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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
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L'origine dell'opera d'arte

Conversazione di SERGIO BENVENUTO con PHILIPPE LACOUE-LABARTHE


Strasbourg, 1 febbraio 2001


SERGIO BENVENUTO - Lei sta lavorando su L'origine dell'opera d'arte. Ci può dire qualcosa su questo tema?

PHILIPPE LACOUE-LABARTHE - Sì. Sono circa tre anni- o forse anche più - che tento di lavorare su questo tema. Questa ricerca è nata dalle analisi che avevo tentato di fare una decina di anni fa, o anche più, forse, a proposito della collisione tra la questione estetica e l'impegno politico, cara ad Heidegger e, più in generale, del continuo intrecciarsi, dalla fine del XVIII secolo in Germania, con il Romanticismo e la lezione della Rivoluzione francese, del problema: c'è un'arte tedesca? con il problema: c'è una nazione tedesca? È qualcosa che mi ha sempre intrigato. Com'è possibile che una "nazione" (tra virgolette) che tenta di costituirsi in nazione, tenti di costituirsi come nazione a partire dalla semplice idea che le occorre un'arte, di cui non dispone? È una storia che comincia con Winckelmann e con Herder, è ripresa da Romanticismo, è molto evidente in Schelling - credo che se trovino delle tracce assai precise in Hegel - e, passando per Nietzsche, attraversa tutta la tradizione, per finire secondo me ad Heidegger e a Benjamin. Partendo da questo problema, per il quale avevo vagamente inventato il concetto di "nazional-estetismo" tedesco, mi sono messo a lavorare su certi testi di Heidegger sull'arte.

SERGIO BENVENUTO: Quali testi?

PHILIPPE LACOUE-LABARTHE: Invece di prendere i grandi testi ben noti come le conferenze su L'origine dell'opera d'arte, degli anni 1935-36, o L'arte e lo spazio, che è del dopoguerra, mi sono interessato innanzitutto a un piccolo testo di circostanza, la prefazione al lavoro di un suo allievo sulla Madonna "Sistina" di Raffaello, che dal XVIII secolo, si trova al Museo di Dresda. È una delle rare volte che Heidegger si interessa a un'opera d'arte pittorica, se si mette tra parentesi quello che considero il disastroso esempio degli scarponi di Van Gogh - e quando tratta dell'arte cristiana.

SERGIO BENVENUTO: Disastroso, perché? gli scarponi di Van Gogh...

PHILIPPE LACOU-LABARTHE: Disastroso non per le ragioni che ha addotto: erano infatti le scarpe di Van Gogh, e non delle scarpe di contadino e certamente, a fortiori, né meno di contadina. Disastroso, perché ricostituiva e identificava il mondo che quell'arte era capace di aprire, come il mondo agricolo di cui sognava, come il solo mondo praticabile e vivibile della sua epoca. In altri termini ricostituiva a partire da quelle due disgraziate scarpe una specie di utopia neo-neolitica. E io pensavo che fosse - bisogna che lo dica chiaramente - un grande sproposito. Per quanto Heidegger sia un grandissimo pensatore, per tanto è capace di dire delle enormi sciocchezze. Invece in quel suo testo breve, di una pagina e mezza o due, sulla Madonna "Sistina" - si tratta di un quadro misterioso, di cui si ignora l'origine, le condizioni in cui è stato commissionato, le transazioni a cui ha dato luogo, il modo in cui il Vaticano è riuscito a venderlo, ecc., ma questo poco importa - quale che sia l'interpretazione su cui si appoggia, Heidegger non entra troppo nei particolari. Tenta semplicemente attraverso l'analisi estremamente succinta del quadro, di coglierne il significato, di pensare la Madonna stessa come la figura della verità, come Aletheia. Quel testo è da parecchio tempo - da quando lo conosco - che mi incuriosiva. Mi domandavo come Heidegger potesse riuscire a riportare così tutta l'arte alla Rivelazione, all'aletheia, poiché l'aletheia per definizione non si rivela, non appare. Allora ho analizzato questo testo per un anno, ho proseguito l'analisi, riprendendo testi più classici come le conferenze su L'origine dell'opera d'arte, del 1936, come L'arte e lo spazio, e mi sono reso conto di una cosa che sapevo da molto tempo, e che bastava mettere in evidenza, cioè che per Heidegger l'origine di quella che lui non chiama umanità, ma "Dasein istoriale", è l'arte e che l'arte è essenzialmente per lui la poesia - cioè il linguaggio. È dunque una trascrizione in termini molto elaborati, dal punto di vista fenomenologico e ontologico, è una trasmissione quasi diretta di tesi che per la maggior parte provengono da Herder. La lingua è la poesia originaria dei popoli. Le arti cosiddette figurative, in generale agli occhi di Heidegger non raffigurano precisamente niente, in ogni caso non rappresentano niente, non imitano niente, sono semplicemente la trascrizione di temi che stanno all'origine delle forme di umanità storica o "istoriale". Rendendomi conto di questo, mi sono accorto gradatamente, leggendo tutta una serie di lavori di ordine scientifico, di storici dell'arte, di paleontologi, ecc., che si interrogavano anch'essi sulla questione dell'opera d'arte, che partivano tutti da una tesi molto simile a quella di Heidegger, per cui la questione dell'origine dell'opera d'arte non si pone, in quanto l'origine dell'arte coincide semplicemente con l'origine dell'umanità. Nella trascrizione che ne dà Heidegger, la techne è primitiva. Contemporaneamente mi sono interessato a due testi sui quali in questo momento lavoro: gli studi di Bataille sul paleolitico, essenzialmente sulle caverne di Lascaux, e la ripresa critica che Lacan fa di quei testi, in particolare nel suo famoso seminario. [interruzione]
Volevo dire semplicemente questo: dal lato di quella che si può chiamare paleontologia o scienza della preistoria e anche dal lato della storia dell'arte, si trova l'idea - affine molto stranamente anche a quella di Heidegger e di altri prima di lui (penso a Schelling, penso a un certo Hölderlin, penso anche a Nietzsche) - che in fondo la questione dell'origine dell'arte non si pone, perché l'origine dell'arte coincide con l'origine dell'umanità in quanto tale. Il problema in questo caso è semplicissimo: bisogna situare questa origine. Qui mi sono addentrato in un lavoro che non è ancora compiuto, che richiede, ai miei occhi, ancora parecchie ricerche.
Tutti i grandi lavori filosofici che sono stati fatti sulla questione dell'arte si sono sempre appoggiati sulla storia dell'arte, su una scienza dell'arte che non è necessariamente l'estetica, sulla storia... Per esempio Hegel avrebbe potuto sapere che nel 1820 erano state scoperte delle statue greche con gli occhi, e invece fino al 1828-29, l'ultimo anno che tiene il corso di estetica, continua a dire che le statue greche non avevano gli occhi. Questo avrebbe cambiato parecchie cose nella sua teoria della figurazione del divino presso i Greci. In ciò che concerne la preistoria, che mi interessa in questo momento, vedo che il sistema di datazione, con la scoperta progressiva dei siti, impone di datare dai cinquantamila ai quarantamila anni a. C. il sorgere di qualcosa come un'arte, molto posteriore al sorgere di un'industria. E simultaneamente si pone una domanda semplicissima: come è possibile far cominciare con il concetto greco di techne, come ha fatto Heidegger, e altri prima di lui, ma soprattutto Heidegger, l'invenzione dell'arte, l'invenzione di quella che diventerà la tecnica, e che si potrebbe chiamare fino a una certa epoca industria, e l'invenzione della storia? Io mi trovo a questo punto, e in particolare grazie a una lettura molto, molto attenta di Bataille, ho l'impressione che Bataille ha avuto un'intuizione assai forte, ma rimasta incompresa al suo tempo, perché era maldestro e lavorava come poteva con il materiale storiografico di cui disponeva, ho l'impressione che Bataille ha avuto la formidabile idea che l'arte si distacca dalla tecnica, che non è primaria e che non apre necessariamente la storia, ma apre invece un rapporto tra l'animalità e l'umanità, che è un rapporto di somiglianza [similitude], in cui si giocano al tempo stesso la questione della morte e la questione del divino. Su questo punto vorrei tentare di spiegarmi. Sarò forse un po' maldestro, ma ho l'impressione che questa intuizione è straordinariamente potente.

SERGIO BENVENUTO: Dunque Lei condivide l'intuizione di Bataille che l'arte deriva dalla tecnica. Ma in che senso si ricollega con il divino e con l'animalità?

LACOUE-LABARTHE - Bataille constata, come oggi quasi tutti gli studiosi di preistoria - ma lui si appoggiava alle ricerche di A.-H. Breuil, che tuttavia era considerato un vero scienziato - constata dunque che, per millenni, l'uso degli strumenti è già un uso universale, di molto anteriore all'apparizione di un'umanità di cui Bataille dice che è già simile alla nostra (l'umanità che ci assomiglia è quella successiva all'uomo di Neanderthal). È l'epoca in cui appare l'uomo attuale, di cui le teorie moderne dicono che viene dall'Africa e che si è diffuso all'incirca su tutta la faccia del pianeta. Secondo lui, un'attività industriosa, provvista di una precisa finalità, di uno scopo preciso, che presuppone una previsione, un calcolo e, probabilmente, un linguaggio, precede di molto le prime manifestazioni d'arte che conosciamo, e in particolare le famose manifestazioni delle caverne dipinte, che al suo tempo si pensava che fossero situate tutte tra il sud-ovest della Francia e il nord-est della Spagna, mentre adesso si sa che se ne possono trovare in Africa, in America, in Asia e che dunque sono state per venti o trentamila anni la forma d'arte praticamente universale dell'antichità. E al tempo stesso Bataille è capace di dire: certo tutto questo appartiene alla preistoria, ma secondo me la preistoria è già storia.
È un'affermazione estremamente ingenua, perché le posizioni di Bataille da principio sono estremamente ingenue, ma in sostanza vuol dire che l'umanità non data dall'invenzione dell'agricoltura, ma è di molto anteriore, è anteriore almeno di trenta o quarantamila anni. La storia non data dalla nascita della storiografia, ma almeno quaranta o cinquantamila anni prima e d'altra parte - qui tocco una questione filosofica che mi interessa, che riguarda anche Lacan, e nella cui soluzione sono impegnato, senza aver trovato risposte definitive - l'arte ha una nascita segreta.

SERGIO BENVENUTO: Segreta in che senso? Faccia un esempio.

LACOUE-LABARTHE - L'esempio canonico di Heidegger non sono assolutamente le scarpe di Van Gogh, che sono un esempio in fondo datato, ideologico, ma il tempio, cioè l'idea che ciò che autorizza l'arte è un taglio [découpe] nella physis, nella natura, a partire dal quale si organizza quello Heidegger chiama "mondo". Chiama "terra" quello che gli antichi chiamavano physis, natura, chiama "mondo" quello che gli antichi chiamavano techne. La prima forma d'arte è un taglio [découpe]. È un luogo dissodato, delimitato, liberato dall'elemento naturale che lo ingombra. È in fondo un luogo sistemato dall'uomo. Heidegger dice la stessa cosa della chiesa in cui si supponeva che fosse stata deposta la Madonna "Sistina" di Raffaello. Dice Heidegger che quella Madonna non dev'essere pensata come un'opera in una chiesa, perché è la chiesa, come spazio delimitato e circoscritto, che apre la possibilità di collocarvi un'opera. Ciò presuppone un gesto, che è il gesto neolitico per eccellenza, cioè il gesto del disboscare, del dissodare. Quando tra il 1955 e il 1960, specialmente ne L'arte e lo spazio, riprende la questione dell'arte, torna a dire esattamente la stessa cosa: l'arte comincia con l'intervallo [espacement]. Si ordina [on espace], si sistema un luogo e da quel momento diventa possibile l'abitare umano. Quello che mi ha più colpito sono dei testi che conoscevo da lungo tempo, ma che non avevo ancora riletto, in cui Bataille dice (faccio un po' una forzatura) quasi esattamente il contrario. Circa quarantamila anni fa dei popoli nomadi cacciatori-raccoglitori, che non hanno ancora inventato l'agricoltura, che non abitano nelle caverne tranne che in periodi di grande freddo (l'ultima glaciazione data oltre quarantamila anni fa) si riservano le caverne come luoghi - evidentemente dei santuari, che non sono ancora intesi come tali - dove depositano le loro opere d'arte. Sono popolazioni che occultano le loro opere d'arte, che sono riservate probabilmente al compimento di rituali, di cui non sappiamo niente - forse riti d'iniziazione, poiché sono state trovate orme di bambini, o forse altre cose. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il gesto che Heidegger avrebbe detto primitivamente tecnico, che è la liberazione di uno spazio. È, al contrario, la scoperta di uno spazio chiuso nella natura. A questo punto la questione filosofica comincia a farsi interessante. Quando si pensa che l'unico riferimento che permette ad Heidegger di analizzare il concetto di aletheia come non svelamento, è la famosa sentenza di Eraclito, di cui non ricordo il numero, [123 D-K, n. d. r.] physis kryptesthai philei, «la natura ama nascondersi», «la natura ama criptarsi» e quando si pensa che krypte in greco vuol dire caverna, si può dire che Bataille con la sua apparente ingenuità filosofica, si è imbattuto esattamente in ciò che Heidegger cercava, ma senza riferirsi allo spazio di una civiltà agricola, neolitica, che è in diretto rapporto, come si sa, con l'ideologia agraria di stampo fascista propria di Heidegger negli anni Trenta e Quaranta. Così stanno le cose. In questa faccenda - ed è la seconda grande questione che mi pongo in modo problematico, perché è per me ancora allo stato di domanda - Bataille sembra pensare che la riflessione, l'intelligenza, la logica, il linguaggio, tutto ciò precede l'arte e che l'arte non comincia certamente con la produzione poetica o con l'invenzione delle lingue come poesia primordiale dei popoli, ma che al contrario è una rottura, una riduzione al silenzio del linguaggio, con la sua logica, e in particolare con la sua logica finalizzata e strumentale, come quando dico qualcosa per produrre un certo effetto e raggiungere un certo scopo. In altri termini l'arte è una rottura del lavoro. Da cui deriva la ben nota, o anche troppo nota o malnota, teoria, che è stata sempre attribuita a Bataille, dell'arte come trasgressione. Bataille aveva forse buone ragioni per parlare di trasgressione e in particolare di trasgressione erotica, ma non penso che nel caso specifico, sia il punto essenziale. Quello che mi sembra essenziale, invece, è che trovo in Bataille una interpretazione - come dire? - inconscia, ma non nel senso del misconoscimento, una interpretazione di quella che per Heidegger è la più grande sentenza di Eraclito, più profonda di quella che Heidegger stesso ne dà. Mi sembra che su questo punto Bataille che pure aveva letto Heidegger e che sapeva quello che faceva, ha direi quasi deliberatamente spostato indietro l'origine dell'umanità, proprio per impedire che la si prendesse in considerazione soltanto dalla nascita della storia occidentale. Gli uomini del paleolitico, "nostri simili", come dice Bataille, tra i trenta e i quindici o diecimila anni a. C., non erano Greci, ma facevano queste opere d'arte. Quando Bataille fece scendere Picasso nella grotta di Lascaux, Picasso guardò quelle pitture con un'ammirazione estasiata, e disse: da allora non si è fatto niente di meglio. Ma la questione che mi interessa e che è rimasta in sospeso ci riporta a Lacan. Lacan qualche anno più tardi, dopo che Bataille aveva scritto il suo grande libro su Lascaux, più altri testi pubblicati su diverse riviste e in particolare su "Critique", nei suoi studi di psicoanalisi si è occupato anche lui della stessa questione dell'origine dell'arte e lo ha fatto con uno stile molto molto vicino, come sempre ad Heidegger. Non sto facendo una critica: lo ammette lui stesso, citando Heidegger, e rifrendo l'origine dell'arte all'instaurazione - assolutamente misteriosa, enigmatica - del linguaggio. Il linguaggio sbarra ogni accesso - riprende questo concetto da Heidegger - alla cosa stessa, a das Ding. Questo discorso si mescola in Heidegger, come in Bataille a un discorso sulla religione. A questo proposito Lacan ha delle proposizioni che mi sembrano al tempo stesso estremamente forti e estremamente contestabili, ma che in ogni caso danno da riflettere. Dice Lacan: poiché c'è il linguaggio e il linguaggio è la legge a cui sono sottomessi gli uomini in quanto sono mortali, in quanto sono esseri finiti, un Dio che parla è impossibile. Non si può supporre che Dio sia sottomesso a sua volta alla legge del significante. Dunque Dio non parla. Freud, che non aveva avuto questa intuizione, ma c'era andato tuttavia assai vicino, quando lavorava su Mosè nei suoi ultimi anni l'aveva espressa dicendo: questo Dio in principio è un dio morto, perché è il padre morto. E Lacan aggiunge: è il solo mito di cui la nostra epoca moderna sia stato capace. Dunque l'uccisione di Mosè riassume la teologia di Freud. Sintetizzo: il fenomeno religioso si costituisce inizialmente tra ciò che Heidegger tematizza come fuga degli dei e il deicidio che Lacan tematizza come parricidio. È dall'uccisione del padre-dio che data la religione. Bataille dice curiosamente: gli uomini del paleolitico hanno dipinto quegli animali, perché pensavano che proprio perché non parlavano, erano loro simili al livello più essenziale. Penso che nella questione sull'origine dell'arte c'è indubbiamente qualcosa che si ricollega agli interessi di Jean-Luc Nancy, e benché lavoriamo in maniera diversa ora e io conosca il Cristianesimo assai meno di lui, credo nondimeno che qui ci sia un nodo problematico di cui bisognerebbe tentare l'analisi. L'epoca moderna è almeno da duecento anni a questa parte - se non dalla nascita del Cristianesimo, o dalla fine del culto dionisiaco a Eleusi - un'epoca assillata dall'idea che Dio è essenzialmente morto. Io mi domando - ed è una domanda autentica, che non ha niente a che vedere né con una credenza, né con una fede: confesso di essere non razionalista, ma ateo - io mi domando se quello che l'umanità ha chiamato Dio non sia il nostro simile.


SERGIO BENVENUTO-Ci può precisare il concetto di "simile"? E soprattutto qual è il riferimento all'idea di das Ding in Lacan, che evidentemente non ha niente a che vedere con il simile?

? LACOUE-LABARTHE - Per spiegare bene il simile, ci vorrebbe troppo tempo, e ho deciso di sintetizzare un po' il discorso. È un'idea che mi interessa a due titoli. Il primo, come ha ricordato bene Foucault, in un testo degli anni 1960-1962, è: "essere insieme", perché simile evoca sia l'essere insieme che l'assomigliarsi: essere insieme perché ci si assomiglia. Questo corrisponderebbe abbastanza all'idea, che - lo devo riconoscere - si presenta spesso confusa in Bataille, di comunicazione e, quindi, di comunità. In secondo luogo tutta l'avventura di quella che chiamiamo arte moderna, consiste nel dissociarsi dal concetto di imitazione. Più o meno bene interpretato a partire da Aristotele e diventato concetto canonico dell'arte occidentale, almeno fino alla metà del secolo XIX, stabilisce che l'arte deve imitare la natura, comunque si intenda la natura: come azione umana, cose, paesaggi, sentimenti ecc. Bene, io vedo che le due grandi teorie molto affini di Heidegger e di Lacan hanno in comune l'ostilità all'imitazione o alla mimesis. In Heidegger - è evidente fin dall'inizio - ci sono proposizioni di questo genere: l'arte imita così poco la natura, che solo a partire dal momento in cui c'è arte la natura può apparire. È una proposizione nient'affatto trascurabile, anzi una delle proposizioni più forti che siano mai state pronunciate contro l'idea di imitazione o di mimesis all'epoca moderna. E vedo che Lacan ogni volta che riprende gli esempi di Heidegger in Saggi e discorsi, sulla cosa, la brocca, il vuoto [vide], il nulla, sul rapporto tra la brocca e il vuoto [creux] che mette in rapporto la terra e il cielo ecc. si discosta da Heidegger per dire, prendendo come esempio le mele di Cézanne: quelle mele non sono mele, il nulla è il lume che illumina le cose che d'altra parte sono anche mele.

SERGIO BENVENUTO: Cézanne o Van Gogh?

PHILIPPE LACOUE-LABARTHE: Cézanne, Cézanne, si tratta appunto di Cézanne. Lacan non si riferisce a Van Gogh, non si riferisce né meno, come suo cognato Bataille, a Manet, ma si riferisce a Cézanne. Beaufret obbligava Heidegger a riferirsi a Cézanne. Qui vedo ancora un discorso interamente diretto contro l'idea di imitazione. Al contrario in Bataille, sempre sotto quella apparente ingenuità che ha Bataille, la grande idea è che in un solo tratto, fin dall'inizio, l'uomo rappresenta gli animali con una perfezione incomparabile, con una imitazione straordinaria di quegli animali. E Bataille nota anche un'altra cosa: quegli animali hanno questo di particolare, di essere animali che gli uomini di quell'epoca, per essere precisi, non mangiavano. Sono animali che non appartengono al circuito economico dell'umanità di quell'epoca.

SERGIO BENVENUTO: È una tesi di Bataille o è documentato?

LACOUE-LABARTHE - Era documentato già dalle ricerche dell'abate Breuil, ma ha avuto ulteriori verifiche. Ci sono solo rarissime - due o tre - rappresentazioni di renne, animali commestibili all'epoca. Tutti gli altri sono fiere: mammut, leoni, animali possenti, che non venivano cacciati, né consumati. È dunque una rottura con il consumo e un'imitazione tanto più potente in quanto non si tratta di oggetti d'uso, considerati nella loro utilità.


SERGIO BENVENUTO: Si potrebbe pensare - non so se Bataille lo dice - che quegli animali dipinti fossero i loro dèi.

LACOUE-LABARTHE - ?Lo dice chiaramente. Dice: questi animali sono considerati dagli uomini come loro simili. Dice anche - e almeno una volta, a mia conoscenza, usa questa parola - che c'è tra quegli animali e gli uomini una specie di fraternità. Non è un caso se tutti i primi dèi dell'umanità, almeno fino all'Egitto, sono degli animali. Qui trovo un pensiero che non so ancora come sviluppare. È un lavoro in cui sono attualmente impegnato... Avevo voglia di parlarGliene. Ho l'impressione che è un pensiero estremamente forte del rapporto tra [uomini e animali]. Credo di comprendere perché Bataille parla di somiglianza [similitude] tra uomini e animali - gli uomini veramente uomini sono quelli che non sono sottomessi al lavoro, che non sono subordinati alle condizioni economiche, all'utilità, all'uso dell'utensile, al perseguimento di un fine, al calcolo, alla previsione. Di "conseguenza, gli uomini che si sentono liberi e liberati, o come dice Bataille, con una parola di una precisione straordinaria, déliés, "sciolti", (ma pensa anche al latino delicatus, che vuol dire al tempo stesso ""sottile", "fino" e "sovrano"), si riconoscono negli animali che non lavorano, che non fanno niente, che vivono semplicemente. E si spinge fino a dire, usando il vocabolario di Heidegger: quei primi uomini hanno riconosciuto la loro somiglianza con gli animali che non appartenevano al loro sistema economico, perché erano come loro degli esseri. Non dice "gente", ma "esseri", dice che "erano".

SERGIO BENVENUTO: Se ho ben capito quello che Lei dice riprendendo Bataille, si può affermare che si scivola così verso l'idea di un dio fraterno, che rompe con la lunga tradizione dell'immagine paterna di Dio??Esattamente: il dio non è il padre, Dio non uccide, Dio non vieta, è il lavoro che vieta. È appunto trasgredendo il divieto del lavoro che si ritrova questa somiglianza con l'animale che è libero.

LACOUE-LABARTHE - Questa posizione rompe anche con l'interpretazione ontologica di Freud, che lei citava prima, cioè il mito dell'orda originaria, in cui il padre è ucciso e i fratelli non sono dei? L'immagine del padre morto o trascendente appare almeno nell'arte come diminuita o in ogni caso eliminata??Assolutamente sì. Il rapporto tra Bataille e Freud è molto complesso. Credo che lo abbia studiato e ammirato molto, ma su questo punto in particolare non ha creduto al parricidio originario.

SERGIO BENVENUTO: Può precisare il suo riferimento a Lacan, e in che senso Lacan è contro l'imitazione del simile? Può precisare in che senso Lei collega Lacan e Heidegger e oppone a entrambi Bataille?

LACOUE-LABARTHE - È una domanda molto difficile. Credo, un po' come diceva Nancy, che sia Lacan che Heidegger siano largamente tributari del Cristianesimo e che l'insistenza del Cristianesimo sul prossimo sia tanto maggiore in quanto il Cristianesimo non arriva a riconoscerne la somiglianza o la similitudine. Sarebbe questa la mia ipotesi. Di fronte al prossimo si può esercitare la bontà, la carità, l'aiuto, ma questo non impedisce d'altro lato la formazione di una istituzione teologico-politica estremamente potente; si può sentire una prossimità che si chiamerà volontieri amore, ma non si sente una libertà nella somiglianza [similitude] o una somiglianza [similitude] nella libertà. Con qualche eccezione, forse. Nella mia giovinezza ero calvinista e grazie a questa educazione ho fatto una lettura precoce di Bultmann. Bultmann, nel suo libro sul Cristianesimo primitivo, cita delle frasi apocrife, beninteso, dei primi tempi del Cristianesimo, in cui si parla della libertà dei figli di Dio, e in cui apparentemente questa libertà dei figli di Dio è una libertà totale che doveva andare - penso che sarebbe piaciuto molto a Bataille se ne avesse avuto notizia - fino alla libertà sessuale nei rapporti umani, che ha cominciato ad essere codificata, istituzionalizzata, relativamente più tardi.

SERGIO BENVENUTO: Si tratta dei Vangeli Apocrifi?

LACOUE-LABARTHE - Sì, i Vangeli Apocrifi, e tracce, secondo Bultmann - ancora una volta, la mia lettura risale a molti anni fa - di parole prestate ai primi cristiani da scrittori greci o ebrei che scrivevano in greco.




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