PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> SPORT E PSICHE

PSYCHOMEDIA
RELAZIONE GRUPPO<=>INDIVIDUO
Sport e Psiche



L'immersione subacquea e la pratica psicoanalitica:
esperienza del flusso, attenzione fluttuante e stati di coscienza non ordinari

Guglielmo Campione



"Un uomo mi disse che preferiva fare subacquea nei laghi alpini, piuttosto che nei mari tropicali.
Trovava la vita marina in acqua calda troppo piena di distrazioni, troppo ricca di colori e cose da fare e da toccare.
Per lui, la gioia dell'immersione era avere l'opportunità di vedere dentro se stesso.
Al fine di esaminare il suo carattere aveva bisogno di trovarsi in acque fredde, scure e profonde in cui l'immersione, il semplice respirare sott'acqua erano il fine in sé
". (Ecott T, 2001)


"(...)vivere la vita come un opera d'arte invece che una risposta caotica ad eventi esterni.
Spesso sentiamo il senso di trascendenza come se i confini del sé si fossero espansi. Il marinaio si sente tutt'uno con il vento, il mare e la barca; il cantante sente un misterioso senso di universale armonia. In questi momenti la coscienza del tempo scompare e le ore sembrano volare via senza accorgersene. Questo stato di coscienza si avvicina a ciò che chiamiamo felicità: è lo stato di Flusso(...)
". (Mihaly Csikszentmihalyi, 1986)


Mentre negli anni 70 si dirigeva la propria attenzione ai cambiamenti sociali attraverso la lotta di classe io ero interessato ai cambiamenti interni. Mi pareva, forse già da allora che i veri cambiamenti potevano venire da un lavoro individuale d'ognuno su di sé.
La prima lettura di Freud ai tempi della I^ liceo classico (Totem e tabù, Introduzione alla psicoanalisi, L'interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana, La vita sessuale) mi parve folgorante. Avevo da poco iniziato lo studio della filosofia con i presocratici, socrate, platone e Aristotele.
Mi pareva però che, mentre, la filosofia cercava di rispondere a domande sull'essere, sui suoi rapporti con la natura e sulle origini del creato, sulla necessità di un'etica per la convivenza sociale, la psicoanalisi, in anni in cui la spinta ad esistere come soggetto unico e irriducibile iniziava a sentirsi intensamente anche dal punto di vista sessuale, offriva un punto di vista sull'interiorità che mi pareva più concreto e vicino alla mia vita.
Su un versante più ludico, essendo il mare la mia grande passione, già dall'età di 8 anni mi divertivo a pescare in apnea.
L'esperienze dell'immersione e dell'introspezione già mi parevano misteriosamente collegate in qualche modo, sin da allora: mi incuriosiva moltissimo notare come nell'immersione subacquea si potesse passare subitaneamente da una dimensione ad un'altra, dal rumore al silenzio, dal muoversi reggendosi sulle gambe e in un peculiare equilibrio, ad un galleggiare in tutt'altra posizione, da una gamma di colori ad un'altra ma soprattutto da quella sensazione beata di essere unito al tutto, di essere appunto immerso, non separato, e guidato dalla concentrazione spontanea e non forzata sul respiro. Solo anni dopo scoprii che quella spontanea tecnica insegnatami da un insegnante collega di mia madre, appassionato sub e mio primo maestro per pescare i ricci e le granseole e per arpionare qualche mormora fra le poseidonie alla profondità, che mi pareva vertiginosa di 3 - 5 metri, aveva qualcosa a che fare con le tecniche yoga e permetteva l'accesso ad un diverso stato di coscienza.

1. L'esperienza del "Blu" e l'esperienza del "Perturbante"

Ricordo molto bene la prima esperienza dell'incontro con il Blu, termine usato dai subacquei per indicare l'immersione senza punti di riferimento se non quello della cima della barca o della shamandura, come si dice in Egitto. La discesa nel blu è considerata un indice di difficoltà nelle immersioni subacquee per via dell'esperienza di disorientamento cui si può andare incontro nella deprivazione di punti di riferimento spaziali e temporali e di gravità, le coordinate che reggono il nostro essere nel mondo terrestre.
Pinneggiavo lungo il perimetro di un faraglione all'isola di Dino in Calabria, quando all'improvviso appena svoltata una punta mi si parò di fronte un abisso celeste ignoto al contempo fascinoso e temibile immediatamente commentato da un impennata della mia frequenza respiratoria tanto più evidente quanto amplificata dalle superiori capacità di trasmissione sonora dell'acqua.
Ero solo un ragazzo e solo dopo molti anni avrei imparato ad immergermi con l'uso dello scuba e delle bombole a ben altre profondità. L'esperienza del disorientamento è ora vissuta da me come un'esperienza di passaggio sempre molto intensa ma non più così panica perché conosciuta e ripetuta tante volte, perché esperita come un'esperienza parziale e non totale, comunque come un'esperienza a termine con un inizio e una fine e soprattutto alla fine della quale c'è in discesa l'apertura ad un mondo meraviglioso e in risalita il ritorno all'aria e alla terra.
Le esperienze mi parevano collegate in qualche modo dicevo.
I più recenti studi di psicologia fetale hanno dimostrato non solo che il feto, immerso com'è nell'amnios, è in grado di ricevere informazioni sonore sia dal mondo esterno che da quello interno al grembo materno, ma anche di memorizzarle e ritenerle per un periodo di tempo limitato dopo la nascita. La funzione di queste "memorie sonore" sarebbe proprio quella di consentire al feto, una volta nato, di percepire il mondo come un po' più familiare di quanto non sarebbe altrimenti, consentendogli per esempio di "riconoscere" la madre, i familiari o addirittura i modelli musicali e linguistici propri della sua cultura appena li incontra nella vita extrauterina.
Da un punto di vista sonoro il mondo del sommozzatore e quello del feto sono molto simili, se non altro perché, essendo entrambi immersi in un liquido, la trasmissione dei suoni avviene con le stesse modalità fisiche e quindi per conduzione ossea. Non ci sono molti studi riguardo alla capacità di questa particolare via trasmissiva di suscitare emozioni né tanto meno sulla possibilità di richiamare "memorie fetali" se posti nelle stesse condizioni, come appunto l'immersione, da adulti.
Sott'acqua, proprio per l'inefficacia quasi assoluta dell'apparato uditivo umano, è possibile ricevere solo alcune delle componenti del segnale acustico, in particolare quelle captate dalla risonanza della scatola cranica che definiscono una conduzione ossea del suono, estremamente fisica e tale da generare un immaginario introspettivo e personale, per una sorta di completamento gestaltico della mente.
All'epoca della conoscenza libresca della psicoanalisi certo si trattava di una discesa nel profondo della riflessione individuale o dell'autoanalisi, per usare un termine caro agli esordi del metodo psicoanalitico ( mi piace pensare che fra le prime esperienze psicoanalitiche della storia vi fu quella in qualche modo marina delle analisi reciproche fatte da Freud, Jung e altri sulla nave che li avrebbe condotti negli stati uniti).
Vi fu molti anni dopo l'esperienza analitica personale di gruppo come paziente e al contempo e a seguire quella dell'attività con i pazienti e della supervisione.
E l'esperienza dell'immersione si ripresentò sotto altre vesti ma sempre con qualche analogìa all'immersione subacquea. Si riaffacciò l'esperienza del faraglione dell'isola di Dino. L'esperienza dell'improvviso manifestarsi dell'ansia collegata all'esperienza della discesa o della risonanza, della presa di contatto con altri mondi, con l'inconscio dei pazienti. E' questa un'esperienza del perturbante, per dirla con Freud?
L'effetto perturbante, sollecita ora percezioni, ora riflessioni, ora piacere, ora disagio, per qualcosa che in qualche modo mentre risulta familiare, continua ad essere sfuggente, o per meglio dire difficilmente classificabile secondo i canoni della ragione.
Freud tratta il perturbante, unheimliche in lingua tedesca, in un saggio pubblicato per la prima volta in Imago nel 1919, ma elaborato già diversi anni prima. L'autore è insoddisfatto dall'identificazione tout court del termine con: insolito, orrido, angoscioso e poco convinto dal tentativo di definizione effettuato da Jentsch, che concludeva il suo saggio Zur Psychologie das Unheimlichen del 1906 con l'equazione "perturbante = inconsueto"; si propone pertanto di chiarire ulteriormente che cosa sia l'Unheimliche.
"Non c'è dubbio che esso appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, tanto che quasi sempre coincide con ciò che è genericamente angoscioso. E' lecito tuttavia aspettarsi che esista un nucleo particolare che giustifichi l'impiego di una particolare terminologia concettuale. Ciò che vorremmo sapere è: che cos'è questo nucleo comune che consente appunto di distinguere, nell'ambito dell'angoscioso, un che di perturbante"?
Che cosa sia questo nucleo particolare egli lo anticipa subito, per passare poi ad illustrare il percorso di ricerca fatto per giungervi: "il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto c'è noto da lungo tempo, a ciò che c'è familiare".
Se ci troviamo in un ambiente sconosciuto o, peggio, che non ci offre la possibilità di sfruttare i nostri canali sensoriali preferenziali, il nostro livello di arousal aumenta. Lo scopo è quello di permetterci di affrontare al meglio una situazione nuova, ma in alcuni casi può andare oltre l'intenzione e diventare disfunzionale.
Sono in seduta.Sto ascoltando Andrea, in un a vis a vis. Quando improvvisamente, in seguito ad un mio intervento interpretativo, probabilmente troppo repentino e precoce, Andrea si dissocia, si blocca, tace a lungo e il suo sguardo cambia completamente, pare non guardarmi più con gli occhi del qui e ora ma con altri occhi: l'espressione è sofferta e rabbiosa, respira un po' affannosamente, sbuffa- espira forzatamente. E' come se mi fossi catapultato alla svolta del faraglione e mi trovassi inaspettatamente immerso nel blu con un'importante differenza. In acqua non feci altro che adottare un comportamento arcaico di fuga, in acqua comunque molto pericoloso e poco adatti.
In seduta non c'era quella possibilità: condivisi con Andrea la potenza panica di quel salto spazio temporale, e l'atmosfera emotiva della nuova scena riprendendo la parola e chiedendogli come stava e a che pensava e se poteva e voleva dirmelo. Mi raccontò, come poteva, cosa stava vivendo e provando: era come se stesse guardando da dietro i suoi occhi con lo sguardo di sua madre.
Guardava con lo sguardo di un altro e contemporaneamente con il suo, ma viveva questa situazione rabbiosamente come se si sentisse prigioniero del punto di vista angusto di sua madre.

2. L'esperienza analitica di gruppo come fonte di esperienza per le immersioni e viceversa

L'esperienza analitica di gruppo fu un'altra fonte di esperienza di immersioni: lo stare in cerchio è come se permettesse una visione diversa da quella tipica della situazione duale.
Nella percezione visiva il ricevente ha sempre la sensazione di essere al limite del suo campo visivo e quindi il suo orizzonte percettivo corrisponde a quello che si trova di fronte e ai lati rispetto alla direzione in cui sta guardando. Nella percezione sonora, invece, il ricevente si trova sempre al centro dell'esperienza percettiva, tanto che risulta ugualmente se non più sensibile ai suoni che gli provengono da dietro rispetto a quelli che gli provengono dal davanti. Si può quindi dire che mentre la visione è un mondo oggettivo di cui noi non siamo parte ma osservatori, il suono è un mondo di eventi che ci pone come protagonisti diretti fin dalla vita intrauterina. Bisogna infatti ricordare che le prime informazioni sensoriali in questa fase dello sviluppo, così come nella primissima infanzia sono di natura sonora e solo in seguito visive.
Nella situazione di gruppo è la disposizione spaziale che è diversa: lo stare in cerchio evoca simbolicamente una disposizione a mandala che richiama l'unità olistica e tridimensionale dell'ologramma. Si è parti, punti della circonferenza o talvolta centro o raggio o corda. Il condividere la stessa posizione permette maggiormente l'esperienza della condivisione della fruizione dello stesso spazio, come in immersione.
In questa posizione è più difficile tenere il controllo della posizione duale o dell'assetto come diremo nella subacquea: si è più dentro, più coinvolti, è necessario immergersi ed emergere, unirsi e separarsi tante volte durante la seduta, come in sistole e diastole.
Il gruppo è un milieu comune come l'acqua ed è il dispositivo più potente per evocare e presentificare l'esperienza della relazione primaria, anche per l'analista come affermò Bion nella famosa equazione gruppo-seno.
Un'esperienza di indistinzione primaria, di indifferenziazione.
Per certi versi in acqua siamo tutti un po' più uguali come in gruppo. In acqua, come in certe fasi del gruppo, non vengono ben visti gli atteggiamenti individualisti che trasgrediscono le regole annunciate nel briefing pre-immersione a riguardo della scelta del compagno, della quota massima di profondità, della durata, della regola dei terzi d'aria nelle bombole, degli stop di decompressione. In condizioni non naturali, infatti, il legame di gruppo è sentito come una fonte di forza e rassicurazione, che permette solo a queste condizioni, l'esplorazione e la presa di contatto con dimensioni altre familiari e ignote al contempo, in condizioni di tranquillità e di benessere. I legami solidaristici in acqua fanno sì che la durata dell'immersione sia tarata sul subacqueo che ha meno autonomia e consumi, spesso ma non sempre il subacqueo meno esperto o meno allenato in quel momento della stagione.
Altra cosa è la subacquea tecnica ma soprattutto la subacquea tecnica estrema che può incrociarsi, secondo S. Capodieci ( 2008), con tratti di personalità narcisistici inconsapevoli (Gabbard, 1989), dalla pelle dura (Rosenfeld, 1987), overt (Wink, Akhtar, Thomson (1982), associati alla dimensione temperamentale grandiosità-esibizionismo. Siamo sul versante narcisistico-individualistico opposto a quello, socialistico-solidaristico, per dirla con Bion, della subacquea ricreativa.

3. L'analogia fra lo stato mentale dell'analista e l'assetto nell'immersione

L'assetto è considerata la cosa più importante nell'immersione. Dalla capacità di saper usare l'assetto giusto al variare delle situazioni ( grotte, tunnel, relitti, correnti, pareti) è possibile riconoscere l'esperienza del sub. Come quest'ultimo non può essere dato una volta per tutte, ma cambiare a secondo della condizioni ( correggere l'assetto diventando più negativi per scendere (capacità negativa di Bion ?) o più positivi per risalire, stabilizzare l'assetto.
Una condizione mentale rilassata permette il funzionale controllo dell'assetto. Ogni turbamento mentale e fisico squilibra la posizione orizzontale e richiede un controllo cosciente manuale e/o respiratorio per riconquistarla.
Così lo stato di coscienza dell'analista, il suo assetto, può subire modificazioni e turbamenti e richiedere aggiustamenti coscienti. Ma come questo viene insegnato? Questo può essere insegnato, essere oggetto di materia d'insegnamento?
Nella subacquea è fondamentale acquisire autocontrollo attraverso il controllo della respirazione e della frequenza cardiaca: ci si deve rivolgere anche qui ad altre branche del sapere per sviluppare queste capacità. L'insegnamento di Jacques Mayol, memorabile apneista francese recordman del mondo di apnea negli anni 60, accompagnato da Giancarlo Ricci, psichiatra della sua equipe non a caso, è stato questo: dalle tecniche yoga è possibile apprendere molto per migliorare lo stato mentale del subacqueo (ma non solo).
Anche forse per la psicoanalisi, per apprendere a sviluppare la capacità negativa è possibile rivolgersi ad altre branche del sapere. Chi ci insegna ad entrare in diverso stato mentale funzionale al nostro lavoro. I primi psicoanalisti ispirati a Bion, a partire da Bion "indiano", sono equiparabili ai primi mitici subacquei che hanno affrontato le discese negli abissi non disponendo dell'ausilio tecnico di cui disponiamo oggi. La maturazione della capacità mentale di entrare e uscire da diversi stati della mente è possibile conquistarla, certamente a fatica, esclusivamente solo sul campo psicoanalitico o anche grazie ad altre esperienze non psicoanalitiche?
Man mano che procedeva la mia esperienza di subacqueo pareva migliorare la mia capacità di stare in gruppo: immergersi nell'ignoto, non poter barare con se stessi e non poter usare maschere sott'acqua se non quella di vetro e silicone, stare in ascolto di se stessi attraverso i segnali mentali e quelli corporei, infatti è fondamentale in una come nell'altra attività.
Per affrontare le difficoltà che possono insorgere in immersione è necessario conoscere i segnali premonitori(affanno, tachicardia) dello stress fisico e mentale. Le condotte impulsive vengono reputate molto pericolose per la propria e l'altrui incolumità e addebitabili all'emersione di patterns comportamentali arcaici di attacco o fuga (stato P S o Assunti di base di attacco e fuga di Bion in cui prevale il funzionamento mentale arcaico di scissione e proiezione agli antipodi di quello D in cui sono più propenso a riflettere e ad ascoltare me stesso?) assolutamente disfunzionali e inadatti al contesto. In tali condizioni, al contrario, come d'altro canto in seduta, ci si deve invece fermare, pensare e solo dopo decidere come agire, distaccandosi dalla concentrazione percettiva sul pensiero intrusivo della paura attraverso la concentrazione sul respiro e il suo rallentamento alla frequenza base. Nel training subacqueo rescue o di soccorso si impara che, se so come e quando farlo su di me, saprò come e quando intervenire sugli altri e viceversa. Mi pare che aiutare i nostri pazienti ad affrontare la paura non può non passare attraverso un'analoga esperienza personale fatta in analisi personale e didattica.
Il momento dell'inizio delle sedute mi ha sempre incuriosito molto sin dal principio. Quando inizio una seduta mi rendo conto di entrare progressivamente in un diverso stato mentale rispetto a quello ordinario. Con il passare del tempo mi sono accorto che per fare in modo che questo passaggio avvenga bene sia per me sia per i pazienti è necessario che sia graduale e non repentino. E' un po' come se avessi bisogno di uno spazio di "decompressione" prima e dopo il lavoro. L'organizzazione spazio temporale del setting ritengo abbia, tra tutte le altre note, una funzione rituale che permette il passaggio da uno stato mentale all'altro.
Analogamente nell'immersione subacquea, si passa repentinamente, nel momento della discesa in acqua, da una condizione mentale ad un'altra. Si passa da una postura verticale e di presenza di gravità ad una orizzontale e di assenza di gravità, da una condizione di respirazione automatica ad una di respirazione controllata, da una condizione di percezione uditiva e visiva ad un'altra, ecc. Tutte queste variazioni sono all'origine e/o si accompagnano ad un mutamento nel funzionamento mentale.
E' necessario ristrutturare il sistema attentivo per essere in sintonia col proprio mondo interno e con l'altro da sé. La ri-strutturazione del sistema attentivo serve al terapeuta per mettere in risonanza il suo mondo interno (pensiero ed emozioni) con quello del paziente. Ma come può indursi e stabilizzarsi questo stato mentale particolare o stato di coscienza? Per quel che si sa le tecniche che permettono di entrare in uno stato di flusso sono di tipo autoinduttivo e hanno, in generale, una stessa metodologia: quella, di concentrare l'attenzione su un campo di stimoli limitato (concentrazione sul respiro per es.). Da un po' di tempo mi chiedo, e la descrizione del funzionamento mentale dell'analista descritto da Bion ha senz'altro ulteriormente stimolato questa mia curiosità, se e com'è possibile apprendere in altro modo, ad entrare in questo stato di coscienza congeniale al nostro lavoro. Nel mondo della subacquea, grazie al contributo di Jacques Mayol, abbiamo imparato a capire che le tecniche yoga possono essere molto utili ad entrare in un diverso stato mentale più funzionale di quello ordinario. Non sono al corrente di un dibattito del genere in ambiente psicoanalitico (ad eccezione dell'esempio di un'analista bioniano che conosco e che pratica, non a caso, lo Yoga) e mi piacerebbe saperne di più. La fase di passaggio è molto sentita dai subacquei ed è ritualizzata dal briefing pre-immersione e dalla preparazione dell'attrezzatura, dalla vestizione della muta, dal controllo della strumentazione ecc.
Procedendo con l'analogìa, lo stare nella stanza della terapia e ricevere i pazienti è un po' come stare già in acqua in superficie e attendere che i pazienti, a poco a poco, entrino in acqua uno alla volta.
In acqua quando ci siamo tutti, diamo il segnale di ok e ci immergiamo: così nel gruppo quando uno dei membri inizia a parlare ci dà il segnale che inizia l'immersione e la discesa.
Così quando è finita l'immersione il conduttore avverte tutti che il tempo è scaduto e si ritorna in superficie alla vita di ogni giorno, si torna a casa da mogli, figli, genitori, solitudine, lavoro, ecc. .
Le esperienze mi paiono simili, per quanto solo da un certo punto di vista, per il loro condividere la necessità di saper sostare in un particolare stato mentale, diverso da quello ordinario: lo stato di Flusso

4. Lo stato di Flusso

'Flusso' deriva dal termine latino affluxum (participio passato di affluere): scorrere, fluire. 'Fluttuare' da fluere, 'fluire'; 'fluttuante': mosso dai flutti, dal vento, ondeggiante, instabile, soggetto a variazioni; è opposto a 'consolidato'.
Il termine 'flusso' è stato introdotto, nell'accezione psicologica, da William James, nella sua celebre opera Principi di psicologia. James introducendo il concetto di flusso di pensiero intendeva sostenere che il pensiero è verosimilmente continuo. La coscienza è simile alla vita di un uccello, essa sembra essere un'alternativa di voli e di riposi. [...] I punti di riposo sono occupati da immagini sensoriali, i punti che corrispondono ai voli, invece, sono occupati da pensieri di relazioni, statiche o dinamiche, che si formano per la maggior parte fra i fatti considerati nei periodi di relativo riposo." (W. James, pp. 192-193).
Le "libere associazioni" e la loro controparte: "l'attenzione fluttuante", trovano origine proprio in questa modalità primaria del funzionamento del pensiero.
Nel 1912 Freud, in "Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico" affermò che nella seduta psicoanalitica è importante "prendere nota di nulla in particolare e (...) porgere a tutto ciò che ci capita di ascoltare la medesima "attenzione fluttuante"." (pp. 532-533)
Bion riprendendo il concetto freudiano di "attenzione fluttuante" ha suggerito come deve essere l'assetto mentale dell'analista: " scarta la tua memoria, scarta il tempo futuro del tuo desiderio; dimenticali entrambi, sia quello che sapevi sia quello che vuoi, in modo da lasciare spazio ad una nuova idea. Forse sta fluttuando nella stanza in cerca di dimora un pensiero, un'idea che nessuno reclama..." (Bion, in Letture bioniane, p. 252)
L'assenza di memoria e di desiderio è il prerequisito di ogni procedimento volto alla conoscenza. Se l'analista riempie eccessivamente lo spazio mentale della seduta con il proprio bagaglio cognitivo ed emotivo, si può prevedere che in una tale condizione non ci sarà molto posto per "l'altro" (il paziente).
"Se la sua mente è preoccupata di ciò che è detto o non è detto o di ciò che egli spera o non spera, egli non può consentire che emerga l'esperienza e soprattutto quell'aspetto dell'esperienza che è qualcosa di più del suono della voce del paziente o della vista dei suoi atteggiamenti" (Bion, p. 59).
Il consiglio di considerare il paziente come se lo si vedesse per la prima volta implica la possibilità di avventurarsi nel qui-ed-ora della seduta con la mente libera e sgombra da ogni pregiudizio.
Bion postula l'esistenza di una memoria onirica in cui, invece di focalizzare l'attenzione o concentrarsi su di un dato evento, il terapeuta deve lasciare i pensieri liberi di fluttuare nella propria mente, così come nel sogno le immagini si alternano senza una sequenza ben definita. Adottando questo atteggiamento il terapeuta deve avere una grande capacità di sopportare la frustrazione dovuta alla non immediata comprensione degli eventi sviluppati in analisi e, conseguentemente, la forza per non cadere nella tentazione di utilizzare facili interpretazioni; tutto questo è possibile solo attraverso un "atto di fede" nel processo analitico. "Tale "atto di fede" è da considerarsi non come un'abdicazione acritica al trascendente e al soprannaturale né come un punto di vista religioso (quale può intendersi nell'accezione comune del termine), ma come un assetto mentale peculiare al procedimento scientifico, che permette all'analista di sviluppare quella funzione della personalità, l'intuizione, attraverso cui diventa possibile "captare" gli stati emotivi "in fieri"." (Letture bioniane, p. 199)
L'atto di fede consente la sospensione del giudizio grazie alla quale l'Io del clinico è libero di muoversi tra sé e il paziente, tra il pensiero e le emozioni. Il terapeuta si trova inevitabilmente in una fluttuazione paradossale tra lo stare in immersione e lo stare in riflessione (o fuori dall'acqua), tra l'"essere al di qua" e "non essere al di qua" .
Riuscendo a superare i confini che separano il proprio pensiero cosciente (razionale) da quello inconscio (irrazionale, guidato dal processo primario), l'analista è libero di accedere ad un ascolto in stato di rêverie, e nello stesso tempo, è capace di tenere sotto controllo le emozioni
Come nell'esperienza di smarrimento della perdita delle coordinate spaziali nella discesa nel blu, l'Io del terapeuta si trova introdotto in uno stato di smarrimento: di colpo vengono meno le coordinate spaziali, temporali, sociali, relazionali, culturali-teoriche, che normalmente stabilizzano la percezione della propria identità. Questo stato confusionale è il primo momento di quel processo di 'trasformazione dell'identità' in "stato di flusso".

Secondo il più importante studioso dello stato di flusso, lo Psicologo Ungherese Mihaly Csikszentmihalyi [pronuncia: Chicks sent me high lee], l'esperienza di Flusso si raggiunge all'incrocio tra alto livello di sfida dell'esperienza e alte capacità. Agli estremi di questa esperienza ci sono l'ansia e la noia.Mi chiedo quanto le sedute impegnative condotte con un bagaglio di capacità notevoli, non possa essere rappresentato per l'appunto nella parte destra del diagramma.
Lo stato di flusso è una dimensione nella quale si abbandona un Io rigido legato a memoria e desideri, a favore di un Io più fluido, abbandonato al vissuto del fluire. Come osserva C. Tart, ci troviamo in un altro stato di coscienza, rispetto a quello ordinario, che è caratterizzato da un proprio pensiero, da una logica propria, da un tempo proprio, da un linguaggio proprio, da una memoria specifica di quello stato.
Il passaggio è regolato da una sorta di silenzio interiore. Il silenzio consente di fermare l'ordine in cui gli eventi si presentano: è la realizzazione dell' hic-et-nunc. Da questo punto di vista l'importanza mentale del silenzio in immersione è testimoniata dalla ricerca di nuove tecniche respiratorie più silenziose della respirazione dalla tradizionale bombola come quella del rebreather.
Come dice il neurofisiologo Charles Tart, in un brano che ricorda Fernando Pessoa in poesia, "l'uomo non può avere un 'Io' permanente ed unico, il suo 'io' cambia velocemente come i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi umori, ed egli commette un errore profondo quando si considera come se fosse sempre una sola e stessa persona; in realtà egli è sempre una persona differente; non è mai quello che era un momento prima. L'uomo non ha un 'Io' permanente ed immutabile. [...] L'uomo è una pluralità".
Una volta che il terapeuta si identifica nel suo ruolo il risultante stato di identità stabilizza il suo stato di coscienza rendendolo impermeabile alle risonanze con l'altro.
"L'identità conduce a una percezione selettiva per rendere le percezioni congruenti con lo stato di identità che domina al momento. Alcuni tipi di percezione che possono attivare altri stati di identità vengono rimossi." (Tart, 1977)
Casement a questo proposito mette in primo piano la capacità del terapeuta di poter stabilire un rapporto empatico con il paziente per poter meglio comprenderne le peculiari caratteristiche. Casement mette in luce come questa capacità empatica, di vivere in prima persona le esperienze del paziente, possa essere realizzata attraverso quella che egli stesso ha definito: risonanza del terapeuta al paziente. Egli puntualizza come spesso ciascuno di noi non è in grado di sperimentare emozioni diverse da quelle che ordinariamente utilizza. "È necessario che la risonanza inconscia copra la più vasta gamma possibile di emozioni: il clinico non deve ridursi alle proprie esperienze, al proprio modo di essere e di sentire [abituale]; ognuno di noi, probabilmente ha in sé il potenziale per provare tutti i sentimenti e vibrare in modo empatico di fronte a qualsiasi esperienza, per quanto strana o aliena possa apparire al nostro sé conscio; ma in presenza di aree di rimozione o di persistente disconoscimento si avranno sempre livelli di emozioni sordi ad ogni stimolo, difficili da evocare" (Casement, 1989).
Casement parla di "aree di rimozione" che non permettono al terapeuta di poter affrontare liberamente tutte le esperienze offerte dal paziente. Queste note mi hanno fatto pensare al difficile ed affascinante tema bioniano della trasformazione in O (K_O) cioè del passaggio dal sapere circa qualcosa (K) all'essere questo qualcosa (O) e al tema correlato del cambiamento catastrofico, come conseguenza della disorganizzazione del sistema di convinzioni costruito in precedenza.
Cosi come un corretto training subacqueo consiste nel fare il più vario e vasto campo di esperienze in immersione è utile, quindi, seguire una corretta analisi personale capace di stabilire un contatto con il maggior numero di vissuti possibili (emozioni, sensazioni, fantasie). Se, come sostengono alcuni autori (Cavallo & Stagnitta, 1994) , l'attenzione fluttuante rappresenta una tecnica fondamentale, allora non è possibile trascurare questo aspetto nella formazione clinica. Da qui la necessità di prevedere nell'iter formativo uno specifico training sull'autoinduzione e gestione dello stato di coscienza flusso/riflessività. Tale apprendimento renderà il terapeuta capace di utilizzare proficuamente la tecnica dell'attenzione fluttuante (Cavallo &n Stagnitta, 1994).
Per tornare all'immersione in gruppo, penso sia sempre importante, essere presente senza interferire con l'atmosfera prevalente nel gruppo, ma anzi quanto più serenamente possibile immergersi in essa perché questo permette ai membri di comprendere che non il terapeuta, ma il "gruppo" consente di sperimentare quell'ambiente "sufficientemente buono" in cui si può con fiducia lasciarsi andare all'esperienza. Si potrebbe dire che probabilmente la fase del gruppo dei pari (che ricorda un po' la fase di Comunità dei fratelli di cui parla Neri) possa rappresentare una fase iniziale indispensabile - più o meno lunga - in cui è necessario che il gruppo costruisca prioritariamente la sua coesione ed il terapeuta stia a sorvegliarlo - tranquillamente - stando un po' defilato.
Per usare una metafora che mi viene dalla mia esperienza di subacqueo si potrebbe dire che per immergersi è necessario poter contare sulla fiducia nel saper riemergere, sulla fiducia in sé stesso ma anche nella capacità e disponibilità dei propri compagni d'immersione di cooperare ai propri reciproci bisogni di sicurezza in un ambiente nuovo e potenzialmente ostile oltre che misterioso e affascinante.
Ancora un modo, in altre parole, per mettere insieme la propria personale capacità di reverie e d'autoascolto, che nella subacquea come nel nostro lavoro, è di fondamentale importanza, con quella del gruppo.


Nota:
Il filosofo francese H. Bergson, aveva già parlato di tempo di coscienza, o tempo oggettivo o di realtà, il tempo dell'orologio, e di tempo vissuto, o tempo soggettivo, sottolineando come il concetto di tempo va visto anche alla luce del concetto di durata e che questa dimensione è intensamente influenzata dallo stato emotivo del soggetto.
In letteratura J. Joyce ha parlato di "stream of consciousness", Flusso di coscienza, come di quella dimensione "liquida" più autentica della vita mentale che è possibile tradurre per difetto in scrittura solo trascurando la punteggiatura, la sosta, come dimostrò nella stesura dell'"Ulisse".
Di liquidità, infine, ha parlato Zygmunt Baumann, come caratteristica principale dell'identità personale e culturale nell'epoca attuale della globalizzazione e del no limits.


Bibliografia

Amadio P., Capodieci S., Sport estremo e patologia narcisistica, PsychoMedia, 10 Luglio 2008.
Baumann Z., Modernità liquida, Laterza, 2002.
Bergson H., Opere, Mondadori,1996.
Bion W. R., Attenzione e interpretazione, Armando, 1973.
Campione G., L' esperienza di gruppo psicoanalitico in un servizio di cura per Tossicomani, Milano, 2008.
Capodieci S., L'interesse scientifico per la psicologia subacquea, in Venza G. et al., Psicologia e psicodinamica dell'immersione subacquea, Franco Angeli, 2006.
Casement P., Apprendere dall'esperienza, Milano, Raffaello Cortina, 1989.
Csikszentmihalyi M., Il significato degli oggetti, Roma, Kappa, 1986.
Cavallo M., Stagnitta S., Attenzione fluttuante ovvero il terapeuta in stato di Flusso/Riflessività, Informazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, n. 22, 1994, pp. 22-28.
Ecott T., Assetto neutro. La storia e l'avventura delle immersioni subacquee, Mondatori, 2001.
Neri C., Correale A., Fadda P., Letture bioniane, Borla, 1994.
Forrester M.A. Auditory perception and sound as event: Theorising sound imagery in psychology, Sound Journal, www.ukc.ac.uk/sdfva/sound-journal/forrester001.html, 2006.
Freud S., Il perturbante, Opere, Torino, Boringhieri, 1974.
Gargiulo M.L. (2002), La dimensione extravisiva nell'immersione subacquea. Relazione presentata al Convegno "Psiche e immersioni" S. Vito Lo Capo 17-19 ottobre 2002.
Joyce J., Ulisse, Mondatori, 2000.
Naranjo C., Atteggiamento e prassi della terapia gestaltica, Roma, Melusina, 1991.
Sabbadini A., On Sounds, Children, Identity and a 'Quite Unmusical' Man, Sound Journal, 1998, 1, 1-10, www.kent.ac.uk/sdfva/sound-journal/sabbadini981.html
Tart C., Stati di coscienza, Astrolabio, 1977.
Venza G., Capodieci S. et al., Psicologia e psicodinamica dell'immersione subacquea, Franco Angeli, 2006.
Zerbinatti E., Suoni e silenzio nell'immersione subacquea, PsychoMedia, 10 Gennaio 2008.


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> SPORT E PSICHE