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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Psicosomatica


Intelligenza emotiva e cervello emotivo: punti di convergenza e implicazioni per la psicoanalisi

di Graeme Taylor, James D.A. Parker, R. Michael Bagby

Graeme J. Taylor, Department of Psychiatry, Mount Sinai Hospital, University of Toronto, Ontario, Canada; James D.A. Parker, Trent University, Peterborough, Ontario, Canada; R. Michael Bagby, Centre for Addiction and Mental Health, Clarke Division, University of Toronto, Ontario, Canada

Lavoro presentato al 43.mo incontro annuale dell'American Academy of Psychoanalysis, Washington, DC, maggio 1999

Pubblicato sul Journal of the American Academy of Psychoanalysis, 27(3), 339-354, 1999

By permission of the American Academy of Psychoanalysis
(traduzione e introduzione di Piero Porcelli)



INTRODUZIONE

Pubblichiamo con piacere su PM-TR la traduzione italiana del recente lavoro di Taylor, Parker e Bagby "Emotional intelligence and the emotional brain: Points of convergence and implications for psychoanalysis", originariamente presentato al 43.o meeting annuale dell'American Academy of Psychoanalysis tenutosi a Washington, DC nel maggio 1999 e successivamente pubblicato sul Journal of the American Academy of Psychoanalysis. Ringraziamo l'American Academy of Psychoanalysis per aver concesso l'autorizzazione a pubblicarne la traduzione italiana.

Graeme Taylor (psicoanalista, Università di Toronto [http://www.gtaylorpsychiatry.org/]), Mike Bagby (psicologo esperto in psicometria, Clarke Division dell'Università di Toronto) e Jim Parker (psicologo clinico, Trent University di Peterborough) costituiscono il c.d. "gruppo di Toronto". Il gruppo canadese è noto particolarmente fra coloro che si interessano di psicosomatica perché rappresentano la punta più avanzata della ricerca sul costrutto di alexithymia, nato dalle osservazioni cliniche di Peter Sifneos, John Nemiah e Harald Freyberger nella prima metà degli anni '70. Gli autori canadesi hanno sviluppato la scala di valutazione dell'alexithymia più diffusa e più validata psicometricamente (la Toronto Alexithymia Scale, TAS), tradotta e cross-validata in vari paesi, compresa l'Italia. Taylor, che è spesso venuto in Italia per seminari e conferenze, ha al suo attivo un interessante libro pubblicato nel 1987 - "Psychosomatic medicine and contemporary psychoanalysis" - tradotto in italiano da Astrolabio nel 1993. Lo stato dell'arte della ricerca sull'alexithymia è stato di recente oggetto del volume collettivo dei tre autori edito nel 1997, "Disorders of affect regulation" (la cui traduzione italiana è pubblicata dall'editore Giovanni Fioriti) in cui si avanza l'interessante proposta di considerare alcuni disturbi medici e psichiatrici, normalmente inquadrati sotto categorie diagnostiche discrete, come differenti espressioni di un più ampio e comprensivo disturbo della regolazione affettiva.
Il gruppo di Toronto rappresenta una delle migliori espressioni del modo di intendere la ricerca in psicosomatica ed in psicologia in generale. I diversi orientamenti teorico-metodologici rappresentati dai tre autori riflettono una filosofia di fondo nella ricerca sull'alexithymia. Negli ultimi 15-20 anni, il costrutto è stato progressivamente indagato dal gruppo da 3 punti di vista:
1) a livello psicoanalitico (Taylor), attraverso le implicazioni con alcuni paradigmi della psicoanalisi contemporanea, quali soprattutto la Self Psychology e la teoria dell'attaccamento;
2) a livello psicologico clinico (Parker), attraverso le convergenze teorico-cliniche con altri costrutti psicologici (ad esempio la "psychological mindedness" e la "emotional intelligence") e le connessioni con evidenze empiriche e dati sperimentali provenienti dalle neuroscienze e dalla biologia evolutiva;
3) a livello psicometrico (Bagby), ogni affermazione teorica sulle articolazioni dell'alexithymia viene costantemente validata empiricamente grazie al continuo perfezionamento delle varie forme di validità psicometrica della TAS (giunta oggi alla sua terza revisione a 20 items, la TAS-20).
Questa stessa filosofia della ricerca presiede la politica scientifica del gruppo. A differenza di quanto accade soprattutto in ambiente accademico e psicoanalitico istituzionale, il gruppo canadese non si è mai chiuso su sé stesso ma ha sempre favorito la collaborazione con ricercatori di tutto il mondo, tanto da costituire oggi il vertice di riferimento di decine di gruppi di ricerca. Si tratta di un atteggiamento spiccatamente laico di ricerca, rarissimo e quindi prezioso.

Nel lavoro qui riportato, gli autori presentano le loro riflessioni sulla sovrapposizione fra il costrutto di alexithymia e due costrutti recentemente affermatisi nel campo della teoria delle emozioni, l'intelligenza emotiva di Daniel Goleman ed il cervello emotivo di Jospeh LeDoux. L'interesse del lavoro consiste anche nel fatto che i ricercatori canadesi tentano di accreditare il paradigma della alexithymia in quanto esito della convergenza di ricerche indipendenti in campi diversi (psicologia sperimentale, biologia evolutiva, neurofisiologia, psicoanalisi) ma che focalizzano tutti il medesimo oggetto di conoscenza, gli affetti. Il lavoro contiene anche una vignetta clinica, il caso di un anziano medico che soffre di stati disforici, trattato con una "classica" tecnica psicoanalitica. Il paziente è gravemente alessitimico ma l'analista non riesce a comprendere questo dato clinico. La discussione del caso mostra come tale incomprensione diagnostica può portare allo stallo della terapia ed anche a conseguenze antiterapeutiche, come l'esordio di una patologia cardiovascolare. Anche in questo caso, l'atteggiamento laico degli autori implica il riconoscimento dei limiti della psicoanalisi e quindi il bisogno di una sua continua integrazione con altri settori della ricerca clinica.

Piero Porcelli



Intelligenza emotiva e cervello emotivo: punti di convergenza e implicazioni per la psicoanalisi

di Graeme Taylor, James D.A. Parker, R. Michael Bagby


Vi sono stati di recente due sviluppi interessanti nel vasto settore della teoria e della ricerca sulle emozioni. Il primo proviene dall'introduzione del concetto psicologico di "intelligenza emotiva", divenuto popolare grazie al best-seller di Goleman (1995). Il secondo proviene dalla scoperta dei meccanismi cerebrali delle emozioni, descritti da LeDoux (1996) nell'affascinante libro "Il cervello emotivo". Mentre le ricerche di LeDoux e di altri hanno chiarito molti aspetti neuroanatomici e neurofisiologici dell'elaborazione emotiva, Goleman enfatizza soprattutto le differenze individuali degli aspetti psicologici e funzionali delle emozioni.
In questo articolo ci proponiamo di rivedere alcuni aspetti concettuali dell'intelligenza emotiva e di descrivere come essi si sovrappongano ad alcuni concetti psicoanalitici. Infine ci proponiamo di considerare alcuni studi empirici recenti che hanno esplorato la relazione fra intelligenza emotiva ed il costrutto di alexithymia. Verrà presentato anche un caso clinico per illustrare alcune implicazioni dell'intelligenza emotiva e dei costrutti teorici ad essa vicini nella pratica psicoanalitica. Infine, nel tentativo di spiegare le differenze individuali di intelligenza emotiva, prenderemo in considerazione le recenti acquisizioni sul cervello emotivo ed i risultati di studi neurobiologici che mostrano come alcuni aspetti del costrutto di intelligenza emotiva siano correlati con l'attività funzionale di quelle sezioni del cervello coinvolte nell'elaborazione cognitiva delle emozioni. Concluderemo avanzando la proposta che lo sviluppo dei meccanismi cognitivi e neuronali che sottendono l'intelligenza emotiva sia influenzata dalle prime relazioni di attaccamento.


IL CONCETTO DI INTELLIGENZA EMOTIVA

Sebbene abbia solo di recente conquistato l'interesse del pubblico, il costrutto di intelligenza emotiva è stato elaborato nella letteratura scientifica circa un decennio fa da Salovey e Mayer (1989/90) e deriva dai precedenti concetti di intelligenza sociale e intelligenza personale. Nel delineare la sua teoria delle intelligenze multiple, Gardner (1983) descrisse due forme di intelligenza personale: l'intelligenza intrapersonale, che è la capacità di accedere alla propria vita affettiva, e l'intelligenza interpersonale, che è la capacità di leggere gli stati d'animo, le intenzioni e i desideri degli altri. Gardner (1983) considerava le due forme di intelligenze personali come abilità biologicamente fondate di elaborare le informazioni - una diretta verso l'interno e l'altra verso l'esterno - intimamente intrecciate. In psicoanalisi, queste abilità vengono spesso definite auto-consapevolezza emotiva ed empatia.
Queste abilità fondamentali dell'intelligenza personale sono centrali nel costrutto di intelligenza emotiva, che Salovey e Mayer definirono originariamente come "la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tale informazione per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni". Questa definizione implica l'idea che il sistema affettivo funziona in parte come sistema di elaborazione delle informazioni e delle percezioni. Infatti Salovey e Mayer affermano che "i processi sottostanti l'intelligenza emotiva vengono attivati quando l'informazione affettiva entra per prima nel sistema percettivo".
Oltre alla consapevolezza e all'apprezzamento dei propri sentimenti soggettivi, l'intelligenza emotiva comprende la percezione e la considerazione dei comportamenti emotivi non-verbali, incluse le sensazioni corporee evocate dall'attivazione emozionale, le espressioni facciali, il tono della voce e la gestualità esibita dagli altri. Vi sono però differenze individuali nella capacità delle persone di elaborare ed usare l'informazione. Individui con elevati livelli di intelligenza emotiva riescono facilmente ad identificare e descrivere i sentimenti in sé stessi e negli altri, a regolare efficacemente gli stati di attivazione emozionale in sé stessi e negli altri ed usano generalmente le emozioni in modo adativo (Salovey et al, 1983; Salovey e Mayer, 1989/90).


CONVERGENZA CON I CONCETTI PSICOANALITICI

Mayer e Salovey (1997) hanno di recente modificato la loro definizione di intelligenza emotiva per sottolineare in maniera più decisa "la capacità di pensare sui sentimenti". Bar-On (1997), che ha elaborato un questionario autosomministrato per valutare l'intelligenza emotiva, adopera un modello più esaustivo del costrutto che include l'adattabilità, le capacità di gestione dello stress e l'intelligenza intrapersonale e interpersonale. Nonostante la varietà delle definizioni, comunque, le componenti centrali dell'intelligenza emotiva mostrano alcune convergenze teoriche con molti concetti psicoanalitici, fra cui il concetto freudiano di emozione come segnale.
In "Inibizione, sintomo e angoscia" (1926), Freud ipotizzò che l'ansia fosse un'informazione generata dall'Io sul suo stato di sicurezza e sul bisogno di mobilitare le difese contro pulsioni e fantasie interdette. Freud incluse in questa concezione anche gli affetti depressivi in quanto essi segnalano all'Io la perdita dell'attaccamento ad una persona amata e gratificante. Le successive teorie psicoanalitiche hanno poi ulteriormente esteso la funzione di segnale ad un'ampia gamma di affetti (Jacobson, 1994).
Nonostante il riconoscimento dell'aspetto di informazione e di segnale per quanto riguarda gli affetti, Freud (1915) non ha mai abbandonato la sua idea originaria che gli affetti derivino dalle pulsioni. Nella psicoanalisi contemporanea gli affetti vengono però considerati come fattori motivazionali primari di un sistema basilare che valuta e comunica lo stato del sé in ogni momento nel corso del tempo (Jones, 1995; Spezzano, 1993). Infatti gli affetti vengono oggi considerati come il nocciolo e l'origine della soggettività umana: è grazie al fatto di provare sentimenti che noi sappiamo chi siamo - e questa è una delle caratteristiche centrali dell'intelligenza emotiva (Gardner, 1983).
Un altro concetto psicoanalitico convergente con il costrutto di intelligenza emotiva è quello di "psychological mindedness" (1). Sebbene questo concetto sia stato spesso usato come sinonimo di altri concetti definiti in modo però più vago (introspezione, auto-consapevolezza), la maggior parte degli analisti seguono la concezione di Appelbaum (1973) secondo cui la "psychological mindedness" si riferisce alla "capacità individuale di saper valutare le relazioni fra pensieri, sentimenti e azioni, con l'obiettivo di imparare i significati e le cause delle proprie esperienze e dei propri comportamenti". La capacità di accedere e di pensare alle origini ed ai significati dei sentimenti soggettivi è una caratteristica importante della "psychological mindedness", ed è anche ritenuta centrale nell'influenzare il corso di una psicoterapia analitica (Conte et al, 1990).
La capacità di pensare e riflettere sugli stati emotivi propri e altrui viene indicata da Fonagy e colleghi (1991) come "funzione auto-riflessiva" o, più semplicemente, "funzione riflessiva" (Fonagy & Target, 1997). Tale funzione richiede la capacità di formare delle rappresentazioni mentali di emozioni ed altre esperienze (ad es. la mentalizzazione), comprese le rappresentazioni del mondo mentale degli altri. E' una funzione che evolve precocemente nella vita quando il bambino sviluppa una "teoria della mente" ed è strettamente legata al raggiungimento delle abilità di regolazione affettiva. Come notato in precedenza, la definizione di Mayer e Sallovey (1997) dell'intelligenza emotiva sottolinea sia la capacità di riflettere e pensare sui sentimenti che la capacità di regolare le emozioni. Come per l'intelligenza emotiva, gli individui variano nella misura in cui impiegano la funzione riflessiva. Si presume che tali differenze stiano a significare differenze qualitative nella mappatura rappresentazionale delle emozioni e dell'esperienza di sé (Fonagy & Target, 1997).
Da un punto di vista teorico, esiste una relazione inversa ma forte fra aspetti del costrutto dell'intelligenza emotiva ed il costrutto di derivazione psicoanalitica di alexithymia. Quest'ultimo è stato teoricamente collegato con un deficit nella rappresentazione mentale delle emozioni e con una limitata capacità di usare gli affetti come segnali (Krystal, 1998; Lane & Schwartz, 1987; Taylor et al, 1997). Poiché è oggi disponibile un ampio corpo di ricerche sull'alexithymia (per una review esaustiva, cfr Taylor et al, 1997), ci soffermeremo adesso su questo costrutto in modo più dettagliato.


IL COSTRUTTO DI ALEXITHYMIA

Come già illustrato in precedenti contributi (Taylor, 1995; Taylor et al, 1997), il costrutto di alexithymia è stato formulato da Nemiah, Freyberger e Sifneos (1976) sulla base di osservazioni cliniche e comprende le seguenti caratteristiche centrali: a) difficoltà di identificare i sentimenti, b) difficoltà di descrivere i sentimenti, c) limitata capacità immaginativa, d) stile di pensiero orientato verso la realtà esterna. Sebbene la difficoltà di monitorare sentimenti ed emozioni degli altri non sia compresa nella definizione del costrutto, vi sono resoconti clinici ed evidenze empiriche che indicano che individui con elevati livelli di alexithymia hanno marcate difficoltà nell'identificare emozioni dall'espressione facciale degli altri (Lane et al, 1996; Parker et al, 1993) e manifestano una capacità ristretta di empatizzare con gli stati emozionali degli altri (Beckendam, 1997; Davies et al, 1998; Krystal, 1979; McDougall, 1989; Taylor, 1987). Inoltre evidenze empiriche mostrano che l'alexithymia è associata alla difficoltà di discriminare fra diversi stati emozionali (Bagby et al, 1993) ed alla limitata capacità di pensare sulle emozioni ed usarle per affrontare situazioni stressanti (Parker et al, 1998; Schaffer, 1993). La limitata capacità di rappresentare e regolare cognitivamente le emozioni rende probabilmente gli individui alessitimici maggiormente vulnerabili verso una varietà di disturbi medici e psichiatrici (Taylor et al, 1997).
Data la somiglianza concettuale fra alexithymia ed intelligenza emotiva, ci si dovrebbe aspettare che individui che abbiano elevati punteggi a scale di valutazione dell'alexithymia abbiano bassi punteggi a scale di valutazione dell'intelligenza emotiva. Schutte et al (1998) hanno recentemente sviluppato una scala auto-somministrata a 33 items per valutare l'intelligenza emotiva ed hanno riportato una forte correlazione negativa con la Toronto Alexithymia Scale (r=-0.65, p<0.0001) in un piccolo campione non clinico (N=25). Più di recente, abbiamo esaminato la relazione fra la versione a 20 items della Toronto Alexithymia Scale (TAS-20) (Bagby et al, 1994) ed il BarOn Emotional Quotient Inventory (EQ-i) che valuta 13 componenti concettuali dell'intelligenza emotiva i quali clusterizzano in 4 fattori di secondo ordine (Bar-On, 1997). In un ampio campione di popolazione generale (N=734), la media del punteggio totale della TAS-20 è risultato correlare fortemente e negativamente con la media del punteggio totale dell'EQ-i (r=-0.72, p<0.01). Correlazioni significative negative sono state ottenute anche con tutte le sottoscale dell'EQ-i, compresa quella di auto-consapevolezza emotiva (r=-0.67) e di empatia (r=-0.46). In un modello di path-analysis che usa i 4 fattori di secondo ordine dell'EQ-i ed i 3 fattori della TAS-20, la stima del parametro dei punteggi totali dell'EQ-i e della TAS-20 è stato di -0.94 (p<0.01) (Parker, Taylor, et al, 1999; Taylor & Bagby, in press).
Sebbene i fattori di adattabilità e di stress-management dell'EQ-i possano essere considerati più appropriatamente come variabili di risultato (outcome variables) e non misure delle capacità fondamentali dell'intelligenza emotiva (Taylor & Bagby, in press), questi risultati confermano che l'alexithymia e l'intelligenza emotiva siano costrutti opposti e fortemente sovrapposti. E sebbene la relazione fra intelligenza emotiva e "psychological mindedness" non sia stato ancora indagato empiricamente, si potrebbe prevedere una forte correlazione negativa fra questi costrutti poiché la TAS-20 ed i suoi tre fattori correlano tutti fortemente e negativamente con la Psychological Mindedness Scale sviluppata da Conte et al (1990; Taylor et al, 1997; Taylor, 1995).


IMPLICAZIONI CLINICHE

Poiché la capacità di accedere e riflettere ai sentimenti e ad altri aspetti dell'esperienza interna aumenta la prospettiva di successo nel trattamento psicoanalitico (Conte et al, 1990; Taylor, 1995), ci si dovrebbe attendere che pazienti con basso livello di intelligenza emotiva rispondano poco a forme di psicoterapia di insight. Infatti molti clinici riferiscono che i pazienti con caratteristiche alessitimiche siano difficili da trattare analiticamente (Krystal, 1982/1983; Sifneos, 1972/1973; Taylor, 1987; Taylor et al, 1997). McDougall (1972/1980) li definisce "anti-analizzandi". Come illustra il seguente caso clinico, comunque, alcuni analisti non riescono ancora ad individuare le caratteristiche cliniche dell'alexithymia o dell'intelligenza emotiva, per cui il trattamento può correre facilmente il rischio di un prolungato periodo di stagnazione.

Esempio clinico

Il Dr.Jones, medico di 63 anni, ha chiesto ad un analista anziano un trattamento per vaghi ma persistenti sentimenti disforici. Dopo 2 anni di psicoterapia analitica a 2 sedute settimanali da cui non ha tratto alcun beneficio terapeutico, il Dr.Jones fu inviato ad uno psichiatra che richiese una valutazione per alexithymia ed intelligenza emotiva.
Durante un colloquio preliminare, il Dr.Jones riferì di aver trovato l'esperienza psicoterapeutica estremamente stressante poiché non sapeva assolutamente di cosa parlare, tanto da aver trascorso molte sedute addormentato sul divano dell'analista. Quando il Dr.Jones si lamentò di questa sua difficoltà nel trattamento, l'analista gli suggerì soltanto di aumentare la frequenza settimanali delle sedute a quattro. Incapace di dire all'analista di voler terminare la terapia, il Dr.Jones diventò sempre più inquieto ed alla fine ebbe un attacco cardiaco mentre era in vacanza. Il paziente riuscì finalmente a prendere la decisione di terminare la psicoterapia solo dopo che il cardiologo gli consigliò vivamente di evitare ogni situazione stressante.
Il Dr.Jones riferì di non vivere le emozioni ed in effetti non mostrava alcuna emozione nell'espressione del viso. Sebbene avesse sviluppato l'abitudine di scherzare parecchio con le persone per consentirsi una limitata modalità di relazioni sociali, egli trovava che in realtà nessuno dei suoi scherzi era divertente e pertanto egli stesso non ne rideva. Quando c'erano problemi familiari, egli non era consapevole del proprio vissuto di stress tranne per il fatto di riconoscere di essere nel tempo diventato più tollerante verso questi problemi, anche se in quelle circostanze aveva spesso dolori addominali e mostrava ancor meno del suo già scarso entusiasmo. Era sorpreso quando gli altri ridevano o piangevano a cinema. Era incapace di ballare ed era infastidito da qualsiasi tipo di musica. Ricordava molto raramente i suoi sogni e fantasticava ad occhi aperti solo sugli errori fatti negli investimenti di borsa. Sebbene il Dr.Jones dicesse alla moglie di amarla, egli confessò di non aver mai provato questo sentimento.
Alla TAS-20, il Dr.Jones ottenne un elevato punteggio di alexithymia. All'EQ-i ottenne un punteggio T totale di solo 28, collocandosi in uno sparuto 1% della popolazione. I suoi punteggi alle sottoscale dell'EQ-i furono estremamente bassi, comprese quelle di auto-consapevolezza emotiva, abilità relazionali e capacità di tollerare lo stress. I risultati ai test confermarono l'impressione clinica che il Dr.Jones avesse una intelligenza emotiva estremamente bassa e pertanto fosse un cattivo candidato alla psicoterapia psicoanalitica. Inoltre, come rivela la sua anamnesi, la psicoterapia sembra aver avuto un catastrofico effetto sulla sua salute fisica generando stati emotivi di stress che il paziente non era in grado di modulare attraverso i suoi processi cognitivi. Questo caso clinico suggerisce quindi l'ipotesi che una malattia "psicosomatica" possa anche esser indotta dallo stress di una inappropriata terapia psicoanalitica.


IL CERVELLO EMOTIVO

Gli individui con intelligenza emotiva estremamente bassa fanno sorgere il dubbio di possibili alterazioni nell'organizzazione e nel funzionamento cerebrale. Un modo di indagare questa eventualità consiste nell'identificare i correlati neuronali di alcuni aspetti dell'intelligenza emotiva e nel determinare poi se vi sono delle differenze fra individui che ottengono punteggi bassi alla misurazione di questi aspetti ed individui che ottengono alti punteggi. Prima di illustrare i risultati di studi che hanno adoperato questo approccio, bisogna prendere in considerazione alcune delle conoscenze attuali sul cervello emotivo.
Benché siamo principalmente interessati nella consapevolezza cosciente e nell'elaborazione linguistica dell'emozione, LeDoux (1996) ha dimostrato che i sentimenti soggettivi e le manifestazioni motorie e autonome degli stati emotivi siano prodotti finali di un sistema basilare di elaborazione emozionale che opera indipendentemente ed al di fuori dell'esperienza cosciente. La struttura-chiave di questo sistema (almeno per le emozioni di paura e di rabbia) è l'amigdala, la quale valuta il significato affettivo degli stimoli che un individuo incontra, compresi gli stimoli provenienti dal cervello stesso (pensieri, immagini e ricordi) e quelli provenienti dall'ambiente esterno o interno (LeDoux, 1989).
LeDoux (1986, 1996) ha identificato due circuiti attraverso i quali gli stimoli raggiungono l'amgidala: una via diretta dal talamo all'amigdala, che consente una rapida valutazione e conduce spesso ad un'immediata risposta di attacco/fuga, ed una via più lunga dal talamo alla neocorteccia e quindi all'amigdala, che consente ai sistemi cognitivi superiori del cervello di effettuare una valutazione più dettagliata dello stimolo, comprese le relazioni con gli altri stimoli e le rappresentazioni di esperienze passate, il che conduce ad una risposta emotiva più modulata (2). Quando la risposta viene vissuta come sentimento cosciente, altri sistemi cognitivi di livello superiore offrono un'ulteriore opportunità per regolare la reazione emotiva. Questi sistemi cognitivi si sono evoluti con l'acquisizione del linguaggio e di altre modalità simboliche, consentendo agli esseri umani di operare distinzioni fra diversi stati emotivi e di riflettere sul significato delle esperienze soggettive (Rolls, 1995; Taylor & bagby, in press). Tuttavia, la via diretta talamo-amigdala consente al sistema emozionale di agire indipendentemente dalla neocorteccia, il che può portare ad un comportamento che Goleman (1995) chiama "dirottamento emotivo". La qualità della regolazione emotiva da parte del funzionamento cognitivo sembra essere determinata sia dalla qualità delle rappresentazioni del sistema cognitivo che dalla forza delle vie neuronali che vanno dalla corteccia prefrontale verso l'amigdala (LeDoux, 1989).
Benché si sappia poco della neurobiologia della coscienza, LeDoux (1989) ipotizza che i sentimenti vengano vissuti quando le rappresentazioni delle valutazioni degli stimoli effettuate dall'amigdala e dalla neocorteccia, insieme alle rappresentazioni degli stimoli scatenanti, sono immesse nella memoria di lavoro (working memory) e si integrano con le rappresentazioni delle esperienze passate e le rappresentazioni del sé. Gli scienziati cognitivi ed i neuroscienziati (Baddeley, 1992; Goldman-Rakic, 1994; Kihlstrom, 1978; Kosslyn & Koenig, 1992) considerano la memoria di lavoro la base di tutte le esperienze coscienti e parte di un essenziale sistema di elaborazione delle informazioni che consente al comportamento di essere guidato da idee, pensieri ed altre rappresentazioni simboliche invece che dalle reazioni emotive immediate agli stimoli. Vi sono sempre più evidenze che la memoria di lavoro - e la selezione di informazioni a cui verrà prestata attenzione e che saranno tenute "in linea" ad ogni dato momento - coinvolge l'attività della corteccia prefrontale laterale, la corteccia cingolata anteriore e la corteccia orbitofrontale (LeDoux, 1996).


STUDI NEUROBIOLOGICI

L'evidenza che i correlati neuronali della consapevolezza emotiva includano l'attività della corteccia cingolata anteriore è stata fornita da Lane e collaboratori (1997a, 1998) in un recente studio di imaging di funzionamento del cervello. Prima di essere sottoposto alla tomografia ad emissione di positroni (PET), un gruppo di 12 donne volontarie sane ha completato la Levels of Emotional Awareness Scale (LEAS), test sviluppato da Lane et al (1990) per valutare le differenze individuali nelle abilità cognitive di riconoscere e descrivere le emozioni in sé stessi e negli altri. Punteggi elevati a questa scala indicano una maggiore differenziazione nelle rappresentazioni mentali dell'emozione ed una maggiore consapevolezza della complessità emotiva in sé e negli altri (Lane et al, 1998). Nel gruppo di donne volontarie, la LEAS correlava significativamente con le modificazioni del flusso sanguigno nella corteccia cingolata anteriore quando le emozioni erano indotte da film o ricordi di esperienze personali. Questo risultato ha condotto Lane e colleghi (1997a, 1997b) ad ipotizzare che l'alexithymia (e presumibilmente anche l'intelligenza emotiva) possa essere associata ad un deficit nell'attività della corteccia cingolata anteriore durante l'attivazione emozionale.
Come sottolineano LeDoux (1996) e Heilman (1997), tuttavia, la corteccia cingolata anteriore e le altre parti del sistema limbico non operano isolatamente ma sono funzionalmente interconnesse con le aree cerebrali superiori. Infatti, vi sono evidenze empiriche per cui la comunicazione interemisferica gioca anche un ruolo nella consapevolezza cosciente di aspetti importanti dell'elaborazione emotiva. Nei famosi studi su pazienti il cui corpo calloso era stato resezionato chirurgicamente per controllare una epilessia non trattabile, Sperry, Gazzaniga e Bogen (1969) dimostrarono che l'emisfero sinistro isolato non era consapevole delle attività effettuate dall'emisfero destro. Sebbene l'emisfero destro è coinvolto di preferenza nella percezione e nell'espressione del comportamento emotivo non-verbale (espressioni facciali, prosodia, gestualità) e l'emisfero sinistro nel funzionamento verbale, quest'ultimo è anche da considerare come "interprete" dell'informazione ricevuta (Gazzaniga, 1992, 1995), per cui è anche implicato nell'assegnare significati di causalità alle esperienze emotive coscienti. Questa è una capacità centrale dell'intelligenza emotiva e carente in individui molto alessitimici che, ad esempio, spesso comprendono poco e male le sensazioni somatiche dovute all'attivazione emotiva attribuendo loro il significato di sintomi di malattia (Taylor et al, 1997).
Il sistema di interpretazione dipende largamente dalla funzione del linguaggio per elaborare l'informazione e svolgere la sua funzione riflessiva (Gazzaniga, 1992) ma l'emisfero destro non è del tutto estraneo a questo processo ed, inoltre, possiede una capacità superiore di comprendere i significati figurativi o metaforici delle parole ed il significato degli indizi non-verbali, ed è pertanto in grado di gestire significati alternativi ed afferrare una più ampia comprensione delle situazione e delle esperienze (Ornstein, 1997).
La possibilità che l'alexithymia sia associata ad una limitazione funzionale della comunicazione interemisferica è stata proposta da Hoppe (1977) più di 20 anni fa dopo aver osservato che pazienti con "cervello diviso" (split brain) manifestano caratteristiche alessitimiche (Hoppe & Bogen, 1977). Quest'ipotesi è stata recentemente suffragata da due studi sperimentali condotti su soggetti con cervello intatto. Utilizzando un compito sperimentale di localizzazione tattile delle dita per valutare la comunicazione interemisferica, Zeitlin et al (1989) hanno dimostrato un deficit significativo nel transfer bidirezionale in veterani di guerra alessitimici con disturbo post-traumatico da stress confrontati con veterani non-alessitimici e senza il disturbo post-traumatico e con soggetti normali. Il nostro gruppo ha di recente replicato e confermato questi risultati in uno studio che ha confrontato la performance al compito di localizzazione delle dita di studenti universitari alessitimici e non-alessitimici (Parker, Keightley, et al, 1999).
I risultati di questi studi sono relativi solo al transfer dell'informazione sensoriale e c'è quindi bisogno di replicarli per quanto riguarda il transfer dell'informazione emotiva. La scoperta che il deficit interemisferico sia bidirezionale ha tuttavia suggerito la possibilità che gli aspetti dell'intelligenza emotiva valutati anche dalla TAS-20 riflettano una limitata capacità di coordinare ed integrare l'attività dei due emisferi. Benché ciascun emisfero sia specializzato in funzioni differenti, è attualmente acclarato che l'elaborazione emozionale, l'attività immaginativa e la maggior parte di altri compiti cognitivi richiedono normalmente una certa integrazione interemisferica (Banich, 1995; Chrisytman, 1994; Pally, 1998). Come specificano Teicher et al (1996), "la nostra capacità di identificare appropriatamente e di valutare gli affetti in altre persone, e di conseguenza comunicare gli affetti, dipende da un'interazione sana fra la percezione emotiva dell'emisfero destro e l'elaborazione e la razionalità dell'emisfero sinistro" (p.65).
Una terza linea di ricerca proviene dagli studi sul sonno e sul sogno. Durante il sonno, come ha sottolineato LeDoux (1996), la corteccia è in uno stato di non-attivazione, tranne durante il sonno REM quando è altamente attivata e coinvolta nell'elaborazione di eventi interni. La capacità di ricordare i sogni al risveglio e di riflettere sul loro contenuto è dunque una componente importante dell'auto-consapevolezza. Inoltre, le caratteristiche strutturali dei sogni possono fornire indicazioni fondamentali sulla capacità individuale di rappresentazione, simbolizzazione ed astrazione (Levitan, 1989). Vi sono evidenze empiriche secondo cui incoraggiare i pazienti a fare attenzione ai loro sogni aumenta la possibilità di accedere a sentimenti ed altri aspetti della vita interna e può determinare anche progressi in psicoterapia (Cartwright, 1993; Cartwright et al, 1980).
Molti clinici hanno riportato che i pazienti con elevati livelli di alexithymia hanno spesso difficoltà a ricordare i sogni e che il contenuto onirico assomiglia molto da vicino ai contenuti della vita da svegli o agli eventi stressanti (Apfel & Sifneos, 1979; McDougall, 1989; Taylor, 1987). In uno studio non ancora terminato, Bauermann, Parker e Smith (1999) hanno indagato un piccolo gruppo di studenti alessitimici e non-alessitimici in un laboratorio del sonno. Gli studenti che prendevano farmaci psicotropi o avevano una storia di morbilità medica o psichiatrica sono stati esclusi dallo studio. Questi ricercatori hanno ottenuto due risultati interessanti. Nel corso di una notte di sonno ininterrotto, negli studenti alessitimici la densità REM (3) è stata del 50% inferiore a quella degli studenti non-alessitimici. Nel corso della seconda notte in laboratorio, gli studenti vennero svegliati nel corso dei periodi REM e venne loro chiesto di raccontare i loro sogni. Il contenuto onirico degli studenti alessitimici era significativamente meno bizzarro e fantasioso di quello degli studenti non-alessitimici. Questi risultati fanno ipotizzare che l'alexithymia sia associata ad una variazione sia della neurofisiologia del sonno REM che della sua controparte psicologica, il sogno.
La funzione del sonno REM, benché resti elusiva, potrebbe giocare un ruolo nell'elaborazione della memoria procedurale-implicita, così come nel consolidamento, integrazione ed elaborazione dell'informazione carica emotivamente (Levin, 1990; Macquet et al, 1996; Panksepp, 1998). Quest'idea viene confermata dai risultati di un recente studio con la PET che ha mostrato come il sonno REM sia associato ad un'intensa attività neuronale dell'amigdala e della corteccia cingolata anteriore - che si sa sono coinvolte nel consolidamento dei ricordi emotivamente carichi - ed anche dell'opercolo parietale, del talamo sinistro e del tegmento pontino (Macquet et al, 1996). Nel contesto dei modelli di elaborazione dell'informazione e di problem solving del sogno, evidenze sperimentali mostrano che incrementi del sonno REM e dell'attività onirica sono associati alla capacità di usare la fantasia in modo efficace e di impegnarsi con successo in attività di pensiero divergente e di problem solving olistico (Levin, 1990). Il ridotto sonno REM degli individui alessitimici potrebbe rappresentare una capacità limitata di elaborare intense esperienze emozionali. Inoltre la differenza qualitativa dei loro contenuti onirici è coerente con l'idea di una capacità immaginativa e simbolica meno sviluppata.
Sulla base del modello di LeDoux (1996) del cervello emotivo e dei risultati degli studi sperimentali appena descritti, proponiamo che una bassa intelligenza emotiva sia associata con un deficit del transfer interemisferico, che riduce la coordinazione e l'integrazione delle attività specializzate dei due emisferi, e con una ipoattività di quella parte delle corteccia cingolata anteriore che presiede l'attenzione selettiva e la memoria di lavoro. Potrebbe anche esserci una riduzione della quantità totale di sonno REM insieme a deficit associati nell'elaborazione della memoria procedurale-implicita e dell'informazione emotivamente rilevante. Secondo questa proposta, gli stati di attivazione emotiva evocati dall'attivazione dell'amigdala potrebbero essere disregolati per due ragioni. Primo, il feedback inibitorio inconscio dalla corteccia prefrontale all'amigdala sarebbe ridotto a causa di un mondo rappresentazionale impoverito che limita la capacità di questa parte della corteccia prefrontale di effettuare una valutazione cognitiva più dettagliata degli stimoli emotivi complessi. Secondo, la limitata abilità di rappresentare e contenere le emozioni tramite parole e fantasie, e di riflettere sui loro significati, restringerebbe l'utilizzazione dei processi cognitivi consci per modulare l'attivazione emotiva attraverso la connessione cortico-amigdala. La ridotta abilità di modulare l'attivazione dei sistemi endocrino e autonomo periferico, specialmente in risposta a situazioni altamente stressanti, potrebbe creare nel tempo condizioni fisiche favorevoli all'esordio di malattie somatiche, come nel caso del Dr.Jones.


EPILOGO

Benché discutere in dettaglio fattori che spieghino le differenze individuali dell'intelligenza emotiva e delle variazioni connesse di organizzazione cerebrale sia al di là dello scopo di questo lavoro, vogliamo concludere con la proposta che - oltre all'influenza del temperamento - la qualità delle prime relazioni di attaccamento venga ritenuta una variabile critica. I modelli teorici, supportati in parte dai risultati della ricerca sull'infanzia e sulla psicologia evolutiva, suggeriscono che la rappresentazione delle emozioni avviene all'interno di un campo intersoggettivo, e quindi insieme alla rappresentazione di sé e degli altri (Emde, 1988; Stern, 1985). Questo processo viene favorito inizialmente dal rispecchiamento delle espressioni emotive del bambino da parte della figura parentale che lo accudisce nei periodi di vita precoci (primary caregiver) (Gergely & Watson, 1996; Stern, 1985) e successivamente dal fatto che tale figura viene coinvolta in interazioni piacevoli di gioco con il bambino e gli insegni le parole per denominare le emozioni e riuscire a parlarne (Dunn et al, 1991; Taylor et al, 1997).
Lo stato emotivo e la funzione riflessiva della figura primaria di relazione (primary caregiver) sono quindi fattori importanti nello sviluppo emotivo del bambino. Una madre emotivamente sintonizzata ed espressiva comunicherà segnali al proprio figlio molto diversi rispetto ad una madre depressa, ansiosa o alessitimica. Tuttavia, anche senza alcun disturbo psichiatrico, i genitori differiscono nel livello di sintonia con gli stati emotivi dei loro figli e nella capacità di rispondere alle loro comunicazioni non-verbali. I risultati delle ricerche sull'attaccamento suggeriscono che rappresentazioni emotive, funzione riflessiva e ad altre abilità di regolazione affettiva adattativa emergono pienamente in un contesto di relazioni infantili di attaccamento sicuro (Fonagy & target, 1997; Fonagy et al, 1991, 1995; Goldberg et al, 1994). E' interessante notare che in studi recenti su campioni adulti clinici e non-clinici l'alexithymia è risultata essere associata a stili di attaccamento insicuro (Beckendam, 1995; Schaffer, 1993; Scheidt et al, 1999).
Vi sono sempre più evidenze empiriche che le interazioni emozionali fra il bambino e la figura primaria di relazione influenza non solo lo sviluppo delle capacità cognitive e di rappresentazione ma anche la maturazione di parti del cervello che presiedono alla consapevolezza ed alla regolazione delle emozioni. Sulla base di una review generale degli studi su animali ed esseri umani, Schore (1994, 1996) conclude che quando le figure primarie di relazione non riescono a regolare una eccessivamente bassa e/o elevata attivazione emotiva negativa potrebbero esserci alterazioni permanenti nello sviluppo morfologico della corteccia orbitofrontale. Ciò ridurrebbe la capacità della corteccia di modulare l'attività dell'amigdala e di altre strutture subcorticali. Vi sono anche evidenze che gravi condizioni di abuso o trascuratezza da parte dei genitori possono impedire la maturazione neocorticale nei bambini, ridurre la differenziazione dell'emisfero sinistro ed invertire la normale asimmetria emisferica sinistro-destro (Ito et al, 1998; Teicher et al, 1996).
Goleman (1995) ipotizza che sia possibile imparare le abilità di intelligenza emotiva in qualsiasi fase della vita. Ciò però potrebbe richiedere un periodo di tempo molto lungo, e forse essere anche del tutto impossibile, particolarmente in pazienti al polo estremo inferiore dell'intelligenza emotiva i quali, per parafrasare LeDoux (1996), potrebbero aver bisogno di "risaldare" parti del loro cervello.


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NOTE

(1) Il concetto anglosassone di "psychological mindedness" è intraducibile in italiano poiché ha molti e complessi significati non riassumibili in un solo termine nella nostra lingua. Esso indica una predisposizione (mindedness) del soggetto ad assumere un approccio orientato psicologicamente, opposto a quello maggiormente orientato verso il mondo esterno e la realtà fattuale. In questo senso, può assumere il significato di capacità introspettiva e di disponibilità a considerare i fattori psicologici come elementi centrali della vita propria e altrui; NdT).

(2) Gli stimoli provenienti dal cervello (pensieri, immagini e ricordi) possono raggiungere l'amigdala anche attraverso vie provenienti dalla corteccia prefrontale e dall'ippocampo

(3) La densità REM corrisponde al numero totale dei movimenti oculari diviso per il numero dei periodi REM


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