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Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti

GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI


INTERSIMBOLIZZAZIONE E PERDITA DEL SIMBOLO


La patologia della simbolizzazione, tuttavia, presenta un risvolto paradossale. Benedetti, nelle sue esperienze cliniche con pazienti psicotici, ha potuto rilevare, da una parte la disintegrazione dei simboli, ma contemporaneamente l'affiorare di grandi simboli.
Già Freud con l'osservazione che lo schizofrenico non riuscirebbe a distinguere l'oggetto dalla sua rappresentazione, pur non parlando esplicitamente di simboli, lo aveva messo in luce; Freud si era altresì spinto oltre andando ad osservare che l'affiorare di fantasmi in una produzione delirante sembravano racchiudere per certi versi i grandi segni della morte, del dolore, dei limiti dell'esistenza.
Anche Jung era convinto del fatto che la schizofrenia presentasse un'enorme quantità di simboli collettivi, soprattutto per il fatto che, frantumandosi, secondo la sua interpretazione, i fondamenti della psiche, tali simboli emergevano costituendo la struttura della personalità. La mente dell'uomo, secondo Jung, conserva molte tracce residue degli stati anteriori del suo sviluppo che consciamente possiamo anche ignorare, ma cui inconsciamente rispondiamo, siano essi simboli o segni attraverso i quali si manifestano.
"Lo stato mentale schizofrenico, nella misura in cui presenta materiale arcaico, ha tutte la caratteristiche di un grande sogno; in altre parole, è un evento importante, che presenta le stesse qualità numinose che nelle culture primitive vengono assegnate ad un rituale magico"(1)
A tal proposito vorrei citare un passo di un bellissimo articolo di Benedetti nel quale esprime l'importanza dell'inconscio collettivo nella psicoterapia della schizofrenia: "Si ha l'impressione ascoltando questi deliri, come se un soggetto maligno (a dire dei pazienti), il quale in uno spazio ascoso dell'inconscio collettivo (nel senso di C. G. Jung) pre-esistente l'individualità attuale e le vicissitudini della sua famiglia, vivesse un'esistenza distruttiva e dovesse quindi calarsi nel mondo schizofrenico, ossia legarsi ad un Sé innocente per superarsi."(2)
Anche se Benedetti comprende le storie dei suoi pazienti nei termini di situazioni dell'infanzia, per cui la madre snaturata del sogno di una sua paziente è proprio sua madre, con la quale si identifica (...), mette in luce il fatto che possa crearsi nella mente del terapeuta un altro piano di comprensione "ove sembrano parlarmi pre-esistenze razionalmente sconosciute"
Tale secondo piano fantasmatico, come visione dell'inconscio collettivo, serve al terapeuta per essere più vicino al paziente, "entrando nel delirio come in una cifra segreta dell'esistenza che non potremmo mai possedere razionalmente, ma che potremmo forse cambiare introducendo in essa quella dimensione di dualità che nella cifra psicotica appunto manca".
Quindi l'esperire psicotico è caratterizzato dalla coesistenza di opposti, necessari, come due facce dello stesso fenomeno, come nel caso specifico della simbolizzazione nel paziente schizofrenico.
Un tratto caratteristico del pensiero schizofrenico è di essere contemporaneamente tanto capace di simbolizzazione quanto asimbolico"(3)
Ogni cosa può sempre significare qualcos' altro, come accade per esempio nel delirio di interpretazione, in cui il paziente è come se obbedisse ad un bisogno di spiegare, di decifrare tutto in base ad un particolare sistema di significati.
La diffusione del campo dei significati, la creazione di analogie e di somiglianze che si intrecciano e confondono è stata descritta molto efficacemente da Minkowski: "Queste relazioni di identità sono stabilite dal paziente con una costanza ed una rapidità sorprendenti: siamo al 13 di luglio che è vigilia della festa nazionale; sulla sua biancheria si ha ugualmente la cifra 13; fra i due fatti ci deve essere una correlazione; sulla sua camicia si ha la cifra 3 che si ritrova nel 13, e così via." (4)
Quando i simboli vengono scambiati per cose concrete, quando vengono trattati come fossero segni, i pazienti si esprimono in questi termini: "Il paziente vede il tramonto nel riverbero delle nuvole e ci dice di aver visto il tramonto stesso della sua vita...
Egli ci mostra un dito fratturato e ci dice che questo è lui!(5)
Silvano Arieti ha specificatamente parlato di una concretizzazione dei simboli nell'esperienza schizofrenica. Secondo questo autore, che ha influenzato sicuramente anche il successivo lavoro di Benedetti, sarebbe presente un disturbo cognitivo, il quale porta alla condensazione e contaminazione delle diverse rappresentazioni. Segni e simboli vanno a coincidere con le cose che designano e non ne possono più essere distinti. Benedetti spiega che la simbiosi dell'Io con gli oggetti impedisce al paziente di cogliere le differenze tra gli oggetti ed afferma: "Il disturbo è presumibilmente cognitivo ed affettivo; cognitivo nel senso che alla sua base c'è un disturbo delle associazioni, nel senso di E. Bleuler; ma anche affettivo, nel senso che l'intensità di certi "complessi" definiscono l'unico rapporto possibile con l'oggetto"(6)
La coincidenza tra realtà e simbolo, al di là d'ogni tipo di formalizzazione, getta il paziente in un terribile stato di angoscia, che non è possibile "scaricare" completamente neppure attraverso massicce proiezioni.

Note:

1) JUNG C. G., "La schizofrenia e altri scritti", biblioteca Boringhieri (104), Torino 1977
2) BENEDETTI GAETANO, "Partecipazione al delirio schizofrenico o realtà dell'inconscio collettivo?", Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15 (29), p. 11-23, 1984.
3) GAETANO BENEDETTI, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, pag. 27.
4) MINKOWSKI, E., "La schizofrenia", (1927), trad. it. Bertani, Verona,1980.
5-6) Comunicazione scritta personale del prof. Benedetti ricevuta a Basilea in data 19/2/2001


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