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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Area: Psico-socio-analisi

GRUPPO OPERATIVO EMOZIONI ISTITUZIONALI E CAMBIAMENTO

Ermete Ronchi, 1997

Terza e ultima parte (paragrafi da 16 a 20)

Ripubblicato da: Rivista Italiana di Gruppoanalisi, Vol. XII - N. 3/4 dic. 1997 pagg. 41-78.
Si ringrazia la Direzione della Rivista e l’Editore.

 

16. Ansie e difese nella gestione di un ruolo professionale

Il seminario stava mostrando che, lavorando con professionalità in ruoli direttivi, non era possibile non incontrare problemi seri, sempre nuovi, in grado quindi di generare stress, conflitto tra ruoli e di mandare in ansia un po’ tutti i protagonisti.

Ora si poteva scoprire che l’ansia era un ingrediente ovvio, di base, di ogni ruolo e che non occorreva negarla, tenerla nascosta con vergogna; potendola accogliere senza timore si poteva scoprire che fattori di stress intervengono normalmente in ogni situazione lavorativa. Forse – questo era l’apprendimento – più che negare questo problema era il caso di conoscerlo meglio, visto che costituiva il medium entro cui ciascuno operava.

Il partecipante di un gruppo, istruttore di sci-alpinismo, mi aveva aiutato a rendere meglio questo elementare concetto. Non si può non operare bene in un certo ambiente se non se ne conoscono a fondo le caratteristiche.

Pena il pericolo di infortuni anche gravi non solo per sé e per il proprio gruppo ma anche, per i “soccorritori”. Come per un serio amante della montagna, professionista o dilettante che sia, non basta dire “neve”, ma occorre aggiungere di che tipo di neve si tratta, così per un frequentatore abituale di qualsivoglia ambiente di lavoro non è sufficiente dire “ansia”, ma occorrerà specificare di che tipo di ansia si tratta.

E in ciascun gruppo si scopriva che, per conoscere meglio questi ingredienti con cui ogni giorno ognuno di loro era in contatto diretto, era proprio una necessità affontare un po’ anche sentimenti ed emozioni.

Qui non è possibile riproporre adeguatamente quei momenti ricchi di scoperte che si sono succeduti mentre si andava sviluppando questa unità di lavoro. Si sa che certi apprendimenti di qualità non hanno parole per essere raccontati – specie in forma scritta –, in quanto possono solo emergere, come scoperta concreta, dal vissuto frutto di una esperienza, di una situazione drammatica, che in quel momento si sta condividendo.

Prendendo a prestito il modello psicosocioanalitico, le ansie (le “nevi” transferali) di base con cui occorre fare i conti perché costituiscono ingredienti ordinari nella gestione di un qualunque ruolo e relazione possono essere, in estrema sintesi, di tipo confusionale, persecutorio (schizoparanoide), depressivo e della bellezza. Solo a titolo di esempio riporto alcuni tra gli stimoli che erano stati introdotti a questo punto del lavoro formativo per approfondire alcune scoperte già emerse attraverso il lavoro gruppale.

    Il tema della nascita biologica e della nascita sociale

    La psicosocioanalisi ricorda che questi vissuti persecutori e depressivi che ogni cucciolo d’uomo incontra fin della sua nascita biologica riemergono con forza a ogni situazione di nascita o ri-nascita sociale (ad esempio l’avvio di un nuovo lavoro, di un nuovo progetto, un cambio di ruolo, un aumento o diminuzione della responsabilità e così via) capace di rimescolare le carte, di con-fondere situazioni di precedenti e consolidate certezze.

    Il doppio livello di ogni compito primario

    Come si era potuto scoprire operativamente, ogni istituzione assolve quindi al compito di perseguire, attraverso i singoli e i gruppi, gli obiettivi per cui è nata e ha ragione di esistere, e contemporaneamente di far fronte alle ansie di base che i singoli e i gruppi vivono nell’incontro con gli “altri” e con l’oggetto del proprio lavoro.

    La possibilità di familiarizzare con il gioco delle ansie

    Diveniva di importanza vitale conoscere i principali tipi di ansie/nevi in modo da poterle meglio ri-conoscere nelle loro peculiari caratteristiche e nelle differenti situazioni di lavoro; una sorta di apprendimento di capacità di “previsione del tempo” per potersi muovere più agevolmente. Il gioco dinamico delle ansie e delle difese è sintetizzato nella figura 6.

 

 

Figura 6

    Necessità di difesa dalle ansie

    Quando si tratta di legittima difesa e quando c’è eccesso o difetto di legittima difesa? Va notato che le difese, nel momento in cui vengono messe in atto, sono funzionali perché proteggono da un’ansia intollerabile, ma se si fissano in modo stereotipato producono gabbie che diventano inutili e che paralizzano progressivamente la capacità di apprendimento del singolo, del gruppo e dell’istituzione.

    Azione progettuale e processo decisorio

    Il fare (progettuale) implica sempre una scelta: scegliere/decidere ciò che si prende, con la consapevolezza di escludere – irreversibilmente – ogni altra cosa, implica l’insorgere fisiologico di ansia di base. Non deve stupire se al crescere della responsabilità di ruolo consegue che:

      – cresca anche la necessità di incontro con... l’altro, gli altri, l’istituzione, e quindi con la qualità della propria epistemofilia;

      – vivere la qualità del proprio lavoro comporti una elevata capacità di entrare in relazione anche con il progetto dell’altro e dell’istituzione di cui si è parte;

      – l’incontro reciproco, divenendo di più largo respiro, debba fare i conti con il tema della complessità ossia con il generarsi di ansie e difese nuove, proprio perché l’incontro è ora plurale (gruppo) e di conseguenza si attivano nuove relazioni anche con il compito istituzionale.

Ogni input offriva l’occasione per commenti, riflessioni e nuove scoperte interessanti. Per esigenze di spazio occorre lasciare all’immaginazione del lettore le diverse potenzialità che – in funzione delle caratteristiche di ciascun gruppo e di ciascun ruolo coinvolto – venivano sollecitare a esprimersi.

Ora si potevano osservare meglio alcune difese che tendevano a essere messe in atto per an-estetizzare stati d’ansia e che però si rivelavano disfunzionali perché producevano l’effetto paradossale di generare nuova ansia mentre le soluzioni erano sempre più impossibili per i più difficili problemi sul tappeto. Come certi farmaci che a breve hanno il potere di ridurre ad esempio il mal di testa, ma che, se presi in continuazione, non solo non risolvono più il problema, ma creano assuefazione, e nei casi più gravi dipendenza (tossica), così usare malamente le difese dall’ansia produce tossicoesperienze per tutti.

“Un sistema è organizzato in modo tale che si può partecipare alla sua direzione solo riuscendo a sfuggire i suoi giochi fondamentali”, ricordano Crozier e Friedberg (1978).

Diveniva allora non marginale attrezzarsi professionalmente per saper riconoscere se, nel normale gioco delle ansie e delle difese, si era prigionieri di un circolo vizioso o se, conoscendo meglio i vari tipi di “neve”, si riusciva a lavorare non solo bene, ma anche con gusto, apprezzando anche gli aspetti di bellezza che l’ambiente offre a chi li sa cogliere.

 

17. Linee di miglioramento: l’incontro con la dimensione progettuale

Solo ora, dopo aver attraversato la barriera del pre-compito e avere potuto quindi lavorare sul compito, si poteva proseguire il lavoro entrando nella fase del progetto, una fase più evoluta, capace di guardare in modo non difensivo agli aspetti di miglioramento professionale.

L’esercitazione/ricerca d’aula utilizzata offriva nuovi spunti, da tutti vissuti con interesse. Ora il check-up poteva spostarsi sull’auspicabile, sul livello di un progetto di miglioramento possibile e personalizzato nel quale ciascuno poteva fare un po’ meglio i conti con se stesso a partire dai punti di forza e di debolezza che riscontrava nella gestione quotidiana del suo ruolo.

Molto del materiale emergente da questa esercitazione offriva poi lo spunto per rilanciare su approfondimenti che avrebbero costituito lo specifico dei successivi seminari e che quindi venivano vissuti globalmente buoni benché faticosi, ma sostanzialmente capaci di far avanzare nel lento ma affascinante mondo del ruolo e dell’organizzazione; si poteva cominciare a intravedere che ruoli e organizzazione interna ed esterna avevano più punti in comune di quanti a prima vista potessero apparire.

Cambiamenti e sviluppi significativi dell’organizzazione esterna non avrebbero potuto avvenire senza corrispondenti cambiamenti interni. Così come nessuna opportunità di cambiamento interno sarebbe potuta avvenire se l’organizzazione esterna non avesse creato le premesse per investire in formazione e sviluppo delle sue risorse umane, con vantaggi reciproci dal punto di vista dei singoli, dell’istituzione e più in generale della polis.

 

18. Stereotipi da sfatare

Molti stereotipi sono da sfatare. Da questo lavoro emerge come tutti, singolarmente, si attivino molto nel loro ruolo, dandosi molto da fare, come i canguri in corsa dello stereogramma, ma anche ponendo troppo l’accento sull’“io lavoro così” senza tener conto del fatto che ciò contiene anche, pragmaticamente, un “noi lavoriamo così”, rispetto al quale si è poco attrezzati, quasi analfabeti. Sembra questo che produce effetti collaterali indesiderati tali da procurare demotivanti disagi e difficoltà crescenti nel raggiungimento degli obiettivi istituzionali auspicati. La carenza è di tipo gruppale.

D. Napolitani ricorda che “il gruppo è il luogo in cui l’individuo fa simultaneamente esperienza di essere parte di un organismo multindividuale e di essere nella sua identità relazionale costituito da quell’insieme di cui è parte”. Il problema è come acquisire e gestire operativamente questa consapevolezza anche quando la dimensione gruppale in cui si opera è molto ampia e interagisce con il livello dell’istituzione e oltre.

Credo si possa osservare bene che nel caso riportato non si tratta di carenze nell’area della formazione cosiddetta tecnica che certo può essere migliorata, ma che il problema strutturale segnala carenza nella formazione manageriale alle relazioni con gli altri, e anche con sé e con il senso complessivo del proprio lavoro.

D’altra parte quest’area non era nemmeno formalmente presidiata; fino a quel momento storico presso il Comune committente e cliente di questo “trattamento” (circa 1300 addetti) non esisteva un ufficio sviluppo delle risorse umane e tantomeno un responsabile della formazione. Nel momento in cui scrivo ho notizia che di recente è stato creato ed è attualmente funzionante.

Forse, più che liquidare con giudizi sommari coloro che operano in queste condizioni organizzative, sarebbe opportuno investire energie e studiare un po’ meglio la struttura profonda di questi problemi.

 

19. Conclusioni

Prendendo a prestito un’importante intuizione della ricerca socioanalitica prima e psicosocioanalitica poi si potrebbe sinteticamente dire che l’istituzione persegue di fatto sempre due obiettivi, contemporaneamente:

    1) quello di far fronte a stati di mancanza inventando e gestendo obiettivi/soluzioni attraverso la creatività delle donne e degli uomini della sua organizzazione;

    2) quello di gestire quotidianamente le ansie e le difese che proprio per la difficoltà di questa operazione non possono che esistere e riproporsi in continuazione a tutte le età, in ogni ruolo e a ogni livello.

Diviene importante quindi sapersi attrezzare per conoscere e ri-conoscere non solo le emozioni tipiche che si generano sul livello del soggetto individuale, ma anche quelle tipiche che quel particolare soggetto collettivo ha sedimentato nella sua cultura organizzativa e sta di fatto utilizzando nell’hic et nunc.

Il gruppo operativo, condotto con approccio psicosocioanalitico, appare uno strumento adeguato a evitare di scindere e frammentare queste due parti, relegandole in mondi lontani e diversi, e ad accoglierne le comuni emozioni capaci di dare senso alla globalità del pluriverso in essere. Un’istituzione sana ha consapevolezza di questa duplicità della sua natura e ne tiene conto nei suoi investimenti strategici.

Ha infatti appreso che la possibilità di perseguire efficacemente i suoi sfidanti obiettivi di lavoro è legata all’attivazione di un processo volto all’ascolto del proprio disagio in modo da poterlo quotidianamente attraversare. Quando questo processo è attivo, l’esito è uno stile di relazionale orientato al benessere e alla valorizzazione del potenziale dei singoli, dei gruppi e della istituzione stessa.

Andando più a fondo in questa direzione si potrebbe arrivare a ipotizzare uno scenario in cui all’incremento di istituzioni tendenzialmente “sane” faccia riscontro un incremento di gruppi e di individui in grado di vivere un più elevato livello di benessere.

Come dire che l’incremento della qualità del vivere quotidiano può essere perseguito per due vie: quella che passa per l’individuo e, attraverso il gruppo, fa sentire i suoi benefici sul livello dell’istituzione, e quella inversa che si innesca a partire da istituzioni tendenzialmente sane che, generando l’attitudine a trattare in modo progettuale una molteplicità di problemi e vissuti, diventano necessariamente anche palestre per allenare e sviluppare, nel quotidiano, le capacità relazionali di base proprie e degli individui che le abitano.

Questo comporta la rottura di una serie di stereotipi tra gli addetti ai lavori in campo clinico. Tra le due vie appena menzionate può essere valorizzata proprio la ricorsività che c’è tra di esse e cioè tra “amare” e “lavorare”, tra sentimenti e azioni. Ciò vuol dire che non c’è solo la via del lettino o del gruppo terapeutico per aiutare l’individuo nella sua autorealizzazione, ma anche quella dell’apprendimento istituzionale e dell’investimento in istituzioni capaci di apprendere dalla propria esperienza.

Nelle testimonianze riportate nel caso si nota come il riferimento a ogni intervento sentito come psicoanalitico induca timori come, nel linguaggio comune, la psicoterapia si sia ridotta a costituire uno spauracchio anziché una risorsa in grado di offrire valore aggiunto su scenari diversificati.

Non sarà facile riscattare un passato in cui questo termine si è appiattito sul riferimento alla cura di disturbi mentali individuali. Oltre il divano, poco o nulla. È così difficile accogliere fino in fondo l’idea che l’organizzazione è la “mente” del sistema, come già suggeriva G. Bateson (1976).

Già psicosocioanalisi e psicoterapia progettuale (Burlini et al., 1990) erano termini che nei gruppi istituzionali sembravano emotivamente più accettabili. Ovviamente non si devono fare pericolose confusioni tra psicoterapia, consulenza, formazione e managerialità.

Tutte queste professioni possono però avvalersi degli esiti della ricerca attuale e in particolare la psicoterapia individuale e gruppale può arricchirsi degli esiti della ricerca proveniente dal campo delle professioni che ormai da tempo si pongono come risorsa clinica per i soggetti collettivi. Il problema non è quello di affiancare all’azione classica, che va dall’individuo all’istituzione, quella che agisce dall’istituzione all’individuo, ma di apprendere a valorizzare e a utilizzare la ricorsività che connette entrambe queste vie di potenziale cambiamento.

La prima via, se non riesce a coniugarsi con la seconda, è destinata a esaurire il potenziale creativo che l’ha caratterizzata in questo secolo; la seconda, avendo puntato finora tutto solo sul perseguimento di obiettivi sempre più sfidanti, si trova con le risorse umane stressate, alle prese con vissuti di sempre maggiore disagio. Nel momento in cui la risorsa umana emotivamente non ce la fa più, le istituzioni sono destinate al fallimento culturale, anticamera di quello economico e sociale.

Come si può vedere dal caso qui riferito, l’obiettivo originario inteso in termini di “miglioramento della qualità dei servizi resi alla collettività” è in diretta correlazione con un altro, ben più importante di un semplice effetto collaterale, che ha a che fare con il tema del benessere sul lavoro.

Il lavoro svolto con le modalità qui sintetizzate ha dato come esito in tutti i partecipanti un alto indice di gradimento proprio perché si è riusciti, gruppalmente, a ri-conoscere e ad attraversare le difese più stereotipate e quindi più disfunzionali al raggiungimento di entrambi gli obiettivi istituzionali.

 

20. Bibliografia

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