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Tesi di Laurea di Laila Fantoni

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico

Capitolo IV - L'abuso sessuale in Italia: Milano, Firenze e Potenza, tre realtà a confronto

3. L'abuso sessuale a danno dei minori nella regione Basilicata



Se la situazione milanese è considerata da molti operatori come "l'isola felice" in cui vi è la risposta più adeguata a questo tipo di problemi (e per questo motivo presa dagli altri centri d'Italia a modello), la regione Basilicata è stata considerata, fino a pochi anni fa, "quell'isola felice" in cui violenze di questo tipo non erano registrate. La motivazione di ciò non era dovuta, purtroppo, all'assenza del fenomeno ma ad una situazione socio-ambientale fatta di silenzi ed omissioni.
In questi ultimi anni (dal 1997-1998) il fenomeno dell'abuso sessuale sembra assumere, anche in questa regione, una dimensione inquietante. Il numero dei casi conosciuti, se rapportato alla popolazione residente nel territorio (ab. 650.000 circa), evidenzia l'esistenza di una situazione sociale di violenze, grave anche a livello quantitativo, che non può assolutamente essere sottovalutata. Infatti l'assistente sociale di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Benedetto Olivo (115), descrive questo cambiamento valutandone anche gli aspetti positivi:
In passato questi tipi di situazioni restavano nel segreto delle famiglie e denunce non ve ne erano; adesso, invece, quel "fenomeno sommerso" ha cominciato ad emergere. Il cambiamento ha interessato anche gli operatori, molto più disponibili ad ascoltare, ed anche i ragazzi e i bambini, che hanno molta più voglia di parlare e confrontarsi con gli altri rispetto alle generazioni di minori di alcuni anni fa.
3.1 La situazione del fenomeno nella regione
Un recente saggio (116) in materia è quello della Dott.ssa Assunta Basentini, psicologa presso il Tribunale per i Minorenni di Potenza, che da anni si occupa del fenomeno degli abusi sessuali sui minori e che è ormai diventata una delle poche figure professionali nella zona specializzata sull'argomento. Da tale ricerca risulta essere presente nella regione Basilicata, suddivisa nelle due province di Potenza e Matera, una diversità in termini statistici dell'esistenza di tale fenomeno, il quale sembra così dividere in due parti la realtà sociale e culturale della regione: alla provincia di Potenza appartengono il 91,6% di abusi e a quella di Matera soltanto l'8,33% (tab.1).

PROVINCIA DI POTENZA PROVINCIA DI MATERA TOTALE
44 (91,6%) 4 (8,33%) 48 (100%)

Tab. 1: Provincia di appartenenza dei minori abusati.

La bassa percentuale di segnalazioni e denunce nella provincia di Matera non deve far pensare ad una scarsa ed insignificante incidenza del fenomeno in tale luogo, ma ad una diversa realtà istituzionale e sociale, rispetto alla quale il fenomeno rimane sommerso e negato. In tale realtà, fino a pochi anni fa, si trovava anche la provincia di Potenza, ma sembra che qualcosa adesso stia cambiando. Presumibilmente, nella provincia di Matera, il contesto istituzionale (che comprende la famiglia, la scuola, i servizi sociali e l'autorità giudiziaria), che dovrebbe operare in questi casi con un meccanismo di segnalazione in tempi brevi ed una corretta presa in carico, non funziona molto bene.
È sicuro comunque che anche in provincia di Potenza i minori abusati sono sicuramente di più di quelli risultanti dalle denunce e che il dato registrato sia solo "la punta dell'iceberg" (117).
In queste zone, nei confronti dell'abuso sessuale sui minori, vi è sicuramente:
&Mac183; l'assenza di un raccordo tra figure istituzionali;
&Mac183; una mancanza di attenzione al problema e di comunicazione con i giovani da parte delle figure di riferimento familiari e scolastiche, che dovrebbero avere una funzione educativa e protettiva: le responsabilità primarie sono, infatti, della famiglia e della scuola ed esse rinviano poi ad un livello superiore di responsabilità, cioè manca nel sociale un'adeguata azione di sostegno nei confronti di genitori ed insegnanti.
&Mac183; una rimozione culturale e sociale dell'abuso sessuale (118): questo fenomeno sociale, di cui fino a qualche tempo fa poco si parlava, è oggi diventato un argomento molto discusso soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa. Ma la reazione della società a tutto questo è stata quella della "rimozione" del problema (119).
In Basilicata ciò è stato ancor più forte: è presente una società che oscilla tra la sottovalutazione del fenomeno e l'attenzione agli aspetti più sensazionali e gravi del problema. La popolazione del luogo riconosce l'esistenza di tali situazioni e condanna il comportamento di abuso all'infanzia, ma lo relega in una "zona buia" dove si trovano bruti e maniaci: purtroppo invece tale fenomeno è presente nelle "persone normali" e può coinvolgere tutte le fasce sociali. L'atteggiamento da parte degli adulti nei confronti dei bambini, che comunicano o raccontano maltrattamenti o abusi, è di perplessità e di dubbio di fronte all'accaduto e parte dal presupposto che il minore può dire bugie e la sua testimonianza può essere dunque non attendibile. Tutto ciò è confermato anche dalla psicologa di un comune del Lagonegrese (Castelluccio Superiore), Caterina Cerbino (120):
Nei paesi come il nostro, che sono piccoli centri urbani, queste situazioni vengono viste dagli abitanti in modo scandalizzante, tanto che la drammaticità dei casi porta loro a non credere a ciò che viene denunciato: così è il bambino a diventare il colpevole.
Sempre dai dati raccolti dalla Dott.ssa Basentini (121), psicologa presso il Tribunale dei Minorenni di Potenza, risulta che statisticamente, nella Regione Basilicata, sono più frequenti le molestie degli abusi e prevalgono le molestie extrafamiliari su quelle intrafamiliari (tab.2). Secondo la Dott.ssa (122):
Questo dato può essere casuale, ma può anche essere letto come una difficoltà, negata e sommersa, a far emergere l'abuso come evento intrafamiliare. Per il bambino abusato in famiglia, infatti, è oggettivamente difficile trovare il coraggio e la forza di denunciare, soprattutto poi se le figure parentali non abusanti assumono un comportamento connivente.
È dunque possibile che il dato numerico dell'abuso intrafamiliare sia condizionato, per difetto, da un forte atteggiamento omertoso e di negazione dell'ambiente familiare.

Molestie intra-familiari Molestie extra-familiari Abusi intra-familiari Abusi extra-familiari Totale
Minori molestati
Totale
Minori abusati
10 pari al 20,83% 16 pari al 33,33% 9 pari al 18,75% 13 pari al 27,08% 26 pari al 54,16% 22 pari al 45,83%
Totale campione: 48 minori

Tab.2: Gli abusi sessuali nella popolazione minorile della Regione Basilicata, 1998-2000

Altri dati, risultanti dalla ricerca (123) svolta dalla psicologa Basentini, sono quelli indicanti:
- una netta prevalenza di minori abusati di sesso femminile (70,8%) rispetto a quelli di sesso maschile (29,16%);
- ed una percentuale più alta di minori abusati nella fascia d'età 7-10 anni (56,25%).
Quest'ultimo dato dimostra:
- che l'adulto abusante orienta i suoi interessi sessuali perversi prevalentemente verso il bambino in età prepuberale;
- e che il bambino abusato di età inferiore ai sette anni ha meno possibilità di far emergere le sue esperienze di abuso, perché più fragile, meno maturo e quindi più condizionabile nel comportamento e nel mantenimento del segreto.
Purtroppo, dunque, la regione Basilicata soffre ancora di un notevole grado d'inadeguatezza in ordine all'apprezzamento e al trattamento del fenomeno, sia a livello sociale che istituzionale. Basti pensare che nella regione non sono ancora presenti associazioni che si occupino in modo specifico di queste problematiche, ma vi sono soltanto centri (ad esempio a Potenza vi è l'Associazione "Stella del mattino") che svolgono attività di assistenza ai minori, includendo tutti gli aspetti di bisogno che un bambino può avere: viene quindi apportata una risposta generica e non specializzata al problema e questo dimostra che non vi è un team di figure professionali competenti in materia. Un avvocato di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Enzo Bonafine (124), sostiene che:
Il problema è dato dal fatto che, non verificandosi comunque un numero assoluto alto di casi di questi tipo, non è possibile neanche avere professionisti specializzati in materia. Probabilmente la situazione cambierà con il tempo, quando anche i servizi sociali ed istituzionali del luogo potranno aver registrato un numero maggiore di interventi a sostegno di casi di questo tipo, in modo da poter ottenere maggior esperienza al riguardo.

3.2 Una realtà diversa da quella milanese
Le "grandi differenze" esistenti in questa realtà territoriale rispetto all'esperienza milanese, riguardo agli abusi sessuali a danno di minori, sono fondamentalmente in tre ambiti (125):
1. nello svolgimento dell'audizione del minore nel procedimento penale;
2. nel colloquio che il minore ha con lo psicologo;
3. e nell'origine di tale fenomeno
1) Nei Tribunali dei Circondariati di Provincia (come ad esempio nel Tribunale di Lagonegro, in provincia di Potenza) vengono svolte le fasi del procedimento penale precedenti e successive a quella in cui si ha l'interrogatorio del minore per mezzo dell'audizione protetta: quest'ultima viene svolta nel Tribunale per i Minorenni del capoluogo di regione (Potenza), in quanto esso è fornito di attrezzature adatte per tale audizione (anche se non è presente lo specchio unidirezionale ma soltanto un impianto di audio-videocamera). Le difficoltà che ne derivano vengono indicate dall'avvocato Amelia Gentile (126):
Questo comporta, naturalmente, un notevole aumento di tempi prima che il processo sia concluso ed anche un problema in più per il minore, il quale va adeguatamente informato per il cambiamento di città in cui si svolgerà il suo "colloquio" con il giudice.
Nelle altre fasi del procedimento, che si svolgono nei Tribunale del circondariato di provincia, è garantito comunque:
- che il procedimento sia svolto a porte chiuse;
- ed il fatto che il minore non veda il suo presunto abusatore durante il procedimento (escluso che per il primo processo di abuso sessuale ai danni di una minore, svoltosi nel 1997 nel Tribunale di Lagonegro, in cui non fu rispettata questa misura di tutela) (127).
Nella stanza delle udienze nel Tribunale per i Minorenni di Potenza si trovano: i giudici, il presunto abusatore e i due difensori (di difesa dell'imputato e del minore).
Il minore, affiancato da uno psicologo (o da un assistente sociale), che è fornito di cuffia-audio collegata con la stanza delle udienze, si trova in una diversa stanza in cui è predisposto un impianto di video-camera ed uno di registrazione. La videocamera trasmette le immagini nella stanza delle udienze e la cassetta della registrazione-audio (con la sbobinatura) verrà consegnata al Presidente del Tribunale che svolge la funzione di "filtro". In certe occasioni, se esso lo ritiene necessario, tale funzione è svolta da uno psicologo infantile. In tutti gli altri casi lo psicologo svolge quasi esclusivamente un'attività che consiste nel tranquillizzare il minore, ma le domande vengono poste a quest'ultimo dal giudice (128).
Il fatto che la funzione di porre le domande dei legali al minore sia svolta solo occasionalmente da una figura professionalmente più adeguata del giudice nel rivolgersi ai bambini (procedura normalmente adottata nei processi milanesi) denota come nella regione Basilicata vi sia maggiore difficoltà e minor competenza nello svolgimento di procedimenti penali per abuso sessuale a danno di minori. L'avvicinarsi o meno alla realtà milanese, infatti, dipende molto dalla sensibilità ed esperienza a questo tipo di procedimenti penali da parte del giudice che presiede il processo (129).
Inoltre, alcuni operatori legali di questo territorio non giudicano neanche positivamente la procedura adottata nei procedimenti milanesi e ne criticano il suo valore positivo; questo è ad esempio il giudizio espresso da un avvocato di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Enzo Bonafine (130), che sostiene:
Questo metodo è, secondo me, proceduralmente illegittimo in quanto il giudice deve rinunciare ad avere un contatto diretto con il minore e deve affidarne la gestione allo psicologo. Ma l'esperienza di alcuni casi ha dimostrato come sia facilissimo per quest'ultimo convincersi fin dall'inizio, anche in buona fede, di una certa tesi (presa come presupposto) e portarla avanti, attraverso l'interrogatorio del minore, filtrando le domande secondo il proprio punto di vista e rinunciando così, anche involontariamente, a cercare la verità. C'è quindi il rischio di suggestione del bambino da parte di questa figura professionale.
C'è però chi (131) ritiene che, anche se questo è sicuramente un rischio esistente, un interrogatorio svolto su bambini molto piccoli da un giudice, che non ha una competenza adeguata, ha un alta probabilità di causare danni nella loro sfera psicologica ed emotiva (132). E questo deve essere evitato assolutamente. Ma va ricordato che l'altro rischio gravissimo è quello che la valutazione da parte di uno psicologo, non abituato a svolgere processi penali, possa portare alla condanna di una persona innocente sulla base dell'interpretazione delle parole e dei silenzi di un bambino.
La possibilità che lo psicologo possa farsi coinvolgere emotivamente dalle parole di un minore può comunque, secondo alcuni (133), essere diminuita con una maggiore competenza ed esperienza in queste problematiche da parte di tale figura professionale (che purtroppo, però, in questa regione è carente) ed anche con il suo collegamento, come figura di riferimento, con tutti gli altri operatori che intervengono nel caso (134). È necessario, infatti, che si realizzi un "lavoro di gruppo" (135), dove vi sia collaborazione fra tutte le varie professionalità, che comporti una necessaria complementarità di ruoli, cosicché la figura dello psicologo non abbia in sé tutta la responsabilità del caso. Ed inoltre va ricordato che all'audizione del minore può partecipare anche il consulente di parte, che è nominato dalla difesa in funzione dell'effettiva realizzazione del principio della formazione delle prove in contraddittorio, il quale, anche se limitato nelle sue attività operative, può essere "espressione dell'altro punto di vista" della situazione e, quindi, risultare un utile elemento che aiuta lo psicologo che svolge l'audizione a non farsi coinvolgere troppo dai racconti del minore (136).
Ma nella pratica, in Basilicata, tutto questo non è presente (salvo la partecipazione all'audizione del consulente di parte nelle situazioni più complesse) e, probabilmente, le varie figure istituzionali non sono ancora pronte a svolgere un intervento "di squadra".
2) L'ascolto del minore da parte dello psicologo infantile consiste (137):
- nel farsi carico e nel condividere la sua sofferenza in un clima emotivo intenso;
- e nell'individuare il linguaggio "privilegiato" dal minore per riuscire a porsi sul suo livello e potergli così garantire una forte "vicinanza emotiva".
La psicologa Assunta Basentini (138) descrive tale attività come un'operazione piuttosto complessa:
Essa consiste nel ritrovare un po' la memoria dell'infanzia e della sofferenza vissuta dal minore abusato. È un'operazione di "cuore e di mente", che mette in gioco emozioni, sentimenti e strategie di comunicazione. Lo spazio d'ascolto del bambino può essere paragonato ad una scacchiera, i cui riquadri attendono di essere "occupati" con la parola, ma anche con il silenzio.
La Dott.ssa Basentini sostiene l'importanza del racconto spontaneo da parte del minore sull'accaduto, sulla sua infanzia, sui legami extra ed intrafamiliari; ma ritiene che importanti siano anche l'utilizzazione di linguaggi e supporti alternativi, quali il disegno, il mimo, le storie e l'uso di bambole anatomiche (139). Il problema è che, se nel capoluogo di regione (Potenza) queste attrezzature sono presenti, e quindi utilizzate, i centri urbani minori della provincia ne sono invece sprovvisti e, quindi, gli unici elementi a loro disposizione sono i test proiettivi e il dialogo (140). Questo preclude la possibilità sia di instaurare un "legame più forte ed amichevole" con il minore, sia di poter ottenere un numero maggiore di elementi di valutazione della sua testimonianza (141).
Di solito, di fronte alla segnalazione di un caso di abuso sessuale su un minore, la prima audizione del bambino avviene da parte dello psicologo del suo territorio di appartenenza. È così che, se questo è uno dei centri urbani della provincia, la raccolta della prima testimonianza del minore (che è una delle fasi più importanti dell'intervento) avviene con l'utilizzo soltanto di alcuni dei supporti utili per ottenere un adeguato numero di elementi su cui poter fare la valutazione del caso. E ciò può così portare ad un errore di valutazione a danno o del minore o del presunto abusante (142).
3) A differenza della realtà settentrionale, dove i casi di violenza e abuso sessuale sono per la maggior parte legati alla perversione, al vizio o alla malattia mentale, nella regione Basilicata essi derivano sempre da una situazione di bisogno morale e materiale, in cui molte famiglie si trovano a vivere.
Tale situazione di difficoltà economica e degrado ambientale potrebbe (e dovrebbe) essere sostenuta dai servizi sociali, tanto da poter riuscire talvolta a prevenire anche molti di questi casi di violenza, che sono spesso la conseguenza a cui porta la realtà sociale in cui si trovano molti abitanti.
Quindi il caso oggettivo del reato compiuto è lo stesso in entrambe queste realtà, ma l'origine di esso è diversa (143).

3.3 Quale prevenzione?
Di fronte alla situazione che si presenta in Basilicata, in ambito di violenza e abuso sessuale a danno di minori, risulta essere necessario ed urgente definire strategie terapeutiche adeguate ed un sistema di difese sociali, entrambe inesistenti nel territorio, che sviluppino la prevenzione dell'abuso. Quest'ultima dovrebbe operare in vari ambiti:
1. realizzare un'educazione sessuale corretta e responsabile;
2. definire programmi di politiche sociali;
3. creare un contesto di "rete" di figure professionali;
4. e sviluppare le capacità di ascolto e di dialogo con i minori.
1) Gli ambienti privilegiati per poter realizzare una giusta informazione sessuale nelle fasce della popolazione infantile e giovanile a rischio di disagio sono, sicuramente, la famiglia e la scuola (144). La realtà del territorio dimostra, però, come nessuna di esse adempia a questo compito in modo soddisfacente.
La ricerca (145) che ho svolto nella provincia di Potenza ha dimostrato, infatti, che è solo da questi ultimi anni che viene realizzata una campagna informativa sull'educazione sessuale in alcune scuole, in cui vi è la richiesta da parte del Capo d'Istituto, ma solo in alcune classi di esse, prese come campione (ciò, di solito, avviene solo dove vi è la presenza di ragazzi con situazioni disagiate dal punto di vista economico o sociale).
Questo tipo di iniziativa ha come unico obiettivo quello di far conoscere ai ragazzi (delle scuole superiori) l'esistenza di un punto di riferimento a cui rivolgersi in presenza di qualche problema: il consultorio familiare per giovani fino a 20 anni, presente nei centri urbani di modeste dimensioni della provincia di Potenza (146).
Ma tutto ciò non basta: l'educazione sessuale nella scuola deve essere in grado, attraverso gli esperti del settore, di fornire non solo un'adeguata conoscenza scientifica, ma anche una presa di coscienza morale ed emotiva della sessualità in genere, che deve essere sempre rispettosa dell'altro (147).
2) Un altro aspetto da realizzare dovrebbe essere quello di definire programmi di politiche sociali o piani regionali socio assistenziali per sostenere società più povere di altre, come questa.
Interessante è stata l'iniziativa del Presidente del Tribunale di Lagonegro (in provincia di Potenza), che ha definito nell'anno 2000, un protocollo direttivo (148) in base al quale gli assistenti sociali e i capi d'istituto delle scuole del territorio di sua competenza sono sollecitati a svolgere un'attività di controllo e d'ispezione sulle situazioni familiari dei propri concittadini e a segnalare eventuali situazioni di bisogno morale e materiale. Ma in esecuzione di tale direttiva, finora, è stata soltanto inviata a tutti i comuni del Lagonegrese una richiesta di segnalazione di eventuali situazioni di abuso sessuale nel proprio territorio. Infatti il giudice tutelare del Tribunale di Lagonegro, Antonio Di Sabato (149) afferma:
Ancora non è stato registrato un alto numero di segnalazioni ma, avendo comunque definito una direttiva su tutto il territorio, speriamo che l'esecuzione prossima di essa, possa comportare col tempo un'attenzione da parte degli operatori sempre maggiore, cosicché si possa riuscire ad intervenire prima che certi fatti, drammatici come questi, possano accadere.
3) È necessario, inoltre, fornire il territorio della Regione di figure professionali, competenti in materia e volenterose di porsi di fronte ad un fenomeno così drammatico e complesso, che agiscano in un contesto di "rete" (150).
Bisognerebbe, infatti, riuscire ad istituire una rete di vigilanza della realtà territoriale attraverso gli operatori del settore, in modo da poter conoscere le problematiche sociali ed ambientali su cui dover intervenire prontamente. Devono essere coordinati ed ottimizzati i servizi e gli operatori presenti nella regione, in quanto in molte realtà locali non esistono o sono carenti dal punto di vista della quantità del personale e della professionalità. Gli operatori sociali devono trascorrere soltanto una minima parte del loro tempo lavorativo a determinare progetti con contenuti teorici: essi devono conoscere le carenze ed assenze dell'ambiente in cui operano, partendo dall'osservazione della vita di quartiere, perché dove non c'è conoscenza non c'è possibilità di intervento (151).
È inoltre necessario avere la consapevolezza che, di fronte ad un fenomeno come l'abuso sessuale a danno di minori, vi è l'esigenza di una risposta collettiva (152) da parte delle varie figure istituzionali che intervengono, essendo inutile (se non addirittura dannoso per il minore) qualunque isolato tentativo di attività personalistica.
Questo non implica, però, il fatto che deve comunque rimanere il rispetto di professionalità e competenze altrui. Tale aspetto è peraltro quello che deve essere "perfezionato" anche in quella realtà che viene presa da esempio riguardo a questa problematica: Milano (153).
4) Aiutare i genitori e gli educatori a sviluppare le capacità di ascolto e di dialogo con i minori e di condivisione dei loro problemi, cercando di essere vicini alle loro difficoltà (154), è "l'aspetto-base" di tutti questi propositi.
Bisogna far capire "ai grandi" che per aiutare i figli è necessario, talvolta, abbandonare i propri schemi mentali e l'autorità tipica di "genitori" per poter così ricordare le emozioni e le paure già provate da giovani e poter così capire le loro difficoltà. Essere attenti alla crescita di un figlio vuol dire, non solo fornirgli il necessario per vivere, ma anche accorgersi dei suoi cambiamenti o turbamenti, fornirgli una corretta educazione morale e culturale su tutti gli argomenti (non devono esistere questioni "di cui non si può parlare") e soprattutto è necessario che il genitore diventi per il figlio un punto di riferimento, a cui esso possa rivolgersi con fiducia (155).


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