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Scuola e Istruzione



Intervista a Simonetta Fasoli, Anna Matricardi e Diana Cesarin
del Movimento di Cooperazione Educativa

a cura di Olimpia Di Stefano e Luca Iani



Che cos' è il Movimento di Cooperazione Educativa?

Simonetta Fasoli: - L'MCE è un'associazione professionale di insegnanti e di operatori della scuola che ha una lunga storia ormai: è sorta nel 1951 con una denominazione diversa all'origine, che era l'Associazione della Cooperativa della Tipografia a Scuola e faceva riferimento specifico già dall'origine al pensiero ed alla pratica educativa di Freinet e come riferimento alla tipografia che era l'elemento base e materiale delle sue tecniche. Nel corso degli anni ha seguito una evoluzione culturale e organizzativa in parallelo con i cambiamenti e le trasformazioni sociali non solo della società ma anche della scuola italiana, fino a configurare attualmente un panorama che è caratterizzato dalla varietà e dalla pluralità delle voci del movimento e che non significa dispersione di energie e di percorsi, ma ricerca continua perché nel movimento, anche in forma militante, di quello che connette, che mette insieme, che crea il disegno possibile e praticabile dell'associazione oggi con una forte attenzione agli aspetti della formazione intesa come risorsa primaria della scuola e della pratica educativa che è il terreno in cui gli insegnanti e gli operatori MCE si misurano quotidianamente. E' il terreno della loro militanza. Direi che attualmente l'attenzione culturale che si può rintracciare nel movimento va a quella che noi all'interno definiamo la relazione educativa nel senso meno psicologistico e meno riduttivo del termine, la relazione educativa come quel luogo in cui il contesto, lo sfondo istituzionale, culturale e teorico e le connessioni, gli intrecci, le tecniche trovano significato. Questo si traduce in una serie di prese di posizione che non sono la linea del movimento, ma sono ciò che sta al fondo delle diverse proposte interne al movimento. Il rapporto che c'è, per esempio, tra le tecniche di mediazione didattica e la relazione è fondato sulla reciprocità, e questo va sottolineato perché le forme deteriori di didatticismo, le ricette preconfezionate, i pacchetti formativi che sono attualmente sul mercato sono l'altro versante, rappresentano una proposta che non appartiene alla cultura MCE.

D. - COME SI PROSPETTA ATTUALMENTE L'MCE, CHE TIPO DI ADESIONE C'È TRA GLI INSEGNANTI, PRESSO QUALI SCUOLE L'MCE HA UNA PRESENZA PECULIARE, QUALI SONO LE PROSPETTIVE ATTUALI DELL'MCE?

Simonetta Fasoli: - Dare una risposta definita rischia di essere fuorviante. Il patrimonio più significativo dell'MCE anche attualmente si spende nel sistema formativo di base, perché è lì che è nata l'associazione, quindi lo sguardo è rivolto al sistema formativo di base che non significa identificare il sistema formativo di base con gli anni scuola che sono attualmente assegnati dal Ministero della Pubblica Istruzione alla scuola di base. Voglio dire che l'attenzione è all'unità e all'organicità dell'evoluzione degli alunni, da 0 a 16 anni attraverso un processo continuo che ha le sue discontinuità, ma anche una continuità evolutiva, pedagogica e psicologica insieme.

Anna Matricardi: - Da quattro anni a questa parte si sta sperimentando un'iniziativa dell'MCE, una scuola di formazione estiva di cinque o sei giorni di full immersion nella pratica e nella ricerca formativa su tematiche trasversali a carattere educativo. La partecipazione diviene sempre più ampia da parte degli insegnanti scuola media, il che vuol dire che questo principio della scuola di base, fino alla riforma dei programmi della scuola elementare, è stato visto come scuola dei cinque anni che va dai 6 agli 11, in realtà sta diventando una continuità, se non un'unicità, fino all'età della terza media. E' evidente che questo fa scattare l'esigenza del prolungamento della scuola dell'obbligo. Non tutti gli insegnanti di scuola media pensano di essere insegnanti di scuola secondaria, cioè si rendono conto che se non si affrontano i problemi della relazione educativa non si riesce ad entrare in contatto con la realtà, peraltro abbastanza mutevole. E' un segnale importante per l'MCE l'adesione degli insegnanti di scuola media, anche perché nella previsione di estendere l'obbligo a 16 anni in realtà noi troviamo un limite: perché non a 18? Anticipare una selettività di orientamento scolastico e professionale in una fascia di età molto precoce rischia di ingenerare delle selettività di tipo sociologico, dovute e a status sociale, che potrebbe essere procrastinata lasciando a tutti la possibilità di avere una formazione di base organica almeno fino ai 16 anni. Il nostro 0-16 non è stato scelto perché i 16 anni sono un limite posto dal Ministero, ma perché pensiamo che questo orientamento di formazione culturale di base sia un diritto che fino a 16 anni sarebbe bene che lo stato garantisse.

D. - NELLO SPECIFICO, COME SI SVILUPPA IL PENSIERO DELL'MCE NELLA PRASSI EDUCATIVA?

Diana Cesarin: - Il nostro riferimento continua ad essere alla Cooperazione educativa e alla pedagogia popolare, che sono due formule che possono apparire obsolete eppure noi pensiamo di no. Entrambe le idee derivano dalla pedagogia di Freinet. Il nostro riferimento alla pedagogia di Freinet non è tuttavia ispirato ad un'ortodossia manichea. Ci piace dire che siamo ortodossi nell'interpretarlo creativamente, alla luce dei bisogni educativi che si modificano parallelamente al cambiare della società.
Cosa può voler dire oggi pedagogia popolare? Significa interrogarsi ancora una volta e cercare di capire -in un'ottica che non può più essere localistica e nemmeno nazionale - chi sono oggi gli svantaggiati, coloro che subiscono gli effetti delle scelte della macroeconomia. E' facilissimo andare col pensiero in questo momento agli albanesi, ai bambini di strada che si stanno moltiplicando non solo nel Sud e nell'Est del mondo, perché stiamo assistendo ad una semplificazione e ad un imbarbarimento alla faccia della complessità. Quello che sta accadendo è che la forbice si divarica sempre più tra chi ha e chi non ha, e questo comincia a essere sempre più visibile anche nelle nostre scuole, anche nelle nostre classi. L'opzione planetaria, l'attenzione per gli 'ultimi', questi macro-temi generali si cerca di coniugarli con la dimensione 'micro', cominciando a riconoscere a ciascun bambino e a ciascuna bambina o ragazzo e ragazza che entra in un'aula scolastica in cui qualcuno cerca di lavorare nell'ottica della pedagogia popolare e nella dimensione della cooperazione educativa come una persona : con un corpo, con una storia, con una cultura. Questa viene considerata come la prima risorsa della prassi educativa e del processo di apprendimento, che immediatamente va riconosciuta e messa in quella rete che è la microistituzione del gruppo, della classe, della scuola.
Riguardo alla prassi educativa, è molto difficile fare un decalogo e nemmeno credo che si debba fare; uno dei punti essenziali è la centralità di un'attenzione alle persone e alla loro identità unica, irripetibile, che si coniuga in questo momento con un'attenzione altrettanto appassionata e lucida al fatto che oggi come oggi l'attenzione all'identità di ciascuno significa attenzione alle tante identità culturali con cui ci troviamo quotidianamente a relazionarci. La pedagogia popolare oggi è una pedagogia che riconosce la multiculturalità - e ci sono pedagogie e prassi che non la riconoscono - come un dato di realtà. Quello che cerchiamo di fare noi è orientare il nostro lavoro verso una prospettiva interculturale, intendendo con ciò non un dato, ma una prospettiva intenzionale, una direzione che si intraprende intenzionalmente. Dentro a questo concetto di identità c'è l'interezza, la globalità, c'è il corpo, c'è il rapporto tra le emozioni, i sentimenti e l'apprendimento. La didattica che si cerca di fare è una didattica che nell'assumere la centralità dell'identità di ciascuno, la assuma in termini globali, per dirla con Andrea Canevaro.

D. - POTREMMO DIRE LE IDENTITÀ DI CIASCUNO?

Diana Cesarin: - Sarebbe interessante discutere su questo...

D. - IN INTERNET SI È DIFFUSO IL FENOMENO DELLE IDENTITÀ NOMADI INTENDENDO CON QUESTO CHE ALCUNE PERSONE SI PROPONGONO NEI SITI TELEMATICI CON IDENTITÀ DIVERSE DA QUELLE EFFETTIVE, FORSE PER SPERIMENTARE UNA POSSIBILITÀ DI TRASFORMAZIONE...

Diana Cesarin - Questo potrebbe portarci al vecchio tema della maschera

D. - QUALI PENSATE POSSANO ESSERE LE PROSPETTIVE DELL'MCE PER I PROSSIMI ANNI, TENENDO CONTO DI QUESTA PROSPETTIVA INTERCULTURALE E DI QUESTA ATTENZIONE ALL'IDENTITÀ DELLE PERSONE?

Anna Matricardi: - Io volevo fare un'integrazione rispetto alle risposte di prima : una delle caratteristiche dell'MCE è stata quella di accentuare la ricerca in prima persona dell'educatore. Solo lavorando su di sé e mettendosi in una prospettiva di ricerca, si può lavorare in un'ottica di trasformazione, di sé e di quello che c'è intorno.

D. - CI DEV'ESSERE UN COINVOLGIMENTO ATTIVO, CHE SOLLECITI A SUA VOLTA IL COINVOLGIMENTO DEGLI ALLIEVI...

Anna Matricardi: - Quello che tu sei in classe rappresenta la stessa possibilità di essere con gli altri, perché sei sempre la stessa persona, sei intero e testimone di un processo educativo. Questo ha fatto sì che siano stati individuati degli ambiti di ricerca tradizionali dell'MCE che valorizzassero la conoscenza comunque globale, con l'idea che la conoscenza è una, e che la scuola resiste ancora attraverso una parcellizzazione, una frantumazione e settorializzazione delle conoscenze, e anche del potere che sottostà ad un modo di trasmettere quel sapere disciplinare. Questo, se valeva per le discipline come l'italiano o la storia intesi in modo tradizionale, non vale meno per l'informatica o per l'utilizzo di certi canali integrativi. In questa logica è vero che molto del lavoro di ricerca era anche riferito al lavoro nella scuola elementare, che si presentava con l'insegnante unico, o con il tempo pieno che dava una possibilità di progetto costruttivo, però è stata partecipata e praticata da insegnanti di scuola superiore. Il discorso sull'identità che faceva Diana prima ha dietro di sé un lungo discorso relativo alla storia e alla antropologia culturale come modi di interrogarsi sulla natura umana, sugli incontri tra gruppi e popoli, con una grande valorizzazione della storia locale e dell'appartenenza ad una comunità, laddove questo era possibile, oppure andando a cercare in mondi lontani come questo ponte poteva essere ancora in piedi (come tra gli indiani d'America o in culture dove non c'era la mitizzazione dell'esotico da settantasettini, ma c'era proprio il rintracciare dei fili esistenziali di cui potersi nutrire). Questo discorso sull'identità è stato sviluppato in diversi ambiti, per esempio nel lavoro sul corpo (suono, teatro ed educazione corporea) ma anche in ambiti apparentemente distanti (la matematica è stata una materia tradizionale dell'MCE, ma anche l'informatica, la conoscenza scientifica in genere, l'educazione linguistica). L'approccio MCE è stato tuttavia sempre un approccio globale. L'associazione era prima organizzata con gruppi nazionali e con divisioni a livello territoriale molto coerenti con realtà locali. Attualmente alcune di queste ricerche continuano (ad esempio quelle del gruppo informatica e quelle sul linguaggio che attualmente si occupano di pluralità di linguaggi e di multimedialità).

Simonetta Fasoli: - Ci troviamo sicuramente, e sotto gli occhi di tutti, in un momento abbastanza cruciale della scuola che cambia, e sembrerebbe che i cambiamenti che si profilano siano cambiamenti sostanziali. Ora questo è interessante per l'associazione perché pone il problema di come porsi di fronte alle iniziative che giungono dall'istituzione, ed è anche un'occasione di crescita della consapevolezza e direi dell'autorappresentazione dell'associazione stessa. Voglio dire che noi vediamo dei rischi rispetto al rapporto con le iniziative di innovazione; ci sembra che ci sia o un atteggiamento di rincorsa della realtà europea da parte delle associazioni rispetto al farsene interlocutrici o almeno questa è l'intenzione che viene dichiarata dal Ministro, con la perdita di tutta la storia che non deve diventare un totem per l'associazione, però è quello che sostanzia tutto il presente, senza nostalgie e senza operazioni archeologiche. C'è anche il rischio che questo atteggiamento non di rimorchio ma direi di dialogo critico, e uso il termine dialogo per sottolineare che sul piano del progetto pedagogico l'associazione si sente su un piano di rapporto paritario perché quando si pensa ad un progetto pedagogico complessivo sulla scuola il rapporto è paritario. Altro è il livello gestionale e politico delle decisioni.
L'altro aspetto specifico di cui vorrei parlare è quello dell'insegnamento-apprendimento, che è una delle questioni che stanno sotto alle innovazioni. Se non si rivede il senso di questo intreccio, e tutto quello che fa l'MCE sta ad indicare che si deve rivedere, non c'è innovazione che tenga, cioè tutto è destinato a diventare 'praticaccia' nella migliore delle ipotesi. Secondo la nostra cultura e la nostra pratica, significa che non c'è chi sta insegnando e chi sta apprendendo, non c'è un movimento unidirezionale, ma ci sono dei contesti e degli spazi organizzati in vista dell'insegnamento-apprendimento che avviene tra tutti i soggetti di un gruppo. Il che non significa negare l'asimmetria della relazione educativa, ma significa che non si può insegnare se non si continua ad apprendere.
Una cosa molto bella - mi pare di Enrichetta Susi - che ho letto sull'ultimo numero della nostra rivista (N.d.R. 'Cooperazione educativa', 1/97) è che il ricercatore apprende dall'esperienza che fa; in questo senso ogni insegnante è un ricercatore che apprende dall'esperienza. Noi che forse siamo in un orizzonte utopico, ma è bene che sia così, crediamo in una scuola dove tutti possano apprendere dall'esperienza di quello che fanno e magari insegnare quello che hanno appreso senza distinzioni di ruoli.

E' BELLO A SCUOLA LASCIARSI SORPRENDERE DALLE DIREZIONI CHE PRENDE IL PENSIERO DEI BAMBINI...

S. Fasoli: - ... ma anche il nostro pensiero che a contatto con il loro continua a crescere.

D. Cesarin: - Non solo il bello sta nel lasciarsi sorprendere dalle direzioni che prende il pensiero dei bambini, ma in termini più generali - e può apparire paradossale per degli educatori - siamo profondamente convinti che sul serio non si può dire a nessuno come cambiare, ma si possono creare delle situazioni, dei contesti che consentono a ciascuno di cambiare, di evolvere stando in relazione con gli altri. Allora è anche da questo punto di vista che la strategia formativa ed autoformativa diventa centrale ed è la prima cosa che possiamo modificare. E' per questo che investiamo molto sulla formazione ,e lo facciamo soprattutto per noi stessi, anche quando organizziamo delle scuole di formazione per altri.

D. - PENSATE DUNQUE AD UNA FORMAZIONE PERMANENTE...

A. Matricardi: - C'è un dibattito nell'associazione sulle differenze e affinità su aggiornamento e formazione : aggiornamento si riferisce a qualcosa che viene dall'alto, organizzato in maniera burocratica e istituzionalizzata; la formazione ha strutture, tempi , modi che non sempre coincidono con quelli dell'aggiornamento. Un argomento di discussione all'interno dell'MCE oggi riguarda la possibilità di sostenere non un progetto utopico di rifiuto dell'aggiornamento perché non è quello che si vorrebbe, ma un progetto di costituzione, anche in ambito istituzionale, di un contesto in cui sia possibile trasmettere un modo di lavorare, degli strumenti utili- la conoscenza di Bion, alcune tecniche che proponiamo...- a tutti gli insegnanti, stando all'interno delle scuole, nei Collegi dei Docenti.

D. - IL MINISTERO DOVREBBE GARANTIRE LA POSSIBILITA' DI ATTUARE UN AUTOAGGIORNAMENTO, CHE E' STATO TUTTAVIA SEMPRE SVALUTATO. ADREBBE INVECE VALORIZZATA LA PRASSI DEL DISCUTERE INSIEME....

A. Matricardi: - Questo non è stato mai un dato formativo considerato importante nell'iter di formazione di un insegnante : neppure la facoltà di Magistero ha mai messo a fuoco questa necessità, che è sempre più urgente.

D. - E' IMPORTANTE, COME DICEVA DIANA, CONSIDERARE IL PROPRIO PENSIERO COME UNA RISORSA...

A. Matricardi: - E il pensiero dell'altro, diverso dal tuo.

D. - TENENDO CONTO DI QUESTI STIMOLI RIVOLTI A UNA FORMAZIONE DI TIPO PIU' COMPLESSO, COME CONCILIA L'MCE QUESTE ESIGENZE CON I PROGRAMMI MINISTERIALI?

S. Fasoli: - Forse bisogna distinguere tra le diverse culture presenti nei diversi segmenti della scuola, perché l'attenzione fino all'ossessione ai programmi appartiene molto di più alla cultura della scuola secondaria di secondo grado che non a quella della scuola media o della scuola elementare, anche perché possiamo dire che la scuola secondaria superiore ha un mandato istituzionale che è di un certo tipo, che bada alla formazione professionale o comunque disciplinare, con programmi che sono vincolanti rispetto agli esiti e all'esame di stato. Alcune osservazioni tuttavia si possono fare, specialmente adesso che i cambiamenti innovativi che vengono annunciati indicano che c'è un cambiamento di direzione che sposta l'asse dell'attenzione, in tutti i gradi di scuola, dai contenuti disciplinari al metacognitivo , vale a dire al come si apprende piuttosto che al che cosa, da un lato, e ai fondamenti culturali di base delle discipline. In questo quadro di cambiamento diventa molto interessante la funzione di mediazione non del singolo docente, ad esempio dell'istituto, che, dando attuazione alle indicazioni programmatiche, le interpreta alla luce da un lato dei bisogni che vengono dal territorio e dall'altro alla luce delle competenze specifiche che gli insegnanti di quella scuola sono in grado di mettere in campo. In altri termini, esiste un vincolo nei programmi che è più o meno accentuato a seconda degli ordini di scuola, ma esiste anche un largo margine di interpretazione dei programmi e dei contenuti che è affidato alla creatività del corpo docente e, sottolineo, non del singolo docente che fa l'impresa solitaria, ma proprio di un corpo docente aggregato intorno a delle forti scelte culturali. La contraddizione che resta è questa: come conciliare la definizione di standard, non dico di profitto perché non ci auguriamo che sia così, di livelli di competenza e di abilità , che devono essere definiti a garanzia dei soggetti, con un percorso di formazione che è inevitabilmente fortemente individuale. Questo è un grosso problema della pedagogia, prima che della didattica. Come fare in modo che il raggiungimento di quelle competenze spendibili socialmente e che rappresentano un diritto dei futuri cittadini sia assicurato attraverso strategie e percorsi il più possibile vicini al singolo alunno, perché la scuola sia effettivamente la scuola di tutti e di ciascuno.

A. Matricardi: - L'identità di chi si sente MCE è conflittuale, e non solo con l'istituzione, ma con i contesti, che si vanno attualmente modificando. Finché c'è stato un clima collettivo sostenuto da un'onda di idealità il conflitto è stato sostenuto, anche se ha lasciato vuoti e voragini di domande aperte. Certamente ha lasciato solitudini anche nell'identità di un insegnante MCE, che sono state poi assorbite e valorizzate in modo diverso. Ci sono state risposte molteplici, perché l'MCE non è un sindacato e non ha una linea comune da dare, al problema del rapporto...questo coinvolge quell'aspetto che chiamiamo il disagio dell'insegnante, che non dobbiamo sottovalutare. Quello dell'identità sociale e culturale di un insegnante è un grosso problema della scuola italiana e quando lo vivi giorno per giorno ti rendi conto. Allora può anche succedere che i migliori interlocutori nella scuola siano i ragazzi.

D. - LA POSSIBILITA' DI COLLOQUIO E DI CONDIVISIONE CON GLI ADULTI...

A. Matricardi: - Ha confini molto labili: ci devono essere circostanze più o meno fortuite e favorevoli. Può succedere che singoli insegnanti , piuttosto che spendere energie nel cercare una forma di interlocuzione con i colleghi si concentrano, rischiando di apparire individualisti, nel rapporto con la classe. L'introduzione dei moduli nella scuola elementare ha portato alla giustapposizione di insegnanti che hanno dovuto inventarsi un progetto collettivo che, certe volte, è risultato un po' fatuo, giustapposto, e questo ha creato ulteriori problemi. Il lavorare insieme con altri adulti non è entrato mai, di fatto, nella cultura pedagogica che si richiede a un educatore.


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