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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Disturbi della Comunicazione



Universo balbuzie: il problema della definizione



di Francesco Bellelli *

* Psicologo-psicoterapeuta - terapeuta della balbuzie - professore a contratto Università di Napoli "Federico II"



Questo lavoro è compreso in un lavoro dal titolo "Definizione linguistica di balbuzie e implicazioni terapeutiche" inserito in un libro di terapeuti di vari paesi sul trattamento della balbuzie in lingua portoghese di prossima pubblicazione dalla casa editrice Artes Médicas a cura dell'Università di San Paolo di Brasile

1. Cenni di storia del concetto di balbuzie.

La balbuzie come fenomeno esiste sin dai tempi della Preistoria. Gli antichi egizi, infatti, si servivano di un geroglifico per indicarla. Il vocabolo balbettare traslato è njtjt (si ipotizza una pronuncia nietiet). Esso ricorre in un testo letterario che gli egittologi intitolano La storia del naufrago : "Parla al re nel pieno possesso di te stesso e rispondi senza balbettare"(Bresciani, 1969). Lo stesso vocabolo non ricorre, tuttavia, nei numerosi testi di medicina, né indica un vero e proprio difetto del parlare.
Nell'Atene dei sofisti, l'importanza attribuita alla fluidità e all'estetica del linguaggio, imponeva ai giovani con ambizioni di successo un grande sforzo per eccellere nell'oratoria.
Battus, nobile ateniese del V secolo a. C. descritto da Erodoto, aveva una balbuzie che gli provocava molti problemi. Si recò a Delfi per interrogare l'oracolo riguardo il suo disturbo. Secondo questi doveva cercare casa in Libia, il paese degli ovili, dove sarebbe diventato re.
Charles Bouton ne Il cervello e la parola (1987) sostiene che Greci e Romani trattavano senza comprensione e solidarietà le anomalie fisiche e le condizioni handicappanti.
Dal mondo greco a quello rinascimentale era presente un modello culturale in cui l'uomo trionfava sugli altri grazie alla forza del suo discorso. Il senso comune rifiutava chi parlava male tra cui i balbuzienti patologici.
A volte la fantasia superava la ragione. Per Francis Bacon (1561-16255) i tuffatori erano balbuzienti perché la loro lingua si raffreddava (Bouton, 1987, pag.16).
Nel sedicesimo secolo, a Padova Girolamo Mercuriale nel suo De morbis Puerorum tractatus (1583) e il suo allievo Fabrizio D'Aquapendente intrapresero studi scientifici. Mercuriale non si limitò a porgere gli abituali consigli dietetico-medicamentosi fondati sul concetto di "freddo" e "umido", allora tanto in voga a causa della dominante teoria umorale, ma prescrisse e descrisse con precisione alcuni esercizi di ginnastica e fonetica (Sigurtà-Barbieri,1955).
Nel XVIII secolo, durante l'epoca di Napoleone, furono introdotte le macchine correttrici studiate in modo da forzare le varie parti dell'apparato fonatorio per migliorarne la funzione. Tra le "macchine correttrici" ricordiamo la forchetta sottolinguale di Itard, una specie di elevatore della lingua che aveva lo scopo di migliorarne la motilità.
Vincenzo Mastrangeli (1986) parla di Diffenbach che effettuò all'inizio del
diciannovesimo secolo incisioni cuneiformi alla radice della lingua.
Qualche decennio dopo, grazie alle ricerche di Broca, Wernicke, Jackson su pazienti con lesioni cerebrali si riaccende su base scientifica l'interesse per il linguaggio.
Agli inizi del nostro secolo in Europa centrale con Froeschels e negli USA con Lee Edward Travis e Robert West sorsero le prime cliniche della parola su basi scientifiche. Per quanto riguarda il mondo della psicologia, non vi fu un interesse specifico ad indagare. Glauber (Roth e coll., 1989, p. 634) espresse la sua sorpresa per i fatto che Sigmund Freud durante quarant'anni della sua ricca e voluminosa produzione di scritti citò solo un caso, quello di Emmy von N. E' probabile che Freud (vedi paragr. 2) non fosse interessato alla balbuzie come fenomeno ma ai disturbi della persona in senso stretto quali l'isteria, la nevrosi ossessiva (di cui coniò il termine zwangsneuroses), la depressione.
Sia dai patologi del linguaggio sia dagli psicologi la balbuzie veniva considerata, rispettivamente come un disturbo del controllo del linguaggio o della personalità. Il modo di considerarla rifletteva l'orientamento teorico di riferimento.
Secondo Fenichel essa, a livello di sintomatologia, era un disturbo di conversione, a livello mentale la personalità corrispondeva a quella di un nevrotico coatto (1949, p.350).
William H. Perkins in un suo scritto del 1990, What is stuttering?, sostenne che nessuno tra gli studiosi fondatori della speech pathology si era preoccupato di definire che cosa fosse la balbuzie. Pareva che fosse un problema auto-evidente. Quasi tutti sappiamo come sia un balbuziente, pare che vi sia poco disaccordo su questo.
Perkins riferisce che Travis, i cui studi contribuirono al lancio della professione di patologo del linguaggio (speech pathologist) , non ha mai definito in modo evidente la balbuzie.
In Italia, Amleto Bassi e Lucio Croatto, il primo già Preside della Facoltà di Magistero di Ferrara e autore di pubblicazioni rigorose nell'ambito della balbuzie , il secondo professore di foniatria e fondatore negli anni '70 di una prestigiosa Scuola per logopedisti non hanno impegnato le loro migliori energie per definirla. Croatto ha offerto un valido contributo riguardo alla diagnosi differenziale (1982).
Nella mia pratica clinica, oltre ad aiutare i soggetti con problemi di balbuzie a parlare e a comunicare meglio, mi sono interessato all'identificazione e alla definizione . Nei casi dubbi in cui il soggetto non "balbetta" ma afferma di avere problemi di linguaggio, mi sono attenuto al grande insegnamento freudiano di ascoltare il paziente. Una sintassi disordinata accompagnata da sentimenti spiacevoli, uniti all'impossibilità di pronunciare pensieri che si manifestano chiari, erano considerati segni inequivocabili di balbuzie.

2. Il problema della definizione di balbuzie

Nella storia degli approcci e delle spiegazioni sull'origine della balbuzie la comunità professionale e scientifica non ha dedicato molta attenzione alla definizione.
Ogni clinico, studioso o ricercatore, scriveva le sue ipotesi e convinzioni sulla teoria di riferimento. Ad esempio, la spiegazione di Edouard Pichon del 1936 che la balbuzie fosse un problema che riguardasse sia la funzione organizzativa che realizzatrice del linguaggio, poggiava sulla teoria neurolingistica dello stesso (Pichon, 1965, p. 15).
Definire la balbuzie vuol dire comprenderne l'essenza, l'aspetto centrale (Perkins, 1990, p.370).
Nell'elaborare la definizione di balbuzie, i clinici e gli studiosi si sono concentrati più sulla balbuzie intesa come patologia che sulla balbuzie considerata come fenomeno, comportamento
Nei miei Corsi di rieducazione alla parola e di comunicazione interpersonale, poiché non pongo l'enfasi sull'eliminazione della balbuzie e degli inceppamenti - all'interno della popolazione dei balbuzienti - distinguo il balbuziente patologico da quello non patologico. Il primo è colui che si inceppa e che non ha il senso del controllo del linguaggio parlato. Tale black-out, situazione, è vissuta dal soggetto negativamente, con emozioni di paura, collera, tristezza e soprattutto vergogna e senso di colpa; il secondo, ossia il balbuziente naturale, non patologico è colui che pur inceppandosi riesce ad avere sempre o quasi sempre il senso del controllo del
linguaggio parlato. Nei miei Corsi è fondamentale operare la distinzione tra balbuziente normale e balbuziente patologico a causa delle implicazioni rieducative e psicoterapeutiche.

Ma vediamo l'excursus della definizione di balbuzie all'interno della comunità scientifica.
Sigmund Freud, ideatore di un nuovo approccio riguardo l'isteria e altri disturbi nevrotici parla della balbuzie a proposito di un caso d'isteria, quello di Emmy von N.. In quell'occasione comprese "la formazione dei sintomi isterici attraverso l'obiettivizzazione di una penosa rappresentazione di contrasto, e cioè attraverso una controvolontà" (Freud, 1895, p. 130).
Un'altra volta che Freud si occupò di balbuzie fu a Londra durante un'analisi didattica con il Dottor Blanton, americano. In quell'occasione, Freud disse che non se n'era occupato ma che doveva avere a che fare con qualcosa di costituzionale. Sembra che Freud ne parlò in termini fenomenologici più che di disturbo della personalità. In una comunicazione personale a Firenze, Jaqueline Bickel, studiosa del linguaggio, ha sostenuto che la balbuzie riguarda un problema di tipo costituzionale.
Whendell Johnson, ideatore della teoria semantogenica o teoria interattiva - approccio che a livello di metodologia di ricerca si basa sull'osservazione e la percezione dell'ascoltatore - sosteneva che la balbuzie è ciò che il soggetto parlante fa quando: 1) Prevede di balbettare, 2) ha paura di farlo, 3) reagisce negativamente in un tentativo negativo di farlo.
Charles Van Riper autore di The nature of stuttering, riedito nel 1982, nella stessa opera distingue tra balbuzie come comportamento e balbuzie come disturbo. "Una parte delle difficoltà che deriva dalla balbuzie risulta dal modo in cui viene usato il termine. Quando usiamo il termine balbettare o la frase "momento della balbuzie" ci riferiamo a certi tipi di comportamento. Quando usiamo in modo categorico il termine "balbuzie" indichiamo un disturbo. Quando usiamo la parola "balbuziente" ci riferiamo a un ruolo, a un certo tipo di devianza" (traduzione propria, p.19).
Per Van Riper la balbuzie come comportamento si ha quando "il flusso continuo del discorso viene interrotto da un suono, una sillaba, o una parola disturbata in senso motorio oppure dalla conseguente reazione del parlante" (Ibid., p. 15).
Quindi sarebbero le intercisioni - parti di parola - e la reazione del soggetto a determinare lo specifico della balbuzie. Dire che non si è fluidi e scorrevoli è troppo vago per tentare di definire la balbuzie.
Per balbuzie come disturbo Van Riper intende gli inceppamenti all'interno delle parole e la relativa sensazione sgradevole da parte del soggetto. In particolare è disturbo quando i comportamenti della balbuzie, le parole non integre sono diagnosticate come tali da chi parla o da chi ascolta basandosi sull'esame della frequenza, le loro caratteristiche e le condizioni sotto le quali si presenta. Il termine disturbo indica che è abbastanza negativo e sgradevole.
Perkins si è interessato allo studio della balbuzie concentrandosi più sul piano fenomenologico. Nel 1983 in Onset of Stuttering: The case of Missing Block, scrive "(...) quello che differenzia i balbuzienti e la balbuzie è la condizione di essere bloccati in modo involontario" (1983, p. 3) . Più avanti, nello stesso lavoro , Perkins osserva che la definizione di balbuzie dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) omette la parte più importante, ossia l'involontarietà.
Qualche anno dopo in What is stuttering?, Perkins ci offre una definizione non basata sulla percezione ma sulla produzione linguistica. "La balbuzie è la rottura involontaria di un tentativo continuativo di produrre un'espressione linguistica (traduzione propria, corsivo nel testo originale, p. 376)".
Per Perkins la parola chiave nel distinguere un balbuziente da un non balbuziente è "involontario" e si riferisce al blocco. Quando la perdita del controllo del linguaggio parlato non è involontaria allora non si tratta di disfuenza balbettata. Per l'involontarietà del fenomeno è importante l'autopercezione del balbuziente, per Perkins la gravità del fenomeno non è data dall'intensità dei blocchi ma dal modo stesso da parte del paziente di vivere la situazione di balbuzie.
Per quanto riguarda l'Italia, nel 1986 presso la Fondazione " Carlo Erba " di Milano, in occasione di un simposio sull'argomento, Oskar Scinhler ci ha offerto una definizione di balbuzie come disturbo. "(...) gli elementi necessari ma non sufficienti sono rappresentati da tre tipi di disfuenza, cioè rispettivamente la ripetizione di un fonema, oppure il suo prolungamento o il prolungamento di una pausa (...) ma perché si abbia la pienezza del fenomeno, oltre ai tre elementi predetti bisogna che sia presente anche un sentimento negativo nella persona nel momento in cui si verificano le disfluenze, come a dire che la presenza della disfluenza senza sentimento negativo nel soggetto non è balbuzie" (Binfarè, 1987, p. 30).
Gli studi ad orientamento psicodinamico, da Coriat a Fenichel e a Glauber, se ne sono occupati come disturbo della personalità e non come disturbo del controllo del linguaggio parlato. Bloodstein (1981) li sintetizza così. "1) La balbuzie soddisfa un bisogno erotico infantile di gratificazione orale. 2) La balbuzie è un tentativo di soddisfare dei bisogni erotici anali. 3) La balbuzie è una espressione celata di impulsi ostili e aggressivi che la persona teme di esprimere apertamente. 4) La balbuzie rappresenta un desiderio inconscio di sopprimere il linguaggio" .
Tra gli autori eclettici, la Bickel, nell'approccio alla balbuzie, sia sul versante clinico che teorico, sottolinea l'importanza di un'impostazione interdisciplinare (1989, p. 389). Per Marie-Claude Pfauwadel, qualunque sia la causa della balbuzie, ha a che fare con una turba profonda della comunicazione umana (1986).
Io credo che nello studio della balbuzie la distinzione tra balbuzie come fenomeno e balbuzie come disturbo (personalità, controllo della parola) è fondamentale, sia per le implicazioni cliniche che di studio. Nella realtà clinica, e ancor di più le persone comuni, non impieghiamo il termine "balbuzie" allo stesso modo e non effettuando tale distinzione finiamo con il confonderci.
La mia definizione è la seguente. La balbuzie intesa come fenomeno, a livello esteriore, per l'osservatore, è rappresentata da prolungamenti e ripetizioni involontari dei fonemi, per cui sul piano della parola, il balbuziente presenta una sintassi non lineare.
Quando l'involontarietà ( ntensa o non intensa che sia) dell'inceppamento è accompagnata da emozioni negative, allora vuol dire che il soggetto non controlla serenamente il linguaggio e che ci troviamo dinanzi alla balbuzie intesa come disturbo.
In linea con Perkins, credo che l'essenza della balbuzie, intesa come fenomeno, sia da situarsi a livello del blocco involontario della parola. Il sistema del linguaggio secondo la neuropsicologa Cristine Temple comprende 3 sottosistemi principali: sintattico, semantico, fonologico. Il sistema sintattico si riferisce alla grammatica, alla disposizione, all'ordine delle parole, il sistema semantico si riferisce al significato delle parole, il sistema fonologico alla pronuncia delle parole (corsivo mio, Temple, 1996, p. 87).
All'interno della struttura del sistema del linguaggio composta come sopra detto da fonologia, sintassi e semantica, il blocco involontario ha ripercussioni sulla sintassi, sull'ordine delle parole . La sintassi è non lineare a causa dell'uso di sinonimi, circonlocuzioni, intercalari, tutte strategie linguistiche per far "camminare", scorrere la parola. Questa difficoltà di sintassi non è legata alla mancanza di conoscenza del parlante riguardo alle regole della grammatica, ma nell'essere impedito (a causa del blocco involontario) a proseguire in modo lineare. A livello linguistico, il disturbo è dato dal fattore quantitativo, come nel caso della Balbuzie Cronica Perseverante di Cooper (vedi sezione 3, p. 14), qualitativo, invece, come nel caso della balbuzie interiorizzata di Levy (vedi sezione 3, p. 12). Quando i blocchi sono forti o la percezione del blocco è negativa, il soggetto non è in grado di gestirli e allora da piccolo impedimento, particolarità, ci si trova dinanzi a un disturbo. La balbuzie intesa come fenomeno, quindi, la definirei come un disordine della sintassi in senso lato, ossia della difficoltà fisica a dire le parole in ordine. La balbuzie intesa come disturbo, la definirei come un disordine della sintassi, in cui manca il senso del controllo della parola e della comunicazione.


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