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Tesi di Laurea di Laura Rugnone

Internet: rischi e risorse per la comunità

Capitolo 3 - La rete criminale: devianza online



Le reti telematiche rispecchiano il mondo che le ha generate e dunque la complessità che lo caratterizza. Offrono cultura, opportunità di lavoro, informazione, solidarietà, arte, interazioni amicali e sentimentali e tutto ciò che è positività e progresso ma anche pornografia, truffatori, terroristi, pedofili, mafiosi.
Il mondo virtuale, così come quello reale, è continua dialettica tra bene e male, legalità e crimine.
La criminalità segna l’esistenza dell’uomo per tutta la sua storia evolutiva, mutando ed adattandosi all’avvicendarsi delle epoche e delle realtà sociali.
Molte sono state le teorie che hanno tentato di dare una spiegazione del comportamento criminale.
Nel tentativo di individuare quale potesse essere la causa scatenante di un comportamento deviante si è spesso additata la malattia mentale come fonte di comportamenti violenti e raccapriccianti, altrimenti inspiegabili.
Nell’ottocento, il frenologo Franz Gall credette di riconoscere nelle particolarità morfologiche del cranio, l’impulso dell’aggressività. Decenni dopo, Cesare Lombroso, con l’antropologia criminale, stabiliva precise caratteristiche e peculiari parametri del criminale.
Secondo le teorie classiche che vedono l’uomo dotato di una libera volontà, l’atto criminale è frutto di una scelta; la probabilità di un comportamento illecito aumentano quando questo comporta dei grandi vantaggi.
Le teorie positiviste sostengono invece che ad influenzare un comportamento criminale contribuiscano diversi fattori: biologici, ambientali e psicologici.
Le teorie psicoanalitiche partono dal pensiero freudiano secondo il quale l’origine del comportamento criminale è da riportare ad uno sviluppo inadeguato del Super-io, struttura interna che governa la morale e la condotta del soggetto e che si origina dall’interiorizzazione delle figure parentali di riferimento.
Secondo quanto afferma August Aichhorn, c’è una predisposizione, latent deliquency (delinquenza latente), che caratterizza la prima infanzia di ogni bambino, il fallimento dello sviluppo psicologico fa si che tale tendenza si cristallizzi e permanga anche in età adulta determinando un comportamento criminale.
Secondo le teorie psicoanalitiche, uno dei segnali di predizione di un futuro comportamento criminale è l’incapacità di posticipare la gratificazione immediata di un bisogno.
Le teorie dell’apprendimento invece considerano come cruciale nello sviluppo di un comportamento criminale la presenza di una figura che ha un atteggiamento favorevole nei confronti del crimine.
Per i teorici del condizionamento operante sarà un rinforzo positivo, ad esempio l’acquisizione di prestigio, soldi o sentimenti di adeguatezza, a far si che un comportamento criminale perduri nel tempo. Qualora invece gli effetti fossero negativi la frequenza di futuri comportamenti criminali dovrebbe ridursi.
La teoria dell’apprendimento sociale, il cui principale teorico è Albert Bandura, sostiene che la formazione del comportamento si modula sulla base dell’osservazione del comportamento altrui e della capacità di immaginarsi in situazioni simili. Una volta che il comportamento è stato appreso questo può essere rinforzato o punito in base alle conseguenze sortite.
Per Bandura tre sono gli aspetti alla base della motivazione: rinforzi esterni, vicari, derivanti dall’osservazione del comportamento altrui e interni.
Secondo il sociologo francese Emile Durkheim, è la sproporzione tra le proprie aspirazioni interiori e le effettive soddisfazioni che spinge i soggetti a comportamenti antisociali. Pur di perseguire i propri intenti si finisce col relativizzare la norma che si frappone come ostacolo alla loro realizzazione.
La società contemporanea, si fa promotrice dell’unico e supremo valore del successo, senza successo l’individuo sembra spogliato della sua identità, “tagliato fuori “.
La difficoltà del raggiungimento delle agognate mete e la rincorsa di un benessere economico non accessibile a tutti allarga a dismisura il divario di cui parla Durkheim e spiana la strada all’attuazione di reati.
Secondo l’autore, l’eccessiva stimolazione delle aspirazioni individuali che la società industriale avrebbe introdotto, crea una sorta di insofferenza nei confronti dei sistemi di controllo, da un lato, e dall’altro un diffuso senso di malessere ed irrequietezza dovuto alla concorrenzialità che si è venuta a creare all’interno dei vari strati della società. Questo conduce alla rottura delle regole e quindi al fenomeno dell’anomia (mancanza di norme).
In virtù della dissociazione tra valori socialmente stabiliti e mezzi leciti atti a procurarseli, si antepone alla liceità dello strumento, la sua efficacia pragmatica. Tale lettura bene si adatta alle contraddizioni della contemporanea società dei consumi.
Ma la delinquenza non riguarda soltanto le classi sociali meno abbienti ma anche quelle più agiate. Gli studi di Sutherland sui “colletti bianchi”(Sutherland, 1986) hanno messo in evidenza come questa tocchi tutti i gruppi sociali anche se con forme differenti.
Il fenomeno della criminalità presenta aspetti di grande diversità e, probabilmente, nessuna di queste teorie riesce a cogliere dei fattori causali che vadano bene sempre.
La valutazione di un’azione antisociale non affonda le sue radici all’interno della natura umana, ma piuttosto nei sistemi del diritto che caratterizzano, di paese in paese, ciò che è considerato antigiuridico e quindi contrario alle norme penali. Periodi storici e culture diverse identificano in modo diverso ciò che è criminale e ciò che non lo è.
In questa fase in cui la capillare diffusione delle nuove modalità socio-comunicative correlata alle tecnologie digitali sta imponendo una ristrutturazione culturale, delle abitudini e della psicologia dei singoli individui è necessario un processo di adattamento dei sistemi di percezione e decodifica delle dinamiche di relazione con le norme sociali e penali.
La rivoluzione digitale è un terreno fertile per vecchie e nuove espressioni del crimine e offre vantaggi di velocità, economia, anonimato.
Gruppi terroristici, venditori di materiale illegale (organi umani, pornografia minorile), organizzazioni mafiose hanno fatto delle rete uno strumento per potenziare ed ampliare i loro illeciti.
Gli atti criminali, come sottolinea la moderna letteratura specialistica, sono esito di dinamiche complesse, in cui l’autore mette in interazione sé stesso con norme penali e sociali, vittime e ambiente esterno.
Si attiva un processo volto ad effettuare un anticipazione mentale degli effetti sociali e legali del proprio comportamento.
Questo risulta quindi orientato da un insieme di informazioni provenienti dall’esperienza con gli altri e con le norme giuridiche ad esso attinenti.
Selezionando e organizzando le informazioni raccolte, si creano rappresentazioni del mondo in cui si vive e si attribuiscono significati a situazioni e soggetti.
Il criminale che opera in rete presenta delle peculiarità che lo distinguono dal criminale comune, deve possedere una serie di requisiti che gli consentano di operare con competenza, deve possedere un buon know how criminale in ambiente informatico, una buona capacità di pianificazione del comportamento
L’interposizione del computer, tra l’autore del crimine e la vittima, la sua funzione di strumento principale nell’esecuzione di azione criminale, è ciò che caratterizza il crimine dell’ infosfera digitalizzata: il cybercrime.
Questa interposizione e mediazione del computer nella realizzazione di atti criminali sembra avere delle influenze sulla percezione della gravità dell’azione criminale, della vittima e della stima dei rischi.
Nello specifico, la mediazione di uno spazio virtuale, sembra poter attenuare la percezione da parte del delinquente degli effetti negativi prodotti sulla vittima, diffondere atteggiamenti di impunità su determinati crimini, mantenere una scarsa conoscenza delle leggi civili e penali in materia, allargare la base dei possibili autori di reato rendendo adatti al crimine molti individui avulsi al mondo dell’illegalità, creare un fenomeno di illegalità distribuita in larghe aree sociali.
Il crimine informatico è caratterizzato dal fatto che il computer si interpone tra l’autore del crimine e la vittima o comunque rappresenta lo strumento principale per eseguire una determinata azione criminale (Strano, 2003). L’influenza della mediazione del computer influenza la percezione sociale del crimine, distorcendola, al punto di non far considerare reato ciò che è considerato tale dalle norme penali o civili. Le azioni vengono percepite come impersonali e non arrecanti danni evidenti alla collettività.
La vittima viene ridotta ad una pure astrazione, negata, in processo di legittimazione dell’atto.
Uno dei bersagli classici di frodi tecnomediate sono le grandi società o gli enti pubblici. Guidati da motivazioni che sembrano ricordare le imprese di Robin Hood, tali criminali mettono in atto una forma di neutralizzazione della colpa, riducendo i loro freni etico morali.
Anche nel caso di soggetti di “basso profilo criminale”, una serie di studi hanno messo in evidenza una certa difficoltà da parte di alcuni ad identificare il limite che separa la realtà dal virtuale e una carente capacità di percezione, distinzione e valutazione degli effetti provocati dal proprio comportamento criminale. Ancora una volta risultano alterati elementi come: la percezione dell’illegalità del comportamento, la stima dei rischi di essere denunciato, la percezione del danno procurato alla vittima, la stima dei rischi di essere scoperto, la possibilità di una sanzione legale e sociale. Fattori questi che entrano in gioco nelle fasi di pensiero che precedono, accompagnano e seguono il comportamento criminale.
La stessa dimensione spaziale in cui si consuma il reato, il cyberspazio, è segnata da una scarsa tangibilità che influenza i livelli di percezione del crimine.
Uno studio pilota sulle truffe condotte con le carte di credito ha evidenziato una maggiore disponibilità al crimine da parte di soggetti completamente avulsi da dinamiche criminali classiche e che invece si ritrovano a commettere dei reati in un contesto digitale.
La tecnomediazione, un po’ come un paravento, in alcuni casi, si fa complice di soggetti che, senza l’ausilio del computer, difficilmente avrebbero potuto mettere in atto i loro illeciti: terroristi psicologicamente non adatti ad azioni militari, impiegati scontenti che non avrebbero il coraggio di compiere azioni di sabotaggio tradizionali nella propria azienda, ladri di informazioni che non avrebbero il coraggio di compiere materialmente un furto, teppisti che non avrebbero il coraggio di tirare sassi ad una vetrina per strada ed effettuano viceversa un defacement di siti web, pedofili che non avrebbero il coraggio di adescare un bambino per strada, ragazzi che nella vita reale avrebbero timore di entrare a far parte di organizzazioni malavitose e che entrano invece in relazioni stabili con subculture devianti attraverso internet, persone che mai insulterebbero qualcuno senza la mediazione asincrona di email o sms.
Da studi condotti sulle caratteristiche psicologiche tipiche degli autori di computer crime emerge un profilo particolare che lo distingue dal comune criminale.
Il criminale informatico è un soggetto tendenzialmente non violento, di livello sociale medio-alto, con elevata capacità di pianificazione del comportamento, dispone di minori strumenti psicologici di contenimento dell’ansia, rispetto i criminali convenzionali, ha tendenza ad operare in solitudine, ha buone capacità nell’acquisire il know how criminale in ambiente informatico, ha minore tendenza a percepirsi come un soggetto criminale.


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