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Tesi di Laurea di Laura Rugnone

Internet: rischi e risorse per la comunità

Capitolo 4 - Reti telematiche tra emarginazione ed empowerment


Ogni nuovo sistema di comunicazione fabbrica
i propri esclusi.
Non c’erano analfabeti prima dell’invenzione
della scrittura”

(P. Lèvy,1999)



Il grande sviluppo delle tecnologie telematiche comporta un grande sforzo di adattamento su scala planetaria.
Ogni cambiamento comporta angoscia per la nuova situazione e per la perdita del precedente equilibrio. In termini analitici si potrebbe dire che, se in occasione di un cambiamento non può essere elaborato un lutto, ciò sarà causa di resistenza al cambiamento stesso (Grinberg, 1992). Il cambiamento comporta un’incursione nell’ignoto che può risultare talmente ansiogena da condurre alla cosiddetta compulsione a ripetere (Lavenia; Chiappa, 2002).
Le reti telematiche hanno apportato delle grandi modifiche nelle abitudini comunicative degli uomini, divenendo potenziali fonti di stress.
In questo tempo del cambiamento (Hopper, 1994) vengono messe a dura prova le capacità simbolopoietiche di ognuno. È necessario trovare delle invarianti che consentano di stabilire una continuità tra ciò che era e ciò che è. Ciò comporta un atteggiamento di “infinito apprendimento” (Papert, 1994) necessario per tener testa all’incalzare delle innovazioni, non ultima quella tecnologica che ci chiama a nuovi processi di alfabetizzazione informatica.
Poter essere polo attivo di comunicazione nella rete, richiede l’acquisizione una serie di competenze e disponibilità nuove.
Tali risorse non sono, ugualmente disponibili per tutti. Sono evidenti, a livello macroscopico, le stratificazioni rintracciabili nella differente industrializzazione dei paesi e, a livello microscopico, il divario tra classi sociali agiate e non, giovani e anziani e così via.
La potenziale esclusione dalla rete, di alcuni gruppi sociali, di alcuni paesi, sulla base di preesistenti situazioni di svantaggio potrebbe comportare un forte divario comunicativo fra i più privilegiati e i meno “ricchi” di risorse.
Si potrebbe giungere ad una vera e propria emarginazione telematica. Carlo Gubitosa (1998) ci invita a diffidare dall’ingenua immagine del positivismo tecnologico che favoleggia di un villaggio globale in cui si intrecciano dialoghi elettronici tra indigeni africani, eschimesi e maori.
Due miliardi di persone, nel globo, non hanno neanche accesso alla luce elettrica e questo dato è sufficiente a mettere in discussione ogni ottimistica visione sulla possibilità reale di un villaggio globale. La stessa Commissione Europea, nel documento finale di una conferenza dal titolo “Global Information Networks: Realising the Potential” svoltasi a Bonn nel 1997, ha messo in evidenza il rischio di una divisione tra “abbienti” e “non abbienti” di informazioni.
Le realtà più escluse, non godendo di una forza che permetta loro di entrare in rete, vivono un’ulteriore marginalizzazione. La loro voce continua a rimanere inascoltata. Qualora si verifichi che una di queste realtà abbia accesso a tali fonti comunicative, accade per effetto “traghetto” da parte di una delle culture abbienti.
“Siamo noi, in ultima analisi, a traghettare l’emarginazione sulle nostre pagine web, sui nostri giornali, sulle nostre televisioni, sui nostri libri, sui nostri bollettini associativi, con intenzioni che vanno dalla demagogia alla voglia sincera di incontrare e abbracciare realtà meno fortunate della nostra” (Gubitosa, 1998).
Le barriere che rendono così arduo l’accesso alla rete per alcuni gruppi sociali sono di diverso tipo:
- emarginazione linguistica: l’analfabetismo, che colpisce il miliardo di persone che vive al di sotto della soglia di povertà (2/3 sono donne), private degli strumenti linguistici per scrivere, leggere e comunicare esperienze ed idee;
- emarginazione delle risorse: dovuta alla distribuzione non egualitaria delle risorse energetiche. I due miliardi di persone che non hanno accesso all’energia elettrica, cui si faceva riferimento sopra, saranno tagliati fuori anche dalle “autostrade dell’informazione” che si intrecciano nella maglie di Internet;
- emarginazione delle strutture: non è sufficiente disporre di una corretta istruzione e dell’energia elettrica, sono necessarie ancora delle altre risorse, delle infrastrutture telefoniche ed un computer. Gli stati tagli fuori dai circuiti dell’informatica sono quelli su cui gravano già altri motivi di emarginazione: nell’Africa subsahariana c’è in media una linea telefonica ogni duecento abitanti. L’Africa, che ospita il 12% della popolazione mondiale, ha solo il 2% delle linee telefoniche, meno delle linee della sola città di New York. Nell’intero continente africano si contano solo due milioni e mezzo di computer, _ di quelli presenti in Italia. Nel 1995 il 75% delle infrastrutture telefoniche era gestito dal 15 % ricco della popolazione planetaria.
- emarginazione politica: un ulteriore ostacolo alla comunicazione libera è costituito dai bavagli, dalle restrizioni e dalle censure imposte da diversi stati, Cina e Singapore, ad esempio. Per citare uno dei tanti esempi di censure e repressioni della libertà di espressione in rete: nel 1996, in seguito ad una fitta corrispondenza verso l’estero istituita dai giovani studenti che avevano parenti in Cina, dalle Università di Taiwan, tramite Usenet, per informare il mondo sulla crisi che gravava sul loro paese, il Ministero degli interni cinese mise a punto dei sistemi per filtrare la posta elettronica, censurando tutte le informazioni che potevano arrecare danno al regime. Il 15 febbraio tutti i cittadini della Repubblica Popolare Cinese che vogliono accedere all’Internet vengono obbligati a sottoporsi ad un’operazione di schedatura presso gli uffici della polizia.
- emarginazione tecnologica: la rincorsa a standard sempre più sofisticati rende obsoleti anche computer e programmi acquistati pochi mesi prima. Non sono necessari computer moderni e potenti per collegarsi ad Internet, ma un minimo di conoscente tecniche, perché gli standard e i programmi utilizzati per le connessioni Internet vengono stabiliti da chi ha interesse a tenere sveglio e vivo il mercato delle tecnologie e dell’informazione. Ciò comporta un necessario e continuo rinnovamento dei computer, dei sistemi informativi e dei programmi quando basterebbe un utilizzo più intelligente ed ecologico delle stesse risorse per fare le stesse cose. Chi non può o non vuole aggiornare i suoi computer rimane emarginato, per motivi che affondano le loro radici in interessi puramente economici. Le autostrade informatiche “rimangono chiuse al passaggio delle utilitarie per obbligare all’acquisto della Ferrari”. Arrestare questo processo non significa bloccare lo sviluppo della tecnologia ma permettere uno sviluppo tecnologico aperto che includa anziché escludere, che aggiunga cose nuove senza togliere quelle vecchie, attuando quella che in gergo viene detta “compatibilità all’indietro”;
- emarginazione multimediale: la rincorsa al multimedia (testo + immagini + suoni + video) rende alcune pagine Internet illeggibili per coloro che possono utilizzare il computer solamente in modalità testuale, cioè la miglia di persone disabili costrette ad interagire col computer attraverso tastiere braille o dispositivi di sintesi vocale. Si tratta di garantire un’alternativa solo testo ai contenuti che vengono immessi in rete. Un altro elemento che rende difficile l’accesso a pagine multimediali sono le connessioni lente e le linee telefoniche fatiscenti del sud del mondo che penalizzano ulteriormente queste zone, giacché multimedialità è sinonimo di collegamenti veloci e costosi;
- emarginazione informativa: un’ultima barriera è costituita dal mercato dell’informazione. Si può dire che le redini del grande circo dell’informazione sono gestite da 300 grandi società. Di queste società, 144 appartengono all’America del nord, 80 all’Europa, 49 al Giappone e 27 al resto del mondo. Tra queste 300, 4 gestiscono l’80% del flusso delle notizie: le americane Associated Press e United Press International, la britannica Reuter e la francese France Presse. Dai soli Stati Uniti viene il 65% delle informazioni mondiali. La quasi totalità delle informazioni del sud del mondo passa attraverso queste grandi agenzie di stampa prima di raggiungere i nostri giornali e tg.
Nell’intento di garantire e salvaguardare la possibilità di una parità di opportunità tecnologiche, Rodotà (1995), formula i tre criteri cui è necessario attenersi per la realizzazione di tale scopo:
1. Universalità del servizio, in riferimento ad un’equità nell’offerta e nei costi, indipendentemente dalla collocazione geografica e dalla condizione socioeconomica degli utenti. Come stabilito nel rapporto Ocse riguardante Le service universel et la restructuration des tarifs dans les tèlècomunications del 1991 (Novara, 2001), l’accesso ad un servizio di telecomunicazioni è un diritto fondamentale di tutti i cittadini in quanto di fondamentale importanza per la piena appartenenza alla collettività sociale ed elemento costitutivo del diritto alla libertà d’espressione e di comunicazione. Dovrebbe essere garantito, così come vengono garantiti i servizi sanitari ed educativi, dal potere centrale che deve vigilare affinché processi di privatizzazione non causino disuguaglianze e privilegi esclusi. Bisognerebbe evitare che i privati finiscano con l’escludere, giustificati delle leggi di mercato, le zone meno redditizie e finire col penalizzare ulteriormente le fasce svantaggiate con l’applicazione di tariffe troppo elevate.
Riassumendo va tutelata la pari opportunità di accesso alle risorse.
2- Open access (reti aperte ed interattive), così da favorire la creazione e lo sviluppo di comunità elettroniche in cui vi sia la partecipazione attiva dei cittadini sulla vita amministrativa e politica della comunità. Le comunità virtuali divengono luogo altro, in cui sperimentare e fondare stili di partecipazione innovativa, in cui la “cittadinanza elettronica” veste particolari tratti distintivi da quella comune legati all’assenza di vincoli spaziali e temporali.
3. Partecipazione orizzontale intesa come posizione paritaria di tutti i cittadini che divengono protagonisti attivi della vita pubblica nell’ottica di una democrazia attiva.
Qualora tali criteri risultino applicati, la proposta avanzata da Lèvy (1999) che vede il rapporto tra realtà e cyberspazio rapportarsi in maniera “articolata”, in modo tale da compensare la rigidità ineliminabile del territorio, consentendo l’elaborazione dei problemi della città con una messa in comune delle competenze, delle risorse e delle idee, sembra acquisire una sua tangibilità e concretezza.
L’autore suggerisce, per raggiungere tale scopo, l’attivazione in rete di determinate funzioni, come piazze virtuali di incontro tra offerte di competenze e offerte di formazione e di impiego, diari di bordo ecologici, economici, pedagogici, sanitari ecc. consultabili da chiunque, una rappresentazione dinamica delle risorse, sistemi di valutazione delle dotazioni e dei servizi trasparenti per tutti gli utenti. Questo progetto mira a rendere gli esseri umani coscienti di ciò che fanno insieme e dare loro mezzi nuovi per risolvere i problemi in una logica di prossimità e coinvolgimento.
Un modo per accrescere l’area del proprio potere, esercitando la propria influenza sociale, realizzando uno sviluppo di comunità in cui siano coinvolti i cittadini come persone e come gruppi, le istituzioni, gli attori leader politici e burocratici in un processo di crescita nella programmazione, organizzazione e reazione al cambiamento (Lavanco; Novara, 2002).
Il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei singoli soggetti, si oppone alla staticità del learned helplesssness, indicante una condizione in cui si è incapaci di affrontare gli eventi in seguito ad una sorta di apprendimento derivante da una serie di continue e ripetute esperienze di insuccesso che conducono ad un senso di impotenza generalizzata; agevola invece quella che Zimmermann e Rapaport (1988) definiscono learned hopefullness, ossia l’apprendimento della speranza di poter controllare gli eventi partecipando alla vita democratica della comunità.
In tale ottica i soggetti sono chiamati ad assumere il ruolo di attori delle proprie azioni secondo un locus of control (Rotter,1966) interno che li porti ad interrogarsi sempre sul proprio operato ed attivare riflessioni ed azioni per migliorarlo. L’articolazione proposta da Lèvy (1999), la ridistribuzione del potere in essa insita e la riappropriazione di un ruolo attivo da parte del singolo, ci sembra un modo per promuovere un processo di empowerment che attraverso strumenti e competenze nuove aumenti la possibilità degli individui di esercitare un controllo attivo sulla propria esistenza, sviluppando abilità che permettano loro di fare una lettura critica della realtà sociale, stimolando l’elaborazione e l’assunzione di strategie adeguate per la realizzazione di obiettivi personali e sociali.
La strada da percorrere per un’ attuazione a largo raggio di tali progetti è ancora molto lunga ma l’attivazione di alcuni progetti, come l’Internet Day- promosso su iniziativa del Comune di Palermo in collaborazione con l’associazione culturale per lo sviluppo di comunità Puntocom- è un esempio delle tanta iniziative che stanno prendendo vita per sensibilizzare all’uso intelligente della rete telematica, svelandone vincoli e potenzialità e accostandosi, quanto più possibile, al patrimonio esperienziale dell’utenza (Lavanco; Novara, 2002). L’Internet Day si è ispirato alla teoria di Monteil (1985) riguardo le nozioni attorno alle quali ruota il cambiamento. L’autore differenzia tre aspetti del cambiamento: l’informazione, cioè qualcosa di pre-strutturato, un contenuto organizzato da qualcuno perché un altro individuo possa acquisirlo; la conoscenza che è prodotto dell’esperienza personale del soggetto nel momento in cui si impegna ad assimilare l’informazione ricevuta adattandola alla sua struttura cognitiva e affettiva; il sapere che risulta dal confronto tra esperienza e nuove informazioni e che rende possibile l’oggettivazione della conoscenza e quindi la sua trasmissione ad altri sotto forma di informazione. È nel confrontare la propria conoscenza/esperienza con quella altrui che è possibile realizzare un’attribuzione di nuovi significati a quanto si è appreso tramite il contesto relazionale che si condivide.
Il progetto, nato nell’ambito della formazione dei docenti all’uso delle nuove tecnologie informatiche, è stato articolato in due sezioni (Lavanco, 2002). La prima, dedicata ad incontri formativi rivolta a studenti e docenti delle scuole medie superiori della città di Palermo, la seconda, alla produzione di materiali di diffusione sul territorio cittadino così da raggiungere tutti i protagonisti del tessuto sociale.
La formazione dei docenti ha seguito un iter scandito da tre tappe:
- somministrazione di un questionario informativo (si agisce sulle informazioni) atto a rilevare le informazioni che il formando possiede su Internet e a far si che si metta in discussione, aprendo uno spazio di confronto con i colleghi e il personale docente;
- esercitazione pratica di gruppo (si agisce sulle conoscenze dei singoli) basata sul role playing e la discussione in gruppo come occasione per confrontare i propri atteggiamenti nei confronti di Internet;
- approfondimenti tematici (si agisce sulla produzione di sapere) riguardo gli aspetti economici, storici, tecnici, culturali, sociali di Internet.
Tale articolazione è funzionale ad attivare un cambiamento che non coinvolga soltanto la competenza tecnica per l’utilizzo delle nuove tecnologie ma la possibilità di dialogare con le resistenze per una innovazione che investa sia il piano cognitivo che quello affettivo ed emozionale dell’apprendimento.
Il singolo cittadino e le istituzioni trovano nelle nuove tecnologie uno strumento al servizio della creatività nel progetto possibile di trasformazione del contesto politico locale e della rete sociale.
Internet come spazio democratico in cui politica e tecnologia possono dar luogo ad un fruttuoso incontro per il potenziamento del benessere sociale (Novara, 2001).


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