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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoanalisi di Gruppo


DAL PENSIERO CONTRO AL PENSIERO INSIEME

di Dominique Quelin

relazione presentata a Roma il Sabato 30 Maggio 1998 al convegno
"Gruppi terapeutici con adolescenti"



"Quando manca qualcuno nel gruppo, è come se ricevessi una pugnalata nella schiena". Questa frase sorprendente di Michel è venuta a punteggiare di recente una seduta di psicoterapia di gruppo. Ci è sembrata sintomatica, per questo adolescente quindicenne, dell'instaurarsi di una possibilità di esprimere quanto risentiva riguardo all'assenza e che, fin qui, era riuscito ad esprimere solo nell'agito e nell'eccitazione. Eravamo già abituati alla sua violenza verbale, nei confronti degli altri partecipanti del gruppo e di noi stessi. E ora si metteva a pensare! Come era stato possibile? E' importante dire che il suo percorso terapeutico fu cosparso di difficoltà, tanto per sé che per noi e la storia di tale percorso ci permetterà di apprezzare pienamente il valore di questo enunciato.

UN PROGETTO COMUNE

Il nostro primo progetto era quello di proporre ad adolescenti uno spazio di ascolto che avrebbe preso in considerazione, nello stesso tempo, il gioco drammatico e la dimensione gruppale. Avevamo formazioni diverse che volevamo unire o forse confrontare. Consapevoli delle difficoltà che una simile relazione avrebbe indotto, sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo e un distanziamento per fronteggiarle e superarle.

Abbiamo quindi deciso di proporre uno psicodramma di gruppo in cui tutti i partecipanti avrebbero costruito o giocato insieme una storia comune. Dei due conduttori, uno solo avrebbe giocato e la scelta sarebbe venuta dagli adolescenti. Quel dispositivo funzionò bene il primo anno. Pensavamo, sognavamo e giocavamo insieme; la nostra coppia si arricchiva delle nostre differenze e i ragazzi, con problematiche principalmente nevrotiche, avanzavano bene. Vivevamo quell'esperienza con il sentimento euforizzante di essere riusciti ad armonizzare in modo quasi continuo i nostri interventi rispettivi. I nostri divarichi nel gioco e gli interventi nel gruppo venivano rispettati e controbilanciati dal desiderio di mostrare all'altro la propria competenza e la propria esperienza. "Eravamo felici e avevamo tanti bambini gratificanti nel nostro gruppo".

Questa fase di illusione, essenziale per il costituirsi della nostra coppia terapeutica, risuonava positivamente sull'atmosfera del gruppo, e facilitava gli scambi tra i ragazzi e la loro capacità di associazione. Sappiamo gli effetti che la qualità delle interrelazioni tra terapeuti influisce in modo sorprendente sulla dinamica del gruppo.

L'ARRIVO DI MICHEL

Eravamo quindi convinti di pensare insieme quando ci venne proposto Michel. Questo adolescente di tredici anni, già seguito da bambino per difficoltà di apprendimento e instabilità invalidante nell'ambito scolastico e familiare, manifestava allora turbe del comportamento importanti. Funzionava nel registro dell'onnipotenza e celava con comportamenti maniacali interroganti la legge e i limiti una depressione grave che sembrava funzionare a specchio con quella evidente e anziana della madre. I fondamenti narcisistici incerti e un sistema para eccitazione poco operante costituivano le basi della sua personalità. Gli sconvolgimenti identificatori e i lutti dell'adolescenza ci imponevano tuttavia la prudenza nei confronti di una classificazione psicopatologica. Così A. Freud dice: "La diagnosi differenziale tra gli sconvolgimenti dell'adolescenza e una vera patologia è un compito molto difficile". Ciononostante il comportamento di Michel, che poteva evocare un quadro clinico di stato limite, preoccupava il suo consulente. L'evoluzione positiva della sua scolarità permetteva comunque di esaminare il suo futuro con un certo ottimismo.

Furono organizzati colloqui familiari, e il gruppo di psicodramma, proposto parallelamente a Michel, venne accolto con una certa riserva. Il nostro progetto terapeutico si fondava sull'idea che il gioco drammatico in gruppo avrebbe compensato una mancanza di mentalizzazione, permettendo di rimobilitare e di elaborare le carenze della funzione di simbolizzazione e l'incapacità a sopportare la separazione. Fiduciosi nella nostra esperienza pensavamo che ci fosse posto per Michel nel nostro gruppo, il quale avrebbe rappresentato per lui un contenitore su cui il suo Io mancante si sarebbe potuto appoggiare.

Il gruppo di psicodramma si aprì quindi per lui e per altri due adolescenti. Michel manifestò rapidamente una difficoltà ad accogliere i limiti del dispositivo e, soprattutto, le assenze frequenti di alcuni ragazzi o gli abbandoni. Sappiamo che l'arrivo di nuovi partecipanti riattiva le rivalità fraterne. Qualora non siano elaborate sufficientemente, esse sfociano nella partenza di certi partecipanti. E questo avvenne appunto nel gruppo. All'agito dei terapeuti (far entrare nuovi) rispondeva l'agito degli adolescenti (abbandonare il gruppo). Tuttavia non abbiamo voluto o potuto resistere all'imposizione istituzionale. Sicché, invece di sette adolescenti come previsto, erano tre o al massimo quattro ad essere presenti.

In tale contesto, il vissuto abbandonico di Michel lo porta a frequenti passaggi all'atto con rifiuto di inserirsi in un gioco comune. Sembra che solo un rapporto basato sul confronto possa servirgli per comunicare con noi. Per poterlo contenere siamo costretti ad interventi che rinforzano appunto il suo vissuto di esclusione, e in modo difensivo il suo sentimento di onnipotenza. Fa dell'ostruzionismo, ridicolizzando tutti senza nessuna distinzione tra compagni e terapeuti. Viene allora designato come il guastafeste, ma nello stesso tempo per quel suo modo di opporsi agli adulti diventa il portavoce di un movimento di resistenza gruppale. In effetti, questo atteggiamento di Michel, che agisce per attribuirsi una onnipotenza della sua dipendenza infantile, è anche una caratteristica dell'adolescenza. In questo senso un tale atteggiamento aveva una risonanza positiva negli altri che lo contestavano con poca convinzione.

Questa opposizione si iscrive infatti in un movimento di ricerca di identità. Malgrado le difficoltà, in modo puntuale, i ragazzi si ritrovano uniti intorno ad argomenti, approfittando del dispositivo psicodrammatico. Riunendo i partecipanti intorno ad un compito comune, questo dispositivo agevole questa tappa di identificazione e amplifica il senso di appartenenza. Ci furono dunque sedute liete o per lo meno soddisfacenti, tra cui la vignetta seguente. Al ritorno dalle vacanze d'inverno. Gli adolescenti sono contenti di ritrovarsi e si mettono subito a discutere tra di loro delle vacanze, soprattutto Jean, Claude e Alexandre. Quest'ultimo parla di vacanze fallite: i suoi amici non hanno voluto o potuto uscire con lui, e solo a pensarci ha mal di pancia. Come non è rimasto a Parigi e non dice altro. Alexis è assente. Michel si agita, prova a far cadere le sedie e dichiara che "non è mica qui per ascoltare gli altri, siamo qui per riflettere, abbiamo dei problemi, bisogna pensarci" e diventa minaccioso per il vicino. Ancora una volta sembra che le cose vadano male. Deliberatamente non rileviamo e tutto precipita. Malgrado l'opposizione di Michel, a cui l'idea sembra scema, si decide di giocare la scena seguente.

"Un ragazzo riceve la telefonata di due compagni che vogliono portarlo a giocare a roller; quest'ultimo non sa cosa fare, poiché essendo stato abbandonato da un altro sul quale contava, è triste. Risponde che va a chiedere il permesso alla madre. Alexandre personifica il ragazzo, Jean Claude e Come sono i compagni che telefonano. Si chiede alla terapeuta di personificare la madre. La madre autorizza il figlio ad uscire ad uscire dicendogli: "Vacci se ti fa piacere" e a questo punto Alexandre, invaso dalla vera storia, risponde trattenendo le lacrime: "Ma non mi fa piacere affatto, io volevo l'altro" e lascia l'area di gioco. Michel, che aveva rifiutato di giocare, interviene immediatamente per dire che tutto ciò gli ha fatto tornare in mente un avvenimento penoso che credeva di aver dimenticato. Da bambino, aveva invitato dei compagni per il suo compleanno e non era venuto nessuno. Anche lui è molto commosso. In un certo modo, Alexandre e Michel non stavano mostrandoci quanto sia difficile giocare certi sentimenti?

La terapeuta sottolinea allora che il cattivo umore dell'inizio della seduta era forse un modo di esprimere che siamo tutti un po' in collera e tristi di essere stati separati per più di quindici giorni, anche se adesso siamo contenti di ritrovarci. E Alexandre continua: "Finalmente è meglio andare a scuola che avere vacanze brutte". In questa seduta vediamo che il gioco drammatico ha permesso di contenere l'eccitazione dell'inizio. Non rispondendo direttamente a Michel e lasciando organizzarsi il gioco all'infuori delle consegne precise del dispositivo presentato dall'inizio (consegne consistente nel costruire una storia insieme, e recitarla tutti insieme) ne facevano un medium malleabile che permetteva di sperimentare l'illusione onnipotente altrimenti che nell'agito dell'eccitazione dando l'avvio alla simbolizzazione e al pensiero. Lo stesso D. Widlocher parla dell'improvvisazione drammatica come di "un veicolo, un medium che aspira a altri scopi".

Tuttavia l'incapacità di certi adolescenti a trasporre nel gioco l'emergenza di affetti penosi, resa caricaturale dall'atteggiamento di Michel, ci condusse ad interrogarci sull'opportunità di tale dispositivo nel suo caso. E' pur vero che sopportando una certa forma di trasgressione per renderlo più malleabile, e intervenendo al livello del gruppo, avevamo restituito a quello spazio, così violentemente e frequentemente violentato, le sue qualità di contenitore permettendogli di diventare uno spazio di pensiero. Ma non si potrebbe, allora, immaginare fin dall'inizio un dispositivo più adatto a quel tipo di patologia, e alle difficoltà contro e inter transferali che ne risultano?

LA SOLIDITA' DEI LEGAMI

D'altra parte, la ricerca conflittuale d'identità degli adolescenti, legata ad un bisogno di restauro narcisistico e di risistemazione dell'ideale dell'Io li porta, il più spesso, nei gruppi di appartenenza ad escludere l'adulto per assettare un funzionamento idealizzato e maniacale infiltrato di onnipotenza narcisistica. L'adulto viene accettato soltanto se li aiuta a sostenere questa posizione, sia diventando uno di loro, sia proponendo un'attività valorizzante idealizzata dagli adolescenti e dagli adulti. Ci troviamo quindi confrontati ad una difficoltà essenziale nella condotta del gruppo terapeutico con adolescenti. Trovare la giusta distanza che consenta al gruppo di adempiere a tutta la sua funzione di sostegno narcisistico e dare la possibilità di elaborare la castrazione e la depressione che ne deriva. In mancanza di un gruppo contenente sul quale sostenersi, l'adolescente confrontato all'adulto cercherà soprattutto di paragonarsi a lui e di fronteggiarlo.

A causa della sua patologia Michel amplifica questa posizione cercando ad ogni costo il confronto e la provocazione contro lo psicoterapeuta. Quest'ultimo era tanto più sopraffatto dalla situazione quanto più aveva l'esperienza di un dispositivo di psicodramma individuale in gruppo con un leader non giocatore. Per lui, questo dispositivo aveva dato le prove delle sue qualità contenenti. Si sorprese quindi a pensare che era la sua collega ad essere responsabile di tale situazione vulcanica. Lei non capiva nulla della sua concezione teorica e pratica dello psicodramma, e la dimensione gruppale che sosteneva portava poca luce. L'atmosfera di violenza che regnava era dunque imputabile a lei. In quanto a lei, le sembrava che l'atteggiamento rigido del terapeuta nei confronti di Michel e del dispositivo costituisse un freno alla sua propria creatività e a quello dell'intero gruppo. Li sentiva chiusi, costretti da assurde regole che non permettevano altro che la trasgressione o il conformismo.

L'analisi intertransferale stava trasformandosi in conflitto diretto e, guarda caso, non trovavano più il tempo di parlarsi. Ognuno pensava "contro l'altro" che avrebbe fatto meglio a continuare da solo o a scegliere un altro collega per dare fine a quella relazione persecutore-perseguitato in questo sistema chiuso. Non stavano riproducendo a specchio il disagio di Michel, che in modo regressivo, pur volendo eliminare gli altri partecipanti, non sopportava l'idea che lo si abbandonasse? Tentava pertanto di separarli sperimentando la solidità dei loro legami. Dovevamo dunque resistere, a costo di condurre la nostra coppia alla delusione. Bisognava uscire dalla spirale adorazione-delusione-rancore-separazione e non dimenticare che le nostre difficoltà di "coppia" potevano produrre un effetto di ritorno sul gruppo. In effetti eravamo concordi nel pensare che i fenomeni di rivalità, la difficoltà a dialogare, l'aggressività non espressa, i bisogni di dipendenza non elucidati possono essere trasmessi all'insieme del gruppo.

Era dunque imperativo per la sopravvivenza della nostra collaborazione non trasformare dispositivo e preconcetti teorici in feticcio ma, al contrario, facilitare al massimo con l'apertura e la malleabilità lo sviluppo psichico di tutti i membri del gruppo, compresi i terapeuti, trasformare il nostro spazio immaginario riorganizzandolo per farne un sisteme capace di svincolarsi dall'illusione gemellare e aperto alla creatività e all'evoluzione. Giungeva la fine dell'anno scolastico, il gruppo stava per dislocarsi per la partenza di due partecipanti. Decidemmo quindi di proporre a Michel e all'altro ragazzo rimanente di riprendere, dopo alcuni mesi di interruzione, un altro gruppo con un nuovo dispositivo.

UNA TAPPA VERSO LA SIMBOLIZZAZIONE

Si tratterà questa volta di un gruppo di parola, misto, chiuso, con durata non precisata in anticipo. Lo spazio gruppale chiuso permette infatti di introdurre una distanza, una transizionalità che agevolerà l'elaborazione collettiva e la simbolizzazione dell'assenza. Questa elaborazione dell'assenza e dei fantasmi distruttori "fa passare dal movimento in cui la carenza suscita solo sgomento e odio distruttore alla rappresentazione dell'assente". In questo nuovo dispositivo è possibile utilizzare un qualsiasi momento e spontaneamente il gioco drammatico qualora la parola venga a mancare. E giacché la stanza possiede una lavagna, sono a disposizione dei giovani alcuni gessi. D'altra parte proponiamo questa volta uno spazio gruppale chiuso.

I colloqui preliminari avuti con Michel per preparare l'assetto di questo nuovo gruppo ci hanno mostrato che è maturato poco, che vive sempre in modo persecutorio le assenze e gli abbandoni avvenuti durante la sua esperienza dello psicodramma. Il gruppo inizia nel gennaio 1996 con due ragazze e quattro ragazzi dai quattordici ai sedici anni capaci di verbalizzare correttamente. Le prime sedute sono segnate da una presentazione in cui ognuno prova ad avvicinare la sua problematica individuale, paragonandola a quella degli altri. Appaiono i primi temi ed argomenti comuni: abbandono, sentimento di essere rifiutati, incompresi dai professori troppo severi o dai parenti che non capiscono nulla o dai compagni che fanno racket, tanti problemi che originano scappate di casa e persino suicidi. Questi temi depressivi sono seguiti da momenti di eccitazione sessuale in cui parlano di stupro e fantasmano di recitare le lezioni davanti ad alunne ed alunni completamente nudi per levare l'inibizione.

Poi ci si difende dal sentimento di indifferenziazione che il gruppo fa nascere in ognuno, ci si domanda: cosa si ha in comune? Che lingua si parlerà? Ci si potrà capire? Si crede tutti in Dio? La funzione contenitrice del gruppo viene anch'essa interrogata poi è sperimentata: si potrà contare l'uno sull'altro? Si litigherà o saremo tutti sempre qui? Per riuscirci bisognerà organizzarsi per avere il tempo di venire, e sapere anche quel che ci si viene a fare; forse, sarà troppo difficile e si perderà tempo il tempo? Questa ipotesi che riporta alla morte suscita molta angoscia e uno dei partecipanti si muove, si alza evocando la propria difficoltà a sopportare gli spazi chiusi. Sarebbe meglio fare il gruppo "nelle arene di Lutece" ad esempio. Una tale eventualità fa ridere tutti; si distendono. In associazione verranno fatti dei commenti sui vantaggi rispettivi delle scuole private o statali. Le migliori sono le scuole private: però ci si mangia così male, gli alunni sono tutti uguali, non ci sono femmine! L'inquietudine è grande. C'è del cattivo anche all'interno e si potrebbe perdere la propria identità nell'indifferenziazione sessuale.

Così vediamo il gruppo costituirsi a poco a poco intorno ad interrogazioni in riguardo all'identità che rinviano alla problematica adolescenziale cui abbiamo accennato prima, e che si traducono in un desiderio di conformità al gruppo dei pari. Per F. Guignard: "Il gruppo funge da pseudo pelle psichica per i membri che si mischiano e si mescolano con la speranza di evitare, per un po' di tempo ancora, la prova cruciale di individuazione che identificherà ciascuno nell'inesorabile solitudine dell'unicità umana".

Per Michel il gruppo ha assunto questa funzione di pelle psichica contenente in modo sufficientemente operante fin dall'inizio. In effetti, ha provato ad adottare il suo atteggiamento anteriore ma i suoi compagni gli hanno mostrato come si mettesse fuori dal gruppo con un comportamento così infantile da non essere sopportabile per adolescenti come loro. In seguito, è rimasto silenzioso per tutta la seduta. Poi ha avuto un ruolo di mediatore sperimentato, mettendo in mostra le cose imparate durante la prima terapia. Siamo giunti così al sesto mese di funzionamento. Da qualche tempo gli adolescenti hanno pensato di organizzare una festa per segnare la separazione delle vacanze d'estate. L'atmosfera è distesa dopo un periodo difficile in cui sembrava che la ricerca di un capro espiatorio non permettesse loro di intendersi, se non con lo schierarsi contro i conduttori considerati come incompetenti, pagati per non fare nulla o per parlare troppo. Messi a distanza gli adulti, l'insieme del gruppo ritrova una coesione cercando idee per la festa. "Si potrebbe portare uno stereo per ascoltare musica, cose per adornare la stanza, invitare compagni, dividere torte e bibite portate da tutti!".

Questo movimento gruppale a connotazione maniacale è una tappa essenziale nell'organizzazione dello spazio gruppale. Cristallizza, infatti, una mobilitazione generale che permette ai legami di farsi più stretti. Ma costituisce anche una difesa contro la preoccupazione suscitata da questa prima e lunga separazione. Parallelamente si delinea nei confronti degli adulti la ricerca di un incontro identificatorio. Com'erano da adolescenti? Come vestivano? Il loro sguardo si ferma sui magnifici calzini di Topolino del terapeuta. Lo scarto generazionale tra i due adulti sembra una via d'accesso. Essendo il terapeuta più giovane, possono facilmente immedesimarsi in lui. Precisano che, se comprassero vestiti, sarebbero press'a poco tutti uguali, ma che non avrebbero niente a che vedere con quelli della terapeuta. Quest'ultima si trova così simbolicamente separata non solo dagli adolescenti ma anche dal suo collega.

Alla seduta seguente, come se il gruppo non potesse accostare le vacanze che unito, Michel arriva con una torta fatta da lui, appena uscita dal forno, che regala a tutti volendo che la si mangi insieme. La divide in otto parti inserendo così di nuovo la terapeuta nella comunità. Questo seguito, che solo lui ha dato al progetto gruppale di festa, viene accolto con allegria dagli altri; la seduta è conviviale, un po' eccitata e gli adolescenti si pongono la domanda di quanto ciascuno farà per conto suo durante la lunga assenza: viene fuori una certa tristezza. Saranno ancora tutti qui al ritorno?

Si può vedere in che modo il sostegno narcisistico del gruppo abbia permesso a Michel di passare dalla posizione di onnipotenza megalomaniacale (tipica delle sue carenze narcisistiche), assunta nel gruppo di psicodramma, ad un atteggiamento più adatto, accoglibile da tutti. Ciò lo integra in un movimento d'unificazione maniacale del gruppo assimilabile all'illusione gruppale: difesa contro le angosce di scasso, dovute alla separazione delle vacanze. La problematica individuale di Michel si è dunque potuta elaborare tramite lo spiegamento del processo gruppale. Rispettata in quanto entità, questa dinamica del gruppo funge da contenitore e da punto d'ancoraggio per ognuno, ma è l'individuo a costituire il punto nodale della terapia. Pertanto, il gruppo rappresentava dunque ad ogni istante una rete transpersonale che subisce l'influsso dell'individuo, membro del gruppo, il quale influisce a sua volta su di lui.

In questo senso la problematica, la storia di ciascuno può essere considerata come una individualizzazione della storia del gruppo. E' dunque importante che il dispositivo proposto non venga ad opporsi a questa interattività tra i membri del gruppo e i fenomeni gruppali, ma che consenta e faciliti, con la sua elasticità, quei movimenti. Così, il dividere la torta nella situazione reale ha rappresentato per Michel e gli altri adolescenti un sostegno esterno indispensabile per compensare il difetto del lavoro di rappresentazione interna. Era dunque importante che questa tappa venisse accettata ed elaborata, tale e quale, in seno al dispositivo gruppale.

EMERGE IL PENSIERO

Alla riapertura della scuola, come spesso succede con gli adolescenti, l'organizzazione e gli orari scolastici costringono a riesaminare la possibilità di proseguire la cura. Guillaume dovrà forse abbandonare il gruppo. Viene a parlarne all'inizio dell'anno, il colpo è duro per tutti. La vignetta clinica seguente si svolge mentre ancora regna l'incertezza riguardo a questa possibilità. Stéphane, bloccato nella metropolitana, ha telefonato che non potrà venire. Michel, di ritorno da un viaggio in Germania con la scuola, parla a lungo del castello di Luigi secondo di Baviera insistendo sulle decorazioni pesanti e troppo dorate che lo caratterizzano. Anne interrompe quel lungo monologo dichiarando che "ora basta, parla sempre lui, anche gli altri forse hanno qualcosa da dire; ad esempio parlare dell'assenza di Stéphane e dell'abbandono probabile di Guillaume!". Segue allora un silenzio stupito, Anne di solito è abbastanza inibita e parla poco. Il terapeuta collega questo intervento di Anne con quanto era stato detto prima. "Forse, ci chiediamo se i nostri legami qui, tra di noi, sono veramente autentici?". Riprende la discussione su Guillaume "non si può contare su di lui, certo che non tornerà!". E in quanto a Stéphane "magari è andato a finire sotto il treno del metro!".

Michel esclama nello stupore generale: "Quando c'è un assente nel gruppo è come se ricevessi una pugnalata nella schiena" dando così, lui stesso, la chiave del suo comportamento difensivo invadente. Verbalizzando in tal modo la propria angoscia di separazione accede alla simbolizzazione, cioè al pensiero.


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