PM - HOME PAGE ITALIANA TESI

PM-TP
PSYCHOMEDIA
Tesi

Tesi di Laurea di Laila Fantoni

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico

Capitolo III - Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato

5. La terapia dell'abusante



Nei confronti dell'abusante a danno di minori l'intervento punitivo sembra essere quello più utilizzato. Ma si è diffusa una teoria che ritiene che, per poter aiutare le famiglie incestuose, è necessario un intervento terapeutico anche nei confronti dell'abusante. Sembra, infatti, che per tutelare l'infanzia dalla reiterazione del crimine non basti utilizzare la pena detentiva come deterrente, ma sia necessario trovare il modo per far riemergere ed elaborare, negli autori della violenza, i traumi infantili subìti (visto che la maggior parte degli abusanti sembra essere stato vittima nell'infanzia di violenze sessuali) o comunque per far recuperare loro una correttezza di comportamento (31).
L'obiezione maggiore a questa proposta è stata quella che non si può "curare" chi si rifiuta di collaborare. Alcune esperienze di psicoterapie di abusanti non volontarie hanno però dimostrato che è possibile ottenere dei risultati anche senza un'iniziale piena motivazione del paziente. Infatti la coazione può svolgere una funzione insostituibile nell'avviamento della terapia; lo sviluppo di quest'ultima, invece, è affidato alla capacità e alla possibilità dei terapeuti di stimolare, nei soggetti coinvolti, una motivazione autonoma al cambiamento, affrontando e superando le relative resistenze.
Anche in Italia dagli anni Novanta si è cominciato ad operare in questa direzione presso il Centro del bambino maltrattato di Milano, dove sono stati ottenuti ottimi risultati anche attraverso l'accettazione di un esplicito collegamento fra contesto giudiziario e terapeutico (32). Secondo questa corrente di pensiero, se venisse privilegiata, nei confronti degli abusanti, la strada della terapia piuttosto che quella della repressione i costi economici sarebbero certamente molto elevati, essendo necessari terapeuti altamente specializzati, ma sarebbero sempre inferiori ai costi che la società deve pagare per le spese detentive di questi soggetti ed inoltre sarebbero inferiori le loro probabili recidive (33).
Non tutti però sono convinti che sia possibile recuperare i legami familiari tra il minore e l'abusante quando l'abuso sessuale si è verificato, perché in questi casi il rapporto tra i due soggetti è stato completamente compromesso. Ad esempio l'Associazione Artemisia di Firenze, per scelta, ha deciso di non occuparsi dell'intervento terapeutico degli abusanti e svolge terapie di minori sessualmente abusati non finalizzate al recupero di tale rapporto familiare (34).
Fondamentale è la capacità dell'abusante di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma l'ammissione dei fatti non basta. Infatti non sono affatto infrequenti situazioni in cui, magari parzialmente e con una certa minimizzazione, si arriva a questo risultato. Tuttavia esso non è sufficiente per dare una decisiva svolta alle distorsioni da cui è stata segnata la relazione con la vittima e il complesso dei rapporti familiari.
In fasi successive dovranno essere affrontate, oltre alla negazione dei fatti (35):
- la negazione di colpevolezza: cioè l'essere stati animati da precise scelte strategiche nel preparare e compiere l'abuso, ben sapendo che proprio di questo si trattava;
- la negazione di responsabilità: cioè di intenzionalità libera per quanto possibile da condizionamenti esterni, ai quali non può essere attribuita che un'importanza marginale rispetto all'assunzione del comportamento abusante;
- la negazione dell'impatto: cioè del fatto che quanto avvenuto ha comportato conseguenze altamente traumatiche per il minore che vi è stato coinvolto.
Dunque, non devono più rimanere all'abusante "scappatoie" come l'attribuzione di pensieri incestuosi all'alcool, o alle più varie cause di infelicità e rabbia, o alle presunte inadempienze della consorte; né deve continuare l'illusione che il figlio, essendo piccolo, non abbia capito il significato di quegli "speciali giochi" e che quindi possa facilmente dimenticarli senza conseguenze. Egli deve prendere coscienza che i danni inflitti al minore sono attribuibili soltanto ai propri tratti patologici che invece, spesso, tende a considerare intrinseci al modo di essere della vittima in quanto conseguenza dei comportamenti di questa: in tal modo cerca di trovare un'attenuante al proprio comportamento (36).
Dopo un'approfondita elaborazione di questi temi, nel caso di abuso intrafamilaire, si potranno valutare - ed eventualmente rinforzare - le possibilità residue del genitore di riassumere il suo ruolo affettivo. Per raggiungere questo risultato conteranno non soltanto le buone intenzioni, ma anche le prove date nel passato rispetto a tali funzioni: infatti, soggetti che avevano espresso in precedenza anche buone attitudini di accudimento e di reale vicinanza affettiva con al vittima e gli altri figli potrebbero riprendere un ruolo parentale significativo.
Riguardo all'intervento terapeutico dell'abusante è importante il parere espresso da un endocrinologo, il professore Aldo Isidori (37), direttore della cattedra di andrologia all'Università "La Sapienza" di Roma, sulle terapie ormonali (in realtà "anti-ormonali" come egli afferma) e sui loro margini di applicazione in caso di comportamenti sessuali violenti sui minori:
Il problema della pedofilia è innanzi tutto più un problema di natura psicologico-sociale che strettamente medico. Basti pensare che nell'antichità i rapporti tra adulti e minori erano ammessi, codificati all'interno di una cornice culturale definita, sicuramente differente rispetto a quella attuale.
È in quest'ambito che sorge la definizione di "pedofilia": deviazione rispetto all'istinto sessuale riproduttivo su cui si innesta poi la sessualità adulta nelle sue componenti psicologiche, simboliche e culturali. Il professore Isidori afferma:
È questo il motivo per cui l'unica forma di terapia in senso strettamente medico (ossia di ripristino di condizioni di salute "normale", in questo caso la corretta esplicazione dell'istintualità sessuale) è quella psicologica. Le cosiddette "terapie ormonali", o meglio anti-ormoni in quanto inibiscono ormoni specifici, non sono in tal senso terapie ma soltanto rimedi temporanei e reversibili: una volta tolta la copertura farmacologica il problema si ripresenta praticamente inalterato, poiché si agisce a livello sintomatologico e non sulle cause. Comunque, la possibilità di ricorrere alla terapia chimica (o per meglio dire al trattamento farmacologico) può risultare utile, sempreché sia associata ad una terapia psicologica, nei casi di comportamento violento lesivo della dignità psichica e fisica del bambino.
Bisogna ricordare che, riguardo alla possibilità di utilizzare il trattamento farmacologico nei confronti degli abusatori, si pone un problema etico: la dichiarazione di Helsinki del 1964 afferma chiaramente che non si può somministrare niente a nessuna persona se non si ha il suo consenso. La Convenzione di Oviedo (nelle Asturie) del 1997, inoltre, sostiene che è necessario il consenso informato da parte dei soggetti coinvolti in interventi medici, che possono ritirarlo in qualsiasi momento. L'art. 5, infatti, vincola qualsiasi intervento ad una preliminare libera dichiarazione di consenso da parte delle persone coinvolte, le quali devono essere informate sullo scopo, la natura, le conseguenze ed i rischi dell'intervento stesso.
Se in altri paesi (come ad esempio Germania e Stati Uniti) è prevista per legge la possibilità della castrazione chimica (38) - o comunque della somministrazione di una terapia in modo coercitivo - nei confronti dei criminali sessuali (come gli stupratori abituali) a prescindere dal loro consenso, in Italia tale tipo di castrazione è incostituzionale: l'art. 27 della Costituzione italiana, infatti, affermando al terzo comma che le « pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», vieta qualunque trattamento che violi l'integrità fisica (inclusi perciò trattamenti cruenti, come la lobotomia e la sterilizzazione, e non cruenti, come l'uso di psicofarmaci e l'ipnotismo) (39), in quanto considerati inammissibili perché ledono la dignità umana e non tendono, invece, come dovrebbe essere allo scopo rieducativo della pena (40).
Il modello coercitivo, nell'ordinamento italiano, non è di per sé previsto se non in specifiche ipotesi tipiche:
- quando il soggetto ha crisi acute della patologia di cui è affetto ed è provata la sua incapacità di intendere e di volere (anche parziale) può essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: ma questa non pare essere un'ipotesi concreta in cui si può trovare un abusante (41);
- al fine di individuare, con le forme della perizia, patologie sessualmente trasmissibili (ad esempio l'HIV) l'abusante è sottoposto ad accertamenti coattivi, qualora le modalità del fatto commesso possano prospettare un rischio di trasmissione di tali patologie nei confronti del minore vittima dell'abuso sessuale (art. 16 L. 66/1996);
- il giudice può condizionare l'emanazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione, da parte dell'abusante, a trattamenti psicoterapeutici, ai quali però egli dovrà comunque partecipare volontariamente: dunque, se vuole ottenere la sospensione condizionale dovrà accettare il trattamento (42).


PM - HOME PAGE ITALIANA TESI