PM - HOME PAGE ITALIANA TESI

PM-TP
PSYCHOMEDIA
Tesi

Tesi di Laurea di Laura Rugnone

Internet: rischi e risorse per la comunità

Capitolo 1 - Internet: una panoramica storico-descrittiva



In un’intervista, rilasciata negli anni 50, Albert Einstein, dichiarò che nel ventesimo secolo erano esplose tre bombe: quella demografica, quella atomica e quella delle telecomunicazioni (P. Lévy, 1999).
Calvino, riferendosi all’avvento di internet, ne parla in termini di seconda rivoluzione industriale.
Probabilmente, sia lo scienziato che lo scrittore, volevano, rendere ragione, con le loro metafore, della vastità dell’impatto sortito dal progressivo sviluppo delle telecomunicazioni.
Queste, avvalendosi di supporti elettronici sempre più sofisticati, rendono agevole e veloce la trasmissione di dati da un capo ad un altro del mondo; creano nuovi spazi di confronto dialettico dei saperi; gettano le basi per una nuova universalità intesa, alla maniera di Pierre Levy, non come “senso” dato una volta per tutte, quindi chiuso, ma come presenza virtuale dell’umanità a se stessa.
Uno degli esiti più eclatanti dello sviluppo delle telecomunicazioni è internet.
Tecnicamente “internet è un sistema di comunicazione che, attraverso l’uso di computer collegati in rete, consente di mettere in contatto persone o gruppi di persone ovunque nel mondo” (Guidotti, 1997).
In un’era, quale è quella della globalizzazione, della circolazione dei saperi, l’informazione assume un valore intrinseco, amplia la nostra possibilità di scelta e dunque il nostro potere decisionale.
Internet, in quanto strumento elettivo di trasmissione e circolazione delle informazioni, diviene possibile catalizzatore dell’empowerment individuale e collettivo.
La prima rete nasce, nel 1969, per scopi militari, nell’ambito del Dipartimento della difesa statunitense, da un’idea di Bob Taylor, studioso di psicoacustica e allora direttore del programma di ricerche informatiche del dipartimento.
Essendo concepita per scopi militari, l’ARPANET(Advanced Research Projects Agency), tale è la sigla con la quale venne denominata, era contraddistinta da criteri di sicurezza e affidabilità.
Il suo scopo era favorire le comunicazioni in caso di attacco militare nucleare sovietico, sostituendo ai centri di comando e di controllo radiofonici, facilmente individuabili dai missili nemici, una struttura di comunicazione senza centro, dove le informazioni passano, a caso, da una delle migliaia di possibili interconnessioni tra i nodi, così da impedirne l’interruzione. Ogni nodo doveva poter generare, trasmettere e ricevere messaggi. I messaggi a loro volta sarebbero stati scomposti in pacchetti o moduli e separatamente indirizzati verso la propria destinazione. Una volta raggiunta la meta finale, i diversi moduli, sarebbero stati ricomposti nel messaggio originario; se per qualsiasi motivo, si fosse verificato un blocco lungo una delle arterie della rete, ci sarebbe stata sempre una via alternativa. E’ curioso scoprire come, già allora, si faceva spazio, tra le esigenze professionali, un primo abbozzo di comunità virtuale, nato ad opera degli stessi ricercatori dell’ARPANET che avevano messo a punto una bacheca elettronica dove scambiarsi opinioni su “Star-trek” e sulla fantascienza.
Da allora ad oggi la rete è stata protagonista di una crescente e costante diffusione.
Già alla fine degli anni ’70 era troppo estesa per esser sostenuta dalle tecnologie con cui era nata; furono cosi creati nuovi protocolli standard, per la trasmissione dei dati, che rendessero possibile la comunicazione e lo scambio di informazioni tra i vari sistemi collegati, spesso diversi per ambienti operativi ed architettura hardware (le parti solide del computer come la tastiera, il monitor etc. Che si differenziano dai programmi che funzionano grazie ad esse e vanno a costituire il software). Nel luglio del 1986 la National Science Foundation creò la NFS-net ( una rete per operatori scientifici) che incorporò, alla fine degli anni ’80, Arpanet.
Nacquero, in seguito, Usenet e Binet e altre reti che si svilupparono in altri paesi.
Ognuna di esse finì per connettersi con tutte le altre fino a formare una gigantesca ragnatela di connessioni.
È proprio da questa aggregazione di reti autonome, capaci di connettersi attraverso un sistema libero e policentrico, cioè senza alcun governo centrale, che nacque Internet.
La “rete” esce così dall’ambiente elitario in cui era stata concepita per divenire uno strumento alla portata della collettività.
Attualmente si stima un tasso di crescita della rete pari al 450 % annuo.
La sua diffusione è stata possibile anche grazie alla continua diminuzione del prezzo dei pc, al perfezionamento delle infrastrutture di telecomunicazione, alla disponibilità di freeware (software gratuito di libera circolazione), alla necessità dei singoli e delle imprese di reperire, con rapidità, informazioni da ogni parte del mondo e non ultima alla curiosità dei giovani che ha generato un numero crescente di utenti competenti ed interessati.
Uno dei tratti distintivi di internet è senza dubbio il suo rivoluzionario stile comunicativo che va oltre il modello verticale, uno a molti, tipico della tv, in cui la comunicazione è unidirezionale e unicamente gestita dall’emittente mentre il destinatario gode solo della facoltà di scelta tra le varie offerte televisive predefinite; e oltre il modello orizzontale, di tipo uno a uno, tipico del telefono, in cui la comunicazione è simmetrica e bidirezionale ma coinvolge un numero di utenti assai esiguo. Il modello reticolare, caratteristico della rete telematica, di tipo molti a molti, supera questo limite, offre l’opportunità di ampliare il numero di emittenti e destinatari e rende i loro ruoli interscambiabili cosicché ogni emittente è destinatario e viceversa e la comunicazione diviene più dinamica e ricca grazie alla possibilità di feedback reciproci che le conferiscono una maggiore simmetria.
La comunicazione mediata dal computer genera un nuovo spazio di relazione: il cyberspazio.
È suggestivo analizzare la composizione di questo termine che risulta essere formata da cyber, derivante dalla parola greca kiber che significa pilota, da cui cibernauta, che significa propriamente l’ arte di governare un’imbarcazione, cioè la scienza dei meccanismi di controllo e da spazio, luogo. È nel “Neuromante”, romanzo scritto da William Gibson nel 1984 che per la prima volta compare il termine “cyberspazio” inteso come una realtà alterata, generata elettronicamente, cui si accede con un collegamento cerebrale diretto, abitata da persone umane “riraffigurate”, separate dal corpo fisico che rimane ancorato allo spazio normale e alle regole fisiche che lo caratterizzano a differenza di quanto accade nel cyberspazio che invece sfugge a tali norme.
Tale produzione letteraria, frutto della fervida immaginazione dello scrittore, ci rimanda alle effettive modifiche qualitative e quantitative caratterizzanti la comunicazione nel cosiddetto cyberspazio inteso secondo il senso comune.
Innanzitutto si assiste ad un superamento delle barriere spaziali e temporali, individui residenti in ogni parte del mondo possono ritrovarsi a condividere uno spazio comune di interazione che abbatta le distanze geografiche e nel caso di soggetti portatori di handicap, le barriere architettoniche.
Altra caratteristica distintiva è l’assenza del corpo, aspetti come il sesso, l’età, l’appartenenza etnica, l’apparenza, non hanno manifestazione in rete.
L’immagine digitale diventa essenzialmente una scrittura, un’operazione linguistica: tramite le parole digitate sulla tastiera costruiamo la nostra immagine in rete.
Se da un lato ciò tutela l’utente dal rischio di essere discriminato per il suo aspetto, dall’altro rende possibili eventuali mistificazioni dell’identità: uno dei più comuni è il dichiarare un genere diverso da quello reale. A tal proposito ben si presta la nota vignetta umoristica che recita “In internet, nessuno sa che sei un cane”.
La comunicazione vis-a-vis, diversamente da quella online è caratterizzata, da una costellazione di elementi non verbali legati all’aspetto, alla mimica corporea e alla prossemica. Nella comunicazione mediata dal computer vengono a mancare quelle componenti paralinguistiche che Watzlawick definiva analogiche, il tono della voce, la mimica facciale, la prossemica, ad esempio, dati che forniscono al nostro interlocutore informazioni aggiuntive riguardo la nostra personalità il nostro modo di essere nella relazione. Per supplire alla mancanza di informazioni non verbali e aggiungere una connotazione emotiva alla comunicazione online, sono nati gli emoticons: simboli convenzionali, nati dalla combinazione di segni di interpunzione.
Per esprimere uno stato d’animo di sconforto si potrà usare la faccina triste “ :-( ” , per indicare un atteggiamento allegro e scherzoso possiamo sorridere con un “ :-) ” ,oppure possiamo essere ammiccanti con “ ;-) ” o esprimere la generosità di un altruista con“ @@@@@@@@@@:-) ”, emoticon che si rifà al personaggio animato di Marge Simpson.
Secondo quanto rilevato dal progetto H, nato per l’analisi di scambi comunicativi dei newsgroup o dei forum, il 13% di un campione di 3000 messaggi conteneva almeno uno di questi segni grafici utilizzati per enfatizzare il contenuto socioemotivo del messaggio (Wallace, 2000). Questo dato la dice lunga sull’esigenza degli utenti di rendere più caldo e accogliente il freddo mondo di internet.
Un altro degli espedienti che si presta a tale scopo sono gli “avatar” ossia degli alter ego virtuali che l’utente può personalizzare a suo piacimento affinché questi lo rappresentino online.


PM - HOME PAGE ITALIANA TESI