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PSYCHOMEDIA
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CASE MANAGEMENT

di Bruno Commodari *, Giuseppe Crisafulli *, Carmine Florio *,
Maria Giulia Marini **, Giovanna Baraldi **



* Dipartimento di Salute Mentale ASL 3 Catania
** Ernst & Young Sanità

(Articolo apparso sull’inserto Sanità del Sole 24 Ore del 3-9 Agosto 1999)



Nella logica di riprogettazione del processo clinico assistenziale relativo ad una specifica patologia, si inserisce il case management, una gestione clinico-organizzativa focalizzata sul caso specifico, spesso ad elevata complessità.
Le differenti fasi della malattia Ð dal primo accesso del paziente ad una struttura assistenziale, alla fase della diagnosi clinica e alla messa a punto del protocollo terapeutico fino ai percorsi di mantenimento e di riabilitazione Ð sono coordinate dalla figura del case manager, responsabile del complesso delle attività mediche, sociali e amministrative richieste dal paziente.
Il ruolo del case manager generalmente è assunto da figure assistenziali diverse a seconda della complessità del paziente, ed è accompagnato da un gruppo multidisciplinare di professionisti che intervengono al momento più opportuno, applicando il metodo di lavoro di team con compiti e responsabilità assegnate come nella gestione di un progetto.

A Catania, presso l’Azienda sanataria locale n. 3, nei dipartimenti di salute mentale (DSM), dal 1998 viene applicato il case management per la gestione dei casi di schizofrenia più complessi.
A nostro avviso la schizofrenia che presenta esordio precoce, elevato carico sociale, severa gravità e cronicità, ben si presta a interventi di riprogettazione delle attività assistenziali.
Nello specifico la nostra esperienza riguarda l’applicazione del case management su 37 casi di schizofrenia di due DSM della provincia di Catania. I 37 pazienti rappresentavano i casi più onerosi in termini di impegno clinico, economico e sociale a causa dell’età particolarmente giovane, della carenza o assenza di supporto famigliare, di scarse possibilità economiche, della minima o mancata adesione al trattamento farmacologico.

Per 19 casi più complessi il case management è stato effettuato direttamente dallo psichiatra, in 9 case manager è stato l’assistente sociale, in 4 casi il pedagogista, in 4 casi l’infermiere e per 1 caso un volontario.

Tra le prassi più significative della metodologia da segnalare:
- una rilettura dei casi con nuove idee e azioni per la loro gestione
- un coinvolgimento maggiore e più tempestivo delle agenzie socio-sanitarie presenti sul territorio, del medico di famiglia, dei servizi sociali comunale e di volontariato
- l’aumento dell’impiego di strumenti riabilitativi e psico-educazionali
- la gestione integrata del caso clinico e sociale ad opera di un unico case manager
In seguito all’applicazione del case management il paziente, soddisfatti i suoi bisogni clinici e relazionali, si è sentito direttamente seguito e ha collaborato con più facilità; il case manager si è sperimentato una maggiore capacità empatica ed il gruppo di lavoro ha imparato a progettare coralmente ed ha raggiunto obiettivi ad ampio raggio, non più solamente centrati sull’urgenza.
In seguito all’esperimento sono state riportate le evidenze cliniche, misurate sui 37 pazienti attraverso strumenti validati dalla comunità scientifica per la psicosi, pertanto trasferibili a qualsiasi altro contesto assistenziale.

Il risultato economico è stato positivo in quanto, globalmente, il ricorso a strutture di ricovero per acuti ( servizio psichiatrico si diagnosi e cura ed ospedale generale) o in residenza terapeutico-riabilitativa si è ridotto di oltre il 70% rispetto l’anno precedente.
L’ampiezza del miglioramento del quadro clinico e il risparmio delle risorse raggiunto in seguito all’ applicazione del case management è stato tale da non necessitare di numeri più grandi per confermare la validità della metodologia prescelta.

Quelli esposti sono i primi risultati raccolti secondo un disegno sperimentale con il confronto tra uno stato iniziale ed una fase di controllo successiva all’applicazione del metodo.
A commento di questi dati è bene chiarire che per migliorare il processo non è stato necessario realkizzare una rete informatica con software specialistici, contrariamente a quanto si tende a pensare quando oggi si parla di riprogettazione.

Per raggiungere i risultati descritti, dunque, non è necessario un investimento economico difficile da sostenere: è stato invece sufficiente riprogettare le modalità dell’intervento, rivedebdo i percorsi e razionalizzando l’impiego delle risorsegià disponibili (dagli operatori del DSM, ai volontari, agli enti locali).
Certamente quando si dovrà effettuare un’analisi complessiva di popolazione, la ricostruzione dei profili di cura e la raccolta degli indicatori saranno facilitati dalla tecnologia informatica.
La figura del case manager, poi, non è stata relegata a semplice “raccoglitore” di dati e “controllore” della qualità, secondo una visione più riduttiva che appare in alcuni protocolli delle organizzazioni di maneged care, finalizzater quasi esclusivamente al controllo dei costi più che al benessere dell’individuo.

Nel caso di Catania, invece, il case manager è stato il vero regista che ha modulatol’intesità e la sequenza delle azioni e quindi dell’intero processo. E’ proprio l’insieme coordinato di competenze mediche, sociali e gestionali che ha determinato il successo dell’azione assistenziale.
Un editoriale recente di Bodenheimer della University of San Francisco, apparso sulla prestigiosa rivista inglese New England Journal of Medicine ha evidenziato le luci e le ombre della riprogettazione del percorso clinico assistenziale di una patologia.
Tra le luci compare la necessità di riprogettare le attività clinico assistenziali a lunga gittata temporale sulle patologie croniche ; tra le ombre, invece, appare la mancanza di disponibilità deoi dati clinici ed economici a confermare l’eeficacia e l’efficienza della nuova modalità assistenziale.

Le evidenze raccolte in questa esperienza danno un forte segnale sulla necessità di andare avanti nel ripensare la logica dell’assistenza integrando finalmente tutte le strutture e le funzioni erogatrici sul territorio, superando la tradizionale visione che divide in compartimenti a sé stanti ogni singola organizzazione deputata all’assistenza.


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