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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoanalisi di Gruppo



Il Gruppo Esperienziale come strumento di formazione: dal 'Pollaiolo' al Corso di Laurea in Psicologia

di Marco Longo

(adattamento dal testo precedentemente pubblicato in 'Funzione analitica e formazione alla psicoterapia di gruppo', AA.VV., Ed. Borla, Roma 1985)



Sommario

Nella prima parte di questo lavoro viene illustrato il modello di Gruppo Esperienziale nato ed utilizzato nell'ambito del C.R.P.G. 'Il Pollaiolo', considerandone le matrici teoriche e passando in rassegna le vicende storiche che hanno segnato le tappe della crescita e della progressiva definizione del modello stesso. Successivamente ci si sofferma su una particolare applicazione del Gruppo Esperienziale nell'ambito del Corso di Laurea in Psicologia, come parte integrante dell'insegnamento impartito agli studenti del 5o anno (laureandi) della Cattedra di Teorie e Tecniche della Dinamica di Gruppo (Prof. Claudio Neri), analizzando le finalità di questa iniziativa in relazione alle motivazioni degli operatori che la propongono e a quelle degli studenti che vi partecipano.

Nella seconda parte vengono descritte con un'attenzione più specifica il problema dell'appartenenza, il significato dell'oscillazione tra la valorizzazione del polo individuale e quella del polo fusionale in gruppo, le vicende più o meno prevedibili dello strutturarsi del processo analitico e cognitivo in un piccolo gruppo. Infine vengono prese in considerazione le diverse qualità che sono soprattutto auspicabili nell'atteggiamento di fondo e nello stile del conduttore di gruppo, in particolare quando egli si trovi a lavorare in un contesto istituzionale, come quello universitario, che richiede alcune specifiche cautele.


1) nascita ed evoluzione del modello

Questo testo fa seguito ad una nota preliminare (A. Gentili e C. Neri, 1983), in cui è stata data una prima definizione (che qui ora riassumiamo) del modello di Gruppo Esperienziale:
1) uno strumento clinico di ricerca e di apprendimento, nato dalla ricerca svolta nel C.R.P.G. 'Il Pollaiolo', che può essere utilizzato in vari contesti istituzionali e privati.
2) caratteristica operativa di questo modello è l'indagine del gruppo sul gruppo stesso, con l'accento posto sull'esperienza condivisa dai partecipanti.
3) il Gruppo Esperienziale tende a favorire da una parte il riconoscimento dei fenomeni di gruppo, dall'altra lo sviluppo di una maggiore capacità di collaborazione all'interno di una situazione sociale, anche in condizioni emotive limite (F. Corrao, 1982; R. Kaes, 1976).

Il modello di Gruppo Esperienziale è il risultato di un itinerario di ricerca sulla formazione di gruppo che ha avuto inizio nella seconda metà degli anni '60. Nel presente lavoro illustreremo le matrici teoriche di riferimento e le esperienze pratiche che hanno portato allo sviluppo del modello.

Alla fine degli anni '60 prese il via, all'interno dell'Istituto di Psichiatria dell'Università di Roma, una ricerca volta ad approfondire l'utilizzazione del gruppo come strumento di formazione dell'operatore psichiatrico (oltre che, naturalmente, come strumento terapeutico). La ricerca fu proposta e portata avanti da alcuni operatori del reparto, tra i quali ricordiamo: F. Agosta, C. A. Barnà, B. Bonfiglio, A. Correale, C. de Toffoli, P. Nardone, G. Nebbiosi, A. Noonan, C. Neri, A. Palmieri, C. Pilo Boyl, A. Seganti, B. Woehler. L'attenzione posta sulle prospettive aperte dallo studio dei gruppi trovava la sua ragione di essere in una crisi, più che tangibile in quel tempo, della scala di valori vigenti, sia nel campo dell'intervento medico-psichiatrico, sia nell'intero campo sociale. Non va dimenticato inoltre l'impatto suscitato in quegli anni delI'antipsichiatria: attraverso la rivalutazione del lavoro assembleare veniva sottolineato soprattutto il momento della partecipazione, rinviando la ridefinizione di un vero e proprio orizzonte terapeutico (A. Seganti, 1979).

Vennero quindi organizzati seminari di ricerca, dibattiti e assemblee di reparto (fino a quel momento molti dei malati erano ancora tenuti legati al letto). Furono attivate esperienze di piccolo o grande gruppo anche in diverse istituzioni (istituti scolastici, religiosi, ecc.). In tutti questi momenti della ricerca gli operatori facevano riferimento a un tentativo di sintesi tra:
1) Una matrice derivante dalla scuola lewiniana (con particolare riferimento al T-group francese del CEFFRAP e al modello di Spaltro in Italia). Di questo indirizzo metodologico furono utilizzati alcuni elementi riguardanti la costituzione del setting (termine prefissato, ruolo definito dello staff, ecc.), ma anche nozioni relative allo studio della comunicazione nel gruppo e sul tipo di apprendimento sul campo che esso è in grado di fornire, a partire dall'esperienza vissuta.
2) Una matrice di derivazione basagliana, con particolare riferimento alla pratica assembleare, all'accento sulla partecipazione, al libero confluire di persone aventi ruoli diversi (medici, malati, infermieri, studenti), all'impegno in campo sociale.
3) Una matrice derivante dalla psicoanalisi, con l'accoglimento di tecniche provenienti dallo psicodramma analitico di Anzieu (1975) e Lebovici (riguardanti soprattutto le tematiche relative alla scena e alla rappresentazione) e in particolare delle ipotesi di Bion (1961).

Nel corso di queste prime esperienze della ricerca sul gruppo, proseguita nella prima metà degli anni '70, emersero da una parte l'esigenza di un graduale superamento della metodologia del T-group, dall'altra la necessità di un crescente riferimento alla funzione analitica del gruppo. Non si reputava infatti sufficiente l'evidenziazione delle relazioni interpersonali nel contesto di una dinamica di gruppo; occorreva invece una tecnica che si sforzasse di cogliere i caratteri peculiari dell'esperienza condivisa e dei fattori che ne rendono possibile l'evoluzione. Si notò inoltre che le numerose regole del T-group importavano nel gruppo una sorta di istituzione preformata, che provocava uno scollamento tra l'esperienza (contenuto) e il setting (contenitore). Ciò impediva lo sviluppo contemporaneo e il rapporto di reversibilità tra contenitore e contenuto di cui parla Bion (1970). Il primo importante risultato della ricerca fu dunque il comprendere che il setting non doveva sovrapporsi all'esperienza, ma evolversi insieme ad essa (C. Neri e A. Seganti, 1975).

Il maggiore impulso verso l'utilizzazione di una metodologia di taglio più specificamente analitico si deve far risalire alla collaborazione, iniziata nel '69, tra il suddetto gruppo di operatori e Francesco Corrao. E' bene ricordare che già dal '65 questo analista aveva attivato, all'interno del Centro di Psicoanalisi Romano (SPI) di Via Salaria in Roma, una ricerca sul gruppo a funzione analitica. L'inizio era stato segnato dalla presentazione, per la prima volta in Italia, del volume Esperienze nei gruppi di W. Bion (1961), che sarebbe stato successivamente tradotto da S. Muscetta nel '71. Subito dopo Corrao aveva dato vita ad un esperimento, conducendo un gruppo con la tecnica bioniana; vi parteciparono analisti e allievi avanzati nel training dell'Istituto di Psicoanalisi. Si trattò in pratica del primo Gruppo Esperienziale, che ebbe la durata di tre anni, fino al '69.

In seguito Corrao cominciò a curare la supervisione di alcuni conduttori di gruppo, tra cui C. Neri, che all'epoca aveva anche da tempo iniziato la sua analisi didattica alla SPI. Nella supervisione di Neri tuttavia compariva un continuo riferimento, oltre che al gruppo da lui condotto, anche al suddetto gruppo di operatori della Clinica Universitaria e alla loro ricerca: Corrao propose allora l'entrata in scena di questo gruppo, offrendosi di incontrare le persone che ne facevano parte. Gli operatori si riunirono e decisero di accettare la proposta, chiedendo a Corrao di condurre questa nuova esperienza di gruppo: nacque così il secondo Gruppo Esperienziale. Dall'incontro con F. Corrao è sorta una collaborazione che è durata molti anni, e che, potremmo dire, dura tutt'ora, anche dopo la morte di Corrao (primavera del 1994), grazie all'accoppiamento del gruppo con la fecondità del suo pensiero. Sono identificabili due fasi principali: la vicenda del secondo Gruppo Esperienziale e in seguito la fondazione del C.R.P.G. (Centro Ricerche Psicoanalitiche di Gruppo).

La prima fase vide il riunirsi, con scadenza quindicinale, del gruppo di operatori con Corrao (dal '69 al '75). Le riunioni avvenivano in una sede che fu fin dall'inizio autonoma, cioè extra-universitaria e distinta dal Centro di Psicoanalisi di Via Salaria (presso il quale tuttavia quasi tutti i membri del gruppo stavano parallelamente svolgendo il training psicoanalitico). Il gruppo ebbe così la possibilità di strutturare una propria esclusiva area di appartenenza (fisica, oltre che emotiva, fantasmatica ed intellettiva), capace di dare un senso e un orientamento all'esperienza condivisa. Un effetto implicito del gruppo esperienziale fu anche la valorizzazione motivazionale dei partecipanti verso l'esperienza analitica individuale (oggi i membri di quel gruppo sono pressoché tutti analisti associati della Società Psicoanalitica Italiana, oltre che in gran parte analisti di gruppo), come corrispettivo ambito da integrare con l'esperienza gruppale. Si è così avuta un'evidente conferma dell'assunto bioniano secondo il quale <<la cura psicoanalitica del singolo e l'analisi di gruppo ... trattano aspetti diversi dello stesso fenomeno>> (W. Bion, 1961).

Il passaggio alla fase successiva fu segnato tra l'altro dal trasferimento di alcuni operatori dai Reparti Degenti dell'Istituto di Psichiatria al nuovo Centro per Psicoterapia, Day hospital, lavoro territoriale che era stato organizzato nel frattempo a Viale di Villa Massimo; altri operatori si recarono invece temporaneamente negli Ospedali Psichiatrici di Arezzo e Gorizia, dove erano in corso esperimenti di gestione comunitaria. Ciò segnò la fine della fase universitaria della ricerca, dovuta al fatto che, dopo alcuni scontri, G. Reda (allora Direttore della Clinica Psichiatrica Universitaria) si era dichiarato non disponibile alla trasformazione dei Reparti Degenti secondo il modello della comunità terapeutica (M. Jones, 1968).
L'elemento più importante di tale passaggio fu tuttavia l'avvenuta maturazione della coscienza di <<essere un gruppo di lavoro>> (W. Bion, 1961): nel '75 quindi, conclusa l'esperienza di gruppo con Corrao, si decise di costituire un centro-studi, con lo scopo di organizzare l'approfondimento della ricerca psicoanalitica sui gruppi. Fu affittata una sede in Via A. Pollaiolo: da quel momento, quasi a sottolineare l'appartenenza, il gruppo di operatori prese il nome di gruppo del Pollaiolo.

Nel '76 fu organizzato il primo di una serie di convegni annuali sui gruppi ed iniziò la pubblicazione di una rivista, per aprire il dibattito a livello nazionale. La rivista fu intitolata (così come del resto i convegni) Gruppo e Funzione Analitica. La rivista viene pubblicata anche attualmente, con frequenza quadrimestrale, con il nuovo nome KOINOS - Gruppo e Funzione Analitica. Nel '77 fu ospite del Pollaiolo W. Bion: in quella occasione egli vi tenne cinque seminari, poi pubblicati sul terzo numero della rivista col titolo di Seminari Romani. Nel '79 fu fondato ufficialmente il C.R.P.G., le cui attività di ricerca sono attualmente suddivise in tre sezioni: 1) gruppo e istituzioni; 2) gruppo e terapia; 3) gruppo e formazione.

Nel frattempo sono sorti anche altri C.R.P.G. a Palermo, Catania e Milano. Nel 1990 i C.R.P.G. hanno inoltre dato origine all'Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo (I.I.P.G.) che ha formalizzato, in ottemperanza alle direttive della legge istitutiva dell'Albo degli Psicologi (all'interno di cui risulta regolamentata l'attivit&agrave; psicoterapeutica e il relativo Albo professionale), l'iter formativo necessario per acquisire le competenze richieste per la pratica della psicoterapia psicoanalitica ed in particolare per la psicoanalisi di gruppo.

Nella seconda metà degli anni 70, contemporaneamente al percorso che portò alla fondazione del Pollaiolo, ci fu l'abbandono definitivo dei rapporti di lavoro con l'Istituto di Psichiatria e il trasferimento di alcuni degli operatori al neonato Istituto di Psicologia della Facoltà di Magistero di Roma. Nel '75 infatti fu affidato a C. Neri l'insegnamento di Tecniche di Indagine della Personalità II (poi divenuto: Cattedra di Teorie e Tecniche della Dinamica di Gruppo). E fin dal '75 la Cattedra ha ritenuto utile l'impiego del Gruppo Esperienziale nel proprio corso di insegnamento. I motivi principali di questa iniziativa derivarono naturalmente dalla riflessione sull'evoluzione che aveva caratterizzato l'esperienza di gruppo degli operatori del Pollaiolo.

Abbiamo già accennato come in quel gruppo si pervenì al delinearsi di una sempre più netta definizione dell'area di appartenenza; vogliamo ora richiamare l'attenzione sul principio, valido per ogni effettiva situazione di gruppo (in qualunque ambito formativo o istituzionale), che individua nella matrice storica condivisa una matrice strutturale del gruppo. Su di essa trova fondamento la costituzione dell'area di appartenenza, cioè di quella dimensione collettiva di orientamento spazio-temporale che permette lo sviluppo e l'elaborazione del pensiero nel gruppo. Solo il vivere l'esperienza di gruppo rende possibile, con la partecipazione attiva ad un'area di appartenenza, esperimentare ed apprendere a riconoscere le modalità di funzionamento dei gruppo stesso.

L'insegnamento di Tecniche di Indagine della Personalità II prevedeva lo studio dei rapporti tra gruppo e personalità. A tal fine la Cattedra proponeva tre diversi momenti o livelli di approccio e di ricerca (che sono tuttora presenti nel nostro attuale corso di Teorie e Tecniche della Dinamica di Gruppo):
1) Le lezioni, che forniscono un'esposizione della teorizzazione psicoanalitica sul gruppo.
2) I seminari, che propongono l'approfondimento di aspetti specifici della ricerca.
3) I Gruppi Esperienziali, che forniscono agli studenti la possibilità di partecipare a un gruppo a funzione analitica.
Lo scopo di questa articolazione dell'insegnamento è dare al futuro psicologo non soltanto un ambito di studio fondato sull'apprendimento teorico, ma anche la possibilità di apprendere dall'esperienza pratica, vissuta (A. Palmieri e C. Neri, 1976).

L'utilizzazione del Gruppo Esperienziale nel Corso di Laurea in Psicologia, per ragioni dipendenti dal contesto istituzionale, ha richiesto fin dall'inizio il mantenimento di un'impostazione che per certi versi rimanda al T-group. Si tratta infatti di gruppi (con sedute settimanali) a termine, della durata di circa sette mesi, praticamente condizionata dalla durata dell'anno accademico. I Gruppi Esperienziali conservano tuttavia una relativa autonomia rispetto agli altri due momenti del corso (lezioni e seminari), in cui l'elemento istituzionale è molto più determinante. I gruppi costituiscono infatti un tipo particolare di esperienza condivisa, sempre diversa e irripetibile da gruppo a gruppo, che possiede una sua logica specifica, una sua precisa organizzazione spazio-temporale interna (area di appartenenza).

Il fatto di possedere questa vita autonoma rispetto all'istituzione rappresenta un punto critico: da una parte si configura come l'aspetto più autentico dell'esperienza, la sua ricchezza; dall'altra costituisce l'aspetto più contraddittorio rispetto all'organizzazione logica e spazio-temporale dell'istituzione stessa. E' forse per questi motivi che nell'Istituto di Psicologia lo specifico apporto di esperienza garantito dalla partecipazione ai nostri gruppi è stato accolto molto positivamente dagli studenti, mentre il problerna principale, apparso evidente fin dall'inizio, è sempre stato il sostanziale, anche se apparentemente benevolo, isolamento (o negazione?) di questa iniziativa da parte dell'istituzione universitaria.

Nel '75 furono attivati i due primi Gruppi Esperienziali, condotti da C. Neri e da A. Palmieri. Ci fu un grande successo tra gli studenti: alla fine dell'anno accademico quasi tutti i partecipanti scrissero spontaneamente dei lavori, in cui raccolsero le loro impressioni sull'esperienza vissuta. Anche oggi gli studenti al termine del gruppo elaborano individualmente o in gruppo delle relazioni descrittive, molte delle quali sono state pubblicate.

Nel '76 i gruppi esperienziali attivati furono quattro. In quell'anno si decise di svolgere i gruppi in contemporanea, il lunedì mattina. Ne scaturì un'esperienza molto animata, sia per la grande attivazione reciproca dei singoli gruppi a causa della contemporaneità, sia per la possibilità di riunire una volta al mese tutti i partecipanti in un gruppo allargato, un'esperienza del tipo assemblea plenaria. L'idea di base da cui si era partiti quell'anno era che i gruppi potevano acquisire una forza maggiore dall'attivazione o dalla partecipazione contemporanea, il che avrebbe permesso un più ampio successo dell'operazione rispetto al contesto istituzionale.

Negli anni seguenti la richiesta degli studenti, anche appartenenti ad altre Cattedre, di partecipare ai gruppi esperienziali aumentò notevolmente; da allora sono almeno sei i gruppi attivati ogni anno. Ciò ha reso impraticabile lo svolgimento contemporaneo, ma ha facilitato per converso l'aumento dell'autonomia delle singole vicende di gruppo. Questo risultato è stato ottenuto anche in relazione ad un progressivo affinamento della specifica tecnica di conduzione. E' importante ricordare a questo proposito che, mentre nei primi anni la supervisione dei conduttori si svolgeva nell'ambito stesso dell'équipe universitaria (ad essa hanno partecipato L. Anastasio Mayer, S. Angeli, M. Bernabei, P. Cruciani, P. Cupelloni, M. B. Dorliguzzo, L. Esposito, N. Guerrea Barrese, M. Longo, B. Natoli, S. Nicolosi, F. Ortu, R. Petrini, A. Scaffidi Barnà, A. Traverso), negli anni seguenti (e tuttora) i conduttori hanno scelto di rivolgersi, sempre in gruppo, a un supervisore esterno.

2) riflessioni sul modello e sulla sua utilizzazione

Intendiamo ora completare la definizione teorica del modello e presentare alcune riflessioni sull'utilizzazione del gruppo esperienziale nel Corso di Laurea in Psicologia dell'Università di Roma.

Il termine Gruppo Esperienziale contiene un esplicito richiamo metodologico: noi pensiamo infatti che in un gruppo a funzione analitica ogni elaborazione evolutiva debba partire dai dati direttamente riscontrabili nell'esperienza condivisa. La caratteristica specifica del Gruppo Esperienziale consiste quindi, come abbiamo già detto, nel porsi come una situazione che consente l'individuazione e il riconoscimento dei fenomeni gruppali a partire dall'esperienza vissuta.

Nel Gruppo Esperienziale vengono sottolineate la funzione trasformativa e quella conoscitiva, mentre resta in secondo piano, anche se non certo assente, la funzione terapeutica. Ciò dipende in gran parte dal rapporto con il contesto istituzionale in cui il setting si colloca, che naturalmente condiziona fortemente le modalità di contratto e di conduzione del gruppo. Il risultato è un impedimento al completo sviluppo della funzione terapeutica (si vedano in proposito le riflessioni conclusive di questo lavoro).

Per fare emergere quanto c'è di specifico nella situazione analitica di gruppo è necessario evitare l'importazione o la sovrapposizione all'esperienza di strumenti teorici o tecnici elaborati in altri contesti, compreso quello psicoanalitico duale (la dimensione ricercata non è certo quella di una psicoanalisi applicata nel gruppo). La riflessione degli ultimi decenni si è quindi sempre più orientata a costruire, per lo studio dell'oggetto gruppo un modello originale, correlato ma ampiamente distinto da quello psicoanalitico duale (rivelatosi insufficiente e/o inadeguato alla esplorazione dei fenomeni gruppali).

<<Nel modello freudiano non ha posto il molteplice come categoria generale, bensì il singolare, o tutt'al più il plurale come somma di singolarità individuale. Non ha posto il collettivo, bensì il personale, cosicché ogni relazione psicologica viene iscritta nel vettore obbligato 'soggetto-versus-oggetto'>> (F. Corrao, 1982). Nel piccolo gruppo invece le relazioni che si stabiliscono tra i membri sono largamente differenziabili dai fenomeni di transfert: sono multiple, reciprocamente simultanee, intersecate, riguardano <<soggetti che sono allo stesso tempo oggetti e viceversa>>. Nel gruppo sono inoltre evidenziabili relazioni dinamiche che intervengono tra i partecipanti e il loro stesso <<insieme: questo si configura come un oggetto unitario transpersonale>>, comune a tutti i membri, che contiene i membri, ma che è altresì contenuto nella mente dei singoli individui.

Già negli studi di W. Bion sui gruppi (1961) si trova un primo sostanziale distanziamento dal modello duale, nonché la iniziale costruzione di un nuovo modello specifico. <<Il fatto importante dell'osservazione di un gruppo (secondo Bion) è che essa cambia il campo di studio ... (della ricerca psicoanalitica) ... per includere fenomeni che non possono essere studiati al di fuori del gruppo. La loro attività infatti non si manifesta in nessun campo di studio esterno al gruppo>> (W. Bion, 1961). Partendo dalle riflessioni bioniane si è attivata una ricerca per la messa a punto di un modello adeguato all'indagine analitica del pensiero di gruppo (si veda in proposito la nota 'Il Gruppo Esperienziale nel corso di Laurea in Psicologia: nascita ed evoluzione del modello' di Marco Longo e Claudio Neri): da questi studi è nato il Gruppo Esperienziale.

Per descrivere con un'immagine il tipo di interazione dinamica che caratterizza lo sviluppo del pensiero nel Gruppo Esperienziale abbiamo utilizzato il modello della culla di spago (C. Neri, 1979a e 1979b). Come è noto, in questo gioco (che in certe zone dell'Oceania, dell'Africa e presso gli Eschimesi conserva tuttora un valore rituale e simbolico di messa in scena) un pezzo di spago, annodato per gli estremi, viene intrecciato tra le dita delle mani di una prima persona, assumendo la forma di una culla ... a turno poi altre persone raccolgono tra le dita lo spago, che assume ogni volta una nuova configurazione reticolare. Anche il lavoro del gruppo procede a salti, in una situazione in cui sono sospesi i comuni riferimenti spazio-temporali. Man mano che nel gruppo si sviluppa l'elaborazione conoscitiva, si struttura un orientamento linguistico e spazio-temporale interno e un crescente senso di appartenenza dei membri alla situazione esperienziale condivisa.

Nel gruppo la comprensione deriva dalla partecipazione e dalla possibilità di costituire un'area intellettiva, emotiva e fantasmatica comune, che possiamo definire area di appartenenza (C. Neri, 1979c). Essa rappresenta lo spazio ove hanno modo di attuarsi ed essere evidenziati tutti i rapporti di introflessione ed estroflessione tra gli individui e il gruppo.
L'area di appartenenza è investita parallelamente e contemporaneamente, da tutti i membri del gruppo, sia con fantasie che la considerano come uno spazio dinamico che permette un'estensione del Sé dei singoli individui, sia con fantasie che la identificano come uno spazio esterno al Sé, come il campo di azione ed espressione delle dinamiche del gruppo nel suo insieme. La costituzione e la stabilizzazione dell'area di appartenenza permette una relazione funzionale tra le parti e l'insieme, favorendo il superamento delle fasi di minor integrazione o di depersonalizzazione nel gruppo (C. Neri, 1982a).

Nel rapporto tra gruppo e individui sono osservabili ripetute oscillazioni (che corrispondono ad aggiustamenti personali della partecipazione dei membri intorno a due poli: I (individuo) e G (gruppo). Queste oscillazioni assumono una funzione di regolazione economica nel gruppo: quando l'appartenenza all'insieme sociale come individui con funzioni distinte (posizione I) comporta l'insorgere in loro di una intollerabile angoscia, accompagnata dalla crescente sensazione di perdita dell'identità del gruppo, vi è un'oscillazione verso la fusionalità, la depersonalizzazione o meglio la deindividuazione (posizione G); quando invece l'essere un gruppo, il funzionare come insieme con-fuso (G), viene avvertito con crescente senso di oppressione dai membri, le funzioni vengono riportate sugli individui (re-individuazione = I) (C. Neri, 1983a) .

Il gruppo, attraverso trasformazioni successive, orientate dalla funzione analitica attivata dal conduttore, elabora quanto è contenuto nell'area di appartenenza. Si tratta di materiali o di elementi di pensiero che possono essere più o meno evoluti; da ciò dipende in primo luogo la possibilità di una loro trasformazione in K (trasformazione conoscitiva, secondo Bion, 1965). Tuttavia anche gli elementi meno evoluti sono soggetti a un processo trasformativo, che in molti casi può facilitare il loro rientro nel campo dell'esperienza conoscibile. Ne deriva allora un arnpliamento dell'esperienza stessa, attraverso l'emergere di elementi nascenti del pensiero. Vediamo come ciò si realizza.

Nel gruppo avviene una continua evacuazione di materiali molto frammentati nell'area di appartenenza, a costituire una sorta di pulviscolo indistinto. In tale momento evacuativo i membri del gruppo possono percepire senso di pesantezza, torpore, blocco del pensiero, blocco della parola, ecc. Improvvise considerazioni nel materiale evacuato portano alla formazione di addensamenti, dotati di una rudimentale dimensione spazio-temporale e quindi capaci di inserirsi nel campo percettivo dei membri. All'evacuazione può seguire allora un momento di reimpatto, in eui possono rendersi evidenti fenomeni di tipo microallucinatorio (immagini vivide ma frammentarie, sensazioni cenestesiche, spasmi viscerali, ecc.): è in corrispondenza di tali fenomeni che, in determinate condizioni, è possibile recuperare parte del materiale precedentemente evacuato (C. Neri, 1982b).

Il reimpatto microallucinatorio, benché percepito dai membri, per lo più non arriva direttamente alla consapevolezza; le microallucinazioni tendono invece a riaffiorare indirettamente (racconto di sogni atipici = materiale microallueinatorio presentato come se fosse un sogno; comunicazione di ricordi-eventi = alterazioni della memoria; formazione divisioni-scarica = nucleo microallucinatorio su cui si fissano impressioni sensoriali). Il fatto da evidenziare in tutti questi esempi è che il materiale captato sotto forma di microallucinazioni può essere reimportato all'interno del campo esperienziale solo se prende contatto o si appoggia a materiale più evoluto (C. Neri, 1983b).

Dopo queste note di carattere generale sul gruppo a funzione analitica, in cui abbiamo accennato ai fattori trasformativi che sono alla base dei processi conoscitivi nel gruppo, vorremmo presentare alcune riflessioni sull'utilizzazione del gruppo esperienziale nel Corso di Laurea in Psicologia.

La partecipazione ai gruppi esperienziali si può dire che permetta agli studenti una sorta di metabolizzazione del rapporto con l'istituzione universitaria. La modalità con cui si costituisce l'area di appartenenza in questi gruppi rappresenta infatti una rara occasione di confronto con le norme istituzionali del contesto, che vengono in un certo senso relegate all'esterno dell'esperienza condivisa. Ogni gruppo si costruisce così la possibilità di affrontare abbastanza liberamente una vicenda emozionalmente carica, autodeterminata, centrata sul contributo collettivo dei membri.

A differenza però dei gruppi esperienziali attivati fuori del contesto istituzionale, in cui manca ad esempio la definizione preventiva di un termine dell'esperienza, i gruppi universitari sono notevolmente condizionati dai limiti inderogabili dell'anno accademico e dalla presenza dell'esame (anche se entrambe le cose vengono apparentemente dimenticate per quasi tutta la durata dell'esperienza, esse sono ovviamente implicite). La necessità di rispettare un termine consiglia una conduzione tesa a limitare l'intensità emotiva in questi gruppi, allo scopo di non favorire il sorgere di problematiche o angosce che potrebbero restare aperte nei membri dopo la fine dell'esperienza.

La conduzione dei gruppi universitari deve quindi essere centrata sulla prudenza, facilitando lo sviluppo di un assetto che permetta il manifestarsi di emozioni condivise, ma sollecitando il gruppo ad operare cognitivamente la loro elaborazione. Il conduttore deve sistematicamente astenersi dal prendere una posizione di carattere interpretativo, favorendo invece la libera circolazione del pensiero associativo e trasformativo nel gruppo.

In ogni Gruppo Esperienziale si addensano anche configurazioni parassitarie: in questo senso vanno considerati l'emergere di comportamenti micropatologici in certi individui o il manifestarsi di atteggiamenti di tipo transferenziale esagerato o erotizzato. Il conduttore di gruppo deve essere preparato ad affrontare le difficoltà che tutte queste situazioni introducono nella dinamica gruppale, minando la possibilità di mantenere il livello operazionale costruttivo del pensiero di gruppo (gruppo di lavoro, secondo Bion, 1961). Ciò vale ancor più per i gruppi universitari, nei quali è necessaria una conduzione volta a favorire le re-individuazione dei membri entro i limiti temporali dell'esperienza.

I gruppi esperienziali attivati nel Corso di Laurea in Psicologia comportano tuttavia negli studenti un progressivo aumento della capacità di autovalutazione dell'esperienza condivisa, che facilita l'elaborazione personale della fine del gruppo. A ciò si aggiungono il pieno ristabilirsi della consapevolezza della scadenza istituzionale rappresentata dall'esame e ancor più la tendenza a scrivere relazioni in cui raccogliere le proprie impressioni e riflessioni su]l'esperienza vissuta. Tutti questi fattori contribuiscono alla costituzione di una sorta di ritualizzazione conclusiva, atta ad esorcizzare le angosce relative all'avvicinarsi del termine prestabilito, favorendo la re-individuazione degli studenti dopo l'animante esperienza di gruppo.

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