PM - HOME PAGE ITALIANA TESI

PM-TP
PSYCHOMEDIA
Tesi

Tesi di Laurea di Laura Rugnone

Internet: rischi e risorse per la comunità

Capitolo 2 - Dall’ uso all’abuso: excursus introduttivo alla psicopatologia delle condotte virtuali

2.1 Adolescenti e internet: tra sperimentazione e dipendenza



L’adolescenza, quel periodo che si suole collocare tra gli 11 e i 18 anni, è senza dubbio una delle tappe più complesse dell’esistenza. Non è solo una fase di preparazione all’età adulta, è una sorta di terra di nessuno, segnata dall’ambivalente bisogno di dipendenza dalle figure genitoriali e quello di rendersi autonomi.
Fattori di ordine biologico interagiscono con fattori di tipo psicologico e sociale nell’arduo lavoro di ristrutturazione della personalità cui l’adolescente è chiamato.
Bisogna affrontare un triplice lutto: la perdita del familiare e conosciuto corpo infantile sostituito da uno sconosciuto e misterioso,maturo sessualmente; del ruolo infantile con conseguente abbandono dell’immagine grandiosa di sé e del perfezionismo narcisistico dell’infanzia; dei genitori vissuti infantilmente come onnipotenti, in luogo di una rappresentazione più realistica che li vede ridimensionati, esposti al dubbio, all’incertezza e alla tristezza.
Il processo di riorganizzazione psichica si prospetta al quanto complesso e tortuoso ed espone a costanti minacce di cedimento psichico. La perdita della propria identità precedente deve essere accettata nel Sé, a favore di una nuova creazione.
Che ruolo gioca l’utilizzo di internet in questa delicatissima fase di crescita?
Stando ad una ricerca condotta da Jeremy Rifkin nel ’98, Internet fornirebbe agli adolescenti lo spazio per vivere quello che Erik Erikson definì “moratoria psicosociale” (Erikson, 1963); un periodo in cui l’adolescente sospende le scelte esistenziali definitive e vincolanti per dedicarsi esclusivamente all’intensità dei rapporti con le persone, con le idee, con la sperimentazione di esperienze, ruoli ed identità diverse. Nel mondo reale la fase della moratoria è soggetta a rischi quale la morte, gravidanze indesiderate, AIDS etc. Insomma uno scenario, potenzialmente al limite, che ci rievoca le immagini del celeberrimo film “Gioventù Bruciata”. In questa prospettiva Internet si offrirebbe come luogo sicuro, una sorta di palestra di vita, con funzione vicariante, dove poter sperimentare una propria autonomia dagli altri, acquisire fiducia nelle proprie capacità, incrementando quindi l’autostima.
La ricerca si è svolta in una particolare chat, la GMUKS (Graphical Multi-user Konversation) consistente di 30 stanze, un bar, una sala giochi, una camera da letto, una spiaggia, una palude-brughiera e diversi locali surreali, come l’orbita di un pianeta alieno e uno spazio sotterraneo somigliante ad un Ade, in cui adulti e adolescenti interagiscono insieme. In questo contesto gli adolescenti che vengono denominati SNERT ( acronimo che sta per “snot-nosed Eros-ridden teenager cioè adolescenti erotomani e impiccioni) mettono in atto comportamenti tipici della loro età.
Si è notata da parte loro una ricerca di sfida che si concretizza in una serie di comportamenti disturbanti: scherzi sarcastici, graffiti osceni, comportamenti provocatori e buffoneschi, formazioni di gang, occupazione impropria dello spazio pubblico virtuale, autopromozioni ripetute, comportamenti aggressivi con furti e molestie, uso di avatar violenti, ideologicamente inneggianti all’odio e alla discriminazione, uso provocatorio di linguaggio scurrile ed osceno, molestie sessuali o aggressive nei confronti di utenti con nickname femminili, attacchi e provocazioni alle autorità fino al punto di chiedere di essere uccisi (cioè cancellati dalla comunità).
Si è cercato di limitare tali comportamenti con l’istituzione di guardiani appositi e con prolungati dibattiti sull’atteggiamento da tenere e le eventuali sanzioni da applicare che vanno dalla semplice ammonizione fino alla morte virtuale.
Tali fenomeni e le loro conseguenze sembrano illustrare alla perfezione la teoria di Winnicott secondo cui, crescere significa prendere il posto dei genitori e quindi, in termini di fantasia inconscia, ucciderli. Il compito dei genitori è quello di sopravvivere intatti e senza sottrarsi al conflitto, ripiegando su una prematura abdicazione di ruolo all’adolescente che comporterebbe un senso di falsa maturità.
Potremmo dire che in questo caso la rete offre ai giovani un’opportunità in più per sperimentare quell’aggressività che secondo Winnicott da loro modo di sentirsi reali e di passare sopra, nella fantasia inconscia, al cadavere di un adulto.
Qualora però le difficoltà incontrate in adolescenza siano tali da condurre ad un’attivazione massiccia di meccanismi di difesa e ad una fissazione alla fantasia masturbatoria centrale cioè una regressione ad una fase autoerotica dello sviluppo, base di ogni dipendenza morbosa, il rapporto col virtuale può diventare pericoloso.
Le difese regressive messe in atto per sfuggire alle angosce connesse ai processi di consolidamento del Sé divengono dei “rifugi della mente” (Steiner, 1993), dei luoghi mentali, dei comportamenti ossessivo-compulsivi, dei riti personali in cui ci si ritira quando si vuole sfuggire ad una realtà insostenibile. Funzionano come un medicamento per l’Io che si sente danneggiato nell’affrontare il lutto o il dolore psichico connesso alla perdita.
Una buona elaborazione del lutto permette di separarsi dall’oggetto e di accettare la realtà della perdita e dunque di riorganizzare la persona.
Nei soggetti in cui le problematiche connesse alla distruttività sono molto disturbanti i rifugi mentali finiscono col dominare la psiche e si declinano in una serie di comportamenti patologici come comportamenti aggressivi verso se stessi quali l’anoressia e la tossicomania, attività autoerotiche o disturbi dissociativi.
La realtà non è del tutto accettata e nemmeno del tutto rifiutata. Se questa attitudine a ritirarsi dalla realtà non è transitoria ma finisce col diventare la consuetudine, lo stile di vita sarà segnato dalla dipendenza e il soggetto potrà giungere ad abitare un “mondo onirico o fantastico che trova preferibile al mondo reale” (Caretti, 2001). Questo mondo parallelo è all’insegna dell’onnipotenza, ogni cosa è possibile e concessa e da ciò si ricava un senso di sollievo che è però solo apparente e subdolo perché mina e distorce sia il senso di Sé che la relazionalità . L’esito, prevedibile, è una situazione di isolamento e perdita del contatto con la realtà.
Tali caratteristiche sono riscontrabili in quella forma di ritiro sociale che ha colpito più di un milione di giovani nipponici, che vivono volontariamente reclusi in casa: l’hikikomori.
Tale termine che letteralmente significa “rannicchiarsi in se stesso”, “isolarsi”, “appartarsi”, stando a quanto sostiene John Watts è una condizione unica nel suo genere e presente solo in Giappone.
Secondo la ricerca, durata 12 mesi, presso 697 centri di sanità pubblica, sono stati segnalati 6151 casi.
In questo primo studio viene considerato affetto da hikikomori chiunque vive completamente isolato per un periodo di sei mesi o più.
Dai dati emersi, il 40% dei soggetti aveva un’età compresa tra i 15 e i 25 anni, il 21% tra i 25 e i 30. La maggior parte erano maschi e in genere il più colpito era il figlio maggiore. L’8% era rimasto in isolamento per dieci anni o più.
Tale patologia non è assimilabile ad una semplice ansia o ad agorafobia ma è molto di più, è una patologia socialmente invalidante che riduce, chi ne soffre, ad una sorta di “moderno eremita” (Di Maria; Formica, 2003), confinato nell’esiguo spazio della propria camera da letto, il cui accesso è off limits per chiunque, salvo l’unica eccezione riservata alla madre per l’introduzione del cibo.
La condizione dell’adolescente che rinnega la società degli adulti e le sue norme non è certo una novità, al contrario costituisce l’ordinario, è una condizione trasversale presente in ogni cultura e in ogni periodo storico dell’umanità.
Ciò che rende unico l’hikikomori è il contesto in cui si è manifestato e lo stretto legame con la tecnologia e le “protesi virtuali” da questa offerti che in questo caso diventano surrogato di una realtà rifiutata.
Il Giappone è uno dei paesi tecnologicamente più avanzati se non il più avanzato. C’è un’esasperazione dell’elettronificazione e di pari passo un’esaltazione dei valori del primato, della riuscita, della realizzazione.
I bambini sono esposti, sin da piccolissimi, agli ossessivi imperativi del fare, dell’omologarsi, all’insegna di una cultura di coppia soffocante, secondo la logica dell’”o…o”, che risponde acriticamente ai dettami della società e che in suo nome sacrifica la creatività e l’unicità del singolo.
Non c’è posto per una cultura secondo una logica dell’”e…e”, per una cultura di gruppo che accoglie polarità diverse in dinamica convivenza.
Le possibilità che si offrono non sono che due: obbedire diligentemente a quanto la società richiede e adeguarsi agli standard imposti, rimanere schiacciati sotto il peso di doveri e compiti che si è incapaci di sostenere.
Nel secondo caso, il confronto con l’altro diventa insostenibile, l’altro è una presenza minacciosa, una continua conferma delle proprie inadempienze, dei proprio insuccessi, va tenuto lontano, negato, privandogli ogni possibilità di contatto, autoesiliandosi in una piccola fortezza tecnologica.
La tecnologia, asservita alla patologia, diventa rifugio e strumento per compensare virtualmente un benessere sociale cui si è rinunciato.
Al riparo delle proprie mura domestiche, circondati da video giochi, immersi, o forse sarebbe meglio dire risucchiati, dalla rete, prigionieri di un solipsismo telematico, vivono una dimensione di perfezione inattaccabile perché estranea ai problemi della quotidianità.
Nel descrivere questi due emblematici aspetti di internet, la GMUKS e l’hikikomori, spero di aver messo in evidenza quanto la tecnologia e le sue declinazioni comunicative attuali non siano di per sé fonte di patologia. Sono degli strumenti, è l’uso o l’abuso che se ne fa che può essere qualificato come positivo o negativo per il benessere del soggetto e dunque della comunità.


PM - HOME PAGE ITALIANA TESI