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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Psicosomatica



Fava GA, Freyberger HJ, Bech P, Christodoulou G, Sensky T, Theorell T, Wise TN. Diagnostic criteria for use in psychosomatic research. Psychotherapy and Psychosomatics. 1995; 63: 1-8

Un gruppo di esperti internazionali ha proposto una serie di criteri diagnostici in psicosomatica. Il campo della psicosomatica, fra le tante difficoltà sia epistemologiche che operative, è particolarmente deficitario nel settore della diagnosi. Tradizionalmente le diagnosi in psicosomatica sono state mutuate da concetti presi in prestito dalla classificazione psicodinamica, come ad esempio quello di nevrosi d'organo o di sintomo di conversione. Tale modello diagnostico è risultato molto debole per diversi motivi, fra cui la mancanza di specificità nell'articolare dinamiche psichiche e meccanismi fisiopatologici e soprattutto la postulata derivazione più o meno mediata delle alterazioni somatiche da dinamiche interne all'apparato psichico.
In anni più recenti vi è stato un rilancio vigoroso della diagnosi in psichiatria che ha prodotto i modelli diagnostici comunemente accettati (al di là dei giudizi che se ne possono dare) del DSM-IV e dell'ICD-10. Il cambiamento epistemologico dalla psicoanalisi alla psichiatria non ha modificato sostanzialmente la situazione della diagnosi in psicosomatica. Un'analisi delle categorie diagnostiche del DSM-IV e dell'ICD-10 di maggiore interesse per la psicosomatica (come i Somatoform Disorders ed i Psychological Factors Affecting Medical Conditions) ha evidenziato in molte ricerche empiriche, cliniche ed epidemiologiche numerose insufficienze.
La ricerca empirica ha continuamente tentato di sviluppare un discorso sulla specificità psicosomatica pretendendo di dimostrare che alcune malattie sono psicosomatiche poiché i pazienti che ne soffrono avrebbero un profilo psicologico comune. Si tratta di un modello di ragionamento specularmente opposto a quello psicoanalitico nei contenuti (in quanto raggruppa la clinica a partire dalla diagnosi medica della malattia, per cui ad esempio l'ulcera peptica viene comunemente considerata una malattia psicosomatica mentre l'acalasia una malattia organica) ma identico nello schema concettuale dualistico che oppone mente e corpo. Al contrario, la ricerca oggi (e da questa considerazione sono partiti anche i componenti di questo gruppo internazionale) tende a osservare maggiormente le caratteristiche psicosociali indipendentemente dalla malattia organica: una certa caratteristica psicologica 'x' (ad esempio, il comportamento anomalo di malattia) viene trovata in modo prevalente nella condizione medica 'a' (ad esempio, la sindrome del colon irritabile) rispetto alla condizione medica 'b' (cancro del colon). Ciò non significa però, da un punto di vista psicosomatico, che pazienti con cancro del colon non possano esibire un comportamento anomalo di malattia. L'assenza di un riconoscimento diagnostico determina quindi, conseguentemente, anche una sottoutilizzazione dei possibili interventi terapeutici centrati sulla sindrome psicosomatica non diagnosticata.
Gli autori hanno proposto una serie di criteri diagnostici per 12 sindromi psicosomatiche, i Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research (DCPR). Tali sindromi sono:
Alexithymia
Comportamento di Tipo A
Fobia di Malattia
Fobia della Morte
Ansia per la Salute
Negazione di Malattia
Sintomi Somatici Funzionali Secondari ad un Disturbo Psichiatrico
Somatizzazione Persistente
Sintomi di Conversione
Reazione da Anniversario
Umore irritabile
Demoralizzazione
Per ciascuna sindrome psicosomatica vengono illustrati nell'articolo i criteri diagnostici proposti. Sono attualmente in corso ricerche sia per validare i vari costrutti (finora provvisti di validità di facciata) che per verificare la prevalenza dei DCPR in vari setting clinici.



Kroenke K, Spitzer RL, deGruy VF, Hahn SR, Linzer M, Williams JBW, Brody D, Davies M. Multisomatoform Disorder. An alternative to Undifferentiated Somatoform Disorder for the somatizing patient in primary care. Archives of General Psychiatry. 1997; 54: 352-358

I criteri diagnostici del DSM-IV per il Disturbo di Somatizzazione sono risultati essere troppo restrittivi soprattutto nella medicina di base dove i disturbi somatoformi o sintomi somatici non spiegabili da un punto di vista medico sono largamente diffusi, mentre i criteri per il Disturbo Somatoforme Indifferenziato sono risultati sovrainclusivi. Nel corso di uno studio su 1000 pazienti di medicina di base (Primary Care Evaluation of Mental Disorders, PRIME-MD), gli stessi autori di quest'articolo hanno sviluppato un nuovo disturbo somatoforme denominato Disturbo Multisomatoforme, definito come 3 o più sintomi somatici inspiegabili dal medico nell'ultimo mese insieme ad una lunga (almeno 2 anni) storia di sintomi somatoformi.
In questo studio, gli autori hanno valutato i dati del PRIME-MD provenienti da 4 centri diversi su un gruppo di 1000 pazienti di medicina di base con età media di 55 anni, 60% donne, 58% bianchi ed i cui disturbi somatici principali erano costituiti da ipertensione (48%), artrite (23%), diabete (17%) e disturbi cardiaci (15%). I pazienti sono stati classificati con i criteri del DSM-III-R, è stata valutata la presenza dei Disturbi Multisomatoformi ed è stata somministrata la Short-Form General Health Survey a 20 items (SF-20) che valuta la qualità di vita in 6 settori: fisico, mentale, sociale, di ruolo, dolore e percezione di salute generale.
La prevalenza di Disturbo Multisomatoforme è risultata essere dell'8.2%. In confronto con i disturbi depressivi e ansiosi, il Disturbo Multisomatoforme è risultato associato ad un notevole peggioramento della qualità di vita.
La conclusione degli autori è che il Disturbo Multisomatoforme produce disturbi psicosociali quanto i disturbi di Asse I, per cui deve essere tenuto in seria considerazione come alternativa al Disturbo Somatoforme Indifferenziato. Inoltre, poiché il Disturbo Multisomatoforme produce un effetto considerevole ed indipendente sui disturbi psicosociali, deve essere considerato come non alternativo a comorbidità per altri disturbi psichiatrici come quelli ansioso-depressivi.
Questo lavoro si inserisce in una vasta corrente di critica alla classificazione psichiatrica ufficiale per quanto riguarda la correttezza e l'efficacia della diagnosi psicosomatica. Analizzando i dati di un ampio studio epidemiologico multicentrico statunitense, il gruppo di Spitzer ha proposto una nuova diagnosi psicosomatica che riesce a 'catturare' un aspetto importante del paziente che somatizza: il carattere polimorfico dei sintomi dato dall'ampia variabilità inter- ed intrasoggettiva di durata, frequenza, localizzazione e intensità. Questa ampia categoria di pazienti, frequentemente osservata soprattutto in setting di medicina di base, ha in comune la ripetitività e la persistenza dei sintomi, caratteristiche che le diagnosi più vicine del DSM-IV non riescono a cogliere perché troppo restrittive (Disturbi di Somatizzazione) o sovrainclusivi (Disturbo Somatoforme Indifferenziato).



Moser G. Ulcerative colitis and psychosocial factors. The Italian Journal of Gastroenterology and Hepatology. 1997; 29: 387-394

Si tratta di un editoriale scritto da un autorevole gastroenterologo viennese per una rivista che si è di recente profondamente rinnovata nel comitato di redazione, nell'aspetto grafico e nei contenuti (ex-Italian Journal of Gastroenterology). L'autore compie una rigorosa e puntuale revisione critica sulle ultime ricerche a proposito di una patologia intestinale (la rettocolite ulcerosa, RCU) classicamente considerata psicosomatica ma senza che si sia mai riusciti a confermare empiricamente la validità di questa tesi.
L'argomento viene affrontato sotto 3 aspetti specifici.
1) Vi sono fattori psicosociali di predisposizione alla colite ulcerosa? L'ipotesi psicosomatica su base psicoanalitica è stata la prima tesi avanzata su questa malattia nel corso degli anni'30-'60. Il declino del paradigma psicoanalitico in psicosomatica ha determinato anche un rapido declino della tesi sulla etiologia psichica della RCU. Negli anni '80 la tesi psicosomatica è stata sempre più messa in discussione e un lavoro seminale di North et al nel 1990 (una review controllata di tutti gli studi pubblicati fino ad allora) ha definitivamente chiuso il capitolo.
2) I fattori psicosociali influenzano il corso clinico della RCU? Nel corso degli anni '90 il focus della ricerca si è spostato dalla causa al decorso clinico. Molti studi controllati hanno portato alle attuali conclusioni secondo cui: i) fattori di stress psicosociale possono influire sulla storia della malattia, ii) fattori di dismotilità intestinale, simili a quelli osservati nel colon irritabile, possono sovrapporsi ai sintomi classici della riacutizzazione della RCU (soprattutto dolore addominale e diarrea), iii) fattori di stress psicosociale possono contribuire ad una disregolazione dell'asse cervello-intestino (sistema nervoso centrale ed enterico) attraverso l'asse ipotalamo-ipofiso-linfocitario.
3) La RCU ha un impatto psicosociale essendo una malattia cronica? In questo caso, il punto di partenza è opposto a quello originario della ipotesi psicosomatica. Qui si parte dal fatto che la RCU è una seria malattia cronica con manifestazioni intestinali socialmente imbarazzanti che quindi possono colpire funzioni psicologiche importanti quali l'autostima ed il senso di controllo della propria vita. Molti studi recenti stanno conducendo alla conclusione che lo stress psicosociale sia significativamente associato all'attività clinica di malattia. Questo punto ha profonde conseguenze sugli studi psicosomatici nella RCU poiché la presenza di sintomi clinici attivi modifica la composizione del campione dello studio.



Hotopf M, Carr S, Mayou R, Wadsworth M, Wessely S. Why do children have chronic abdominal pain, and what happens to them when they grow up? Population based cohort study. British Medical Journal. 1998; 316: 1196-1200

Gli autori hanno studiato un problema molto particolare e interessante: il dolore addominale cronico nei bambini. Essi si sono chiesti fondamentalmente due cose: 1) che tipo di famiglie hanno questi bambini e come i genitori contribuiscono alle caratteristiche di cronicità di questo disturbo somatico?, 2) i bambini con questo disturbo tendono a sviluppare in età adulta disturbi di somatizzazione e psichiatrici?
Per testare queste due ipotesi gli autori hanno utilizzato i dati di uno studio epidemiologico inglese sullo stato di salute iniziato nel 1946. I bambini nati in quell'anno furono inclusi nello studio in modo stratificato (un bambino nato da genitori con lavori intellettuali ogni 4 bambini nati da genitori agricoltori e operai) per rappresentare adeguatamente la realtà storico-sociale della Gran Bretagna dell'immediato dopo-guerra. Una coorte di 5362 bambini è stata seguita per 43 anni, raccogliendo gli ultimi dati nel 1989. I dati sono stati rivisti e su di essi sono state costruite le seguenti variabili: definizione di casi di dolore addominale cronico (persistenza del sintomo nelle 3 valutazioni all'età di 7, 11 e 15 anni) versus controlli (assenza del sintomo nelle 3 valutazioni); stato di salute fisica e mentale dei genitori dei bambini (i genitori furono intervistati quando il bambino aveva 15 anni per quanto riguarda una serie di sintomi fisici accusati dai genitori e la percezione che ciascun genitore aveva della salute del partner; inoltre ai genitori fu somministrato il Maudsley Personality Inventory per la valutazione del nevroticismo); assenze scolastiche (dalla documentazione scolastica del periodo 1952-56); comportamento e personalità del bambino (da un questionario somministrato agli insegnanti del bambino e dal Pintner Personality Inventory somministrato al bambino all'età di 13 anni); stato di salute fisica e mentale da adulti (somministrazione di un questionario sui sintomi fisici e del Present State Examination all'età di 43 anni).
I principali risultati sono stati: i) i genitori dei bambini sintomatici presentavano un maggior numero di sintomi fisici, ii) le madri dei bambini sintomatici presentavano un maggior punteggio di nevroticismo, iii) la presenza del sintomo nell'infanzia non predice il dolore addominale in età adulta ma predispone significativamente a soffrire di una varietà di sintomi fisici, iv) la presenza del sintomo nell'infanzia è un forte predittore di disturbi psichiatrici in età adulta.
Le conclusioni generali degli autori sono quindi che il dolore addominale cronico infantile è associato alla presenza di problemi fisici nei genitori e mentali nella madri. Questi bambini, inoltre, non hanno maggiori probabilità di soffrire dello stesso disturbo in età adulta ma sono fortemente a rischio per lo sviluppo di disturbi di somatizzazione e psichiatrici da adulti.



Journal of Psychosomatic Research. Vol.44, 1998. Special Issue: Panic disorder in general medicine. Guest Editor: Brian Baker

Questo numero monografico, curato da Brian Baker di Toronto, del Journal of Psychosomatic Research, rivista dell'International College of Psychosomatic Medicine (ICPM), è dedicato ai disturbi di panico in medicina.
Perché il disturbo di panico, classificato ufficialmente come disturbo psichiatrico, può interessare la psicosomatica? Per più ragioni, in realtà. Una riguarda la stessa definizione del disturbo che ha il suo centro focale nell'attacco di panico. Nel DSM-IV l'attacco di panico è diagnosticato quando un discreto periodo di paura intensa è associato ad almeno 4 di 13 sintomi. Ora, solo 3 dei 13 sintomi sono di natura psichica (derealizzazione, paura di impazzire e paura di morire) mentre tutti gli altri sono sintomi fisici. Ne deriva che il disturbo di panico è una sindrome psicosomatica poiché per sua stessa definizione è impossibile avere un attacco di panico senza sintomi somatici.
Un'altra ragione è che il paziente con disturbi di panico si rivolge in prima istanza dal medico generale e non dallo psichiatra. Infatti mentre la prevalenza del disturbo nella popolazione generale è di 1 (uomini) - 3 (donne) %, il tasso sale al 3-8% nel setting di medicina di base. Ciò implica che il paziente con disturbi di panico tende a sovrautilizzare le strutture sanitarie di medicina, con una stima di almeno 3 volte più del paziente medio, il quale si reca dal proprio medico di base in media 3-4 volte l'anno. Una ulteriore ragione, strettamente legata alla precedente, è che la prima presentazione clinica del disturbo di panico è di tipo somatico, soprattutto cardiologico, neurologico, respiratorio e gastrointestinale. Ne deriva che questo paziente si rivolge al medico di base e/o allo specialista in cardiologia, neurologia, pneumonologia e gastroenterologia, e molto meno in psichiatria. La conclusione generale è quindi che il disturbo viene scarsamente diagnosticato mentre i costi sociosanitari crescono a causa di una sovraprescrizione di esami diagnostici e terapie spesso inutili.
Il volume raccoglie una serie di articoli di review sui vari aspetti clinici, epidemiologici e terapeutici dell'associazione fra disturbi di panico e disturbi somatici redatti da esperti internazionali del settore.



Sollner W, Zingg-Schir M, Rumpold G, Mairinger G, Fritsch P. Need for supportive counselling - The professionals' versus the patients' perspectives. A survey in a representative sample of 236 melanoma patients. Psychotherapy and Psychosomatics. 1998; 67: 94-104
(Wolfgang Sollner, MD. Leopold Franzens University of Innsbruck, Department of Medical Psychology and Psychotherapy, Sonnenburgstrasse 9, A-6020 Innsbruck (Austria). Tel: +43 512 586335, Fax: +43 512 5863356, E-mail: wolfgang.soellner@uibk.ac.at)

Il cancro ha un così profondo impatto sulla qualità di vita e sulla salute psicologica del paziente da richiedere l'intervento psicologico da parte sia del paziente che del medico. La richiesta dell'intervento psicologico specialistico potrebbe però nascondere il bisogno del medico di evitare il coinvolgimento emotivo nel rapporto con il paziente. La richiesta dell'intervento psicologico viene fatta dal medico oncologo generalmente in base alla propria valutazione dell'elevato distress psicologico del paziente e dei suoi cari. Poco studiato è invece l'atteggiamento del paziente nei confronti di un intervento psicologico.
Gli autori di questo studio dell'Università di Innsbruck in Austria hanno voluto indagare l'interesse di pazienti affetti da melanoma verso un intervento psicosociale di counseling supportivo. Un gruppo di 215 pazienti con melanoma è stato valutato per quanto riguarda il distress psicologico, le strategie di coping, i rapporti sociali e l'interesse nel ricevere un supporto psicologico. La maggior parte dei pazienti con distress severo (83%) ha dichiarato di desiderare un supporto psicologico dal proprio oncologo più che da uno psicoterapeuta. In particolare, i pazienti hanno mostrato paura per la possibile progressione della neoplasia ed hanno manifestato il desiderio di essere informati a sufficienza dal dermatologo. Al contrario, i pazienti con prognosi peggiore, basso livello di supporto nelle relazioni sociali e con uno stile di coping di tipo depressivo hanno mostrato interesse specifico per un supporto supplementare di tipo psicoterapeutico.
I risultati dello studio mostrano chiaramente che dovrebbero essere gli oncologi a fornire un supporto psicologico di base ai propri pazienti, anche se essi non mostrano disturbi emotivi particolarmente severi. Inoltre, i pazienti oncologici che sviluppano grandi paure relative alla propria malattia e si sentono non sufficientemente informati dovrebbero ricevere invece un supporto psicologico più intenso da parte del proprio medico, e non una semplice maggiore informazione. Lo studio evidenzia quindi come sia importante sviluppare le abilità di comunicazione degli oncologi e istruirli adeguatamente nel rapporto medico-paziente.



Emdad R, Belkic K, Theorell T, Cizinsky S. What prevents professional drivers from following physicians' cardiologic advice? Psychotherapy and Psychosomatics. 1998; 67: 226-240
(Prof. Tores Theorell, PhD. National Institute for Psychosocial Factors and Health, Box 230, S-17177 Stockholm (Sweden). Tel: +46 8 7286961, Fax: +46 8 344143)

Un aspetto molto importante ma poco indagato in psicosomatica riguarda la prevenzione. Per alcune patologie vi sono dei fattori di rischio ben definiti. Spesso tali fattori di rischio sono di tipo comportamentale più che biomedico. Ad esempio, dieta, fumo e attività fisica costituiscono fattori di rischio comportamentali per le malattie cardiovascolari.
Molti studi hanno dimostrato che gli autisti professionali costituiscono un gruppo occupazionale particolarmente a rischio per disturbi cardiovascolari. Infatti il "profilo da fattore di rischio cardiaco" è molto elevato per questi soggetti a causa di fumo di sigaretta, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, sovrappeso e scarsa attività fisica durante il tempo libero. Gli autisti professionali sono inoltre una categoria professionale con un lavoro stressante (avendo a che fare con il traffico metropolitano), pericoloso e sottoposto a turnover ripetuto. Il profilo comportamentale medio dell'autista professionale è quello di una persona statica dal punto di vista fisico, stressata, che fuma molto e mangia male.
In questo studio del Karolinska Institute di Stoccolma, Svezia, gli autori hanno suddiviso un gruppo di autisti delle aziende di trasporto pubblico cittadino in 4 sottogruppi (soggetti con infarto cardiaco, ipertesione, ipertesione borderline e normotesi) per studiare l'efficacia di un programma di prevenzione di 6 mesi su due fattori di rischio cardiaci (fumo di sigaretta e sovrappeso). Al baseline, fumare era un comportamento predetto da un maggiore stress occupazionale e da un maggior numero di anni di abitudini da fumo. L'Indice di Massa Corporea era predetto da un maggior numero di ore dietro al volante, scarsa attività di tempo libero in genere e fisica in particolare al di fuori del lavoro, negazione di provare stress sul lavoro. Alla seconda valutazione, dopo il programma di counseling preventivo di 6 mesi, smettere di fumare è risultato associato ad un basso numero di anni di abitudine al fumo, basso consumo di caffè e dall'ammettere verbalmente di aver avuto paura in alcune occasioni di pericolo stradale durante il lavoro. Nessun fumatore pesante, però, ha diminuito il consumo di tabacco dopo i 6 mesi. Il calo ponderale è risultato associato ad una maggiore attività fisica durante il tempo libero, diminuzione o cessazione del fumo di sigaretta e all'essere riusciti ad effettuare cambiamenti significativi nella propria vita (ad esempio, trovare altri interessi oltre il lavoro) e sul lavoro quali turnazione più regolare, avere un maggior peso sulle decisioni lavorative, miglioramento ergonomico dell'ambiente lavorativo, sentirsi più apprezzato dall'azienda.
Lo studio mostra che l'esposizione ad un intenso stress lavorativo, insieme alla negazione di provare stress sul lavoro e alla carenza di interessi esterni al lavoro, possono contribuire al mantenimento di un comportamento disadattivo negli autisti professionali, aumentando il rischio di disturbi cardiovascolari. Di conseguenza, la modificazione dello stile di vita e dell'ambiente lavorativo (in particolare, più attiva partecipazione del lavoratore alla gestione del proprio lavoro e migliore distribuzione della turnazione) costituisce un elemento necessario nell'istituire dei programmi di counseling preventivo per le malattie cardiovascolari.



Journal of Psychosomatic Research. Vol.45, no.3, 1998. Special Issue: Psycho-Oncology. Guest Editors: William Breitbart (Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, New York) - Harvey Max Chochinov (University of Manitoba, Winnipeg, Canada)

Questo numero speciale del Journal of Psychosomatic Research è dedicato alla psico-oncologia. La psico-oncologia si occupa dei diversi temi psicologici, sociali, comportamentali e psichiatrici relativi alla prevenzione, alle conseguenze della malattia, al trattamento ed alla sopravvivenza dei pazienti oncologici. E' un settore in ampia espansione: nel 1984 è stata fondata la International Psycho-Oncology Society, nel 1992 è apparsa la sua rivista Psycho-Oncology, gli ultimi congressi mondiali (il terzo a New York nell'ottobre 1996 ed il quarto ad Amburgo nel settembre 1998) hanno visto la partecipazione di oltre un migliaio di iscritti e di centinaia di poster e comunicazioni.
Questo numero speciale contiene 3 articoli di review e 5 studi di ricerca. Gli articoli di review riguardano la terapia di gruppo nel setting oncologico (F.I.Fawzy e N.W.Fawzy), il ruolo dello psicologo clinico in oncologia ginecologica (E.Rieger, S.W.Touyz, G.V.Wain) e la valutazione ed il trattamento dei disturbi depressivi nel paziente oncologico (D.J.Newport e C.B.Nemeroff). Gli articoli di ricerca riguardano il distress psicologico del coniuge del paziente oncologico (L.Baider, N.Walach, S.Perry, A.Kaplan De Nours), i disturbi di somatizzazione persistente nel paziente oncologico (S.K.Chaturvedi, P.Maguire), il rapporto tra consapevolezza della diagnosi di cancro e lo sviluppo di morbidità psichiatrica (P.S.Chandra, S.K.Chaturvedi, A.Kumar, et al), gli effetti della partecipazione a gruppi di supporto per pazienti con tumore mammario (M.J.Stevens e J.E.Duttlinger), i correlati psicologici dell'affaticamento in pazienti sottoposti a radioterapia (E.M.A.Smets, M.R.M.Visser, B.Garssen, et al).



Wilmer A, Van Cutsem E, Andrioli A, Tack J, Coremans G, Janssens J. Ambulatory gastrojejunal manometry in severe motility-like dyspepsia: lack of correlation between dysmotility, symptoms, and gastric emptying. Gut. 1998; 42: 235-242)

(Corrispondenza: Dr. Jozef Janssens, Professor of Medicine, Department of Gastroenterology, University Hospital Gasthuisberg, Herestraat 49, 3000 Leuven, Belgium)

- Valori R. Commentary. Ambulatory manometry in dyspepsia: walking a thin line. Gut. 1998; 42: 153-154
(Corrispondenza: Dr. R.Valori, Consultant Gastroenterology, Gloucester Gastroenterology Group, Gloucestershire Royal Hospital, Great Western Road, Gloucester GL1 3NN, United Kingdom)

- Ho KY, Kang JY, Yeo B, Ng WL. Non-cardiac, non-oesophageal chest pain: the relevance of psychological factors. Gut. 1998; 43: 105-110
(Corrispondenza: Dr. K.Y.Ho, Department of Medicine, National University Hospital, Lower Kent Ridge Road, Singapore 119074)

Sintomi ricorrenti di dispepsia funzionale (dolore epigastrico, vomito, nausea, sazietà precoce, peso epigastrico postprandiale) e di dolore toracico di origine non-cardiaca sono problemi incontrati frequentemente nella clinica ed anche molto comuni sia nella popolazione generale che nel setting clinico. Un problema importante a questo riguardo è che le cause organiche di questi disturbi sono ignote. Si pensa che il funzionamento anormale della motilità gastrointestinale possa essere il meccanismo patogenetico della formazione dei sintomi. Per questo motivo, i ricercatori della famosa scuola di fisiologia di Lovanio in Belgio (il gruppo del prof. Janssens) hanno indagato l'attività motoria gastrointestinale in un gruppo di pazienti con dispepsia da dismotilità di grado severo utilizzando delle nuove tecnologie biomediche (manometria antrodigiunale ambulatoriale di 24 ore e analisi assistita dal computer). Essi hanno trovato che, pur usando un'avanzata tecnica computerizzata di analisi, non è possibile identificare uno specifico pattern motorio che riesca a differenziare i pazienti dispeptici da pazienti con altre malattie o anche da soggetti sani. Infatti, hanno trovato una gran quantità di attività motoria anormale ma in assenza di sintomi soggettivi ed anche che, nel 79% del tempo in cui venivano accusati sintomi soggettivi, i tracciati erano normali. Poiché è stata usata una tecnologia avanzata ed altamente affidabile e valida, gli autori hanno concluso che non esiste alcuna associazione fra la motilità gastrointestinale ed i sintomi funzionali. Nel suo editoriale, il Dr. Valori ha messo in evidenza come circa 15 anni fa si era creduto che gli studi di motilità gastrointestinale sarebbero stati per i sintomi funzionali ciò che l'endoscopia è stata (ed ancora è) per l'ulcera, la litiasi e il cancro. Oggi questa convinzione è stata largamente sconfermata da studi di laboratorio ben condotti. Al contrario, egli evidenzia come la letteratura più recente suggerisca sempre più che i processi di somatizzazione ed i fattori psicosociali siano forze motivazionali più importanti della severità dei sintomi nelle richieste di consultazione.
In accordo con questa linea di ricerca, un altro gruppo gastroenterologico di ricerca ha indagato sia la motilità esofagea anormale che i disturbi psichiatrici in pazienti con dolore toracico non- cardiaco. Essi hanno studiato un gruppo di pazienti funzionali (esiti non significativi di endoscopia, manonetria e di reflusso esofageo patologico). (Gruppo 1) confrontandoli con pazienti gli stessi sintomi ma di origine organica (ulcera peptica ed esofagite) (Gruppo 2) e con patologia da colelitiasi per la quale era stata posta indicazione per colecistectomia elettiva (Gruppo 3). Gli autori hanno trovato che i pazienti funzionali nel Gruppo 1 avevano una prevalenza significativamente maggiore di almeno un disturbo psichiatrico (51%) rispetto ai pazienti con colelitiasi nel Gruppo 3 (21%). Al contrario, non sono state trovate differenze significative fra pazienti funzionali (Gruppo 1) ed organici (41%) (Gruppo 2) o fra pazienti organici (Gruppo 2) e con colelitiasi (Gruppo 3). Essi pertanto concludono affermando che i pazienti con dolore toracico non-cardiaco e senza malattie organiche del tratto gastrointestinale superiore possono avere una probabilità significativamente maggiore di esposizione ad un disturbo psichiatrico.
Questi tre lavori recenti hanno qualcosa di importante in comune: sono stati scritti tutti da gastroenterologi e ciascuno di loro, nella propria prospettiva, mostrano che una valutazione psicologica è necessaria nei pazienti funzionali. Il consulente psicologo può diventare una figura professionale di base nella pratica e nei servizi di gastroenterologia poiché, come evidenziato da Valori, può "comprendere le sfumature del comportamento di consultazione e della complessa relazione del distress psicologico con i sintomi somatici". Infine, bisogna lodare il Comitato Editoriale di Gut - una delle riviste leader in gastroenterologia - che hanno mostrato una apprezzabile apertura mentale pubblicando questo tipo di lavori.



Levenstein S, Ackerman S, Kiecolt-Glaser JK, Dubois A. Stress and peptic ulcer disease. Journal of American Medical Association (JAMA). 1999; 281: 10-11)
(Corrispondenza: Dr. Susan Levenstein, Via Del Tempio 1A, 00186 Rome, Italy. E-mail: SLevenstein@compuserve.com)

Per anni l'ulcera peptica è stata considerata "la" malattia psicosomatica. Secondo il noto modello di Alexander, se una persona vulnerabile - sul piano della personalità e della secrezione di pepsinogeno - incontra un importante evento stressante, allora sorge l'ulcera. Si tratta di un pensiero di tipo etiologico e lineare sconfermato dalle recenti evidenze empiriche sul ruolo dell'Helicobacter pylori (HP) nell'etiopatogenesi di molte malattie gastrointestinali, fra cui l'ulcera. Dalla scoperta dell'HP, molti hanno concluso che i fattori psicologici sono del tutto ininfluenti. L'ulcera è quindi passata dal compartimento della stigmatizzazione psicosomatica ad un altro compartimento di tipo biomedico reso più dignitoso dall'idea dell'infezione. Come si vede, si tratta di un altro modo di pensare per dicotomie. Come ogni altra dicotomia imposta alle scienze umane e cliniche, anche questo tipo di pensiero sta mostrando la corda: più dell'80% delle persone risultate positive all'HP infatti non sviluppano mai un'ulcera mentre almeno il 10% dei pazienti ulcerosi non hanno un'infezione da HP. Per cui, Levenstein et al si sono chiesti se ci siano altri fattori causali nell'ulcera oltre l'HP e se lo stress psicologico sia uno di questi altri fattori che resta ancora valido nonostante la scoperta dellìHP. Gli autori discutono molte evidenze empiriche sul ruolo dello stress psicologico nell'ulcera desunte da dati di epidemiologia, biologia evolutiva, immunologia, fisiologia, infettivologia. Inoltre, risultati sia empirici che clinici suggeriscono l'ipotesi che l'infezione da HP e lo stress psicologico siano additivi, indipendenti e complementari più che semplicemente sinergici: le due vie patogenetiche possono inversamente favorire il danno da ipersecrezione acidogastrica nei pazienti ulcerosi, sebbene non necessariamente nella popolazione generale.
Il lavoro di Susan Levenstein è importante. La Levenstein è una psicoanalista impegnata nella ricerca e nella clinica psicosomatica e lavora in un servizio ospedaliero di gastroenterologia. La sua domanda riguarda il motivo per cui i gastroenterologi hanno così frettolosamente scartato il contributo dello stress psicologico nella formazione dell'ulcera a favore dell'ipotesi unicamente infettiva. Il pensiero dicotomico riflette una resistenza verso il difficile ma essenziale compito di considerare l'etiologia in modo integrato e biopsicosociale che incorpora elementi sia psicologici che biomedici. Ciò significa che l'ipotesi infettiva "moderna" è clinicamente ed empiricamente debole quanto lo era la "vecchia" ipotesi psicosomatica: entrambi presuppongono la dicotomia mente-corpo, che è proprio ciò di cui psicologi e medici non hanno più bisogno.



Muldoon MF, Barger SD, Flory JD, Manuck SB. What are quality of life measurements measuring? British Medical Journal. 1998; 316: 542-545
(Corrispondenza: Dr. Matthew F. Muldoon, Center for Clinical Pharmacology, University of Pittsburgh, Pittsburgh, PA 15260, USA. E-mail: mfm10@pitt.edu)

Il settore clinico e di ricerca sulla Qualità di Vita (QV) sta rapidamente crescendo diventando una variabile integrata nella valutazione di outcome. Infatti, oltre 1.000 nuovi articoli per anno vengono registrati sotto l'indice QV. Nonostante l'importanza ampiamente riconosciuta della QV, resta una certa confusione su come la QV debba essere misurata e interpretata. Questo articolo vuole fornire una semplice cornice concettuale per descrivere gli elementi centrali della QV. Gli autori hanno individuato due definizioni operative di QV: funzionamento oggettivo - ossia la capacità di effettuare dei compiti comuni e/o particolarmente legati alla malattia di cui il soggetto è portatore, come salire le scale o camminare per strada - e benessere soggettivo - ossia la valutazione individuale della propria salute che include soddisfazione, assenza di distress psicologico e supporto sociale.
Mentre i ricercatori si sono tradizionalmente concentrati sull'abilità fisica e sulla funzionalità oggettiva in attività quotidiane (si pensi al classico Indice di Karnofski in oncologia), un interesse sorto di recente ha spostato l'attenzione verso gli aspetti di benessere soggettivo. Si pensa che la QV sia intrinsecamente soggettiva poiché è il paziente ad avere un accesso privilegiato alla propria qualità di vita, all'outcome di malattia e di trattamento, al rapporto con la propria vita quotidiana. Mentre le scale di valutazione del funzionamento oggettivo devono essere accuratamente validate, principalmente per quanto riguarda la validità di criterio e di costrutto, le misure di benessere soggettivo dovrebbero fare molta attenzione ai fattori di confusione. Ad esempio, i soggetti con punteggi elevati a misure di neuroticismo, ipocondria e somatizzazione tendono a ipervalutare la propria scarsa salute, tanto che le scale di QV somministrate a questi soggetti potrebbero valutare in realtà più l'affettività negativa che la qualità di vita in senso stretto. Ne deriva che pazienti con sintomi depressivi o psicosomatici afferenti alla medicina di base hanno fornito una valutazione del proprio stato di salute che è risultato inferiore a pazienti con gravi malattie croniche come diabete o disturbi polmonari. In senso opposto, molti pazienti oncologici possono riferire di percepire uno stato di salute migliore persino di soggetti sani. Tale paradosso riflette chiaramente l'adattamento psicologico alla malattia ed il grande valore che tali pazienti conferiscono alla vita.
Il settore della QV può essere considerato come una linea distinta e complementare in psicosomatica. Mentre le classiche indagini psicosomatiche si indirizzano verso l'etiologia delle malattie, la ricerca nel settore della QV tende ad una valutazione integrata dell'outcome di malattia, insieme agli altri classici indici biomedici. Resta il fatto che entrambi questi approcci studiano l'interfaccia misteriosa fra mente e corpo nella salute individuale.



Porcelli P, Leandro G, De Carne M. Functional gastrointestinal disorders and eating disorders. Scandinavian Journal of Gastroenterology. 1998; 33: 577-582
(Corrispondenza: Dr. Piero Porcelli, Servizio di Psicodiagnostica e Psicosomatica, IRCCS ospedale "S. de Bellis", Via Valente 4, 70013 Castellana Grotte (Bari), Italy. Phone: +39 080 4960234, Fax: +39 080 4963255, E-mail: porcellip@mail.media.it)

Parecchi studi hanno trovato molte anormalità fisiologiche nel funzionamento gastrointestinale dei pazienti con disturbi dell'alimentazione. L'esperienza clinica suggerisce che i disturbi gastrointestinali possano coesistere con i comportamenti connessi ai disturbi alimentari ed anche persistere dopo la normalizzazione di tali comportamenti. Poiché le ricerche hanno generalmente indagato disturbi gastrointestinali attuali in pazienti con disturbi dell'alimentazione acuti e severi, gli autori hanno voluto studiare la presenza di passati disturbi alimentari in pazienti con disturbi gastrointestinali funzionali -- dispepsia funzionale, sindrome del colon irritabile, dolore addominale funzionale - confrontando la presenza di disturbi alimentari nel passato in pazienti con calcolosi della colecisti acuta per la quale erano in attesa di colecistectomia elettiva. I disturbi alimentari, valutati con i criteri del DSM-IV, sono risultati significativamente più prevalenti nei pazienti funzionali (15.7%) che nei controlli (3.1%) ed i pazienti funzionali sono risultati essere significativamente più disturbati psicologicamente rispetto ai controlli. Confrontando i pazienti funzionali con disturbi alimentari in passato con i pazienti funzionali senza mai alcun disturbo di alimentazione, i primi sono risultati essere più donne, più giovani, più istruiti, più ansiosi e depressi, ed avere anche sintomi gastrointestinali più severi.
Questo studio suggerisce di indagare attentamente la presenza in passato di disturbi dell'alimentazione in pazienti che soffrono attualmente di disturbi funzionali del tratto gastrointestinale. I risultati empirici di questo studio sono concordi con l'esperienza clinica che indica la possibilità che un sottostante disturbo psichiatrico, ad esempio depressivo o d'ansia, possa presentarsi con sintomi cangianti nel tempo, essere classificato sotto etichette diagnostiche diverse e non riconosciuti come condizione cronica di disturbo psichico. Ciò solleva il dubbio che la diagnosi psichiatrica o medica dipenda dalla finestra temporale di osservazione dei sintomi del paziente (periodi di maggior prevalenza di disturbi dell'umore o funzionali gastrointestinali o alimentari nell'arco di vita del paziente) e/o dal tipo di specialista (gastroenterologo, medico di base, psichiatra) che indaga sui sintomi del paziente. Ciò concorda con la frequente osservazione che anoressia e bulimia nervosa siano probabilmente di origine psichiatrica ma che poi abbiano una lunga fase di pertinenza sostanzialmente medica, caratterizzata da frequenti sintomi gastrointestinali.


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