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PSYCHOMEDIA
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"A beautiful mind"

Recensione a cura di Ignazio Senatore



"Mai fare un film da un libro; o tradisci il libro, o tradisci il film" Come non concordare con queste affermazioni prese a prestito dal film "Tutta una vita"di Calude Lelouche? Abbandonate in fretta inutili disgressioni sulla bontà o meno delle trasposizioni cinematografiche di opere letterarie, va ricordato come il mondo del cinema aveva già mostrato la sofferenza di chi, condannato ad avere una mente logica e razionale, veniva irrimediabilmente risucchiato nel vortice irrazionale della follia. In "Morte di un matematico napoletano" (1992) Mario Martone ci mostrava, in maniera struggente, la lenta ed inesorabile deriva che spinse il nipote di Bakunin, il matematico Renato Caccioppoli, al suicidio. Nel sorprendente ed ineguagliabile "Pi greco. Il teorema del delirio" (1997) Darren Aronofsky metteva in scena la lenta e graduale perdita di contatto della realtà di Max Coen, un talentuoso matematico che dopo aver scoperto le formule matematiche che regolavano il mondo della finanza, perdeva contatto con la realtà, fino ad impazzire. "A beautiful mind", diretto da Ron Howard (l'ex Richie di "Happy days") trae anch'esso la sua ispirazione alla vita straordinaria di un geniale matematico, John Forbes Nash che nel 1994, fu insignito del Premio Nobel per l'economia (assieme a John Harsanyi e Richard Selten) per i suoi "studi sull'analisi degli equilibri nella teoria dei giochi non cooperativi".

Il libro

Il film è "liberamente" tratto al libro di Silvia Nasar "Il genio dei numeri" (Rizzoli Editore). La scrittrice, nel suo dettagliatissimo volume, ripercorre le tappe più salienti della vita del geniale matematico. Riporterò alcuni brani del volume che mi sembrano illustrino in maniera esaustiva i fantasmi che popolavano la mente del geniale matematico: "Nash era un bambino strano, con il naso affondato in un libro o in una rivista, incapace di giocare con i bambini del suo vicinato, bersaglio degli scherzi dei suoi coetanei". Nel corso del tempo, il suo atteggiamento insolito e strano fu tollerato ed etichettato come uno dei comportamenti tipici di quei matematici, abituati ad avere la "testa tra le nuvole". Le prime chiare avvisaglie della malattia mentale di Nash si ebbero nel 1959: "All'età di 30 anni entrò nella sala dei professori con una copia del New York Times e affermò che la storia raccontata nell'angolo in alto a sinistra, conteneva un messaggio cifrato inviato dagli abitanti di un'altra galassia che solo lui era in grado di decifrare." In quel periodo, una sua amica ricorda di aver fatto un viaggio in macchina con lui ed Alicia: "Nash continuava a cambiare stazione radio. Pensavamo volesse essere solo dispettoso. Ma lui era convinto che gli trasmettessero dei messaggi." Lo stesso Nash, nel ricordare gli anni passati, affermò di ricordare che in quel periodo: "Cominciai a notare la presenza nel campus di uomini con la cravatta rossa e gli sembravano che gli inviassero dei segnali." Nel febbraio dello stesso anno, nel bel mezzo di una conferenza Nash si rivolse ad un suo collega e gli disse: "Vasquez, sai che sono sulla copertina di "Life"?. Nash gli disse che la fotografia era stata truccata in modo che paresse l'immagine di Papa Giovanni XXIII. Sulla copertina della rivista, vi era anche la fotografia di Vasquez e anche quella era stata rimaneggiata. Come sapeva che la foto, in apparenza del Pontefice, in realtà, ritraeva lui? Per due motivi, spiegò. Primo, perché Giovanni non era il vero nome del Papa ma un nome che quest'ultimo si era scelto. Secondo perché il 23 era il suo numero primo preferito." Secondo la scrittrice americana la prima diagnosi formulata a John Nash fu quella di "schizofrenia paranoide- allucinatoria". La Nasar ricorda, infine, come il geniale matematico avesse subito nel corso degli anni, una dozzina di ricoveri coatti che durarono fino a sei mesi e fosse stato sottoposto (come viene mostrato anche chiaramente nel film di Howard) a trattamenti psicofarmacologici e terapie di shock insulinico.

Il film

Il film di Howard essendo strutturato secondo i più fedeli e canonici dettami del classico biopic (biographic picture) hollywoodiano, mette in scena la vita di John Nash, dal suo arrivo all'Università di Princeton nel 1948 fino al 1994, anno nel quale fu insignito del Premio Nobel per l'economia. Fin dalle prime sequenze, il regista mostra come il giovane Nash (interpretato da un misurato e convincente Russel Crowe) come un soggetto "strano" bizzarro ed eccentrico, ossessionato dalla paura di non entrare a far parte dell'Olimpo dei matematici. Dopo varie vicessitudini, Nash riuscirà finalmente a produrre uno scritto e a consegnarlo agli accademici dell'Università. L'originalità del suo approccio alla "teoria dei giochi non cooperativi" (sarà per questo scritto che gli verrà poi insignito del Premio Nobel) permetterà al giovane Nash di ottenere, all'interno dell'Università un incarico di grande prestigio. La trama assume ben presto la struttura di un thriller intrigante ed affascinante, colorato con i colori e le atmosfere tipiche degli Anni Cinquanta ed impregnate di quella crescente paranoia che si sviluppò in America, in quegli anni, in pieno maccartismo e noto come "caccia alle streghe". Al giovane Nash viene affidato il compito di decifrare un codice segreto militare e da quel momento la sua vita cambierà....Il film narrerà poi le sofferenze del geniale matematico e la sua inarrestabile discesa negli Inferi della follia. Sul finale del film Nash troverà la forza di opporsi alla malattia, grazie all'amore e all'aiuto della moglie Alicia.




I pregi della pellicola

Ron Howard, prima di questo film aveva già alle sue spalle una solida carriera di regista (Apollo 13, Parenti amici e tanti guai, Cocoon, Cuori ribelli...). Pur confezionando pellicole gradevoli e di discreta fattura, in nessuno dei precedenti film aveva mostrato particolari cifre stilistiche. "A beautiful mind" (vincitore di 4 Golden Globes e 4 premi Oscar su 8 Nominations) è da ritenere certamente l'opera più matura di questo "onesto" artigiano della macchina da presa. Tralasciando il commento tecnico del film, credo che questa pellicola abbia un pregio: quello di aver mostrato splendidamente le allucinazioni di cui era affetto John Nash e di averlo fatto senza ricorrere agli "effetti speciali". A differenza dei suoi predecessori, Ron Howard spoglia le allucinazioni del protagonista da quegli aspetti "fantastici", "immaginifici", "orrorifici" o di "irrealtà" (basti pensare a quelle che colpivano Robin Williams ne "La leggenda del Re pescatore", alle allucinazioni zooptiche dell'alcolista protagonista di "Giorni perduti", a quelle dello scienziato di "Stati di allucinazione" di Ken Russel...) e le mostra, invece, come dei prodotti "naturali" di una mente disturbata. Probabilmente il ricorso a questa cifra stilistica sarà dovuto anche alla scelta di un sensibilissimo sceneggiatore (Akiva Goldsman) figlio di due psichiatri e fondatori di una delle prime case famiglia per bambini con problemi emotivi d'America. Del resto, Ron Howard, in un'intervista ha dichiarato che l'intento del suo film non era quello di fornire delle spiegazioni sociologiche o psicoanalitiche al disagio mentale del protagonista ma era semplicemente quello di: "Mostrare che uno schizofrenico è euguale a qualsiasi altro malato: si innamora, ha figli, cerca di ottenere qualcosa nella vita". Russel Crowe, sulla scia delle dichiarazioni di Howard, ha successivamente commentato: "Se hai una mente come Nash sei a rischio. E' inevitabile. I tuoi contemporanei non sono né in grado di capirti, né di percepire la realtà come la vedi tu. E questo ti provoca un sacco di problemi, a livello sociale e nel campo degli affetti. Ma Nash si è ribellato all'andazzo corrente; voleva qualcosa di eccelso. Di sicuro non è mai stato uno studente disposto ad accontentarsi dei buoni voti agli esami. Non ricordo se sia stato Edgar Allan Poe che ha detto: "Ancora non sappiamo se la follia si o non sia la forma più sublime d'intelligenza..." (1). "A beautiful mind" è un film sulla sopravvivenza. Nash sopravvive, acquista in saggezza e forza durante il viaggio, malgrado le difficoltà. Dunque è una storia di trionfi che nobilita. Racconta come un uomo geniale, grazie alla sua straordinaria intelligenza, abbia saputo dominare razionalmente i suoi incubi e i suoi fantasmi. Probabilmente ha imparato a convivere pacificamente il che lo ha reso socialmente accettabile e degno del Nobel

I difetti

Il cinema, "tradendole", ha spesso tratto la propria ispirazione da pagine letterarie. Ron Howard sembra abbia accettato in pieno questa filosofia e per rendere credibile la sua favola romantica, ha operato volutamente delle grossolane infrazioni al testo. Leggendo le pagine di Silvia Nasar si scopre che il geniale matematico, a seguito di una relazione con una certa Eleonor, nel 53, ebbe un figlio chiamato John David. Lo stesso Nash non solo non riconobbe il nascituro ma per anni si rifiutò di contribuire alle spese del suo mantenimento. Con il trascorrere degli anni, il suo atteggiamento nei confronti del figlio fu sempre ambivalente e distanziante. La Nasar, inoltre, riporta numerosi episodi che rimandano ad un "incerto" orientamento sessuale di Nash, culminato nel 54, con un arresto perché accusato di aver adescato degli uomini in un bagno pubblico di Palisades. Ma forse l'infrazione maggiore che compie volutamente il regista è stata quella di voler edulcorare la realtà e mostrare che John Nash sia guarito, grazie alla cura e all'affetto della cara moglie Alicia. Howard nel film, volutamente omette d raccontare che nel 63 Alicia chiese il divorzio da Nash e che accettò di ritornare a vivere con Nash solo nel 1970. La coppia, si sarebbe risposata solo lo scorso anno. Infine, Howard, infine, omette di raccontare che il figlio legittimo, nato dal matrimonio tra Nash ed Alicia, dopo aver ricalcato le orme paterne ed essere diventato un brillante matematico, attualmente è un giovane affetto da "psicosi schizofrenica". Dalla lettura del libro della Nasar, appare evidente come Ron Howard, per dare un tocco romantico all'intera vicenda, abbia volutamente tralasciato di narrare alcuni dei tormentati e dolorosi accadimenti accorsi nella vita del protagonista. Ma c'è da chiedersi; se il regista non avesse edulcorato in maniera così massiccia la vita del protagonista e l'avesse narrata senza operare tagli, il film non sarebbe risultato ancora più duro ed affascinante?

Conclusione

"A beautiful mind" resterà nella storia del cinema come una delle tante storie che ruotano intorno alla "vittoria" di un singolo sulla propria sofferenza. Ma prima di concludere lo scritto è forse giusto dare l'ultima parola al protagonista di questa vicenda che, nella conferenza di Madrid del 1996, così commentò: "Recuperare la razionalità dopo essere stato irrazionale, recuperare una vita normale è una cosa eccezionale. Ma forse non è così eccezionale. Supponiamo di avere un'artista. E' un individuo razionale. Ma supponiamo che non possa dipingere. Può funzionare normalmente. E' davvero una cura? E' davvero una salvezza? Penso che non potrò essere un buon esempio di una persona che si è ripresa fin quando non riuscirò a fare qualche buon lavoro."

(1) N.d.R: Russel Crowe nel citare Edgar Allan Poe fa riferimento ad un passo del racconto "Eleonora".


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