. (Harré R., Lamb R., Meacci L. 1983).
  • “Un conflitto presuppone un antagonismo tra due forze quasi equivalenti. In psicologia si parla di conflitto quando esiste contraddizione tra due tendenze fondamentali”. (Gauquelin M. e F. 1968).
  • “Lotta di tendenze, di interessi : situazione nella quale si trova un individuo che è sottomesso a forze di direzioni opposte e di potenze quasi uguali”. (Sillamy N. 1973).

Leggendo queste definizioni, si può notare che esse sono accomunate dall’uso di termini anche piuttosto perentori (lotta, antagonismo, contraddizione, contrasto) che sono tipici di situazioni incerte e pericolose, dove è necessario sostenere una disputa per venirne fuori. Disputa che può portare alla formazione di nevrosi, ma che è nello stesso tempo anche da considerarsi necessaria per lo sviluppo e la crescita.

Questo secondo aspetto nel considerare il conflitto, è ciò che maggiormente si avvicina all’ottica psicosocioanalitica, ovvero quella di considerare la situazione conflittuale anche come “grembo”, da cui può generarsi un arricchi-mento per l’individuo(2), per i gruppi e per le istituzioni.

Nel leggere le definizioni di conflitto sui dizionari si può constatare come l’argomento risulti molto vasto; ognu-no lo affronta sottolineando diversi aspetti, a testimoniare quindi l’importanza che il tema del conflitto ha in ogni campo del sapere e del vivere. In questo scritto non si cercherà di descrivere il pensiero delle principali scuole psicoanalitiche in materia di conflitto psichico(3) . Per questo rinvio al Trattato di Psicoanalisi (vol. 1) a cura di Semi (1988). Nei prossimi paragrafi verrà sviluppato il tema della conflittualità secondo l'approccio psico-socio-analitico.

2. Il contributo di W. R. Bion

La psicosocioanalisi trae parte della sua teoria dai contributi di Bion e in particolare cerca di raccogliere la sfida che Bion (1948) lancia rivolgendosi soprattutto a psichiatri e psicologi.

Bion (1948) parte da alcuni concetti dello storico Toynbee, il quale definisce la nostra società come una “civiltà sofferente”. Essa appare caratterizzata dalla scissione; vi è una minoranza dominante che governa in modo sempre più oppressivo, ed una maggioranza che reagisce prendendo coscienza della propria identità, e decidendo di salvarla. Nell’esaminare il corso della storia, secondo Bion, si può rilevare come ad un ingente sviluppo tecnologico non sia seguito anche un equivalente sviluppo emotivo, in grado di lenire la sofferenza propria della civiltà.

    Sembra che l’uomo nella sua crescita non sia in grado di risolvere alcun problema senza che se ne aprano imme-diatamente altri. [...] Dalle necessità che nascono come conseguenza di ogni suo successo dipende la sua salute mentale e da questa dipende la sua capacità di far fronte alle sue nuove esigenze [...] mi propongo di trattare come entità separate da un lato la capacità scimmiesca di acquisire capacità tecniche e dall’altro quella di un pieno sviluppo emotivo e intellettuale. (Id., pp. 17-18).

Dal momento che parlare di sviluppo emotivo adeguato risulta molto più complesso che parlare di sviluppo tec-nologico, in quanto appare difficile individuare cosa siano oggettivamente le capacità emotive rispetto alle più evidenti capacità tecniche,

    Ne consegue che nel gruppo sociale il destino dei progressi tecnologici si trova in genere nelle mani delle perso-ne più tecnicamente dotate. Ma il destino dello sviluppo emotivo è in genere nelle mani delle persone emozionalmente sotto-sviluppate ma mimeticamente meglio attrezzate. (Id., p. 18).

Pertanto l’uomo appare competente quando si tratta di regolare le vicende relazionali esterne, mentre fallisce quando si cerca di individuare un qualche metodo che riguardi le tensioni emotive inconsce. Sono proprio queste tensioni emotive inconsce che rappresentano l’aspetto più complesso e profondo delle relazioni umane. (Id.) Innanzi al fallimento, l’essere umano tende ad allontanarsi dal nocciolo del problema, cercando di sopperire la carenza con qualche tecnica.

Ogni volta che si frappongono come elemento intrinseco del problema che viene studiato, gli uomini retrocedono con un ulteriore esplorazione delle possibilità di regolazione esterna. Queste ripetute preoccupazione dei meccanismi, esse stesse un semplice sottoprodotto dell’incapacità di misurarsi con il problema principale, non vanno mai oltre i tecnicismi polizieschi, per quanto sia sontuoso il linguaggio di cui sono rivestiti. (Id., p. 16).

La sfida di cui parla Bion riguarda proprio l’attenzione a quegli aspetti emotivi inconsci, che minacciano la no-stra civiltà. Si rivolge a psicologi e psichiatri in quanto professionisti che possono essere risorsa per

  1. fornire un adeguato addestramento emotivo ai leader di comunità, i quali innanzi al fallimento verso le rela-zioni emozionali, cessano di essere leader creativi. Ne deriva che anziché contribuire a uno sviluppo della ci-viltà, rischiano di diventare quella “minoranza dominante oppressiva” di cui parla Toynbee;
  2. offrire opportunità per un adeguato sviluppo emotivo anche a individui e gruppi. Ovvero fornire strumenti u-tili ad elaborare la frustrazione causata dalla miriade di stimoli a cui l’uomo, non sempre consenziente, è sottoposto e da cui spesso si difende evadendo dalla realtà per allontanarne l’emozionalità intollerabile. Strumenti, quindi, che mettano l’essere umano in condizione di accettare la complessità della realtà ed i sen-timenti ad essa connessi, in alternativa all’uso massiccio di meccanismi difensivi basati essenzialmente sulla negazione.

3. Il contributo di L. Pagliarani

L. Pagliarani (1990 b) si sofferma sul sottosviluppo emozionale indicato da Bion, portando l’attenzione anche sul rapporto individuo-istituzione. Utilizzando la metafora del guscio e del pulcino(4) evidenzia come il guscio, necessario allo sviluppo, possa anche soffocare l’individuo oltre che proteggerlo.

    A me interessa l’individuo nella sua lotta contro la pressione dei gusci costruiti intorno a lui [...] spesso non si vedono; crediamo di essere liberi e invece siamo in un guscio. L’uomo è dotato di una mente attiva; essa può lottare contro gli ostacoli e le limitazioni al suo funzionamento; oppure per nostra personale stanchezza, può porsi delle restri-zioni. [...] Il guscio che protegge uccide anche; pensiamo a certe madri iperprotettive: proteggono ma uccidono tutta la potenzialità creativa e il divenire del figlio. Allora ecco il problema: quanto permeabile si deve rendere questo involucro del sé, questo guscio o, per tornare al modo di dire freudiano, quanto deve essere permeabile l‘Io ? (Id., pp. 32-33).

La prima socioanalisi raccoglieva infatti la sfida lanciata da Bion, cercando di promuovere “l’esame di realtà”(5) proprio a partire dallo studio delle resistenze che opprimono la creatività negli individui e nelle organizzazioni.

    Si tratta di interrogarsi su come far sì che l’auspicabile si realizzi e, soprattutto, quali sono le resistenze di ordine psicologico che impediscono agli uomini, alla gente, di rendersi veggenti e successivamente capaci dell’azione, delle decisioni, che realmente realizzino l’auspicabile. [...] Come superare le resistenze, come uscire da quei gusci, che ci imprigionano invece che renderci creatori di quelle azioni che dovrebbero risolvere la situazione. E ciò alla luce dell’esame di realtà. (Id., p.38).

L’uomo, innanzi al fallimento circa le tensioni emotive inconsce, cerca il conforto di leggi riguardanti relazioni esterne. In sintesi, corre il pericolo di innescare una “fuga nell’organizzazione”, ovvero di lavorare alla costruzione del guscio come modalità di evasione dalle emozioni rinforzando meccanismi di difesa atti a negare e ad anestetizzare.

Pagliarani ricorda spesso come Trist (1985) sostenesse che Bion, nell’ultimo periodo della sua produzione, era approdato al convincimento di coniugare la prospettiva psico - con quella socio. Da qui la necessità di sviluppare una psico - socio - analisi, per coniugare la dimensione individuale con quella del gruppo e della società, in modo da af-frontare il sottosviluppo emozionale che affligge la civiltà sofferente.

L’ultimo Bion stava portando la sua attenzione sui temi del potere; aveva individuato due forme di gestione del potere. La forma buona, caratterizzata dalla triade globalizzazione, integrazione e coerenza si distingue da quella cattiva nella quale prevalevano invece monopolio ed esclusione. (Trist 1985).

A partire da queste premesse Pagliarani (1997 a) sostiene la necessità di sviluppare un lavoro di educazione sen-timentale, in grado di aumentare la capacità emotiva dei soggetti così che possano affrontare la complessità della realtà ed elaborare creativamente la conflittualità(6). Un'educazione che, oltre ad essere utile per l’addestramento dei leader senza che diventino minoranza dominante oppressiva, potrebbe fornire, più in generale, un sostegno per mettere a frutto le occasioni di vita. Occasioni di vita suggerite dalla vocazione proveniente dal puer che risiede in ognuno di noi. (Id.)

    Un'alfabetizzazione che ci educherebbe a dire “Io” in quanto siamo un “Noi” non omogeneizzato. Solidarietà di e tra individui, autonomi e cooperanti, e non caserma di ubbidienti gregari in uniforme. Saremmo così al superamento dell’opposizione tra “narcisismo” e “socialismo”. Superamento, e non negazione, sottolineava Bion. (Id., p.26).

Pagliarani (1991) sottolinea l’importanza di essere “abili, capaci, all’altezza” per poter elaborare il conflitto con modalità intelligenti. (p. 109). Per poter comprendere meglio questa affermazione è necessario evidenziare il significato delle tre parole fondamentali: pace, guerra e conflitto. La pace non è pacifica, ma si basa sulla coesistenza degli oppo-sti, in una realtà caratterizzata dalla complessità. Il conflitto appartiene alla quotidianità dell’individuo e risulta quindi essere una componente inevitabile per la sua vita. La guerra viene definita come “l’elaborazione patologica, insana del conflitto”(7). (Id., p. 108). Essere “capaci” di elaborazione positiva del conflitto, significa quindi accettare la complessità della realtà; l’abilità principale richiesta è quella della creatività, indispensabile per far coesistere gli opposti senza negarli.

    Ci vuole molto più coraggio nell’affrontare la complessità e la conflittualità della pace, nei confronti di tutti i giorni, che non nel fare la guerra. Si parla tanto di creatività, eppure non ci dedichiamo di fatto a creare le condizioni, a inventare quello che i conflitti vigenti richiederebbero che inventassimo per affrontarli adeguatamente. (Id., p. 109).

Vi sono due dolori che derivano dall’elaborazione intelligente(8) della conflittualità. La guerra produce un dolore intenso insieme a laceranti paure; tuttavia continua ad essere la soluzione che l’essere umano continua a privilegiare. La pace richiede invece la capacità di saper accogliere e trasformare la sofferenza insita nella complessità della realtà. Due dolori quindi; uno degenerante e uno generante.

Certo, mettersi d’accordo, trovare una soluzione è doloroso, è difficile, perché ci devono essere rinunce, com-prensione dei punti di vista altrui, compromessi, sottrazione di beni e, però, mentre il dolore della guerra è stupidamente crudele, un dolore degenerato e degenerante, il dolore dell’affrontare la conflittualità nella sua realtà è generante, è natalizio, produce quello che altrimenti non sarebbe mai stato. (Id., p. 111).

4. La pace come esperienza emotiva di complessità secondo l'approccio psicosocioanalitico

L’essere umano appare più facilmente orientato verso l’elaborazione paranoica del conflitto perché vivere la complessità della pace, richiede la capacità di accettare l’ansia depressiva. La scelta della pace è la scelta di chi vuole conoscere e vedere in se stesso, accettando le sofferenze di una depressione positiva, causata dalla messa in stato di crisi della propria ideologia. Ne deriva la necessità di inventare ciò che non esiste, per saper costruire la coesistenza degli opposti. Una strada difficile ed emozionalmente impegnativa.

Chiamando in causa ancora una volta Bion (1970), il quale sottolinea come il conflitto abbia bisogno di conosce-re e di negare è possibile comprendere meglio l’importanza di un’adeguata educazione sentimentale, in grado di au-mentare le capacità emozionali dell’individuo. Pagliarani (1993) evidenzia come il bisogno di conoscere la realtà, spesso non vada a buon fine proprio per l’angoscia che questa arreca all’individuo. Ne deriva il bisogno di difendersi dalla depressione lacerante con la negazione del conflitto insito in essa. Siamo all’elaborazione negativa del conflitto; la guerra.

La realtà mi propone una complessità conflittuale che richiede la conoscenza; quindi qui scatta il bisogno di co-noscere per risolvere. Però tale complessità è talmente angosciante che, nello stesso tempo, ho bisogno di negare. Io dico: ho bisogno di uscire da questa posizione e dal bisogno di negare la complessità del conflitto, nell’illusione di risolverlo con una misura violenta, per poi dire: “vedete che è servito”. (Id., p. 39).

5. Il gruppo naturale come crogiuolo di ansie paranoidi

Il gruppo è un terreno particolarmente fertile per la diffusione di ansie paranoidi; ne deriva che in contesto grup-pale e in carenza di educazione sentimentale la modalità patologica di elaborazione del conflitto è quella più praticata. La guerra risulta essere quindi la soluzione più facile; la cooperazione tra i membri non è infatti un fenomeno naturale, va inventata e richiede abilità relazionali, cognitive ed emotive. Lo svuluppo di queste abilità è frutto di apprendimento e dice del grado di civiltà che una certa cultura è stata in grado di costruirsi. Questo tipo di apprendimento è particolar-mente difficile perché il gruppo sopporta meno dell’individuo le ansie depressive associate alla complessità della realtà. (Id.). Più il gruppo è esteso e più i suoi membri sono senza competenze di fronte all'emergere di dinamiche gruppali, più i comportamenti saranno regressivi.

La psicosocioanalisi invita all'elaborazione intelligente del conflitto in chiave pacifica sviluppando competenze sul piano individuale, ma anche contestualmente su quello gruppale, istituzionale e in ultima analisi culturale (Burlini e Galletti, 2000 pag. 91).

Non si tratta di andare oltre la conflittualità. Sostengo invece che bisogna stare dentro la conflittualità, e non si tratta tanto di progettare il futuro ma di stare nel presente e porci le domande che il presente propone, con la responsa-bilità di trovare le risposte che permettono una sana elaborazione del conflitto. (Pagliarani L. 1991, p 15).

In ogni situazioni conflittuale - ricorda ancora la psicosocioanalisi - si presenta l’esperienza del vuoto. Il vuoto può essere percepito come abisso o come apertura verso il cambiamento, l’evoluzione. Questo secondo tipo di vissuto contiene un alto potenziale. La sfida in atto è rivolta alla capacità di orientarci secondo emozioni e sentimenti tali da generare comportamenti validi a fronteggiare il vuoto. (Pagliarani, Id., p. 17).

Saper tollerare l’incertezza, sostare nel vuoto, è ciò che si intende per “capacità negativa”(9). Ciò risulta essere in sintesi la capacità di chi è creativo innanzi alla conflittualità, e vive il vuoto come apertura, sfida per il cambiamento. Il vuoto vissuto come abisso nel quale si sprofonda, spinge invece a sviluppare comportamenti difensivi atti a negare le esperienze vitali connotate da incertezza. In questo caso si comprende come divenga necessario trovare un nemico, un qualunque bersaglio contro cui proiettare le proprie angosce; un nemico che fornisca un soccorso.

Abbiamo bisogno del nemico (questa è la paranoia) quanto più l’invenzione, l’esistenza del nemico ci permette di pensare, di supporre che il male, il pericolo, la cosa da eliminare sia là, evitando di vedere il nemico che c’è qui, dentro di noi. (Id., p. 20).

6. Il contributo della psicosocioanalisi

Il contributo della psicosocioanalisi consiste quindi nel fornire strumenti e apprendimenti utili all’individuo, al gruppo e all’istituzione per poter accrescere le capacità emozionali innanzi alla conflittualità. A differenza da ciò che risulta essere pura declamazione, essa vuole partire proprio dalle difese che ostacolano il cambiamento. Ad esempio apprendere a favorire il confronto e a mettere in costante discussione la propria epistemologia/ideologia o a chiedersi come mai sia più difficile “fare l’amore che fare la guerra”. Un’elaborazione sana del conflitto appare più feconda e vantaggiosa sia per l’individuo che per il gruppo e l’istituzione ma apparirebbe sterile senza lo studio sulle resistenze in atto. (Pagliarani L. 1993).

    L’ipotesi che cerco di presentare è che se l’elaborazione sana di un conflitto comporta un’esperienza di depres-sione, noi dobbiamo essere responsabilmente attenti a questo problema, per dire quello che forse possiamo dire e cercare di fare quello che forse possiamo fare. [...] Altrimenti parliamo di significato ma quello che facciamo è senza senso. E’ puro flatus vocis, vuota - anche se ampollosa - predicazione. (Pagliarani L.,1991 p. 117).

Gli approdi più recenti della ricerca psicosocioanalitica mettono particolarmente l’accento sull'interattività indi-viduo, gruppo e istituzione(10). Nell’interazione di questi livelli, il conflitto si manifesta attraverso stati di crisi, accosta-bili con strumenti specifici che la ricerca e la pratica clinica hanno messo a punto nei quattro quadranti del campo emotivo e cognitivo, noti col nome di finestra psicosocioanalitica(11).

Questo tipo di ricerca avviata da Pagliarani si muove oggi su nuovi orizzonti. Si lavora sulla conflittualità insita nei processi di conoscenza e di apprendimento e nella relazione che ciascuno costruisce con la sua cultura, soprattutto, grazie alla clinica, sulla conflittualità insita nelle relazioni "malate". La conflittualità è quindi risorsa che favorisce la crescita e nello stesso tempo ostacolo al cambiamento. In quest’ottica lo stato emotivo di benessere appare strettamente connesso con la capacità di apprendere ad autosviluppare un particolare tipo di apprendimento emozionato, una capacità di attraversamento trasformativo di emozioni e cognizioni complesse non solo nel contesto individuale ma anche nel contesto gruppale e istituzionale; a monte aiuta a sviluppare capacità cliniche consentono di incontrarsi in profondità con il nuovo e di sviluppare gli aspetti di incertezza che che sostengono “atti di scelta” di natura non difensiva.

Ora l’attenzione viene posta sull’altro, sul terzo escluso, sulla faticosa convivenza con un “nemico” [virtuale] presente in ogni scelta, su qualcosa che vuole “entrare” nella relazione al presente, che non vuole essere “tagliato via”. (Ronchi E. 1993, p.247).

Altri autori costituiscono un riferimento per la psicosocioanalisi. Pichon Rivière (1985) con il suo contributo ri-corda che l’apprendimento, sia al singolare che al plurale, è una struttura di legame che connette insieme soggetto e oggetto generando una continua interazione dialettica. Questo incontro produce degli schemi di riferimento e automati-smi che vengono usati successivamente, in ogni situazione di “reincontro” e che tendono a rinforzare e a modificare il modello appreso. Queste funzioni interiorizzate sono state chiamate dallo psicoanalista argentino col termine "E.C.R.O." (esquema conceptual de riferimento y operativo) un sigla che rimanda al gruppo; L'ECRO è il carattere della persona e, se non mantenuto in esercizio, tende alla stereotipia. Il problema della clinica, ma anche dell'apprendimento in qualunque contesto/setting, diviene quello di creare contesti in grado di mantenere sufficientemente flessibili e dinamiche le funzioni interiorizzate, in modo che possano accogliere il nuovo sempre presente nell’imprevedibilità della realtà. Per dirla con Bateson, altro autore importante, si tratta di apprendere ad apprendere non solo sul livello dei contenuti ma anche su quello dei contesti, un’abilità umana che Bateson chiama “apprendimento 2”, ovvero l’apprendimento dalle modalità di apprendimento dei contesti(12).

7. Verso nuovi sviluppi

Burlini e Galletti (2000) partono dalla premessa epistemologica di un pensiero occidentale centrato sulla conce-zione di un soggetto pensante e sulla costante attenzione a legittimarlo. Per cui l’individuo è sia l’elemento base, sia la misura stessa, di ogni processo di conoscenza. Il convergere delle varie discipline sulla potenza fondante dell’Io, evi-denzia contemporaneamente sia la vastità dei suoi domini, sia la sua inaccessibilità e impermeabilità con altri livelli di realtà quali quelli dei gruppi, delle istituzioni e dell’ecosistema. (p.21). Questo, a livello sociale e culturale, può essere paragonabile ad una struttura narcisistica. Proprio la psicoanalisi classica che ha contribuito non poco a studiare gli sviluppi del narcisismo, appare cadere lei stessa in una contraddizione epistemologica, in quanto quel narcisismo finisce per essere anche ciò che ne caratterizza e ne limita i paradigmi conoscitivi.

Il paradosso di fronte al quale noi oggi ci troviamo è rappresentato dal fatto che la psicoanalisi produce le sue più interessanti riflessioni intorno alla personalità narcisistica, scotomizzando il suo narcisismo di fondo, identificabile nell’assunto onnipotente per cui più un individuo si individua, più è sano! […] Anche per quegli autori per i quali il valore di un processo analitico non dipende dalla formazione di un’identità intesa come qualche cosa di ben definito e stabile, lo sviluppo che avviene in ambito terapeutico si fonda su successive definizioni, esercizi in cui si fanno i conti più su quanto distingue un individuo dall’altro, che non su quanto lo lega all’altro. (Burlini A.M., Galletti A., 2000, p.22).

Alla base di questa caratteristica del pensiero occidentale ci sarebbe, secondo Hannah Arendt 1964), un tentativo di negazione del problema della morte come fine di tutto ciò che è percepibile attraverso i sensi, tramite una riduzione del potere simbolico del pensiero, che semplifica, e nello stesso tempo rende astratta e irraggiungibile, la complessità della realtà. Ne risulta però una scissione tra mondo sensibile e mondo del pensiero, con la conseguenza che la morte diventa il principio fondante di tale sistema. È nella tolleranza dell’assenza che ci si predispone alla scoperta di tutte le sue potenzialità generative. Solo allora è possibile l'irrompere del nuovo, di ciò che era assente, di quello che la Arendt chiama libertà.

    […] mettere la nascita, il cominciamento di ciò che è nuovo e inedito, singolare e imprevedibile come categoria fondante del pensiero e della prassi, è una scelta che implica “un iter-esse, uno stare in relazione attiva che apre, costituisce e confina il campo”, non solo della politica, ma di qualsiasi scienza, e “che è in grado di svelare il ca-rico di morte che le istituzioni si portano addosso.” (Cavarero A., 1990, cit. in Burlini A.M., Galletti A., 2000, p24).

In un ottica volta a studiare e ricercare in materia di conflittualità, oltre la morte e verso la vita, appare necessa-rio considerare la psicoanalisi, non come una teoria che racchiude in sé, ed in maniera esaustiva, la possibilità di spiega-re tutto il sapere umano; bensì come una “cultura locale” che ha necessità di arricchimento nel confronto con altre discipline un tempo considerate nemiche. Si tratta di cercare quei “punti matrimoniali” di cui parla Pichon Riviére (1985) che non sono tanto elementi causali, quanto gli elementi insaturi di un pensiero che non chiede di dimenticare la sua provenienza, ma che nello stesso tempo non vuole chiudersi in una “autoreferenzialità difensiva.” (Burlini A.M, Galletti A., 2000, p.17). Allora la psicoanalisi saprà compiere quell’operazione di “ibridazione” che Burlini, nel Glossa-rio di Psicoterapia Progettuale (1990) definisce come

    quell’operazione fatta dal giardiniere o dall’allevatore di animali che utilizzando le piante o gli animali esistenti in natura, e ubbidendo alle leggi di questa, produce creativamente dei fiori, delle piante o degli animali che prima non esistevano. (p.42).

In particolare si parla di una psicoanalisi intesa, per usare le parole di Bleger (1992), come “arte, scienza e pa-zienza”, per poter apprendere la capacità negativa di sostare nell’incertezza e compiere una scelta che tenga conto degli elementi esterni ed interni al terapeuta stesso. In quest’ottica, lo strumento dell’interpretazione è sempre una “proposta” di interpretazione costruita all’interno della relazione, e a cui il paziente collabora rendendola in continua trasformazio-ne. Un atto interpretativo che, come afferma Pichon Riviére (1985), risponde al criterio di efficacia, nel momento in cui permette la rottura di uno stereotipo e aiuta a riconoscere e ad attraversare il conflitto latente. Un’interpretazione che risponde a criteri di verità "oggettiva" appare uno strumento difensivo del terapeuta oltre che un pericolo per la relazione terapeutica.

    L’interpretazione che invece risponde a criteri di verità, o a esigenze di completezza reale o fantasmatica che sia, nasce dentro una logica di potere che contribuisce a rinforzare il potere di chi sa rispetto all’ignoranza del paziente che alla fine diventa colpevole. Questo vizio epistemologico si trascina dentro la relazione terapeutica, al di là del fatto che poi le modalità relazionali del terapeuta siano improntate alla centralità della relazione e all’empatia rispetto al paziente. (Burlini A.M., Galletti A., 2000, p.41).

La psicosocioanalisi, similmente alle forme di arte, aiuta a vitalizzare il ruolo di primaria importanza della creati-vità individuale e gruppale. Creatività che, usando le parole di Koestler (1975), è un fenomeno bisociativo; ovvero un prodotto generato dallo scontro-incontro conflittuale di differenti piani semantici e di significato, che solitamente vengono tenuti scissi in quanto la possibilità di incontro è impensabile. Punti matrimoniali e capacità di ibridazione, appunto, stanno all'origine della scienza, dell'arte e anche dell'umorismo

8. Psicosocioanalisi e Psicoterapia attuale

Inserita in questo quadro epistemologico, la ricerca psicosocioanalitica propone la tecnica della “psicoterapia at-tuale”, caratterizzata dall’interesse verso l’esperienza umana nelle sue diverse aree: individuale, gruppale e istituzionale. È una proposta che sostiene l’apertura alla coesistenza di tutte le possibilità, con la consapevolezza di apprendere a tollerare situazioni conflittuali che giungono fino all’angoscia della bellezza, concetto introdotto da Pagliarani e che ha a che fare con la capacità di scegliere consapevolmente, attraversando il rischio paralizzandte dell’indifferenziato(14).

Si tratta di un’altra via rispetto a quella proposta della psicoanalisi classica. Non si vuole ricondurre tutto al fan-tasma individuale; si vuole contestualizzare la relazione terapeutica in base all’emergere di un controtransfert, che può essere individuale, gruppale e istituzionale.

    Sul piano della teoria della tecnica questo implica, ogni volta che il paziente porta problemi affettivi o di lavoro inerenti al suo stare in gruppi o in istituzioni, un riattraversamento degli elementi scontati all’interno del contratto terapeutico e una assunzione di responsabilità rispetto al livello emergente […] Così lo psicoterapeuta può arrivare a toccare il confine della propria “impotenza di ruolo” per cui si rende necessario l’apprendimento del nuovo anche in termini professionali. (Burlini A.M., Galletti A., 2000, pp.52-53).

Anche in un setting terapeutico duale, il paziente è portatore di una sua gruppalità interna. Rifacendosi al con-cetto di ECRO di Pichon Riviére, Ronchi (1998a) sottolinea come l’individuo nell’esprimere la sua soggettività, fondi inconsciamente il suo agire su un ECRO che si è formato nell'interazione dinamica con tutti i suoi gruppi di appartenen-za. È quindi anche “portavoce” di quell'organizzazione gruppale. Se l’analista, ma anche il formatore, è in grado di cogliere la natura gruppale del transfert in essere, potrà essere in grado di rendere il paziente consapevole della sua gruppalità interna, consapevolezza che lo rende unico come individuo e al contempo co-genera comportamenti nuovi in gruppi e istituzioni(15). La conseguenza per l’individuo è una maggiore capacità di co-gestione intelligente dei conflitti e un aumento del benessere che coinvolge anche la sua identità presente "oltre i confini della pelle". Un benessere che è in grado di diffondersi su più fronti, da quello istituzionale a quello psicosomatico. (Ronchi E., 1998a e 1998b).

L'approccio clinico psicosocioanalitico favorisce la diffusione di benessere contestualmente a più livelli perché aiuta a riconoscere quando nelle relazioni con se', con l'altro, con il gruppo, con l'istituzione, con l'obiettivo di lavoro, con la propria teoria di riferimento, si tende a ricorrere all'uso del meccanismo psicotico della negazione del conflitto con proiezione su un nemico altro; ad esempio sull’istituzione, luogo privilegiato di proiezioni delle parti malate o stereotipate di individui e gruppi.

9. Quale formazione?

Se il giovane psicologo o lo psicoterapeuta ha fatto una sua formazione analitica sostenuta da un paradigma che vede il mondo esclusivamente al singolare, rischierà di colludere con questo stato di cose, alimentando di fatto, il suo malessere e quello dell’istituzione in cui opera. (Ronchi E., 1998 a).

Formarsi in un contesto sensibile alla gestione intelligente del conflitto necessariamente attivo su più livelli ri-chiede investimento e fatica iniziale ma è un'esperienza che sviluppa qualità umane e professionali oggi culturalmente necessarie. Si tratta di apprendere a sostare nella reale complessità, riconoscendo e gestendo le emozioni che questa particolare esperienza suscita. Si richiede pertanto una formazione adeguata a tale complessità, capace di generare la possibilità di ricostruirsi internamente ogni volta che si prospetta un cambio di vertice di osservazione. Questo tipo di esperienza condotta con approccio psicosocioanalitico favorisce l’incontro con l’altro e in particolare la relazione con il paziente. Questi sarà maggiormente in grado di elaborare il vissuto di onnipotenza/impotenza di fronte all'esperienza umana, inclusa la relazione con l’analista. Più in generale comporta la relativizzazione di quel particolare modo di procedere psicoanalitico che colonizza, o indica come nemiche da combattere altre forme di conoscenza sull’esperienza umana o si rende impermeabile all’assunzione di nuovi vertici osservativi(16). (Burlini A.M., Galletti A., 2000).

10. Bibliografia

  • AA.VV., Glossario di Psicoterapia Progettuale, Guerini e Associati, Milano 1990.
  • Arendt H., Vita activa, Bompiani, Milano, 1964
  • Basili A., Sandor Ferenczi. Attualità dei suoi contributi clinico teorici (2000), Giornata seminariale, Sinopsis, Brescia 21 maggio 2000.
  • Bertolotti A. M., Forti D., Varchetta G., L’approccio socioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Angeli, Milano 1982.
  • Bion W.R., Attention and Interpretation. A scientific Approach to Insight in Psycho-Analysis and Groups, Tavistock, London 1970 [Trad. it. Attenzione e interpretazione, Armando, Roma, 1973].
  • Bion W.R., Psychiatry at a time of crisis (1948), in British Journal of Medical psychology, XXI, 2 [Trad. it. La psi-chiatria in tempo di crisi, in Cassani E., Varchetta G. (a cura di), Psicosocioanalisi e crisi delle istituzioni, Gue-rini e Associati, Milano 1990].
  • Bleger J., Simbiosi e ambiguità, Lauretana, Loreto, 1992.
  • Burlini A.M., e Galletti A. Psicoterapia “Attuale”. Nodi di una rete emotiva e cognitiva tra individuo, gruppo e istituzione, FrancoAngeli, Milano, 2000.
  • Burlini A.M., I gruppi operativi, (1992), paper, Ariele, Materiali prodotti al 30 novembre 1992, a cura di Galletti A (1992).
  • Cardwell M. The Complete A - Z Psychology handbook, Hodder & Stoughton, London 1996
  • Cassani Bortoloso M. (a cura di), L’inconscio organizzativo, Guerini e Associati, Milano,1993
  • Cassani E., Varchetta G. (a cura di), Psicosocioanalisi e crisi delle istituzioni, Guerini e Associati, Milano 1990.
  • Castiglione B., Harrison G., Pagliarani L., Identità in formazione. Riflessioni antropologiche gruppoanalitiche per una definizione transculturale del rapporto tra identità ed alterità, Cleup, Padova, 1999.
  • Ferenczi S., Diario clinico, Cortina, Milano, 1988.
  • Ferenczi S., Opere, in via di pubblicazione, Cortina, Milano
  • Freud S., Precisazioni su due principi dell’accadere psichico (1911), in Opere, vol. VI, Boringhieri, Torino.
  • Galimberti U., Dizionario di Psicologia, Unione tipografico - editrice torinese, Torino 1992.
  • Galletti A., Sul significato di alcuni concetti in psicologia clinica, a partire dal tema dell’apprendimento in G. Bateson (1992) in La finestra sul cortile, N. 15.
  • Gallo Barbisio C., L’aggressività materna, Boringhieri, Torino 1993.
  • Gauquelin M. e F., La Psychologie moderne de A a Z, Centre d’Etude et de Promotion, Paris 1968 [trad. it. La Psi-cologia Moderna, Sansoni, Firenze 1968].
  • Harré R, Lamb R, Meacci L. The Enciclopedic Dictionary of Psychology, Basil Blackwell, 1983 [trad. it. Psicologia. Dizionario Enciclopedico, Laterza, Bari 1986].
  • Koestler A., L’atto della creazione, Astrolabio, Roma, 1975.
  • Monte S., La psicosocioanalisi: una proposta di elaborazione del conflitto psichico, Tesi di laurea, Torino, 1999
  • Pagliarani L., Amore senza vocabolario, Guerini e Associati, Milano, 1995.
  • Pagliarani L., I due dolori del conflitto (1991), in Pagliarani L., Amore senza vocabolario, Guerini e Associati, Milano, 1995.
  • Pagliarani L., Identità in formazione. Riflessioni antropologiche gruppoanalitiche per una definizione transculturale del rapporto tra identità ed alterità, Cleup, Padova, 1999.
  • Pagliarani L., Introduzione al Glossario di Psicoterapia Progettuale (1990 a), in Aa.Vv., Glossario di Psicoterapia Progettuale, Guerini e Associati, Milano 1990.
  • Pagliarani L., L’impresa: angoscia della certezza (1982), in Bertolotti A. M., Forti D., Varchetta G., L’approccio socioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Angeli, Milano 1982.
  • Pagliarani L., L’ultimo Bion: psico-socio-analista (1990 b), in Cassani E., Varchetta G. (a cura di), Psicosocioanalisi e crisi delle istituzioni, Guerini e Associati, Milano 1990.
  • Pagliarani L., La sfida di Bion, oggi più che ieri. Psicosocioanalisi del potere e dei conflitti (1997a), in Castiglione B., Harrison G., Identità in formazione. Riflessioni antropologiche gruppoanalitiche per una definizione transculturale del rapporto tra identità ed alterità, Cleup, Padova, 1999.
  • Pagliarani L., Violenza e bellezza. Il conflitto negli individui e nella società, Guerini e Associati, Milano, 1993.
  • Pagliarani L., Violenza vs. armonia (conflitti intra- ed extra-psichici irrisolti). Relazione alle giornate di studio Le vittime e gli attori della violenza. Comprendere e curare per prevenire, Torino 7-8 novembre 1997 b.
  • Pichon Riviére E., IL processo gruppale, Lauretana, Loreto 1985.
  • Pieron H., Vocabulaire de la Psychologie, Universitaires de France, Paris 1964 [trad. it.
  • Dizionario di Psicologia, La nuova Italia, Firenze 1973].
  • Reber A. S., Dictionary of Psychology, Penguin Book, London 1985 [trad. it. Dizionario di Psicologia, Lucarini, Roma 1990].
  • Ronchi E., Il gruppo Ariele: socioanalisi, psicosocioanalisi, psicoterapia progettuale (1993), in Cassani Bortoloso M. (a cura di), L’inconscio organizzativo, Guerini e Associati, Milano,1993
  • Ronchi E., Gruppo operativo, emozioni istituzionali e cambiamento (1997), in Rivista Italiana di Gruppoanalisi, Vol. XII, N. 3-4, 1997.
  • Ronchi E., Il corpo oltre i confini della pelle. Relazione terapeutica e percezione di sé come parte di un soggetto collettivo (1998 a) in Psychomedia Telematic Review, area Psicosocioanalisi.
  • Ronchi E., Una giornata di lavoro clinico gruppale tra psicodramma analitico e psicosocioanalisi (1998 b) in Psico-dramma Analitico, N. 7, gen. 1998, Centro Scientifico Editore, Torino
  • Semi A. A. (a cura di), Trattato di Psicoanalisi (vol. I), Cortina, Milano 1988.
  • Trist E.L, Working with Bion in the 1940s: the group decade (1985) in Pines M. (a cura di),
  • Bion and Group Psycho-terapy, Routlege & Kegan Paul, London 1985. [Trad. it. Lavorando con Bion negli anni quaranta (1988), in Pines M. (a cura di), Bion e la psicoterapia di gruppo, Borla, Torino 1988].
  • Varchetta G. (a cura di), Etica ed estetica nella formazione, Guerini e Associati, Milano 1990.


Stefano Monte è Psicologo, laureato presso l'Università di Torino con tesi sulla psicosocioanalisi dal titolo "La psicosocioanalisi: una proposta di elaborazione del conflitto psichico”

Note:

  1. “In genere si riferisce ad ogni situazione in cui l’organismo (persona o animale) vive l’esperienza di sentimenti o impulsi antagonisti.” (la trad. it. è mia).
  2. Se ne parla anche con riferimento ai rapporti familiari anche se il focus è prevelentemente posto sull'individuo; Gallo Barbisio et al (1993) vede nella conflittualità una possibilità di crescita. A tal proposito afferma : “Sottolineare la presenza dell’aggressività reciproca e naturale nel rapporto madre-bambino ci aiuta a non dimenticare la natura profonda dell’essere umano e a comprendere che proprio dalla presenza di pulsioni diverse e contrapposte nascono libertà e possibilità di sviluppo. La conflittualità necessaria nel processo di separazione e individuazione è la condizione per uscire dalla fusionalità iniziale, che va limitata nel tempo. (Gallo Barbisio C. 1993, pp. 10-11).
  3. Ho approfondito questo aspetto nella mia tesi di laurea (Monte S. 1999, pp. 1-23)
  4. Vedi Freud 1911.
  5. Poiché tale termine di origine socioanalitica, fonda le sue premesse su un paradigma positivistico – sostiene E. Ronchi (1993) – "proprio per differenziarsi da quelle origini, i termini vengono spesso indicati tra virgolette, oltre che per prendere le distanze da questo approccio anche per segnalare il desiderio di andare oltre” (p.229). Vedasi anche Burlini e Galletti (2000).
  6. Su questo tema, come si vedrà più avanti nel lavoro, altri autori di matrice psicosocioanalitica stanno oggi elaborando fertili contributi.
  7. Definizione data insieme a Fornari negli anni sessanta, durante il periodo dell’Istip.
  8. Vedasi anche i materiali del seminario di L. Pagliarani “Educazione sentimentale come elaborazione intelligente del conflitto” tenuto nel 1996 a Brescia (Sinopsis).
  9. Vedi Bion 1970.
  10. Per meglio comprendere questo aspetto, può essere interessante conoscere la storia della nascita di Ariele (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi) , contraddistinta dallo scontro-incontro difficile e fecondo degli “psico” e dei “socio” analisti. (Vedi Ronchi E. 1993).
  11. Vedasi in in questa area "finestra psicosocioanalitica"
  12. Vedi Galletti A. (1992) e Burlini A.M. (1992)
  13. Le autrici precisano come con il concetto generale di psicoanalisi classica intendano “fare riferimento a una inter-pretazione della psicoanalisi che usa la teoria in termini difensivi e non di evoluzione e di ponte verso il nuovo”. (Burli-ni A.M., Galletti A., 2000, p.18)
  14. Vedi anche il concetto di posizione glischrocarica in Bleger J. 1992.
  15. Un esempio riferito ad un gruppo d'aula in apprendimento è contenuto nel lavoro "Gruppo operativo, emozioni istituzionali e cambiamento". (Ronchi E., 1997).
  16. Non posso fare a meno di collegare ciò con quanto ho appreso nel seminario del Trainig in psicosocioanalisi e psico-terapia attuale su Sandor Ferenczi condotto da A. Basili (Sinopsis, maggio 2000). Queste idee sembrano essere in qualche modo riconducibili alle innovazioni che lo psicoanalista ungherese ha portato nella tecnica psicoanalitica, e alla sua stesse vicende storico-biografiche. Mi riferisco alla continua ricerca della relazione con il paziente considerando il coinvolgimento emotivo dell’analista, alla continua formazione in progress necessaria per essere buon analista. È anche nella storia di Ferenczi, nel suo essere realmente aperto al nuovo, rispetto all’istituzione psicoanalitica che deteneva rigidamente il potere della conoscenza, che si capisce il senso dell’innovazione che ha portato. (Vedi Ferenczi S., Opere e Ferenczi S., 1988).

PM --> HOME PAGE --> NOVITÁ --> SEZIONI ED AREE --> PSICOSOCIOANALISI