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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Arti Musicali



Riflessioni psicoanalitiche sul linguaggio musicale *

Mauro Mancia



* Copyright Moretti & Vitali Editori aprile 1998
Si ringraziano il Prof. Mauro Mancia e gli Editori Moretti & Vitali, Bergamo per l’autorizzazione concessa alla riproduzione del saggio da “Le forme dell’immaginario Psicoanalisi e Musica”, ( pp 83-92 ), Atti del Convegno dell’Associazione per l’Aggiornamento e lo Studio della Psicoanalisi e della Relazione Analitica, a cura di Rosalba Carollo



Vorrei iniziare questo mio intervento analizzando il rapporto tra linguaggio parlato e linguaggio musicale. Sono giustificato in questo approccio dal fatto che il linguaggio è l'elemento centrale delle narrazioni in psicoanalisi. Per questo vorrei riferirmi ad una affermazione della Langer (1969) che la musica è un linguaggio sui generis con una sua dimensione sintattica che altro non è se non l'organizzazione del materiale sonoro secondo un principio che è in grado di esprimere un significato, cioè conferire ad esso una dimensione semantica. Ma che tipo di semantica viene proposto dalla musica? «La semanticità della musica - scrive Fubini (1973) - non le deriva dal possedere dei termini o vocaboli precedentemente fissati e confermati, dotati di un univoco riferimento (come è per il linguaggio parlato)». Possiamo dire che la musica ha una sua semanticità indeterminata, cioè fondata su una plurivalenza contestuale: «Solo in un complesso contesto sintattico i suoni, o meglio i gruppi di suoni, acquistano un significato» (Fubini, 1973).
Ma il significato che la musica come linguaggio può esprimere è un significato simbolico la cui funzione è quella di rappresentare i nostri sentimenti e quindi la nostra vita emotiva. Potremmo allora affermare, con la Langer, che la musica è una forma significante le cui strutture sono isomorfiche, cioè presentano una somiglianza nelle loro forme logiche con la nostra vita emotiva. Ne deriva che la musica è una forma che riflette la forma dei nostri sentimenti con un significato che può essere colto solo intuitivamente. Non è dunque un linguaggio come il parlato ( tra l’altro, manca di un vocabolario), ma può essere considerato un linguaggio metaforico che ha un potere anche superiore a quello parlato, in quanto può articolarsi in forme che sono negate al linguaggio verbale. Esso comunque è un modo simbolico di esprimere dei sentimenti.
Queste considerazioni sulla musica come attività umana che si esprime attraverso forme simboliche pone alla psicoanalisi questioni di estremo interesse. Poiché la psicoanalisi è un metodo antropologico che studia le emozioni e le loro rappresentazioni simboliche e, ad un tempo, una pratica clinica in cui le forme significanti con cui i sentimenti dell'analizzando si manifestano sono colte intuitivamente come sentimenti controtransferali, possiamo chiederci in che misura l'esperienza analitica ha analogie con l'esperienza musicale e se ha diritto di partecipare ad un discorso in generale sulla musica e sul problema più specifico della relazione tra linguaggio parlato e linguaggio musicale.
Innanzitutto una considerazione: la musica fonda il suo potere poietico sulla interpretazione, che è anche lo strumento principe della psicoanalisi: ambedue le interpretazioni (quella musicale e quella analitica) consentono di rivelare quello che a prima vista non sta scritto nello spartito (del musicista) o nella narrazione (del paziente). Ambedue leggono/ascoltano il linguaggio secondario che il compositore/analizzando ha lasciato sullo spartito/narrazione che costituirà il linguaggio primario della comunicazione (Todesco e Todesco, 1985). In ambedue, interpretare è anche scegliere, quindi escludere. In musica ne deriva una dualità, un rapporto dialettico tra esecuzione e opera. In analisi è la stessa tensione dialettica che si stabilisce tra i due poli della coppia, tra il testo del discorso dell'analizzando e la selezione di quel materiale transferale che sarà colto per una costruzione quale base per una interpretazione. Ambedue le pratiche, la musicale e I'analitica, permettono di estrarre da queste forme significanti il significato affettivo più profondo. Non ultima la considerazione che la musica entra nel dominio dell'estetica, una dimensione questa che si collega anche alla psicoanalisi in quanto esperienza capace di dare forma ad una verità, intesa come coerenza interna tra proposizioni (il transfert e il controtransfert) centrale alla conoscenza.
Per capire il ruolo che la musica ha in questi complessi processi che sono studiati dalla psicoanalisi è necessario andare indietro nel tempo ontogenetico. Il bambino, nelle sue prime relazioni con la madre e con il padre, dovrà costruirsi una classe di oggetti (parziali prima e più completi e integrati poi) cui dovrà dare una collocazione spazio-temporale all'interno di sé, in quello spazio metaforico che chiamiamo mondo interno. Un ruolo centrale avrà in questo processo l'esperienza che il bambino ha fatto nella sua crescita endouterina. Queste esperienze sono tutte affidate alla sensoriaIità (in primo luogo uditiva ma anche somoestesica, vestibolare, gustativa), che permetterà al feto di percepire i ritmi materni (cardiaci, respiratori, intestinali), i suoi propri ritmi e gli stimoli provenienti dall'ambiente esterno. Ne deriverà una interazione sensomotoria matemo-fetale la cui caratteristica essenziale è la costanza e la ritmicità. Questi stimoli funzioneranno da "oggetti modello" per la formazione di un primo abbozzo di rappresentazioni e costituiranno per il feto un contenitore ideale per una crescita che è fisica e mentale ad un tempo. In particolare, I'esperienza ritmica uditiva sarà essenziale per lo sviluppo delle funzioni psichiche che parteciperanno alla formazione della categoria mentale deputata alla definizione del bello. Vale forse la pena di accennare qui al fatto che la ritmicità è uno degli elementi essenziali del concetto del bello in ogni forma d'arte e non solo in musica, come si evince, peraltro, dalla sottile analisi ritmica e timbrica fatta da Agosti (1975) al testo poetico leopardiano A Silvia.
I1 ritmo sembra essere un bisogno fondamentale non solo nel campo dell'umano (biologico e psichico), ma anche nel campo dell'analisi, dove l'uscita da stati psicotici può passare, nei bambini, attraverso esperienze ritmiche con l'altro (Baruzzi, 1985). Alla nascita, la voce della madre apparirà al bambino come il primo meraviglioso strumento esterno a sé capace di produrre suono e dare continuità all'esperienza musicale ritmica precedente. E' la voce materna che parteciperà a formare un involucro di sensazioni ( l'esperienza della "pelle" [Bick, 19681, 1' "enveloppe du Soi" [Anzieu, 1987], o la contiguità sinestesica tra corpo mucoso e corpo eido-acustico del bambino al momento della poppata di cui parla Fornari [1982] ) da cui deriverà la progressiva costruzione di un mondo interno differenziato da un mondo esterno.
I due mondi, nella vita dell’uomo; manterranno strette relazioni e l'esperienza musicale può essere considerata il pont’fex che unisce la realtà esterna con il mondo interno. In questa linea di pensiero è suggestiva l'ipotesi avanzata da Fornari, 1985) che stati emotivi particolari, come ad esempio lo stato di trance che il suono del tamburo induce in alcuni popoli primitivi e, aggiungerei, lo stato di trance ipnotico che può essere indotto da alcuni ritmi in noi occidentali, sia legato ad esperienze musicali arcaiche radica nelle prime esperienze che il bambino fa con la madre prima e dopo la nascita e in cui i ritmi biologici materni potrebbero avere un ruolo fondante. Non è un caso che i miti aborigeni della creazione in Australia narrino di antiche creature totemiche che avevano percorso il continente cantando il nome di ogni cosa e con il canto avevano fatto esistere il mondo. Questa antica cosmogonia ci dice che il mondo può essere conosciuto solo se scandito da canti, come rappresentazioni dei miti.
In II crudo e il cotto, Lèvi-Strauss (1964) parla della musica che, come il mito, «si sviluppa a partire da un doppio continuo: uno esterno rappresentato dalla serie illimitata dei suoni fisicamente realizzabili ed uno interno che è il tempo psicofisiologico dell'uditore». Ma la musica, diversamente dal mito, opera per mezzo di due trame: la fisiologica e la culturale, operando una mediazione tra natura e cultura. Manca, mi sembra, nell'analisi che fa Lèvi-Strauss, la dimensione psicologica più propriamente inconscia, radicata nelle fasi più precoci della relazione madre/bambino, in cui l'organizzazione di un nuovo spazio che è quel lo del mondo interno è affidata alla sensorialità e dove la musica con i suoi ritmi e le sue frequenze tonali ha un ruolo determinante.
Queste prime esperienze infantili sono "estetiche" in quanto legate al mondo delle sensazioni e quindi capaci di fondare, in senso kantiano, le prime esperienze di "bellezza". Sono stimoli dotati di una forma e carichi di affettività che conferisce loro uno specifico tono edonico: di piacere e dispiacere. E' questa forma che il bambino introietta con gli oggetti esterni ed e essa che in virtù delle sue qualità estetiche, condizionerà la capacità del bambino di formare i suoi simboli e di organizzare la sua vita di fantasia. Ma la musica non ha solo un valore estetico - dice Paolo Rossi - essa possiede anche un valore rivelativo: ci dice qualcosa che sta sotto ciò che vediamo e ciò che sperimentiamo.

Dobbiamo convenire, perché è stata l'esperienza di ognuno di noi, che le emozioni veicolate dalla voce di una madre che accompagna con tenerezza la poppata del suo bambino che la guarda, o quelle rassicuranti, prodotte dalla voce materna che lo accompagnano nel mondo dei sogni costituiscono un tipo di comunicazione preverbale totalmente affidata alla musica che diventa una delle forme fondanti le esperienze estetiche successive.
E' convinzione, infatti, di molti analisti interessati alle basi psicologi che dell'estetica che l'esperienza che il bambino fa con la voce materna, intesa come un oggetto acustico dotato di una forma e carico di affettività, sia in grado di modulare ogni futura capacità dell'uomo di avere una rappresentazione interna di un evento musicale (o engramma musicale). Questa esperienza si ricollega anche allo sviluppo del linguaggio in quanto la voce veicola suoni (cioè fonemi) e significati (cioè morfemi) e partecipa quindi alla organizzazione interna della parola (o engramma linguistico).
E' interessante, a questo riguardo che, analogamente a quanto viene affermato da Chomsky (1977) a proposito di una grammatica generativa universale del linguaggio per cui un bambino, nei suoi primi anni di vita, può imparare qualsiasi lingua che l'ambiente in cui cresce gli offre per comunicare), altri (Fubini, 1973) parlano di una grammatica generativa della competenza musicale. Ciò significa anche conferire alla musica il carattere di un linguaggio sui generis che si differenzia per alcune caratteristiche dal linguaggio parlato in quanto va dal mentale verso il sensoriale, cioè dalla mente procede verso il corpo e tende per ciò ad essere una esperienza pre-linguistica e pre-simbolica che, collegandosi a fasi ontogenetiche precoci e indifferenziate, conserva, rispetto ad altre forme, una maggiore potenzialità semantica (Di Benedetto, 1989).
Questo discorso ne introduce un altro: come il linguaggio parlato ha una sua sintassi e quindi una sua forma articolata in una sequenza sintagmatica (potremmo dire manifesta) che fa ordine e in forma simbolica occulta contenuti latenti che si presentano alla mente in forma disordinata e disarticolata, così il linguaggio musicale, con le sue regole compositive, fa ordine in un materiale privo di Gestalt, inconscio, e tende a conferire ad esso una forma manifesta dotata di una Gestalt. E se estendiamo l'analogia tra la musica e quelle forme narrative che, ad esempio, compaiono nel sogno, appare chiaro come la censura che nel sogno occulta, distorce e deforma l'inarticolato dell'inconscio trasformandolo in un testo suscettibile di interpretazioni, presenti alcune analogie con quella griglia che è la scelta di regole compositive in musica che trasformano rappresentazioni affettive inconsce inarticolate in costruzioni articolate o forme significanti aperte ad una infinità di sensi e capaci, quindi, di veicolare specifici significati. D'altra parte, come dice Remo Bodei, la musica congiunge il massimo del rigore formale con il massimo di emotività.

In un breve quanto bellissimo saggio del 1916 intitolato Caducità, Freud, allora in vacanza sulle Dolomiti, così scrive: «Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. I1 poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell'inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato [...].Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un'eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un suo svilimento [...] I1 valore della caducità è un valore di rarità nel tempo [...] Non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell'opera d'arte e della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione temporale. [...]. Mi pareva - prosegue Freud - che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul poeta né sull'amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio [...] Doveva essere stata ]a ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello [...] e poiché l'animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l'interferenza perturbatrice del pensiero della caducità».
Questo straordinario passo dell'opera freudiana mi ha spinto ad alcune riflessioni sulla musica: la caducità ha le sue radici nel tempo e la forma significante in musica può essere considerata come quella di un oggetto dotato di un' essenza interiore temporale - come dice la Brelet (1951)- diverso dunque dagli altri oggetti estetici che possiamo definire spaziali. «Una virtualità che attende sempre una nuova realizzazione». E' in questa attesa che si struttura, per me, un codice di significazione che fluisce nel tempo e si fruisce nel tempo, potendosi misurare con una unita di misura che appartiene al mondo delle emozioni o, se si preferisce l'immagine bergsoniana, al tempo vissuto. Ed è in questa attesa che la caducità del vissuto della musica si collega alla caducità delle sue forme. L'ascolto comporta un continuo separarsi da forme compiute e una attesa sempre nuova di nuove forme. Un proporsi, quindi, di una serie ininterrotta di lutti, come momenti enigmatici e ineludibili di fronte alle continue trasformazioni cui vanno incontro, nel percorso lineare del tempo, le forme musicali.
L'arte spaziale, con le sue forme e la sua Gestalt, resta un oggetto completo che si può godere nella sincronia delle sue forme. L'arte della musica è temporale e la sua forma èdiacronica, restando «virtuale tra le sue successive ricreazioni» (Brelet, 1951). Questa temporalità dell'esperienza comporta una frammentazione delle emozioni, una serie ininterrotta di "stati malinconici» superati e trasformati dal recupero gestaltico operato dalla memoria. Memoria che dà un senso e una continuità alla forma sonora, permettendo ai suoni di entrare in relazione tra loro, ma anche, in analogia a quanto succede nel sogno, dando valore alla soggettività e collegando l'attualità dell'esperienza alle emozioni di un tempo che hanno dato forma al mondo interno.
Queste riflessioni ne trascinano altre, che ci portano nel dibattito sulle avanguardie musicali e sui diversi tipi di ascolto cui la musica tonale da una parte e la seriale e dodecafonica dall'altra ci costringono. Non possiamo qui trascurare le parole di Adorno (1959): «La musica moderna, con il disorientamento che provoca nell'ascoltatore, getta i~ seme dell'inquietudine [...] la musica nuova va ascoltata in modo diverso e con diverso atteggiamento estetico, con diversa disposizione intellettuale [...] La nuova musica, indipendentemente dalle diverse tendenze cui appartiene, non ammette quella passiva sensazione di benessere che erroneamente ci si attende dalla musica tradizionale [...] Tutta la musica conclude Adorno - va ascoltata come se fosse musica moderna».
Da psicologo, Ehrenzweig (1965) propone una distinzione tra ascolto fusionale (privilegio della musica tonale e in particolare delle grandi composizioni classiche e romantiche) e ascolto separato (prerogativa della nuova musica seriale e dodecafonica introdotta dai tre grandi viennesi: Schonberg, Berg, Webern).
Sul piano analitico, può essere suggestivo ricondurre il discorso sulla musica tonale e atonale all'opposto effetto che queste diverse forme possono produrre nell'impatto con il nostro mondo interno: la tonale, essendo capace di promuovere un processo di integrazione psichica che, con la risoluzione delle dissonanze, facilita la organizzazione, il restauro e la ricostruzione degli oggetti interni (operazione, questa, che si collega alla posizione depressiva della prima infanzia), mentre la atonale, con le dissonanze che comporta, faciliterebbe la scissione, frammentazione e disorganizzazione degli stessi oggetti (modalità, queste, che caratterizzano la posizione schizo-paranoide).
I1 discorso sull'ascolto musicale potrebbe allora essere ricondotto ad un opposto vissuto con cui i nostri oggetti interni rispondono alle diverse forme musicali: un vissuto di tipo depressivo, con la preoccupazione per l'oggetto e per il suo recupero nelle forme tonali, e un vissuto di tipo paranoide, dominato da modalità proiettive, egocentriche e disgreganti nelle forme atonali. L'effetto diverso è collegato alla diversa struttura formale della musica, dove le note o un gruppo di esse possono combinarsi e assumere significati simbolici diversi (in questo presentando analogie con i simboli onirici) in rapporto al contesto di cui entrano a far parte. E analogamente all'organizzazione di una scena del sogno, l'ascolto musicale implica comunque un'esperienza proiettiva che si collega allo stato in cui si trovano i nostri oggetti interni: dèi e demoni del nostro universo mentale (Mancia, 1987). Ciò permette di capire l'apparente facilità con cui seguiamo una esecuzione tonale, che si collega ai processi integrativi delle esperienze primarie del bambino con la madre, e l'impegno a volte faticoso, o persino disturbante, che richiede l'ascolto della musica atonale, che sembra contrastare questo arcaico processo integrativo.
La nuova musica - dice Adorno (1958) - «va spazzolata contro pelo», cioè va compresa con la coscienza del suo quoziente di inquietante incomunicabilità. Possiamo chiederci: si tratta davvero di incomunicabilità o non è piuttosto un "contro pelo" dovuto al lavoro cui ci costringe la nuova musica, per ricomporre dentro di noi le dissonanze, per riorganizzare forme simboliche secondo un "fatto prescelto" (intendo nel senso di Poincaré), e ricreare dentro di noi un nuovo oggetto.
La psicoanalisi dell'ascolto musicale ci insegna che per godere della musica, di ogni musica, significati più profondi, è necessaria una distanza ottimale. La musica tonale sembra invitarci a ridurre questa distanza incoraggiandoci ad un più facile interplay identificatorio, ma con il pericolo di confonderci con essa. La musica atonale tende invece ad aumentare la nostra distanza emozionale e finisce per limitare il nostro gioco identificatorio. Essa ci forza a tollerare le dissonanze che ci allontanano dall'integrazione, creando quindi un certo tipo di sofferenza e costringendoci a un lavoro, entro parametri più rigidi, di scelta di un « fatto» nuovo di volta in volta capace di dare una forma gestaltica a quanto viviamo musicalmente e da questa Gestalt cogliere/costruire un significato che risuoni dentro di noi e sia in grado di trascinarci dal mondo delle percezioni a quello delle emozioni.


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