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Tesi di Laurea di Laila Fantoni

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico

Capitolo II - Dalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del minore

10. Il problema del ricordo e le tecniche d'intervista



Riguardo alla testimonianza nei casi di presunto abuso sessuale occorre distinguere tra la testimonianza dell'eventuale vittima e le testimonianze esterne, cioè quelle di individui che hanno personalmente assistito all'intero episodio di abuso o a parte di esso. Queste ultime, se risultano chiare ed attendibili, portano all'incriminazione dell'accusato (135).
Purtroppo molto spesso, nei casi di minori sessualmente abusati, le testimonianze esterne non sono disponibili e, per la natura stessa di tali reati, i fatti accadono in privato, senza la presenza di testimoni esterni, cosicchè l'unico testimone del fatto è il bambino che ha presumibilmente subito l'abuso. Poiché non c'è prova obiettiva (136), si ragiona in modo indiziario: si considerano quelli che sono i cosiddetti indicatori probabili di un evento (l'abuso) come segni di esso, si valutano cioè i fattori che intervengono in un evento confrontandoli con gli altri eventi che conosciamo. Ragionare indiziariamente è difficile, perché i nostri processi di pensiero ci portano a confondere una correlazione, in genere temporale, tra due eventi con un nesso di causalità. Pertanto attribuiamo un effetto a quella condizione, che è presente quando l'effetto è presente ed assente quando l'effetto è assente. Tale principio di covariazione non è però un indicatore sufficiente per affermare l'esistenza di una relazione causale: se applicato indiscriminatamente porta ad un errore logico comune, il post hoc ergo propter hoc. Questa è la ragione per cui è necessario trovare un terzo elemento che colleghi l'evento alla presunta causa e che ne spieghi il nesso, e questo viene ricercato nella testimonianza del minore-vittima, la quale però potrà apportare elementi utili solo se svolta adeguatamente al caso e all'età del bambino (137).
Il problema dell'attendibilità della testimonianza infantile ha dato luogo a lunghi dibattiti che hanno portato alla formazione di due contrapposte scuole di pensiero: chi credeva che i bambini non erano in grado di fornire resoconti accurati di eventi (e si univano ad essi anche coloro che ritenevano che l'abuso infantile non poteva essere vero per una serie di ragioni, tra le quali quella per cui i genitori non possono fare cose simili ai figli) e chi invece sosteneva che il ricordo in bambini anche molto piccoli (4-5 anni) fosse sostanzialmente accurato (ai quali si univano coloro che credevano ad ogni racconto di abuso fatto da un minore, giustificandosi che i bambini mai inventerebbero episodi di tale tipo, ragione per cui se un bambino riporta un episodio di abuso deve trattarsi necessariamente di una situazione vera) (138).
Secondo la Dott.ssa Giuliana Mazzoni, professore associato di psicologia all'Università della Calabria ed esperta in ricerche sulla memoria umana, l'atteggiamento corretto è quello dello scettico, che non accoglie per principio l'una o l'altra posizione, ma che invece si pone in posizione di "ascolto neutrale" per cercare di capire che cosa sia accaduto nella realtà (139). Infatti in alcuni casi le denunce corrispondono a fatti realmente accaduti, in altri casi le denunce sono causate da motivi diversi e sono fittizie.
Nei reati di abuso sessuale sui minori, purtroppo, non esistono indicatori definitivi di avvenuto abuso; anche se oggi è forte la tendenza a presentare prontuari di sintomi che indicano l'avvenuto abuso, la ricerca su questo aspetto ha definitivamente dimostrato che ciò è scorretto.
Il problema, dunque, è quello di capire come poter valutare il racconto di un minore, nell'esame testimoniale, sull'abuso sessuale subito.

10.1 La relazione esistente tra memoria e testimonianza
La memoria è spesso, nei casi giudiziari, l'unica fonte di informazione su quanto presumibilmente è accaduto. Purtroppo, nei casi di abusi sessuali sui minori, il bambino si trova quasi sempre nella duplice posizione di vittima e di unico testimone del fatto, e dunque sarà la sua memoria a dover fornire gli elementi necessari per arrivare all'accertamento della verità.
Perché un evento possa essere ricordato da un soggetto è necessario che egli l'abbia precedentemente acquisito (140).
La psicologia cognitiva studia i processi che guidano l'acquisizione della conoscenza da parte dei soggetti. Tali processi possono essere ricondotti ad un'attività di elaborazione (141) delle informazioni che si articola in tre fasi distinte:
a. l'acquisizione, durante la quale il soggetto percepisce le informazioni provenienti dall'esterno;
b. la ritenzione, durante la quale egli conserva in memoria le informazioni acquisite;
c. il recupero, durante il quale egli ricorda l'informazione nel senso che la recupera dalla memoria dove era conservata.
Durante queste attività il soggetto non si limita a registrare passivamente le informazioni che provengono dal mondo esterno, ma le elabora, con una serie di attività di riduzione, trasformazione ed integrazione che gli consentono di partecipare attivamente alla costruzione della propria conoscenza.
Nel suo complesso l'attività di elaborazione delle informazioni è resa possibile dalla presenza di tre elementi fondamentali (142):
a. la memoria (o registro sensoriale), dove gli stimoli fisici in arrivo dal mondo esterno vengono inizialmente tradotti in informazione nervosa sensoriale (visiva, uditiva, tattile), per poi essere confrontati con le esperienze precedenti e poter essere riconosciuti percettivamente;
b. la memoria a breve termine (MBT), che ci permette di ritenere alcune informazioni in modo fedele allo stimolo, ma solo per alcuni secondi (da un minimo di 3-4 secondi ad un massimo di 20): ciò avviene, ad esempio, quando ricordiamo un numero telefonico solo per il tempo necessario per comporlo;
c. la memoria a lungo termine (MLT), che è invece caratterizzata da un'estensione praticamente infinita e per questo detta anche memoria permanente: comporta un immagazzinamento di elementi più elaborato rispetto a quello della MBT e una considerazione dello stimolo nel suo insieme di qualità sensoriali e non.
Mentre i primi modelli della memoria erano considerati tre elementi in modo essenzialmente statico, come "magazzini" delle informazioni con capacità più o meno limitate, nei modelli successivi è prevalsa la tendenza a considerarli come corrispondenti a processi diversi di elaborazione delle informazioni (143).
Il funzionamento della memoria può essere immaginato secondo due diverse modalità: ritenendola come una sorta di fotografia o di filmato di quanto accaduto (e cioè il prodotto di un meccanismo di tipo riproduttivo) o come il prodotto di un meccanismo di tipo ricostruttivo (144).
Nel primo caso, quindi, la memoria di un evento sarebbe una rappresentazione (o riproduzione) accurata dell'evento. La conseguenza di ciò è che il recupero della memoria (cioè il ricordare) non sarebbe altro che un accesso diretto alla riproduzione (quasi fotografica) dell'evento conservato nella mente. Nel recuperare tale riproduzione dovremmo arrivare a disporre di una copia accurata di quanto è accaduto.
Oggi, invece, la maggior parte degli studiosi segue la seconda tesi. Con il termine "ricostruzione" si evidenzia il fatto che il processo di recupero non viene realizzato tramite il ripescaggio di un contenuto già pronto nella nostra mente, quanto piuttosto tramite la ricostruzione di un possibile evento a partire da tutta una serie di informazione e di dati che sono rappresentati in memoria e a cui abbiamo accesso.
Questi dati ed informazioni, tuttavia, non sono necessariamente ben collegati tra loro e non rappresentano la totalità dell'evento che deve essere ricordato. Si tratta di dati sparsi, che provengono da più fonti, e che possono appartenere a momenti diversi nel corso dell'esperienza dell'individuo (145). Nel ricostruire il ricordo vengono messi insieme tali dati e coordinati in una forma più o meno coerente, in modo da avere nell'insieme il ricordo di un evento. Il ricordo di un evento è quindi una (o forse la migliore) delle possibili ricostruzioni che il soggetto fa sulla base dei dati a sua disposizione.
Se il ricordo è una ricostruzione fatta sulla base dei dati a disposizione, una prima implicazione che ne deriva è che il ricordo non è mai la riproduzione fedele, completa e completamente accurata di un evento (146). E, anche nel caso di massima possibile accuratezza, non è mai la copia esatta dell'evento. Ciò va ricordato nel momento in cui si esamina un resoconto testimoniale, perché spesso accade di considerare tale resoconto come la descrizione esatta di quello che è accaduto, ma questo non corrisponde mai a verità.
Una seconda implicazione (147) è che nel fare uso delle informazioni disponibili, quando ricostruiamo un evento nella nostra memoria, possiamo anche usare informazioni molto recenti e che non appartengono all'evento originario. Dunque, le conoscenze più recenti possono influire e modificare la ricostruzione che facciamo di un episodio ai fini del ricordo.
Tutto ciò dimostra come il ricordare sia non solo il semplice "ripescaggio" dalla memoria di eventi rappresentati in essa, ma sia soprattutto il risultato di tutta una serie di processi di ragionamento e di decisione: il ricordo può quindi essere modificato dalla presenza di informazioni ricevute in tempi successivi (148).
Ogni individuo immette nella propria memoria ciò che è stato oggetto della sua attenzione. Molti studi hanno infatti dimostrato che ciò che non ricade sotto la nostra attenzione non viene elaborato, o viene elaborato solo in modo molto limitato, cosicchè non può venir rappresentato nella nostra memoria. Dunque, la focalizzazione dell'attenzione è un fattore che influisce sul contenuto e l'accuratezza del ricordo. Ma anche il grado di attenzione rivolto all'evento è una variabile importante per determinare che cosa viene codificato in memoria (149).
Di solito accade che una persona si trova ad essere testimone di un evento senza essere preparata ad osservare con attenzione i vari elementi della scena: in questi casi viene utilizzata una memoria cosiddetta di "tipo incidentale", che presuppone un livello di codifica abbastanza superficiale delle informazioni presenti nella scena. Ciò comporta che il ricordo sarà poi meno preciso di quanto accadrebbe se l'individuo mettesse in atto una codifica di tipo intenzionale, essendo cioè pronto ad assistere alla scena per cercare di elaborare al meglio i vari elementi dell'evento a cui assiste (150).
Inoltre, è stato dimostrato da tempo che la memoria umana è facilmente modificabile. I fattori che possono alterare la memoria intervengono non solo nella fase di acquisizione delle informazioni, ma anche nella fase di ritenzione delle informazioni stesse. In quest'ultimo caso si parla di "informazioni postevento". Esse possono essere di vario tipo: percezioni e giudizi di altre persone che erano presenti al momento del fatto, notizie che il soggetto può aver avuto da varie fonti in tempi successivi al fatto stesso oppure elementi che emergono dai primi colloqui con la polizia o gli avvocati (151).

10.2 Le fonti di errore nelle valutazioni di abuso sessuale sui minori
La valutazione di un sospetto abuso sessuale compiuto su un minore, e dunque la risposta istituzionale conseguente ad essa, è un'attività molto complessa (152) in quanto:
- la difficoltà della diagnosi di un abuso sessuale non è solo di ordine psicologico ma anche processuale: infatti i processi che si sviluppano dalle denunce presentate all'autorità giudiziaria sono quasi sempre di tipo indiziario;
- l'esito delle investigazioni di questo tipo di accuse dipende dalla possibilità di ottenere informazioni attendibili dalla vittima;
- i riscontri di natura fisica che potrebbero convalidare l'accusa sono infrequenti e, quando ci sono, confermano l'evento ma non il responsabile;
- tipicamente, questi reati hanno in genere solo due testimoni: la vittima e il perpetratore; dal momento che il responsabile solitamente nega l'abuso, la conoscenza di ciò che è veramente accaduto dipende dalle informazioni che è possibile ottenere dalla vittima durante le interviste;
- la competenza dell'esperto che raccoglie le prime informazioni dal bambino è un requisito indispensabile; infatti, il ricorso a procedure inadeguate nel corso delle interviste può portare sia ad un giudizio di falsità di accuse vere che di veridicità di accuse false.
L'importanza di ridurre i casi di falsi positivi e di falsi negativi ha stimolato gli studiosi ed i giuristi a predisporre strumenti d'intervista idonei (153). Purtroppo, però, l'unanimità di giudizio che riguarda le metodologie più opportune per l'esame del minore (peraltro non seguite in ogni realtà territoriale italiana) non è di per sé sufficiente a garantire un buon risultato, che dipende, in gran parte, dal livello di professionalità dell'intervistatore.
La mancanza di specifica preparazione nella tecnica dell'intervista del minore, infatti, provoca gravissimi errori a livello giudiziario che si materializzano non solo in un giudizio di veridicità di accuse false e di falsità di accuse vere, ma anche nell'assunzione di decisioni inappropriate da parte di assistenti sociali e di psicoterapeuti. In tutti questi casi, l'adeguatezza o meno delle decisioni è strettamente collegata all'accuratezza o meno delle informazioni ottenute nella fase dell'intervista del minore il quale, dal punto di vista testimoniale, è un soggetto "a rischio", per la sua immaturità psichica e per le specifiche carenze (anche cognitive) legate alla specificità della fase di sviluppo che attraversa, e per questo va intervistato in modo corretto (154).
Le fonti di errore più comuni nel lavoro degli specialisti sono di vario tipo.

Euristica della disponibilità
Gli specialisti possono sbagliare per deformazione professionale: quanto più si è specializzati su un determinato argomento, tanto più si tende a percepire gli eventi che lo riguardano in modo diverso dai non specializzati; non sempre però tale differenza è a favore della correttezza di analisi dell'evento stesso. Questo fenomeno consiste, dunque, nella tendenza della mente umana ad utilizzare le informazioni e le esperienze che sono più ricordate: vengono valutate le probabilità di un evento giudicando la facilità con cui ne vengono in mente esempi concreti (155).
Il significato dell'euristica consiste nel fatto che ciascuno di noi, in base alla propria cultura e condizione, percepisce ciò che è preparato a vedere: è una forma di percezione selettiva, che coinvolge ogni individuo e che, dunque, contamina anche le credenze degli psicologi in ambito professionale.
Tale meccanismo che ci porta ad interpretare i dati in funzione delle informazione che già possediamo è chiamato anche "codificazione dei dati viziata dalla teoria" (156): gli errori sono indotti dalle preconcezioni, consapevoli o inconsapevoli, che sono alla base dell'interpretazione degli eventi. Vengono così trascurati molti dati informativi, poiché le opinioni e le credenze precedenti selezionano la nuova informazione e l'accettano solo nella misura in cui si adegua ad esse. Questo accade con estrema facilità quando i dati sono un insieme ambiguo, che può essere legittimamente interpretato in diversi modi, come nel caso degli indizi di un abuso sessuale sospetto.

Confusione tra compito terapeutico e processuale
Lo psicologo è abituato a prendersi cura della salute del paziente, senza dover valutare la veridicità dei fatti da lui raccontati. Anzi, egli trasmette al paziente il messaggio di credere alle sue parole. Infatti sapere se gli eventi raccontati si sono realizzati veramente oppure no è indifferente ai fini della ricerca del benessere psicologico del paziente.
Diversa è la situazione nell'ambito della diagnosi fattuale necessaria ai giudici. In ambito processuale è infatti indispensabile trovare dei riscontri fattuali a quanto viene affermato. È dunque necessario che lo psicologo capisca che l'operazione diagnostica della perizia è utile al giudice per poter valutare il caso sulla base di elementi fattuali e ciò è diverso dall'attività terapeutica, che potrà svolgersi successivamente e che avrà come obiettivo il recupero del benessere psicologico del paziente (157).

Perseveranza nelle credenze e/o tendenza al verificazionismo
Anche gli specialisti incorrono nell'errore di non abbandonare facilmente la tesi che si sono costruiti intorno al caso, non considerando come importanti quei dati dell'esperienza con essa discordanti. Questo, naturalmente, può portare a false credenze e a cercare, ostinatamente, di dimostrare qualcosa che non esiste, con conseguenze dannose per lo stesso minore (158).
Sono, dunque, molti gli errori compiuti quando, partendo da un'ipotesi, anziché cercare di falsificarla, si tende a verificarla ("metodo verificazionista" (159)), cioè a cercare la prova che confermi l'ipotesi formulata: dai dati così cercati è ben difficile che emergano delle disconferme.

Sopravvalutazione del significato simbolico
Spesso gli specialisti tendono a dare un'interpretazione di tipo clinico alla realtà fenomenica, attraverso l'interpretazione simbolica di elementi reali. Così può accadere che si interpreti simbolicamente un fatto senza che vi siano elementi che giustifichino tale interpretazione e tutto ciò, in un contesto giudiziario, comporta conseguenze molto gravi. Dunque, come consiglia il Dott. Guglielmo Gulotta, avvocato di Milano, «prima di affermare che una cosa che il bambino esprime ne simboleggia un'altra, è necessario accertarsi se per caso quella cosa non stia semplicemente per la cosa stessa» (160).
Per poter diminuire la possibilità di incorrere in tali errori da parte degli specialisti, è necessario intervenire, da un lato, sulle modalità con cui si esaminano le persone coinvolte e con cui si utilizzano le informazioni così ottenute; dall'altro, sull'intera procedura giudiziaria con cui vengono trattate le denunce di abuso.
Per quanto riguarda i criteri con cui condurre interviste e colloqui, deve essere considerato come requisito essenziale di ogni valutazione l'obiettività (161). La principale necessità è quella di video o audioregistrare ogni intervista, in modo che la valutazione finale complessiva possa includere ogni tipo di esame precedentemente condotto con il bambino. Lo scopo della videoregistrazione è documentare minuziosamente il contesto, in cui le dichiarazioni vengono fatte, e le descrizioni in esso contenute.
In ogni investigazione su un abuso è, dunque, importante operare con obiettività, cioè il professionista deve cercare di condurre il colloquio e raccogliere i dati senza farsi influenzare da preconcetti personali. A questo scopo è opportuno che i comportamenti del bambino siano considerati alla luce di linee guida predeterminate (162). Esse fanno riferimento a:
1. standard empirici di normalità riguardanti i comportamenti di bambini simili per età, livello di sviluppo, sesso e gruppo culturale;
2. comportamento del bambino prima dell'incidente probatorio;
3. spiegazioni alternative dei comportamenti osservati: prima di giungere ad una conclusione devono essere esaminate tutte le spiegazioni alternative possibili.
Bisogna comunque ricordare che condurre un colloquio in modo impeccabile non garantisce, di per sé, di trarne informazioni attendibili (163).

10.3 La memoria dei bambini
Oggi, sia in Italia che all'estero, i bambini possono essere sentiti come testimoni in un procedimento giudiziario, ma l'attendibilità del resoconto testimoniale del minore è stato per anni oggetto di lunghi dibattiti. Mentre in passato si tendeva a negare che un bambino inferiore ad una certa età (4/5 anni) fosse in grado di fornire testimonianze attendibili, oggi numerosi studiosi hanno rivelato che il ricordo - anche in bambini di quell'età - può essere accurato, anche se magari è molto breve (164).
Infatti i bambini anche molto piccoli (4 anni) possono arrivare ad avere un ricordo accurato come quello di un adulto attraverso la tecnica del ricordo libero, cioè quando il ricordo proviene dall'individuo senza domande specifiche da parte di un intervistatore, per cui quest'ultimo si limita a fare una domanda molto generica del tipo: «Che cosa ricordi della situazione?». Un resoconto, ottenuto attraverso questa tecnica, contiene tutto quello che un individuo riesce a recuperare dalla memoria senza aiuti esterni (165). Gli elementi così ricordati dal bambino sono di solito corretti, cioè sono elementi che erano effettivamente presenti nell'episodio originale. Purtroppo, però, il ricordo di un bambino molto piccolo è quasi sempre povero di dettagli e nettamente inferiore al ricordo dell'adulto, per cui egli ricorderà pochissimi elementi presenti nell'episodio.
I bambini hanno particolare difficoltà nel ricordare informazioni "periferiche" (166) rispetto all'evento, mentre ricordano meglio gli aspetti più salienti. Questo effetto sembra essere collegato all'importanza del coinvolgimento della persona nel ricordo, una variabile che nel minore sembra essere ancor più rilevante che per l'adulto. Per "aspetti salienti" bisogna intendere necessariamente quegli aspetti che sono, da un punto di vista logico, centrali rispetto alla situazione. L'effetto, infatti, dipende dal modo di inquadrare la situazione da parte del bambino e dai fattori che modulano la direzione della sua attenzione. Ciò che il bambino codifica dipende strettamente dalla direzione della sua attenzione al momento della codifica (cioè nel momento in cui si è realizzato l'evento) o da ciò che ha catturato la sua attenzione. Quindi centralità e salienza di un evento sono concetti che vanno valutati sul bambino e non sull'adulto: un bambino, di un episodio che ha vissuto, ricorderà gli elementi per lui più salienti (167).
Dall'attività di ricerca svolta su questa materia emerge che la memoria di un evento è migliore se quest'ultimo è vissuto in prima persona dal bambino, piuttosto che ascoltato come racconto, e che il ricordo è stranamente migliore se il bambino è attivamente coinvolto nell'episodio piuttosto che semplice spettatore esterno (168). Ci si aspetterebbe, invece, che un bambino che ha subito un evento drammatico fosse più fortemente coinvolto dal punto di vista personale e avesse, di conseguenza, scarsa capacità di organizzazione, rappresentazione e verbalizzazione di ciò che ha vissuto. I risultati opposti sono invece indicativi del fatto che il coinvolgimento personale determina nei bambini una prestazione di ricordo migliore: infatti ciò che viene ricordato meglio è ciò che era centrale per l'interesse del bambino (169).
I bambini dunque, quando forniscono il resoconto attraverso il racconto libero, non aggiungono elementi di fantasia o invenzioni, a meno che non considerino la situazione in cui viene loro richiesto il resoconto una situazione di gioco fantastico (170). Ma questo è vero solo nel caso in cui i bambini siano sottoposti a nuove interviste o colloqui sull'argomento in cui venga loro suggerita una nuova informazione. In questo caso il resoconto successivo dello stesso episodio risentirà del contenuto dei colloqui fatti e conterrà con molta probabilità le nuove informazioni ricevute nel corso di tali conversazioni successive. La ripetizione sarà quindi una versione corretta dei fatti solo se nell'intervallo di tempo non sono state fatte domande o non è stata fornita altra informazione con un contenuto suggestivo. Questo dimostra che l'aggiunta di informazioni rende difficile recuperare l'informazione originale o distinguere quest'ultima da un'informazione aggiunta (171).
Anche in un compito di riconoscimento la quantità di elementi che un bambino è in grado di riconoscere è inferiore rispetto a quelli che riconoscerebbe un adulto e lo stesso riconoscimento di volti è più problematico e meno accurato (172). Questa tecnica, comunque, sembra essere utilizzata con bambini piccoli che non riescono a fornire elementi utili per le indagini con il racconto libero, anche se bisogna ricordare che il problema del riconoscimento sta nell'elevato numero di falsi positivi riconosciuti: infatti i bambini tendono a "riconoscere" (cioè a dire «sì, l'ho visto») anche quando l'elemento o l'uomo non era stato presentato in precedenza. Dalle ricerche però emerge che l'accuratezza sembra aumentare se nel momento del recupero della memoria (cioè quando si chiede al bambino di riconoscere qualcosa) viene reinstaurato lo stesso contesto in cui si è svolto l'episodio iniziale: è questo, dunque, uno degli elementi che viene utilizzato nel corso delle interviste dei minori per ovviare al problema dei falsi riconoscimenti (173).
Bisogna inoltre tener presente che i bambini tendono a dire sì a molte domande poste in modo diretto. Un esempio di domanda diretta "pericolosa" è la seguente: «hai visto un uomo entrare nella stanza?». In questo caso un bambino, quasi sempre, risponde di sì (anche quando in realtà non ha visto nessun uomo entrare) solo perché la domanda è stata posta in modo da avere una risposta sì o no. Tale domanda andrebbe sempre evitata, perché non potremmo mai sapere se la risposta data dal bambino è dovuta alla tendenza spontanea a dire sì oppure è dovuta al fatto che effettivamente ha visto un uomo entrare nella stanza. La domanda può, invece, essere fatta se il bambino ha già precedentemente fornito in prima persona, nel racconto libero, i dati su cui la domanda si basa (ad esempio se nel resoconto libero ha parlato di aver visto un uomo) (174).
I bambini, infatti, hanno maggior tendenza, rispetto agli adulti, a ricordare l'informazione errata presentata successivamente dall'intervistatore, cioè sono maggiormente suggestionabili. Varie ricerche hanno dimostrato che essi, se avvicinati in modo suggestivo, possono facilmente cambiare la descrizione di quello che hanno visto o che è stato loro fatto. Questo avviene con grande facilità se i bambini sono piccoli, se sono interrogati a distanza di tempo dall'evento, se sono suggestionati da domande poste in modo scorretto o volutamente viziate o se chi pone le domande viene visto dal minore come una figura autorevole. (175)
Benchè sia vero che un adulto viene percepito come autorevole quanto più si pone distante dal bambino, anche un adulto che interagisce con il bambino tramite il gioco è pur sempre visto da lui come un adulto. Per questo motivo alcuni esperti di colloquio con bambini, che si sospetta siano stati oggetto di abuso, consigliano di comportarsi in modo "onesto" con il bambino, "da adulto a bambino" (176), dichiarando il motivo dell'incontro e semplicemente ponendo le domande in modo corretto, per non indurre risposte compiacenti da parte del bambino, o in modo da non suggerire informazioni aggiuntive probabilmente non vere. Occorre utilizzare in questi casi un linguaggio comprensibile per il minore, ma non occorre cercare di farsi passare per un non-adulto, anche perché in queste specifiche occasioni il minore sente il bisogno di avere vicino a sé non una persona con cui giocare, ma un adulto che, rispettandolo, lo faccia sentire protetto e sostenuto nell'angoscia che gli causa l'intervista.
È necessario inoltre ricordare che la percezione del tempo nel minore è molto diversa da quella dell'adulto: per un bambino una settimana o un mese possono essere uno spazio temporale molto lungo, molto più lungo che per l'adulto.
In un'intervista pubblicata su un quotidiano (177), il Procuratore di Firenze Luigi Vigna ha affermato: «Il materiale è delicato; se il primo contatto avviene in modo non adeguato si rischia la manipolazione delle prove. È come se durante il prelievo del sangue per eseguire il test del Dna, l'operatore starnutisse». È pertanto estremamente importante che chi conduce il colloquio abbia una formazione specifica sulle tecniche dell'intervista.
La suggestionabilità però non si limita all'aggiunta o alla modifica di uno o più elementi di una scena. Ci sono risultati che sono stati confermati più volte e che mostrano come sia addirittura possibile indurre i bambini a ricordare eventi che non sono mai accaduti (178).
Dunque il fattore "suggestione" figura al primo posto tra gli elementi che possono inquinare il risultato di un'intervista e, se colui che pone le domande al minore non è preparato a porle in modo corretto e non inducente, può suggerire, talvolta in modo insistente anche se involontario, informazioni che non sono vere, ma che rischiano di diventare tali col tempo nella memoria del bambino (179).
Un'altra fonte di errore nelle valutazioni dei casi di abuso sessuale sui minori, che viene quasi sempre ignorata, è rappresentata dalle menzogne dei bambini.
Secondo una corrente di pensiero, ancora condivisa da molti, i bambini, quando riferiscono di abuso sessuali, non mentirebbero mai ed alcuni esperti interpretano ogni tentativo di ricercare e verificare la prova delle accuse come una dimostrazione di incredulità o di negazione del fenomeno. Si tratta di uno stereotipo pericolosamente diffuso e condiviso, nonostante le numerose ricerche che hanno dimostrato la preoccupante capacità del bambino di mentire anche su fatti di abuso sessuale (180).
Va innanzitutto chiarito il significato della parola "menzogna". Se utilizziamo questo termine come viene interpretato dagli adulti, la menzogna è una dichiarazione deliberatamente falsa intesa a trarre qualcuno in inganno: allora i bambini, in genere, non mentono. Ma i bambini possono raccontare cose che ritengono vere ma che sono il frutto di suggestioni, di manipolazioni, di fraintendimenti e possono insistere nel racconto solo per prolungare l'esperienza, per loro piacevole ed insolita, di una speciale attenzione da parte degli adulti nei loro confronti. Altre cause possono essere: il desiderio del bambino di uscire da una situazione familiare difficile; la suggestione esercitata da parte del genitore che è coinvolto in una causa di separazione e sfrutta l'accusa per ottenere l'affidamento del bambino; il desiderio di evitare una punizione, di sostenere un gioco, di vendicarsi di presunti torti subiti o di conquistare una libertà che gli viene negata (181). Questi e tanti altri fattori possono influenzare il racconto di un bambino e renderlo non veritiero, senza per questo che si possa dire che il bambino "mente".
Ci sono poi i casi sempre più frequenti in cui l'accusa di abuso sessuale nasce dalla precisa e premeditata pianificazione dell'inganno da parte del minore stesso che "costruisce" un racconto così attendibile e verosimile da ingannare persino gli esperti (182).
Per realizzare un'effettiva protezione del minore testimone e vittima di un presunto abuso sessuale è necessario evitare l'instaurarsi di un "clima di caccia alle streghe" (183), cioè il vedere un possibile abuso sessuale in qualunque situazione di contatto fisico o di disagio psicologico del minore. Tale atteggiamento è sbagliato e realmente pericoloso, non solo per gli adulti coinvolti, ma soprattutto per i bambini, che diventano le vere vittime di situazioni il cui intento iniziale era invece quello opposto di rendere loro protezione e giustizia. I bambini attraversano periodi di enorme disagio, disorientamento, stress, con conseguenze negative per il loro sviluppo. Vedendo possibile abuso sessuale in qualunque situazione non si aiutano o proteggono i bambini. Occorre, quindi, cautela nell'accettare qualunque indizio come vero, ed occorre grande cautela nell'intervenire, perché senza esserne pienamente consapevoli, si può contribuire alla creazione di un sistema che può avere effetti devastanti per il minore (184).
Oltre ad un invito alla cautela, è necessario anche un invito particolare alla professionalizzazione. Come infatti sostiene la Dott.ssa Giuseppina Mostardi (185), psicologa e consulente tecnico del Tribunale Civile di Roma:
Non ci si improvvisa intervistatori, specialmente quando si tratti di avere colloqui con bambini, e in particolare quando si sospetta che i bambini con cui si parla abbiano subito abuso sessuale. Bisogna essere preparati e avere piena padronanza di uno strumento che, nonostante l'apparente facilità, può creare gravi danni se utilizzato in modo non corretto.

10.4 La corretta modalità d'intervista
I bisogni di ogni bambino, di ogni colloquio e dell'intervistatore possono essere diversi da un'intervista ad un'altra. Non ci sono, dunque, semplici regole o prescrizioni determinate che possono essere adeguate per tutte le interviste: si potranno soltanto definire delle "linee-guida" appropriate per la maggior parte di esse.
Le interviste non dovrebbero essere condotte senza un'adeguata pianificazione, che dovrebbe tener conto di ogni informazione derivante dai colloqui tra centri ed istituzioni (ad esempio tra polizia o tribunale e servizi sociali), dalla considerazione dei bisogni del bambino, dell'età e del suo probabile sviluppo. Bisogna però ricordare che lo sviluppo di ogni bambino segue ritmi diversi e, così, l'età cronologica di un minore può essere solo l'indicazione molto approssimativa del suo livello di sviluppo. Perciò, prima di intervistare un minore come testimone, dovrebbero essere cercate quante più informazioni possibili relative al suo sviluppo linguistico, cognitivo e comunicativo e al suo grado si maturità sociale, fisica e sessuale (186). Se l'intervista è stata ben pianificata e ben condotta, ciò dovrebbe ridurre il bisogno di ripeterla.
Per i bambini molto piccoli e per quelli che hanno bisogni speciali è ancora più necessario predisporre un'adeguata programmazione in modo da avere incontri più brevi in un certo numero di giorni successivi. Può accadere infatti che essi non siano in grado di raccontare tutto quello che possono ricordare in una singola sessione d'intervista e che abbiano bisogno di più tempo (187).
Dalla ricerca sulla corretta metodologia dell'intervista al minore sono emerse varie considerazioni, utilizzate per l'elaborazione di alcune linee direttive affinchè il racconto ottenuto possa essere utilizzato nel contesto giudiziario. Nella pratica legale, infatti, le modalità con le quali il testimone viene sentito assumono grande importanza, sia nella fase delle indagini preliminari, sia in quelle successive. Fino ad oggi, però, i suggerimenti che la ricerca psicogiuridica è riuscita a far accettare dal sistema di giustizia sono relativamente modesti, forse perché gli scopi delle due scienze sono tanto diversi.
La modalità d'esame è determinante soprattutto quando il testimone è un minore. I bambini piccoli non hanno ancora appreso lo schema convenzionale che sta alla base della rievocazione di eventi passati e, quindi, il racconto che si ottiene dipende dalle domande con cui gli adulti guidano i loro ricordi (188).
In generale, ottenere da un bambino informazioni attendibili è molto difficile. Diventa difficilissimo quando i dati raccolti devono essere utilizzati nel contesto legale e giudiziario. Per ridurre al minimo le possibilità di errore, gli esperti raccomandano di adottare una procedura che consenta di minimizzare le possibilità di inquinamento e di accrescere quelle con un corretto ricordo.
La ricerca psicologica degli ultimi anni ha confermato che i bambini, anche molto piccoli, sono in genere capaci di offrire un resoconto utile degli eventi a condizione che vengano intervistati in modo appropriato (189).
Il problema è posto dal fatto che il bambino piccolo riferisce molto meno rispetto ad un adulto o ad un bambino più grande e, quindi, è necessario fargli domande e stimolare il suo ricordo. Ma occorre sapere come interrogarlo senza che le domande poste possano alterare il suo ricordo originale. Consapevoli di questa difficoltà ma anche della necessità di risolverla, la Home Office ha chiesto ad un gruppo di professionisti di elaborare un Memorandum of Good Practise, contenente le linee direttive da utilizzare affinchè il racconto di un minore, dal vivo o videoregistrato, possa essere utilizzato nel contesto giudiziario (190).
Questo importante documento, pubblicato nel 1992 e basato sul consenso degli esperti e sui dati della ricerca, dà indicazioni sulle modalità che devono essere seguite nell'intervistare un minore, sulla strutturazione dell'intervista, sulle condizioni necessarie perché un tribunale possa accettare l'ammissione di una videoregistrazione e sulle norme legali che devono essere rispettate affinchè possa valere come prova (191).
Bisogna ricordare che i bambini possono non rendersi conto del fatto che si trovano in una situazione in cui le regole usuali di conversazione con gli adulti non valgono o sono capovolte, cioè essi possono trovare difficoltà a credere di sapere qualcosa che l'adulto già non sa, e per questo essere disorientati nell'intervista.
Riguardo al modo di raccogliere le informazioni dal minore, questo documento raccomanda di seguire un preciso schema distinto in quattro fasi (192). Prima di tutto è necessario fare una pianificazione dell'intervista, in modo da fornire al bambino l'opportunità di descrivere cosa è successo con le sue parole, per poi procedere con domande generali e aperte fino ad arrivare a porre domande specifiche e chiuse.

La prima fase essenziale di un'intervista con un minore testimone è stabilire un adeguato rapporto tra il bambino e l'intervistatore. Il minore deve essere aiutato a sentirsi sicuro e rilassato.

La seconda fase consiste in una rievocazione libera da parte del bambino dei fatti e delle informazioni che è in grado di riferire, con le sue parole, in risposta a domande aperte e mai forzanti o suggestive. Dunque il ruolo dell'intervistatore è quello di facilitare la narrazione e non di guidarla.

Nella terza fase vengono proposte domande di approfondimento di quanto già narrato. Poiché i bambini, pur essendo in grado di dare resoconti attendibili, raramente riferiscono i dettagli e le informazioni che l'adulto o il bambino più grande sono in grado di dare, spesso occorre fare al minore delle domande, ma la loro forma deve sempre essere aperta e devono sempre essere formulate in modo da far capire che viene accettata l'eventualità di non riuscire a ricordare o di non sapere la risposta. Certe domande in cui si chiede il «perchè» possono essere interpretate dal bambino con un'attribuzione di colpa o di responsabilità e quindi vanno evitate. Allo stesso modo va evitato di ripetere una domanda subito dopo che il bambino ha dato una risposta: potrebbe essere interpretata come una critica alla risposta data e indurre, quindi, a dare una risposta diversa. La ricerca ha infatti dimostrato che, quando si ripete una domanda, il bambino tende a pensare di aver dato in precedenza una risposta sbagliata che va quindi corretta (193).
Inoltre gli adulti ritengono, sbagliando, che anche i bambini siano in grado di sapere quali siano le informazioni rilevanti. Questi, generalmente, non lo sanno ed è per questo che può essere necessario rivolgere domande specifiche, purchè non suggestive, per dare modo al bambino di riportare la sua attenzione sul punto focale della vicenda.
Vanno sempre evitate le domande a risposta chiusa (sì/no) perché, la ricerca ha dimostrato, specie con i bambini, che la tendenza sarà a rispondere sì o comunque a rispondere ciò che ritengono faccia più piacere all'intervistatore.
La quarta fase prevede la chiusura dell'intervista. L'intervistatore deve controllare con il bambino di aver capito bene le parti essenziali del racconto e deve evitare di utilizzare un linguaggio adulto al quale il bambino potrebbe aderire senza capire il significato delle parole (194).
Una procedura rappresentativa del metodo proposto dal Memorandum of Good Practise, che gli psicogiuristi considerano idonea a raggiungere buoni risultati e che è raccomandata e seguita dai maggiori esperti del settore (anche se purtroppo non ancora attuata in ogni realtà italiana), è la cosiddetta Step-Wise Interview o "Intervista Graduale", elaborata dal Prof. Yuille, un esperto canadese in testimonianza infantile, in collaborazione con psicologi, operatori sociali, polizia e pubblici ministeri.

Questa procedura combina la conoscenza più aggiornata in tema di psicologia evolutiva con le tecniche di memoria che possono aiutare il minore a ricordare e riferire gli eventi collegati ad un episodio di abuso sessuale (195). Il suo scopo è quello di:
1. ridurre al minimo le interviste;
2. ridurre al minimo il trauma dell'investigazione per il bambino;
3. massimizzare la quantità di corrette informazioni ottenibili dal bambino;
4. minimizzare il rischio di contaminazione che l'intervista può avere sulla memoria che il bambino ha dell'evento;
5. garantire e poter dimostrare l'integrità e la correttezza del processo investigativo e consentire un controllo di "qualità" della valutazione conclusiva.

L'intervista dovrebbe avere per protagonisti unicamente il bambino e l'intervistatore. Tuttavia ci sono situazioni in cui è necessaria o opportuna la presenza di altre figure, quali operatori sociali o funzionari di polizia. È assolutamente sconsigliata la presenza al colloquio di altri adulti coinvolti nella vicenda, come terapeuti o genitori, la cui presenza potrebbe compromettere l'integrità della procedura e rendere difficile al bambino l'elaborazione dei dettagli della vicenda. È inoltre da evitare qualsiasi iniziativa da parte dell'intervistatore di stabilire un contatto fisico con il minore, ad esempio prendendolo in braccio (196).

La Step-Wise Interview prevede nove fasi (197) che devono essere scrupolosamente attuate in successione:
1. Creare un buon rapporto con il bambino.
2. Chiedere al bambino di raccontare uno o due eventi specifici della sua vita (ad es. una festa di compleanno e un viaggio con i parenti).
3. Accertarsi che il minore dica la verità, appurando, soprattutto se è piccolo, che conosca il significato di "verità".
4. Introdurre l'argomento di cui si vuole parlare.
5. Fase della narrazione libera.
6. Fase delle domande generali, che dovranno partire solo da informazioni precedentemente fornite dal bambino).
7. Fase delle domande specifiche (solo se necessarie), servono per chiarire ed approfondire risposte precedenti.
8. Aiuti per il colloquio (ad es. disegni o cartelloni riproducenti il corpo umano), specialmente con i bambini piccoli.
9. Conclusione del colloquio.

Le regole principali da seguire in questo tipo d'intervista sono dunque varie.

1) Per riuscire a costruire un adeguato rapporto con il minore, il compito dell'intervistatore è quello di costruire un'atmosfera che consenta al bambino di sentirsi il più possibile a suo agio. I modi per ottenere questo risultato variano a seconda dell'età, dell'ansia e delle necessità del bambino. Lo psicologo può esordire con lo strumento del gioco, soprattutto se il bambino è piccolo, mentre con un adolescente si può parlare ad esempio di interessi scolastici, di hobby, ecc. È da notare che nel Memorandum of Good Practise è consigliato di non utilizzare il gioco come strumento per raccogliere informazioni durante questa fase (198).
Un clima d'intesa con il bambino si può creare anche permettendogli di esplorare la stanza o di stare con un adulto di riferimento all'inizio dell'intervista, oppure di portare con sé un gioco o un oggetto particolarmente gradito.
Ovviamente il bambino non va né minacciato, né criticato (199). È necessario instaurare con lui un rapporto amichevole, in modo che possa percepire di essere trattato bene e che l'intervistatore ha fiducia in lui qualunque cosa dirà. Non è giusto mettersi "alla pari" dei bambini, perché questo potrebbe farli sentire soli, senza l'appoggio di qualcuno che possa proteggerli: è necessario che l'adulto si presenti come tale, con la disponibilità ad aiutarlo.

2) Chi conduce l'intervista deve poter sapere, fin dall'inizio, quante e quali informazioni ci si può aspettare da un dato bambino. Infatti, il bambino non è un'entità generica: ognuno è diverso dall'altro e occorre quindi misurare la sua specificità (200). Questa valutazione può essere fatta chiedendo al bambino, prima di procedere all'intervista vera e propria, di descrivere due eventi "neutrali" della sua vita (ad esempio una gita scolastica, la festa di compleanno) e/o di raccontare qualcosa di cui è interessato (ad esempio uno tra i suoi interessi).
Dal tipo e quantità del materiale che verrà prodotto, l'intervistatore si farà un'idea della capacità del bambino di ricordare e rievocare ed è su questa che misurerà i dati che otterrà con l'intervista vera e propria.
L'intervistatore in questo modo potrà decidere la durata più adatta dell'intervista ed il tipo di domande da porre al bambino. Il numero di parole per frase usate dal minore in questa fase del rapporto dovrebbe poi fornire indicazioni sulla durata delle domande che l'intervistatore potrà porre successivamente (201).
In questo modo, inoltre, l'intervistatore potrà capire qual è la conoscenza verbale e linguistica del bambino e la sua percezione rispetto allo spazio e al tempo (ad esempio è utile porre una domanda del tipo: «il tuo compleanno è stato prima o dopo Natale?»); è però necessario non crearsi, da questi racconti, dei preconcetti riguardanti il fatto su cui bisogna indagare (202).

3) Introdurre il tema della verità ed accordarsi con il bambino sulla necessità di dirla è un passaggio fondamentale, visto che i bambini piccoli trovano difficile discriminare tra realtà e fantasia. Questo tema viene presentato al bambino in modo generale, ad esempio con una domanda del tipo «sai cosa significa dire la verità?». Se il bambino non è in grado di dare una risposta, si possono usare domande più specifiche come «se dico che i miei capelli sono lisci, è una bugia o è la verità?».
Successivamente si possono rivolgere domande per capire se il bambino ha il senso del significato e delle conseguenze della menzogna. Tra intervistatore e bambino si stipula come un "patto" secondo il quale, nel corso dell'intervista, si parlerà soltanto di cose vere (203).
Lo scopo dell'intervistatore è quello di ottenere un massimo di informazioni senza fare ricorso a tecniche che inducono risposte non corrette. L'ottimizzazione del risultato dipende direttamente dal modo in cui verranno formulate le domande e dalla consapevolezza che i bambini, soprattutto se molto piccoli, ritengono di dover dare sempre una risposta, arrivando fino ad inventarla. Il problema non è semplice e può essere superato soltanto da professionisti altamente qualificati: si tratta, da un lato, di saper aiutare il bambino a ricordare un massimo di dettagli esatti e, dall'altro, di saper come evitare domande suggestive, forzanti o tali da influenzare il bambino e contaminare il suo ricordo degli eventi (204).
Infine, l'intervistatore deve avere un'approfondita conoscenza delle competenze mnestiche, linguistiche e cognitive che può avere un bambino di una data età per garantire una corrispondenza tra gli intenti di chi intervista e il modo in cui il bambino percepisce l'intervista (205).

4) A questo punto del colloquio occorre introdurre l'argomento sul quale interessa indagare, ma senza far sentire al bambino che ci sono delle aspettative non risolte. Bisogna riuscire a spiegare al minore in cosa consiste l'intervista e perché si vuole fare proprio a lui delle domande, senza con questo pregiudicare l'integrità della testimonianza. Se si riuscirà a fornire una spiegazione appropriata, lo si aiuterà a capire cosa aspettarsi dall'intervista e a dare una relazione degli eventi (206). Alcuni bambini possono supporre che, poiché vengono intervistati, devono aver fatto qualcosa di sbagliato. Altri possono anche sentirsi colpevoli per essere stati coinvolti in atti offensivi. Quindi, una grande attenzione deve essere posta quando si cerca di spiegare al minore la necessità di dire la verità.
Riuscire ad introdurre l'argomento in modo chiaro ma non traumatico, in modo tale da far capire al bambino l'importanza della sua testimonianza, non è facile e spesso accade che i bambini non vogliano parlare (207). L'altro problema per l'intervistatore è quello di dover fare molta attenzione a non fare domande suggestive, altrimenti le eventuali risposte ottenute dal bambino non sono utilizzabili. All'inizio dell'intervista vengono poste domande aperte per poi proseguire con domande più specifiche.

Le tecniche utilizzabili (208) per sollevare l'argomento della testimonianza potrebbero essere:
«Sai perché sei qui oggi?»
(se non c'è risposta)
«Se c'è qualcosa che ti preoccupa, è importante per me capirlo» / «Ti è accaduto qualcosa di cui vorresti parlarmi? »
(se non c'è risposta)
«Ho saputo che hai raccontato qualcosa alla tua insegnante/amica/mamma la scorsa settimana. Vuoi raccontarmi di che cosa avete parlato?»
(se non c'è un racconto precedente)
«Ho sentito che qualcosa ti può aver turbato. Raccontami tutto quello che puoi riguardo a questo»
(se non c'è risposta)
«Come ti ho detto, il mio lavoro è di parlare con i bambini di cose che possono averli turbati. È molto importante che io capisca cosa ti può aver agitato. Raccontami per quale motivo tu credi che (il tutore) oggi ti abbia portato qui».
(se non c'è risposta)
«Ho sentito che qualcuno può aver fatto qualcosa che non era giusto fare. Raccontami tutto quello che sai a questo riguardo, tutto quello che ti ricordi».
In nessun caso l'intervistatore dovrà fare il nome della persona sospettata o suggerire cose accadute nel corso dell'eventuale abuso.
Se le domande generali non hanno portato alla luce il tema dell'abuso, può essere utile ricorrere al disegno (209). Si chiede al bambino di disegnare la figura di un uomo o di una donna, per poi passare ai dettagli di ogni parte del corpo. Per ognuna di esse, si chiede al minore di indicarne il nome e di descriverne la funzione. Quando si arriva alla descrizione dei genitali, l'intervistatore può chiedergli se ha mai visto quella parte del corpo di un'altra persona e/o se qualcuno ha visto o toccato quella sua parte.
Fra gli strumenti utilizzabili in questo tipo di interviste ci sono anche i cosiddetti "cartelloni del corpo anatomico", che possono servire per chiedere al bambino i nomi che utilizza per i vari organi del corpo umano e poter così conoscere il suo linguaggio. Ma parte degli esperti sono contrari al loro utilizzo perché considerano tale materiale troppo suggestivo (210).

È necessario che l'intervistatore comunichi al bambino in modo esplicito che:
- lui non era presente quando il presunto evento ha avuto luogo e, quindi, fa affidamento sul racconto del bambino per conoscere i fatti;
- se l'intervistatore fa una domanda che il bambino non capisce questo deve sentirsi libero di dirlo;
- se l'intervistatore fa una domanda per la quale il bambino non conosce la risposta, è giusto che egli dica "non lo so" e non deve rispondere necessariamente qualcosa;
- se l'intervistatore fraintende quello che il bambino ha detto o riassume quanto è stato detto in modo errato, il bambino deve dirlo e metterlo così in evidenza (211).

5) Una volta introdotto il tema dell'abuso, l'intervistatore deve incoraggiare il bambino a dare una narrazione libera dell'evento, cioè a raccontare i fatti con parole sue, descrivendo quanto successo dal principio e senza lasciar fuori nessun dettaglio. In questa fase, il ruolo dell'intervistatore è quello di agire da fattore facilitante e non interrogante, cioè deve agevolare il racconto del minore non interrompendolo, non correggendolo e non mettendo in dubbio quanto egli racconta (212). Anche la psicologa e psicopedagogista Beatrice Bessi, esperta in audizioni protette con minori sessualmente abusati e collaboratrice del Centro Artemisia di Firenze, conferma tutto questo:
Al bambino deve essere concesso di procedere a suo modo e secondo i suoi tempi, accettando pause, divagazioni ed elaborazioni anche di dettagli irrilevanti per le indagini. L'intervistatore, dunque, deve resistere alla tentazione di parlare appena il bambino sembra aver finito (va rispettata la regola del "tempo d'attesa") e deve riuscire a tollerare le pause (anche quelle prolungate), i silenzi e quelli che possono apparire i resoconti di informazioni irrilevanti resi dal bambino.
È necessario fare qualunque sforzo per ottenere dal bambino informazioni spontanee e non contaminate dall'intervista.
Il desiderio dell'intervistatore di dare una valutazione definitiva della situazione non deve manifestarsi con un approccio troppo impaziente: dovrebbe essere realizzato un "ascolto attivo", in cui l'intervistatore s'impegna a far sì che il bambino sappia che, ciò che quest'ultimo ha raccontato, è stato da lui sentito (ad esempio ripetendo le sue stesse parole) (213).
Se le accuse riguardano abusi ripetuti nel tempo, è bene chiedere prima una descrizione dello schema generale («mi puoi dire che cosa succedeva di solito?») per poi utilizzarlo per aiutare il bambino a ricordare meglio momenti specifici che, per qualche regione, si allontanano dallo schema generale.
Se sono stati descritti eventi multipli, può essere utile dare ad ognuno di essi "un'etichetta" («hai detto che è successo in cucina. Allora lo chiamiamo "il fatto della cucina"»). È importante che il bambino collabori alla scelta dell'etichetta perché in questo modo potrà meglio organizzare il suo ricordo e l'intervistatore sarà sicuro, nel corso del colloquio, di quale fatto si sta parlando (214).

6) Nel decidere se procedere o meno alla fase seguente dell'intervista devono essere prese in considerazione anche le esigenze del minore. Se quest'ultimo appare fortemente angosciato, l'intervistatore dovrebbe fare una valutazione se ciò dipende dal fatto che il bambino sta rievocando momenti dolorosi, o se dipende dall'intervistatore. Se la causa è la prima, è necessario capire se è bene approfondire in questo momento la questione oppure diminuire la tensione creatasi; se la causa sembra essere la seconda, portare aventi il colloquio è sicuramente inappropriato (215).
L'intervistatore, nel porre qualunque domanda, deve tener conto del grado di sviluppo del bambino, che dovrebbe aver già preso in esame durante la prima fase del colloquio.
Quando il minore ha terminato il resoconto libero (la durata può variare in funzione di un gran numero di fattori, inclusa la sua età) possono essere poste le domande. A seconda del modo in cui una domanda viene formulata si hanno risposte più o meno complete ed accurate. Per ottenere i migliori risultati da un'intervista è importante che vengano utilizzate le domande appropriate e che vengano evitati i tipi di domanda che danno luogo a risposte scorrette e incomplete, o addirittura modificate (216).
L'intervista, dunque, deve procedere con le domande aperte di carattere generale, che permettono di ottenere dal bambino approfondimenti di cose o eventi già da lui ricordati. Tali domande, infatti, devono servire soltanto per l'elaborazione di dettagli già descritti o introdotti dal minore nella fase iniziale di narrazione libera e devono essergli poste usando la sua stessa terminologia, evitando qualunque argomentazione suggestiva o forzante (217).
Nelle domande aperte si chiede al bambino di fornire maggiori informazioni, ma in un modo che non lo influenzi o gli metta pressione. Tutte le domande usate nell'intervista devono essere espresse in modo da implicare che l'incapacità di ricordare è accettabile. Infatti, durante questa fase, dovrebbe essere detto (o espresso in qualche modo) al minore che rispondere «non mi ricordo» o «non lo so» può essere appropriato e giusto se corrisponde alla sua reale non conoscenza, perché non deve ricordare per forza.
Al minore deve essere posta soltanto una domanda per volta. Il linguaggio utilizzato in ogni domanda deve essere appropriato al bambino che si sta intervistando. Di rado, o forse mai, potrebbe essere appropriato un linguaggio adulto: le proposizioni devono essere semplici e non ambigue, evitando le doppie negazioni o altre costruzioni confusionarie (218).
Se il testimone diventa angosciato perfino quando vengono poste queste domande generiche, l'intervistatore dovrebbe prendere seriamente in considerazione la possibilità di allontanarsi per un momento da questo argomento e ritornare ad una fase precedente dell'intervista. Inoltre, potrebbe essere utile suggerire al bambino di utilizzare un particolare segnale (ad esempio alzare una mano) per indicare che sa la risposta alla domanda fatta dall'intervistatore, ma non è pronto o non vuole rispondere. Così l'esperto potrà capire se si tratta di un problema di memoria o di altro tipo di difficoltà (219). Il particolare lasciato in sospeso potrà essere riproposto in un momento successivo.
Alcune domande che utilizzano la parola «perchè» possono essere interpretate dai bambini come se ci fosse l'intenzione di attribuire loro colpa e responsabilità. Tali domande dovrebbero essere evitate.
Deve anche essere evitato il ripetere le domande subito dopo che un bambino ha risposto, dal momento che ciò può essere interpretato dai minori come una critica alle risposte già date. Il ripetere una domanda troppo presto può far sì che il bambino cambi la sua risposta in una che pensa sia quella che l'intervistatore vuole sentire e comunque, quando si vuole ripetere una domanda già fatta, è sicuramente meglio dire con chiarezza al bambino che è una ripetizione, così lui sarà più tranquillo nel rispondere (ad esempio dicendogli «scusa se ti rifaccio la domanda, ma non ricordo più la risposta») (220).

7) Idealmente, a questo punto dell'intervista, attraverso la narrazione libera e le domande aperte, si può supporre che l'intervista abbia raccolto tutto il materiale possibile. Tuttavia, in questa fase, il ricorso a domande specifiche può essere utile per ottenere chiarimenti e approfondimenti di quanto già narrato. Al bambino può essere chiesto di rievocare mentalmente il contesto di un dato evento (chiedendogli «ti ricordi che tempo faceva?» oppure «ti ricordi cosa stavi facendo prima?») e di esaminarlo da prospettive diverse («se qualcuno guardava dalla finestra che cosa avrebbe visto?») (221).
L'importante è che inizialmente tali domande non siano guidanti o inducenti, cioè la domanda non deve implicare o contenere la risposta (anche se in taluni casi può essere inevitabile che le domande facciano riferimento ai fatti ancora non certi).
Se nel resoconto dei bambini è stata menzionata una situazione di abuso ripetuta, ma i vari episodi non sono stati descritti con sufficienti dettagli, questo può essere il momento di provare ad esaminare questi aspetti.
I bambini piccoli trovano difficile ricordare eventi se nelle domande viene usato un linguaggio adatto ad un adulto. Per esempio, le date del calendario o dei giorni della settimana possono essere non appropriati per un bambino. Potrebbe essere meglio usare eventi di vita significativi per il minore, ad esempio, prima o dopo Natale, un compleanno o una vacanza, un giorno di scuola o un giorno senza scuola. Riguardo all'ora del giorno, è meglio menzionare gli orari del pasto, i programmi televisivi, l'ora dell'andare a letto (222).
Gli intervistatori, dunque, dovrebbero provare a stabilire quali "etichette verbali" il bambino utilizza per denominare i vari eventi e poi usarle nelle domande.
Le domande a scelta vincolata non sono raccomandabili, in quanto esse presentano al testimone poche alternative e lasciano supporre che la risposta sia necessariamente una di queste (ad esempio «ma eravate in camera da letto o in salotto?») (223).
Lo stesso vale per le domande a scelta multipla, cioè quelle che contengono molte domande insieme (ad esempio: «ricordi qualcos'altro? Tu stavi guardando la televisione o stavi giocando? E in quale stanza ti trovavi? E poi, la mamma dove era?»). È difficile memorizzare tutte le domande e nello stesso tempo crearsi le relative immagini mentali e, quindi, spesso qualche domanda viene dimenticata e tralasciata. In ogni caso, se si deve rivolgere una domanda di questo tipo occorre che le alternative siano di più di due («il tempo era nuvoloso, sereno o così così?») ed occorre comunque ripeterla successivamente, ponendo le alternative in ordine diverso per controllare se la prima risposta data dal bambino era in qualche modo indotta dalla forma della domanda. Un'opzione migliore è, comunque, quella di dividere le varie domande e di porle singolarmente, una alla volta, lasciando però al testimone il tempo di rispondere per ogni singolo quesito (224).
Inoltre, è in questa fase che l'intervistatore potrà affrontare in modo gentile e tranquillo, le eventuali contraddizioni nel racconto del minore («non ho capito bene una cosa che tu hai detto prima...»- e ripete le parole del bambino; «me la puoi spiegare meglio? ») (225).

8) Dopo la testimonianza verbale, può essere utile usare delle tecniche che possono massimizzare l'apporto d'informazioni fornite dal minore o che permettano ai bambini reticenti di parlare delle loro esperienze servendosi di uno stile d'intervista meno diretto. Tuttavia il loro impiego e il modo di interpretarne i risultati sono tuttora oggetto d'indagine e di disputa tra differenti autori.
Le tecniche "complementari" (226) sono:

Le bambole anatomiche
Negli ultimi anni la valutazione dei casi di sospetto abuso sessuale si è basata anche sull'uso - nel corso dell'audizione del minore - di bambole provviste di dettagli anatomici (anatomic dolls), utili per rendere meno traumatico il coinvolgimento del minore in ambito giudiziario. Questa tecnica, utilizzata soprattutto in America e in Inghilterra, consiste nel dare al bambino due bambolotti sessuati, maschio e femmina, chiedendogli di mostrare quello che è successo (227).
Gli elementi raccolti attraverso l'intervista del minore con l'impiego dello strumento della bambola sono utilizzati per prendere decisioni su ulteriori ricerche di valutazione, per concludere se c'è stato abuso sessuale oppure no, ed alcune volte vengono utilizzati come materiale probatorio in tribunale per processi in cui è coinvolta la famiglia (ad esempio anche nei casi di separazione tra coniugi) (228). Ma soprattutto il loro impiego è utile per facilitare la discussione e le spiegazioni da parte di quei bambini che trovano difficoltà ad esprimersi. Infatti, l'unica funzione non controversa di tali bambole è quella di utilizzarle come strumento per verificare la conoscenza del corpo umano in qualunque sua parte, delle relative funzioni e dei rispettivi nomi (229).
Possono essere identificate, dunque, sette funzioni (230) relativamente diverse delle bambole anatomiche nella valutazione dell'abuso sessuale:

1. elemento di conforto: le bambole possono aiutare a creare un'atmosfera più rilassata;

2. rompighiaccio: come punto di partenza della conversazione sull'argomento della sessualità, nel senso che le bambole possono aiutare il bambino a focalizzare l'attenzione su tale argomento;

3. modello anatomico: uno degli usi più comuni delle bambole è quello di modello anatomico per valutare i nomi che il bambino assegna alle varie parti del corpo;

4. aiuto dimostrativo: questa funzione è quella più largamente accettata e consiste nell'aiutare il minore a "mostrare" piuttosto che a "dire" ciò che è accaduto;

5. stimolo per la memoria/schermo diagnostico: la prima funzione indica che l'esposizione alle bambole può essere utile nel provocare nel bambino il richiamo di specifici eventi di natura sessuale, determinando in particolare rilevazioni spontanee. A questo proposito è emersa la critica secondo la quale l'esposizione ai genitali delle bambole potrebbe indurre il minore a fantasticare e quindi a modificare la realtà.
La funzione di schermo diagnostico, invece, si basa sulla premessa che l'esposizione alle bambole, come supporto, possa fornire al bambino l'opportunità di rivelare spontaneamente la sua conoscenza o il suo interesse sessuale;

6. test diagnostico: l'uso delle bambole anatomiche come un test diagnostico si basa sull'ipotesi che i bambini sessualmente abusati interagiscono e giocano con le bambole in maniera significativamente diversa dai bambini non abusati.
Tra i vari problemi derivanti dall'utilizzo di tali bambole, i più gravi sono la mancanza di procedure d'intervista determinate e accolte dagli operatori per guidare l'interrogatorio del minore nel caso di utilizzo di tali strumenti (non essendo, infatti, state previste linee guida da seguire), e la mancanza, nella letteratura di psicologia, di un confronto tra risposte date da quei bambini vittime di un sospetto abuso sessuale con quelle di quei bambini per i quali tale sospetto non c'è stato. Senza tale confronto di dati è difficile poter interpretare con certezza le risposte dei minori testimoni di abusi sessuali (231).
La critica più forte all'utilizzo di tali strumenti consiste nella loro alta potenzialità suggestiva in grado di stimolare fantasie sessuali o di altro tipo (232), incoraggiando così il gioco sessualizzato anche nei bambini che non hanno subito un abuso sessuale (ad esempio il minore può essere stimolato a toccare gli organi genitali della bambola perché incuriosito da tali fattezze).
Tutto ciò porta, dunque, grandi differenze nell'uso delle bambole da parte degli esperti. In percentuale, coloro che sono addetti alla giustizia (assistenti del procuratore, polizia giudiziaria, avvocati delle vittime) sottovalutano la bambola, utilizzandola soltanto nel 62% dei casi, mentre i professionisti della salute mentale (psicologi, psichiatri, terapeuti ed operatori sociali) ne fanno un uso più frequente (80% in media) (233).
Ciò su cui la maggior parte degli autori è d'accordo è la necessità di non sollecitare il bambino a mettere in atto quello che gli è accaduto con la bambola, se prima non lo ha raccontato verbalmente.
Riguardo alla valutazione del comportamento infantile con le bambole anatomiche da parte dell'esperto, una ricerca (234) ha messo in evidenza come si possa desumere un avvenuto abuso sessuale tramite l'osservazione del bambino che interagisca con tale bambola (vedi tabella). Così i comportamenti del minore saranno considerati in termini di normalità (sintomo di non abuso) o di anormalità (sintomo di abuso).

COMPORTAMENTO DEL BAMBINO
Dal punto di vista degli esperti che utilizzano le bambole anatomiche per la diagnosi degli abusi sessuali
NORMALE
Sintomo di non abuso
ANORMALE
Sintomo di abuso
Comportamenti sessualizzati meno espliciti % %
Spogliare le bambole 97.4 0
Guardare i genitali delle bambole 77.1 2.6
Toccare i genitali delle bambole 77.6 0.5
Toccare la zona anale delle bambole 60.4 7.8
Toccare i seni delle bambole 75.5 3.1
Evitare il contatto con la bambola o mostrarsi ansiosi 15.7 27.7
Mettere le bambole sdraiate l'una sull'altra 6.8 38.5
Mostrare le bambole che si baciano 64.6 5.2
Comportamenti esplicitamente erotici % %
Mostrare penetrazione vaginale 0.5 88.0
Mostrare penetrazione anale 0 90.1
Mostrare contatto oro-genitale 0 92.2
Mostrare contatto tra i genitali 1.0 82.8
Mostrare penetrazione digitale 3.6 79.7

Tabella: Comportamento normale e anormale del minore nei confronti delle bambole anatomiche

A causa delle difficoltà oggettive riguardanti l'utilizzo delle bambole anatomiche, gli operatori, che devono compiere una valutazione su un minore sessualmente abusato, utilizzano anche altre tecniche alternative.

Sceno-test
Questo metodo consiste nel far utilizzare al bambino un insieme di bambole raffiguranti una famiglia (bambino/a, mamma, papà, nonni, zii, animali, ecc.) ed una casa per bambolotti, in cui siano visibili le stanze e tutti gli accessori (la camera da letto, il bagno, la cucina). Il minore, giocando, deve inventare delle storie oppure deve rispondere ad eventuali domande dell'operatore, di solito postegli in modo impersonale (ad esempio «qual è la stanza che piace meno al bambino? Perché?») (235).

Il disegno
Esiste una forte tradizione di utilizzo clinico del disegno come test proiettivo o come supporto terapeutico. In esso il bambino trasferisce pensieri, sentimenti, comportamenti e relazioni interpersonali in immagini concrete. Nei casi di abuso, tuttavia, se da un lato esso consente di ottenere la produzione dei ricordi in maniera meno traumatica per il minore, dall'altro può portare chi lo interpreta a commettere gravi errori (236): è infatti raro che nel disegno appaia un simbolo grafico esplicito che possa rinviare direttamente all'esperienza di abuso.
In uno studio (237) sui disegni di bambini sessualmente abusati prima dei quattro anni, confrontati con quelli di bambini non abusati, è emerso però che le vittime di abuso:
evitano di disegnare gli aspetti traumatici di quanto hanno subito ma proiettano, nel disegno, numerosi indicatori d'ansia, presenza di conflitti familiari e concezioni di se stessi come "oggetti trasparenti";
rivelano una rappresentazione sessualizzata del proprio sé (attuale);
assumono, nel disegno, espressioni di tristezza e disorganizzazione affettiva.
Questi aspetti sono soprattutto desumibili dalle spiegazioni che il bambino fa di quello che ha voluto disegnare.
Nonostante questi risultati, non si conosce ancora quale uso si possa fare del disegno come tecnica di supporto all'intervista, nel corso di un'audizione protetta, dal momento che sono ancora poche le ricerche che hanno cercato di valutare in modo sistematico l'utilità dell'uso di questa tecnica nei casi di esame di minori che si sospetta abbiano subito violenze sessuali (238).

Le favole della "Duss"
Le favole della "Duss" sono brevi storie, che vengono raccontate al bambino dall'operatore, sotto forma di gioco, e che lui deve completare. Gli esempi (239) sono vari:
"La mamma va a prendere il bambino a scuola perché gli deve dare una brutta notizia: quale?"
"I genitori fanno una festa per il loro anniversario di matrimonio ma il bambino è triste e solo in fondo al giardino: coma mai?"
Ogni storia è scritta per un momento particolare e dalla risposta data dal minore si cerca di comprendere i suoi stati d'animo e le sue paure. Anche le informazioni apportate da questo metodo, però, non possono costituire una prova risolutiva dell'avvenuto abuso sessuale.
9) L'ultima fase del colloquio è costituita dalla chiusura dell'intervista, momento essenziale per molte ragioni. In primo luogo, non è possibile terminare un'intervista lasciando il bambino in uno stato d'ansia, di tensione, d'agitazione e di disagio. Bisogna inoltre trasmettergli la sensazione che non ha "fallito" nel suo compito, anche se non ha ricordato molto.
In questa fase è opportuno inizialmente ripetere, utilizzando il linguaggio proprio del minore, i punti essenziali che sono emersi dall'intervista, per controllare che l'adulto abbia capito in modo corretto quello che egli intendeva comunicare. Successivamente è però importante cambiare argomento e riportare la conversazione su un piano emozionalmente "neutro" o piacevole, parlando di altri aspetti che riguardano la vita del bambino (240).

10.5 L'intervista cognitiva e la testimonianza infantile
L'intervista cognitiva (o IC) è una procedura sviluppatasi negli USA per aiutare ufficiali di polizia o altri professionisti ad ottenere resoconti più completi ed accurati da un testimone. Questa tecnica è basata su principi psicologici riguardanti il ricordo ed il recupero d'informazioni dalla memoria. È stata sviluppata dagli psicologi Ed Geiselman (University of California, Los Angeles) e Ron Fisher (Florida International University) nel 1984, in risposta alle numerose richieste ricevute da parte di ufficiali di polizia e professionisti legali, per ottenere un metodo che migliorasse l'interrogatorio del testimone (241).

Questo tipo di intervista si basa su due principi teorici:
1. che ci sono numerosi metodi per recuperare dalla memoria un evento, per cui informazioni non accessibili con una tecnica possono esserlo con un'altra;
2. che ci sono molteplici parti che compongono una traccia di memoria ed un suggerimento per il recupero è effettivo purchè ci sia una sovrapposizione tra esso e l'informazione codificata.

Le tecniche (242), che possono essere utilizzate, sono quattro:
1. ricostruire mentalmente il contesto fisico e personale esistito al momento del fatto per riuscire così ad aumentare l'accessibilità dell'informazione conservata in memoria.
Sebbene questo non sia un compito facile, l'intervistatore può aiutare il testimone chiedendogli di recuperare un'immagine o un'impressione circa le caratteristiche ambientali della scena originale (per esempio la disposizione degli oggetti nella stanza), per poi commentare le reazioni emozionali e le sensazioni avute in quel momento (sorpresa, rabbia, ecc.) e descrivere qualsiasi suono, odore e condizioni fisiche (caldo, umido, fumo, ecc.) che fossero presenti nel contesto in cui si è svolto il fatto.
2. Chiedere al testimone di riportare tutto quello che ricorda, incluse le informazioni parziali; queste potranno essere utili per riuscire a collegare i vari dettagli dello stesso fatto forniti da altri testimoni o dallo stesso soggetto ma in momenti diversi.
3. Chiedere all'intervistato di ricordare partendo da punti di vista diversi. Con questa tecnica si cerca di incoraggiare il testimone a guardare il fatto come se fosse stato un altro soggetto: lo scopo è quello di aumentare la quantità di dettagli del racconto.
4. Dire al soggetto di ricordare partendo da diversi momenti nel tempo. I testimoni ritengono di dover cominciare dall'inizio ed è ciò che di solito viene loro chiesto. Invece l'intervista cognitiva permette un tentativo di recupero dell'episodio dalla memoria profondo e completo, incoraggiando i testimoni a ricordare il fatto in ordine diverso, iniziando ad esempio dalla fine, o dalla metà e dall'episodio più memorabile.
Se si considera il fatto che i risultati di molte interviste hanno indicato che l'intervista cognitiva dà risultati interessanti con adulti, si potrebbe pensare che debba essere utilizzata da tutti coloro che svolgono colloqui con testimoni. Tuttavia occorre tenere presente che esistono numerosi problemi (243) nell'impiego dell'intervista cognitiva con i bambini.
Sono stati identificati numerosi problemi nell'applicazione di tale intervista a bambini piccoli. In primo luogo, i bambini più piccoli (di sei-sette anni) hanno maggiore difficoltà a comprendere le tecniche di ricordo proposte dalla forma dell'intervista cognitiva, sviluppata per soggetti adulti. In secondo luogo, nei bambini l'impiego di tale tecnica può accrescere il numero di confabulazioni ed errori. In terzo luogo, tale procedura può anche determinare un aumento nelle caratteristiche delle richieste poste ai minori, per cui essi tendono ad aumentare le risposte date solo per far piacere all'intervistatore. Un quarto argomento è costituito dal fatto che il successo di questa tecnica dipende largamente dall'abilità dell'intervistatore nello spiegare in modo adeguato ai bambini intervistati le tecniche da usare. Infine, l'uso efficace di tale intervista dipende dalla capacità dell'intervistatore di costruire un rapporto con il bambino.
Malgrado alcuni ricercatori ritengano che l'intervista cognitiva applicata ai minori-testimoni sia in grado di aumentare la completezza del loro racconto, sono ancora aperti alcuni importanti interrogativi. Primo fra tutti l'esatta individuazione dell'età del bambino cui sottoporre questa tecnica con successo. Ci sono studi, ad esempio, che indicano negli otto anni il limite inferiore sotto il quale l'intervista non darebbe risultati soddisfacenti.
Un'altra importante questione riguarda l'attribuzione d'efficacia di questa tecnica, cioè non è ancora chiaro se l'efficacia dell'intervista sia legata all'impiego delle mnemotecniche o piuttosto alle indicazioni offerte all'intervistatore capaci di impostare un'interazione positiva con il bambino (244).
La differenza tra l'intervista cognitiva e quella strutturata (o graduale) sta nel fatto che, in quest'ultima, vengono impiegate semplici tecniche in fasi distinte l'una dall'altra, partendo dalle notizie più generali fino a quelle più specifiche, utilizzando domande poco inducenti e cercando di intervenire il meno possibile; nell'intervista cognitiva, invece, vengono utilizzate speciali tecniche mnemoniche per ottenere un maggior numero d'informazioni (245). Attualmente, però, chi svolge colloqui o interviste con testimoni minori dovrebbe utilizzare l'intervista cognitiva solo quando abbia raggiunto un pieno livello di comprensione di questa procedura complessa: se non ha una tale familiarità con la tecnica è molto meglio seguire le fasi dell'intervista strutturata (246).
La ragione per cui si consiglia di attenersi strettamente allo schema dell'intervista strutturata è che solo questo modo di procedere consentirà non solo di raccogliere dati in modo corretto, ma anche di sottoporre, successivamente, il racconto del minore ad ulteriori strumenti di controllo di veridicità, come ad esempio il Content Criteria for Statement Analysis, elaborato appositamente dagli psicogiuristi tedeschi per analizzare i casi di sospetto abuso sessuale su minori.


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