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Tesi di Laurea di Laila Fantoni

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico

Capitolo I - La realtà dell'abuso sessuale

6. Abuso sessuale



Mariti e mogli possono spingersi vicendevolmente alla follia, ma possono divorziare.
I bambini sono indissolubilmente legati ai loro genitori.
(R.D. Laing) (72)

6.1 La definizione del termine "abuso sessuale sui minori"
La rilevazione e l'accertamento di un fatto di abuso sessuale è un'operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba intendersi per "abuso sessuale" (73). In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una materia così fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata.
La difficoltà di definire i comportamenti umani è ancor più forte quando la classificazione riguarda i comportamenti sessuali illeciti, cioè quelli integranti fattispecie di reato.
Nelle ricerche sull'abuso sessuale (sulla sua estensione e le sue caratteristiche) qualunque operatore adotta una definizione diversa e utile per la sua attività, per cui esse sono difficilmente comparabili e i risultati cui pervengono possono variare anche di molto da lavoro a lavoro, benchè tutte abbiano apparentemente lo stesso oggetto di indagine (74). E questa diversità nelle definizioni è ancora più evidente nel caso dell'incesto, dove la pluralità di definizioni si coniuga con il carattere intrafamiliare dell'abuso sessuale.
Un primo effetto pratico immediato di tutta questa confusione è la difficoltà a promuovere le opportune politiche sociali e a mobilitare le risorse necessarie. Sul piano operativo la clinica e il diritto risentono in maniera ancor più consistente della mancanza di una definizione condivisa dalle varie discipline.
Nasce così tra gli operatori in questa materia la "polarizzazione" (75):
&Mac183; tra quanti ritengono giustificabile l'intervento esterno solo nei casi più estremi e sono favorevoli ad una definizione di abuso sessuale assai circoscritta;
&Mac183; e quanti collocano al primo posto la protezione del minore e sostengono che l'adozione di una definizione, la più ampia possibile, può concorrere a prevenire un'escalation da forme di abuso meno gravi ad altre più gravi.

La definizione nella ricerca
Da un attento esame comparativo, compiuto da alcuni autori (Peters, Wyatt e Finkelhor (76)), delle principali ricerche sull'incidenza dell'abuso sessuale sui minori, è emerso che le definizioni del termine "abuso sessuale sui minori" divergono nelle diverse attività lavorative in quattro punti fondamentali (77):
1. l'inclusione o meno dell'esibizionismo e delle proposte oscene nella definizione di abuso sessuale,
2. il limite di età della vittima,
3. l'inclusione o meno delle aggressioni commesse da coetanei,
4. la differenza di età tra vittima e aggressore.
1. Molti ricercatori usano una definizione assai ampia di abuso sessuale che comprende, oltre agli abusi sessuali con contatto fisico (contact abuse), anche atti che non contemplano un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio l'invito a partecipare ad attività sessuali: includono, dunque, nella definizione di "abuso sessuale" anche gli atti di esibizionismo e le proposte oscene.
Essi sostengono la loro scelta in base a due ragioni:
o l'esibizionismo è considerato un atto criminale il cui scopo è spaventare e colpire moralmente la vittima;
o le proposte oscene, quando provengono da un adulto con cui il minore ha una relazione affettiva significativa e di dipendenza, hanno un considerevole impatto psicologico sul minore (78).
Altri autori, invece, esitano ad accomunare l'esibizionismo e le proposte oscene all'abuso sessuale caratterizzato da contatto fisico, dal momento che quest'ultimo implica un ben più alto grado di gravità con seri effetti psicologici. Alcune ricerche sostengono infatti che sia improbabile che il solo abuso sessuale senza contatto fisico possa determinare disturbi psicologici a lungo termine.
2. Anche riguardo al limite di età delle vittime le definizioni variano da ricerca a ricerca, spaziando dall'età prepuberale ai sedici anni fino al limite dei diciotto anni (che coincide con la minore età giuridica).
3. Un altro argomento di divergenza riguarda il problema se debbano essere inclusi nella definizione anche episodi che abbiano quali autori del reato dei coetanei della vittima. L'orientamento più recente è di includere anche queste esperienze ogni volta che esse implichino coercizione e non siano ricercate, bensì subite dalla vittima (79).
Anche la legislazione italiana accoglie tale orientamento, prevedendo "la reclusione per chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali", includendovi dunque anche i coetanei della vittima (art. 609-bis c.p.).
4. L'ultima divergenza è costituita dalla differenza minima di età tra vittima ed aggressore, necessaria perché si possa ricorrere alla definizione di abuso sessuale indipendentemente dall'esistenza di un apparente consenso da parte della vittima.
In genere, tutti sono d'accordo nel ritenere sempre abuso sessuale ogni relazione tra un adulto ed un bambino. Quando però gli episodi sessuali interessano vittime adolescenti, i confini necessari a definire l'abuso sessuale si fanno più confusi. È infatti impossibile e sempre arbitrario definire in modo astratto il momento in cui l'adolescente raggiunge la capacità di acconsentire liberamente e pienamente a una relazione sessuale (80).

La definizione clinica di abuso sessuale
Il problema della grande varietà di definizioni di abuso sessuale merita un'attenzione particolare quando interessa l'ambito clinico.
Vari professionisti (medici, magistrati, avvocati, psicologi, operatori sociali insegnanti) affrontano l'intervento nei casi di incesto ognuno partendo dalla propria specifica identità professionale. Dalla propria esperienza ciascuno trae una propria visione su ciò che debba essere ritenuto abuso sessuale o incesto. Spesso queste visioni possono essere assai discordanti e produrre fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria importanza, come la protezione dei minori o l'apertura di procedimenti penali a carico degli adulti. Sul terreno dell'intervento operativo si pone quindi ancora più forte l'esigenza di una definizione che possa essere largamente condivisa da diverse figure professionali (81).
D'altra parte, però, una definizione troppo ampia o generale rischia di lasciare un margine eccessivo alla discrezionalità, favorendo il riemergere di punti di vista parziali. Diversi autori, infatti, raccomandano di diffidare di definizioni troppo ampie e invitano ad affiancare sempre ad espressioni generali, quali "abuso sessuale sui minori", descrizioni dettagliate ed esplicitamente connesse al contesto di riferimento in cui vengono usate (per esempio "bambini molestati dai genitori"), invece di "bambini vittime di abusi sessuali" (82).
La pedofilia e l'abuso sessuale sono tradizionalmente trattati come aberrazioni sessuali, laddove l'esperienza clinica ha ampiamente messo in evidenza che chi aggredisce sessualmente i bambini cerca, attraverso comportamenti sessuali, di soddisfare bisogni che hanno più a che fare con la ricerca di sensazioni di potere, di controllo e di dominio su soggetti più deboli che con il piacere sessuale. La possibilità di coinvolgere un minore in una relazione sessuale è determinata, infatti, dalla posizione di superiorità e dal potere che ha l'adulto nei confronti del bambino, che si trova invece in una posizione di dipendenza e di soggezione. È attraverso questa sua autorità che l'aggressore, implicitamente o esplicitamente, costringe il minore a sottomettersi alla relazione sessuale (83).
Una definizione operativamente efficace è quella proposta da Goodwin, che utilizza indifferentemente le espressioni "incesto" e "abuso sessuale intrafamiliare" per indicare "ogni azione sessuale commessa su un bambino da parte di un adulto avente ruolo di genitore" (84). Sotto un profilo teorico, criminologico e giuridico, far coincidere l'incesto con l'abuso sessuale intrafamiliare può apparire arbitrario. Ogni distinzione si rivela però secondaria quando ci si muove nella prospettiva dettata da esigenze di intervento operativo (giuridico, sociale o psicologico) nell'interesse di minorenni. Infatti, indipendentemente dal grado, dalla durata e dalla stabilità del coinvolgimento del minore nella relazione incestuosa si attivano le medesime esigenze di protezione, di indagine e trattamento da parte delle istituzioni. Ai fini della scelta di intervenire la distinzione appare cioè irrilevante. È solo in un secondo momento che essa torna ad acquisire tutta la sua importanza, quando si tratta di ricostruire la dinamica dell'incesto per definire i trattamenti idonei o per accertare il grado di responsabilità (psicologica e penale) del genitore e di altri familiari (85).
Il concetto clinico di abuso sessuale elaborato dalla letteratura sociologica e psicologica risulta dunque più esteso rispetto alla condotta che integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario. Anche nella Legge n. 66 del 1996 la definizione del reato implica la costrizione del soggetto-vittima a "compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità", anche se molti correttivi rendono presunta tale componente violenta in situazioni in cui essa non è esercitata in modo esplicito (con riguardo all'età della vittima e al tipo d'autore).
Tuttavia rimane escluso da tale definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni se tali soggetti hanno più di tredici anni, indipendentemente dalla relazione che li lega; non possono inoltre essere considerate reato - in quanto non comportano veri e propri "atti"- altre situazioni in cui il minore è esposto ad un clima psicologico decisamente negativo e fuorviante per il corretto sviluppo di una sua propria identità sessuale e della sua personalità, o sia coinvolto come spettatore più o meno complice di giochi erotici tra persone cui sia fortemente legato. Secondo molti autori tali situazioni non differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze codificate come violenza sessuale, in quanto le conseguenze dannose che possono produrre potrebbero essere le medesime (86).
Si può dunque affermare che c'è un'importante differenza tra la definizione clinica e quella giuridica di abuso sessuale. Nella prima, il bene giuridico protetto è l'integrità del minore come persona, il quale può essere danneggiato da qualunque atto sessuale che subisce, chiunque sia il soggetto agente. La legge n. 66/96, invece, fornisce una tutela dello sviluppo della sessualità del minore e prevede, a seconda della sua età o della relazione con il soggetto agente, l'intangibilità sessuale oppure la sua capacità di autodeterminazione in ambito sessuale (purchè egli abbia compiuto almeno tredici anni e la differenza di età con il coetaneo non sia superiore a tre anni). Quindi, mentre nella definizione clinica l'intervento operativo di protezione e trattamento dovrà essere attivato indipendentemente dal grado, dalla durata o dalla modalità dell'atto sessuale compiuto o dall'età del minore, perché la sua integrità come persona sarà stata comunque compromessa, nella definizione giuridica questi elementi qualificanti il fatto sono importanti per poter valutare il grado di responsabilità del soggetto agente.

La definizione giuridica
"Le definizioni normative dei comportamenti di abuso sessuale sui minori - afferma Ferrando Mantovani (87) - devono rispondere ad una duplice esigenza: da un lato quella di conciliare la libertà sessuale di un individuo con i diritti degli altri individui e con i valori ammessi dalla collettività; dall'altro quella di inserire i comportamenti in questione nell'uno o nell'altro titolo di legge, anche in rapporto alla predominanza delle istanze sessuali o di quelle violente nella realizzazione delle pulsioni sessuali del reo". È quindi importante chiedersi che cosa può essere correttamente definito come comportamento abusante nei confronti di un minore. Anche se istintivamente può sembrare che non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che gli esperti ancora dibattano sull'estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, che al tipo di relazione intercorrente.
Da un punto di vista puramente psicologico si potrebbe affermare che qualsiasi attivazione di desiderio sessuale in un adulto nei confronti di un bambino rappresenta una patologia che può dar luogo ad un abuso. Tuttavia è pure evidente che quando tale desiderio non si concretizza in azioni o si manifesta in forme tali da non essere direttamente percepibile dalla vittima (pensiamo ad esempio ad atti di voyeurismo), non sembra appropriato parlare di abuso.
Secondo la definizione proposta dal Consiglio d'Europa (88) nel 1978, per abuso sessuale di un minore deve intendersi «ogni atto o carenza che turbi gravemente i bambini o le bambine, che attenta alla loro integrità corporea, al loro sviluppo psico-fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo, ed ogni atto sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso». Questa definizione solleva il grande problema dell'accertamento e della valutazione del grado di maturità e di capacità critica del minore che sia tale da consentirgli di esprimere realmente il suo libero consenso. Vi è l'esigenza di fissare un'età minima al di sotto dalla quale si può affermare in modo assoluto l'incapacità da parte del soggetto di esercitare tale consenso (89).
Il nostro codice penale fornisce una definizione di "violenza sessuale" (art. 609-bis) riferendosi a "taluno che è costretto a compiere o subire atti sessuali, con violenza o minaccia ovvero mediante abuso di autorità", facendo alcune distinzioni riguardo all'età della vittima per l'inasprimento della pena (un numero maggiore di anni di reclusione). La condizione di minore età costituisce, in tali ipotesi di reato, sia presupposto di violenza indipendentemente dal consenso espresso dalla vittima, sia circostanza aggravante rispetto alla punibilità, sia presupposto d'inferiorità psichica e fisica tipica dei minori, cioè essi si trovano sempre in un rapporto subalterno con l'autore del reato (adulto) e dunque nell'impossibilità di esprimere un consenso consapevole (90).
La scelta compiuta dalla legge italiana n. 66/1996 ("Norme contro la violenza sessuale") è stata quella di introdurre, al posto della precedente normativa (che prevedeva sia l'ipotesi di violenza carnale, sia l'ipotesi di atti di libidine con differenti criteri di valutazione rispetto alle pene), la definizione di un'unica fattispecie di reato (atti sessuali), includendo così, in tale espressione, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore (91) (non contact abuse), come ad esempio nel reato di corruzione di minorenne.
L'elemento costitutivo del reato è la coercizione compiuta sulla vittima, mediante violenza, minaccia o abuso d'autorità, da parte del soggetto agente (che può essere anche un coetaneo del minore aggredito). Il nostro codice penale, infatti, ha stabilito che la differenza di età tra soggetti adolescenti, affinchè si possa escludere una situazione di abuso sessuale, debba essere al massimo di 3 anni (art. 609-quater, 2º comma), purchè il minore ne abbia almeno 13. Con questo comma è stato così riconosciuto il diritto del minore ad esprimere la propria sessualità, senza alcuna penalizzazione.
Nella pratica giudiziaria si cerca però di valutare le varie situazioni di "violenza sessuale sui minori" in base anche alle definizioni date dagli esperti in tali problematiche, che configurano tali reati anche quando la violenza o la minaccia non è presente in modo esplicito. Certo è che una definizione giuridica di un fenomeno, per la sua stessa natura, sarà sempre più ristretta di una sociologica, ma il loro utilizzo è diverso: la prima serve per incriminare un fatto, la seconda per spiegarlo o trovarne la causa. È però auspicabile, perché certamente vantaggioso, il loro utilizzo congiunto per risolvere una questione problematica come quella della violenza all'infanzia (92).
Una delle definizioni, ad esempio, più utilizzate perché ritenuta più appropriata, forse per la sua ampiezza e genericità, è quella avanzata da Kempe (93). L'autore infatti afferma che si deve considerare "abuso sessuale" sui minori: "il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari".
Rientrano in questa definizione gli episodi di pedofilia, di stupro, d'incesto e più in generale di sfruttamento sessuale. Si tratta, ovviamente, di situazioni che possono dar luogo ad episodi molto diversi l'uno dall'altro, in presenza o meno di violenza fisica, ma accomunati dalla caratteristica di agire in modo molto forte sulla vita psicologica e sulle relazioni sociali dei minori, turbandone i processi di sviluppo della personalità e di maturazione della sessualità (94).
Tale definizione evita la specificazione dei singoli atti effettuati e permette così di classificare (e considerare, almeno ai fini dell'intervento clinico e giuridico-protettivo) come abuso anche le prime manifestazioni d'interessamento e di seduzione rivolte dall'adulto al bambino.
Essa ridimensiona anche l'importanza del concetto di violenza (utilizzato invece da altri autori o dalla nostra legislazione come caratteristica essenziale al configurarsi di un'esperienza traumatica), concetto ambiguo e pericoloso da utilizzare quando debba essere applicato a quelle situazioni in cui i legami affettivi siano tanto forti da imporre reazioni di adattamento del bambino, capaci di "diluire" il significato intrusivo e traumatico che la stessa situazione assumerebbe se vissuta al di fuori di quella relazione, senza che ciò significhi danni meno gravi come conseguenza dell'atto stesso (95).
La definizione di Kempe include, infine, il concetto importante di violazione dei tabù sociali, utile quando bisogna stabilire se le interazioni sessualizzate tra minorenni integrano un abuso. Ad esempio la differenza di età tra abusante e vittima, usato sia nel nostro che in altri paesi come criterio per discriminare la liceità delle condotte, può essere insufficiente e portare artificialmente, da un punto di vista legale, ad escludere l'abuso in casi in cui viceversa, sul piano clinico, esistono tutti i presupposti per configurare quella situazione come altamente traumatica.
Alla definizione di Kempe si avvicina quella inserita nella Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia (96), approvata a Roma nel 1998, dove l'abuso sessuale è stato definito come «il coinvolgimento di un minore da parte di un partner preminente in attività sessuale anche non caratterizzata da violenza esplicita», «fenomeno diffuso, che si configura sempre e comunque come un attacco confusivo e destabilizzante alla personalità del minore e al suo percorso evolutivo».

6.2 Gli interventi legislativi contro l'abuso sessuale sui minori
La normativa prima della legge n. 66/96
La violenza sessuale contro i minori non è un fenomeno nuovo, neanche dal punto di vista legislativo: si è rivelato, infatti, come l'abuso fosse contemplato come reato già nell'antico codice di Hammurabi, risalente a 4000 anni fa, il quale prevedeva rigide pene per gli autori.
Nelle antiche civiltà le grandi punizioni previste per tali reati erano per lo più legate al valore attribuito alla verginità, intesa però come "proprietà" dell'uomo, e quindi del padre o del marito o del fratello: la violenza sessuale era così considerata un reato compiuto contro la proprietà (97).
Nel corso dei secoli la commissione dell'abuso sessuale è stata più o meno rilevata a seconda soprattutto dei cambiamenti nei valori etici e sociali dei rapporti umani: il rilevare o il denunciare un abuso sessuale è, ad esempio, incoraggiato ed auspicabile dalla maggior parte delle realtà territoriali attuali, mentre qualche tempo fa costituiva ancora una vergogna e un tradimento nei confronti della famiglia ed era quindi tenuto segreto.
Le evoluzioni della società, inoltre, comportarono anche vari cambiamenti legislativi e, nei codici penali pre-unitari (come in quello toscano del 1853 ed in quello sardo-italiano del 1859) e nel codice Zanardelli del 1889, il delitto di violenza carnale e quello di corruzione di minorenne furono inseriti nei delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie. Ma questo non bastava: ad esempio la libertà sessuale non era neanche menzionata e risulterà espressamente richiamata come tale soltanto nel codice Rocco del 1930 (nel capo I del libro IX) (98).
Quest'ultimo collocò la violenza sessuale nei reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Con ciò venne espressa l'idea di fondo, presente nella tradizione giuridica al momento della codificazione penale italiana: gli interessi connessi alla libertà sessuale erano considerati non interessi intrinsecamente meritevoli di tutela di per sé, in rapporto al valore e alla dignità del soggetto che ne è portatore, bensì interessi necessariamente funzionali ad un altro sovrastante interesse dal quale traevano valore e validità: erano considerati il riverbero del superiore interesse alla pubblica moralità. E quindi l'introduzione dell'autonomo rilievo dato alla libertà sessuale fu una novità rispetto alla tradizione preesistente, ma affievolita da questa visione pubblicistica dell'interesse tutelato (99).
Nei confronti dei minori, il riconoscimento del problema della violenza (seppur inizialmente nei suoi aspetti più eclatanti come l'abbandono, l'incuria e lo sfruttamento sul lavoro) si è però concretizzato veramente nella promulgazione di leggi, nel corso del tempo, volte a favorire un'attività di protezione sempre più articolata e intensa del minore da questi fenomeni. Ogni paese, infatti, dimostra il proprio grado di riconoscimento della violenza sui minori in base all'esistenza o meno di un insieme di norme dirette ad incrementare tali fenomeni ed in base alla loro accuratezza legislativa.
Inizialmente sono stati sanzionati i fenomeni più facilmente percepibili all'estero quali il maltrattamento e l'incuria, seguiti poi dal riconoscimento di forme più "nascoste" quali la violenza psicologica e l'abuso sessuale. Con tale protezione l'ordinamento ha affermato che il valore da tutelare va ravvisato nell'integrità della persona di minore età (100), considerandola come soggetto che ha potenzialità che vanno salvaguardate, ed ha inoltre realizzato una misura preventiva, impedendo indirettamente la commissione di ulteriori reati attraverso la minaccia della sanzione penale.
Purtroppo ci sono ancora molte situazioni pregiudizievoli per i minori che non sono state riconosciute, o comunque dove essi non sono stati tutelati in modo tale da ottenere una "protezione reale". È importante, però, che anche il diritto - seppur con un notevole ritardo - abbia cominciato a riconoscere sia che gli adulti hanno dei doveri nei confronti dei minori, sia che questi ultimi sono portatori di diritti che non solo devono essere rispettati, ma devono anche essere concretamente attuati (101).

La legge n. 66/96: "Norme contro la violenza sessuale"
Una grande innovazione in materia di reati di violenza sessuale è stata apportata, negli ultimi anni, dalla legge n. 66/96 (102), con la quale è stata realizzata la riforma del codice Rocco sull'argomento.
Primo punto cardine della riforma è stato lo spostamento di tale normativa dal capo relativo ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a quello dei delitti contro la libertà personale, con ciò mettendo in evidenza come la tutela offerta da tali disposizioni è rivolta prevalentemente al diritto di autodeterminazione dell'individuo nella sfera dell'attività sessuale (103). È stato quindi abrogato tutto il capo I del titolo IX del libro II del codice penale, relativo ai delitti contro la libertà sessuale, nonché gli artt. 530 (corruzione di minorenne), 539 (età della persona offesa), 541 (pene accessorie agli effetti penali), 542 (querela dell'offeso), 543 (diritto di querela).
Le norme sulla violenza sessuale sono adesso inserite nella sezione II del capo III del titolo XII del c.p., che regola i delitti contro la libertà personale. Con tale nuova sistemazione il legislatore ha voluto affermare che il vero bene leso non è una generica moralità sessuale, il cui titolare è la collettività, ma la singola persona (104), la cui sfera di libertà viene gravemente violata dai comportamenti sanzionati nella legge e la cui personalità risulta essere fortemente compromessa.
Secondo Tullio Padovani (105), però, la nuova collocazione prescelta dal legislatore della riforma risulta priva di qualsiasi intrinseca coerenza con il sistema normativo del codice: la serie delle gravi incriminazioni in materia di violenza sessuale segue, infatti, un modestissimo delitto (art. 609 - Perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie), alterando così in modo tanto vistoso ed incomprensibile la distribuzione dei reati all'interno del codice.
La legge n. 66/96 costituisce, da una parte, un riconoscimento della richiesta del movimento delle donne di giudicare la violenza sessuale come un reato contro la persona, ma sicuramente è anche un atto significativo di adeguamento della legislazione italiana a quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, in particolare agli articoli 19 e 39 riguardanti le misure e le azioni per provvedere alla tutela dei minori da ogni forma di abuso. L'introduzione nel codice penale di un richiamo esplicito e specifico alla protezione dei bambini fu sollecitato all'Italia anche da parte del Comitato ONU sui diritti del fanciullo - organismo di controllo e di monitoraggio sullo stato di attuazione della Convenzione (costituito in base a quanto disciplinato dall'art. 43) - il quale, a seguito della valutazione effettuata nel 1994 sul primo rapporto italiano riguardo alle misure adottate per dare applicazione alla Convenzione stessa, formulò osservazioni e raccomandazioni nei confronti del governo italiano, ma soprattutto incisivo fu il reclamo per l'assenza nel codice penale di un'adeguata protezione dei minori dall'abuso fisico, sessuale e dalla violenza all'interno della famiglia, per la carenza di misure appropriate di ascolto del bambino e per l'insufficiente numero di risorse e servizi appropriati per il recupero psico-fisico dei minori vittime di abusi (106).
Infatti l'art. 19 della Convenzione incita gli Stati ad adottare provvedimenti legislativi, amministrativi, sociali ed educativi per difendere il minore da ogni forma di violenza, oltraggio fisico o mentale, di abbandono, di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, ponendo l'attenzione sul fatto che l'applicazione di tali provvedimenti deve essere necessariamente correlata alla creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l'appoggio necessario al fanciullo e alla sua famiglia (sia questa quella naturale, adottiva o affidataria) e alla predisposizione di strategie di prevenzione e di adeguata indagine sulle condizioni socio-familiari del minore. L'articolo, dunque, sottolinea l'importanza di attivare interventi polisettoriali (107) per tutelare efficacemente il minore, poiché il maltrattamento, lo sfruttamento e l'abuso sessuale sono fenomeni complessi che richiedono un approccio multidisciplinare da parte di ogni operatore e settore operante nelle cinque funzioni fondamentali di tutela: la prevenzione, la rilevazione, la diagnosi, la protezione e la cura/trattamento degli effetti a breve e lungo termine del trauma.
L'articolo 39, inoltre, sancisce la necessità di assicurare interventi integrati di aiuto finalizzati a promuovere la cura e il reinserimento sociale dei minori vittime di qualsiasi forma di abuso che interferisca con il loro normale processo di crescita.
L'abuso sessuale può essere realizzato sia con comportamenti attivi, sia con condotte definite commissive mediante omissione: dunque sia attraverso il compimento di atti sessuali direttamente sul corpo del bambino, sia costringendo quest'ultimo ad assistere a rapporti sessuali. Dunque sono di due tipi le condotte punite dall'ordinamento: quelle poste in essere con costrizione (violenza, minaccia o abuso d'autorità) e quelle poste in essere con induzione (inganno o abuso delle condizioni d'inferiorità fisica o psichica, nel senso di soggezione psicologica) (108).
Le disposizioni della legge n. 66/96 tendono a tutelare qualsiasi persona da illecite e conturbanti invasioni nella propria sfera di libertà, sia essa maschio o femmina, adulto o minore. Una tutela particolare è riservata a quest'ultimo a ragione della sua immaturità psichica e fisica, della sua conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente, della sua inesperienza e delle conseguenze altamente dannose per un suo equilibrato ed armonico processo di crescita (109).
Un altro importante aspetto della riforma è stato quello dell'unificazione delle due precedenti figure di violenza carnale e degli atti di libidine violenta (atti sessuali violenti diversi dalla congiunzione carnale), valutati diversamente rispetto alle pene, nell'unica figura degli "atti sessuali" (art. 609 bis), con ciò volendosi eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole.
Tale unificazione è un chiaro sintomo di cambiamento culturale e di percezione sessuale sia rispetto alla sessualità, sia rispetto al ruolo di "persona". Infatti, prima della riforma si riteneva che la congiunzione carnale dovesse stimarsi, sul piano normativo, figura criminosa di maggiore gravità rispetto agli atti sessuali di natura diversa, non tenendo evidentemente in considerazione né il grado di compromissione della libertà sessuale derivante da atti in cui non si ha la "congiunzione degli organi genitali" (110), nè le conseguenze dannose che ne derivano.
Alla nuova legge, per l'unificazione delle due figure criminose, sono state fatte subito, dalla dottrina, numerose critiche che hanno evidenziato come, per cercare di risparmiare alla persona offesa indagini umilianti e mortificanti (risultato che si voleva perseguire con tale unificazione), occorreva eliminare dal dettato normativo i requisiti della violenza e della minaccia (modalità costitutive delle condotte incriminate) e sostituirli con altri, quali ad esempio l'assenza di consenso o il dissenso, maggiormente rispettosi della persona e più rispondenti alla realtà dei fatti.
È stato infatti rilevato che con tale unificazione non si può esonerare la vittima dal sottoporsi a tutte le visite medico-legali ed ai colloqui, che seppur frustranti e dolorosi, sono comunque attività necessarie per l'attività giudiziaria, in quanto volte a valutare l'esistenza, la consistenza e le modalità esecutive dell'atto. Infatti abolire ogni riscontro sulla vittima del reato porterebbe a riconoscerle il potere di qualificare direttamente i fatti, da lei denunciati, come verificatisi, ma questo è contrario ad ogni logica giuridica (111). L'unica funzione che può essere riconosciuta all'unificazione delle condotte illecite è quella di far sì che gli inquirenti, di fronte ad un caso sospetto o accertato di abuso sessuale, non debbano ricercare la specifica norma da applicare al caso concreto, ma possano utilizzare quella che prevede la generica azione di compiere "atti sessuali".
La critica si è rivolta anche alla scelta di tale terminologia generica, la quale sembra non permettere l'individuazione esatta dei confini del fatto illecito. Le motivazioni del legislatore di voler, in questo modo, salvaguardare la riservatezza della persona offesa dalle indagini volte all'accertamento della verità non riescono a giustificare la conseguente violazione del principio di tassatività (contenuto implicitamente nell'art. 25 Cost.), che impone al legislatore di delineare in maniera precisa l'azione delittuosa, per far sì che ognuno sappia distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Tutto ciò ha portato alcuni giuristi a prospettare l'illegittimità costituzionale dell'art. 609 bis (112).
La legge n. 66/96 individua quattro figure criminose di violenza sessuale in senso ampio: la violenza sessuale propriamente detta, gli atti sessuali con minorenne, la corruzione di minorenne e la violenza sessuale di gruppo.

La violenza sessuale e gli atti sessuali con minorenne
Per i minori la nuova normativa ha predisposto una rete di particolare protezione: infatti ha previsto, in primo luogo, la minore età fra le aggravanti specifiche della violenza sessuale (113).
La riforma ha disciplinato sia le condotte di violenza sessuale propria (art. 609 bis), nelle quali la minore età della persona offesa costituisce una mera circostanza aggravante dell'aggressione, sia gli atti sessuali consensuali compiuti con un minorenne (la cosiddetta violenza sessuale presunta o impropria), quegli atti, cioè, che il minorenne compie volontariamente, senza che sia utilizzata violenza o minaccia.
Fino a quattordici anni, di regola, il minorenne non può validamente consentire al compimento di atti sessuali (art. 609 quater n. 1 c.p.): infatti il compimento, senza violenza né minaccia, di tali atti nei confronti di un soggetto che non abbia raggiunto tale limite di età è equiparato a tutti gli effetti alla violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) (114).
Tale limite di età viene elevato a sedici quando l'autore rivesta una particolare qualifica che comporti un contatto più diretto e frequente con il minore (come ad esempio il genitore), o un'autorità su di lui, oppure un particolare carisma nei suoi confronti (art. 609 quater n. 2 c.p.).
Le due disposizioni enunciano due presunzioni assolute (che non ammettono prova contraria) di invalidità del consenso prestato dal minore (anche senza l'utilizzo di violenza o minaccia) al compimento di atti sessuali. L'assolutezza di tali presunzioni risiede in ciò che il soggetto agente non è mai ammesso a provare: cioè che il minore, nonostante fosse di età inferiore ai limiti fissati dalla legge, avesse nel caso concreto la maturità e la consapevolezza sufficienti a consentire validamente al compimento degli atti sessuali (115).
La prima presunzione assoluta, enunciata nel n. 1 dell'art. 609 quater c.p. e relativa all'invalidità del consenso prestato dal minore infraquattordicenne, è completata dal disposto dell'art. 609 sexies c.p., per il quale l'autore del reato non è mai ammesso a provare l'errore sull'età della persona offesa. Quindi, la legge presume che l'autore conosca l'età della vittima e l'ignoranza non rileva neanche se è stato cagionato dal dolo malizioso del minore (il quale, ad esempio, ha mostrato un documento sul quale, per errore dell'Amministrazione che lo ha rilasciato, compaia una data di nascita non vera ed anteriore a quella reale).
Il significato del limite minimo di quattordici fissato dal legislatore risiede nella presunzione che prima di tale età il minore non abbia alcuna possibilità di avvertire in maniera limpida e non traumatica i mutamenti fisiologici, inerenti allo sviluppo, che si sono appena verificati o che si stanno verificando in lui (116). Si è voluto così tutelare l'inviolabilità sessuale del minore, in quanto si tratta di un soggetto considerato dall'ordinamento incapace di manifestare un valido consenso all'atto sessuale (117). E l'esigenza di proteggere assolutamente il minore in tale fase ha portato all'emanazione dell'art. 609 sexies c.p.
La seconda presunzione, enunciata nel n. 2 dell'art. 609 quater c.p., è relativa ai minori di età compresa tra i quattordici e i sedici anni: essi, in linea di principio, sono ritenuti capaci di esprimere un valido consenso ai fini del compimento di atti di natura sessuale, ma non nei confronti di persone cui il minore sia legato da rapporti qualificati.
Tale norma, infatti, opera solo nei confronti di alcuni particolari soggetti agenti: commette reato chi compie atti sessuali consensuali con una persona che (pur avendo compiuto quattordici anni) non abbia ancora compiuto i sedici, quando ne è l'ascendente, o il tutore, o abbia con lui un rapporto di convivenza, o comunque rivesta una particolare funzione di supremazia nei suoi confronti.
Il rapporto di convivenza, in quanto circostanza aggravante, tiene conto di fattori che non solo fanno riferimento alla relazione tra abusato e abusante, e pertanto alla frattura di qualsiasi fiducia e senso di sicurezza che possa esistere tra adulto e minore, ma anche alla continuità dell'abuso nel tempo, che caratterizza quegli abusi compiuti ove esista un rapporto di convivenza che, è dimostrato, contiene contenuti di invasività e traumaticità maggiori rispetto ad episodi isolati (118).
Infatti, quando l'abuso diviene una relazione protratta nel tempo contribuisce ad una vera strutturazione progressiva (119) della personalità del minore, caratterizzata da insicurezza e paura degli altri, che condiziona la qualità delle relazioni future familiari ed extrafamiliari. L'importanza della relazione abusato-abusante è pertanto ribadita anche dalla normativa, oltre che dagli esperti in chiave di valutazione clinica e psicodiagnostica.
In queste ipotesi, il bene giuridico tutelato è l'intangibilità sessuale relativa. Il legislatore ritiene che il minore non sia in grado di esprimere un consenso libero ed inoltre che il tipo di rapporto con il soggetto agente non è compatibile con il compimento di atti sessuali, essendovi il rischio di una strumentalizzazione della fiducia del minore stesso (120).
Il fondamento logico della presunzione di invalidità del consenso prestato al minore dei sedici anni risiede nella convinzione che l'agente può avere - e spesso ha - un notevole ascendente sui minori affidatigli. La sua posizione, infatti, può spesso determinare nel minore un sentimento che non si sviluppa e non si manifesta in maniera consapevole e libera da condizionamenti, ma risente il più delle volte del concorso di fattori inerenti alla situazione concreta, i quali possono indurre il minore (che a quell'età può sicuramente essere ancora confuso sia sotto il profilo esistenziale, che sotto i profili fisiologico e psicologico) a delle scelte compiute con poca riflessione (ad esempio il caso dell'allieva dei primi anni delle scuole superiori che si invaghisce dell'aitante e giovanile insegnante) (121). L'instabilità emotiva e passionale sono caratteristiche peculiari del periodo adolescenziale e da questo si comprende l'opportunità della tutela apprestata dall'ordinamento contro possibili strumentalizzazioni da parte di adulti di tale vulnerabile personalità.
In considerazione di tali situazioni, il legislatore si è quindi preoccupato di proteggere gli infrasedicenni colpendo con la sanzione penale quei soggetti i quali, pur senza violenza o minaccia, comunque approfittino di essi.
La norma, però, pare gravemente discriminatoria per tutte quelle vittime di abuso sessuale intrafamiliare che hanno più di 16 anni e che si trovano nell'imbarazzante situazione di dimostrare di essere state costrette al rapporto incestuoso con violenze e minacce (122).
Poiché gli abusi, solitamente, avvengono in assenza di testimoni e la violenza psicologica a cui sono sottoposte è impossibile da dimostrare in sede processuale, le vittime rischiano di veder cadere tutte le loro accuse.
Inoltre, l'incesto non si limita quasi mai ad un solo episodio: in generale si tratta di una relazione che dura per anni e che quasi sempre inizia durante l'infanzia della vittima; non si può dunque pensare che un minore, che comincia a subire abusi da piccolissimo, sia in uno stato di soggezione verso il proprio violentatore fino a 16 anni, mentre, da allora in poi, il rapporto di subalternità psicologica fino a quel momento subìto improvvisamente si rompa.
Il legislatore, invece, dà per scontato che debba subentrare il coraggio di ribellarsi: se non c'è stata ribellione, si ritiene che la vittima sia consenziente (123).
Questa seconda presunzione, però, non è completata da alcuna norma analoga all'art. 609-sexies c.p., quindi l'autore del fatto può sempre provare l'errore sull'età del soggetto passivo, purchè la falsa rappresentazione della realtà consista in un errore di fatto (ad esempio nel caso di un documento contenente dati anagrafici inesatti), e non di diritto (quale sarebbe, ad esempio, quello sul computo dei termini e dell'età secondo il diritto civile vigente). Ciò, in linea teorica, vale anche quando autore del fatto sia l'ascendente, o il genitore adottivo, o il tutore, o l'abituale convivente: non sembra possibile, però, ipotizzare un solo caso concreto nel quale questi soggetti possano ragionevolmente sostenere l'ignoranza dell'età del minore (124).
Dunque il contenuto di queste presunzioni può essere sintetizzato nei seguenti enunciati:
1. l'autore delle condotte indicate non è mai ammesso a provare che, nonostante l'età inferiore ai 14 o ai 16 anni (a seconda dei casi), il minore abbia dato il proprio consenso con libertà e consapevolezza;
2. nel caso di soggetto passivo di età inferiore ai 14 anni, l'autore non è mai ammesso a provare l'ignoranza sull'età della vittima;
3. nel caso di soggetto passivo fra i 14 e i 16 anni, l'errore sull'età della vittima, consistente in errore di fatto, ha efficacia scriminante secondo il disposto dell'art. 47 c.p. (125)

Atto sessuale su minore compiuta con violenza o minaccia
(violenza sessuale propria)
Età del minore Atto sessuale su minore consenziente
(violenza sessuale presunta o impropria)
- Reclusione da 7 a 14 anni.
- Procedibilità d'ufficio.
Minore al di sotto di 10 anni. - Il consenso a compiere atti sessuali è invalido perché il minorenne è ritenuto per legge immaturo per prendere decisioni di tal genere.
- Reclusione da 7 a 14 anni.
- Procedimento d'ufficio.
- Reclusione da 6 a 12 anni.
- Procedibilità d'ufficio.
Minore tra 10 e 14 anni. - Di regola, il consenso è invalido, salvo eccezioni.
- Reclusione da 5 a 10 anni.
- Procedibilità a querela.
(N.B.) Eccezione = Il consenso del minore tra 13 e 14 anni rende non punibile il patner minorenne che ha non più di 3 anni rispetto al primo (609-quater, 2º comma c.p.).
- - Reclusione da 5 a 10 anni.
- - Procedibilità a querela.
Eccezione = procedibilità d'ufficio se l'autore del reato è il genitore anche adottivo o la persona cui il minore è affidato (609-septies, 4º comma, n. 2).
Minore al di sopra di 14 anni. - - Di regola il consenso è valido (l'atto è lecito penalmente).
Eccezione = se il minore è al di sotto di 16 anni è punibile il colpevole che ne sia il nonno, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui per ragioni di cura educazione, istruzione, vigilanza o custodia il minore è affidato, o che abbia col minore una relazione di convivenza (609-quater, 1º comma, n. 2 c.p.). Soltanto in questi casi si procede d'ufficio.

Sul problema rappresentato dagli atti sessuali consensuali compiuti fra minorenni, la previgente normativa non prevedeva disposizioni in merito e ciò era considerato come uno dei profili di maggiore inadeguatezza di essa. Una volta confermato che il limite, al di sotto del quale il consenso prestato dal minore al rapporto sessuale deve ritenersi invalido, era 14 anni (e dunque rifiutata la proposta dei fautori della libertà, anche sessuale, dei minori di abbassare il limite a 12 anni), è emerso il problema di trovare una giusta soluzione per evitare di compiere una compressione troppo forte della personalità dei minori (126).
Dopo un lungo dibattito, la soluzione di compromesso (127) tra la tutela del minore e il riconoscimento, nell'ambito giuridico, della sua capacità di autodeterminazione è stata raggiunta con la previsione di una particolare causa di non punibilità dei rapporti sessuali tra minorenni, inserita nella legge n. 66/96 all'art. 609 quater, comma 2, c.p.
Secondo tale articolo, le effusioni compiute fra adolescenti, purchè siano consensuali, sono consentite alla duplice condizione che il più piccolo dei due abbia compiuto almeno i tredici anni e che non vi sia fra di loro una differenza di età superiore a tre anni.
Riguardo all'elemento necessario del consenso del minore che ha compiuto almeno tredici anni, sarebbe più corretto parlare di "mancanza di costrizione" all'atto sessuale. In realtà, secondo alcuni autori (128), essendo l'intera normativa indirizzata verso una tutela rafforzata nei confronti del minore, sarebbe stato più opportuno non limitarsi ad un richiamo alla mancanza di costrizione e richiedere, viceversa, un espresso consenso. In tal modo si sarebbe dovuto anche accertare, caso per caso, se il minore avesse realmente avuto quella capacità (naturalistica) che permette di vedere quell'atto come espressione della sua libertà.
Tale norma consente di contemperare il dato sociale esistente e non discutibile degli atti sessuali compiuti fra teenager con le esigenze di tutela dell'armonia di crescita del minore. Si è cercato, cioè, di porre una distinzione tra le condotte che costituiscono un'interferenza degli adulti nello sviluppo del minore e quelle che, viceversa, costituiscono esperienze spontanee tra adolescenti.
È certo che la previsione di rigidi limiti temporali (tredici anni compiuti, non oltre tre anni di differenza), come in tanti altri casi nell'ordinamento giuridico, può suscitare qualche perplessità (129): tanti giovani si domanderanno sicuramente perché non possono avere una relazione con un partner che ha tre anni e un giorno meno o più di loro. È però necessario evidenziare che un limite doveva essere imposto dal legislatore per rispettare la codificazione normativa e l'odierna soluzione sembra rappresentare la più semplice da applicare e la più efficace per la tutela del minore (anche da un punto di vista di crescita personale).
Con questa disposizione è stata prevista una causa personale di non punibilità (130), che consegue ad una valutazione di mera opportunità politica-criminale. Il bene giuridico tutelato dall'ordinamento nel caso di atti sessuali con minorenne (cioè la sua intangibilità sessuale) viene meno, in questa ipotesi, perché il minore si trova in una fascia di età in cui il legislatore ritiene non debba sussistere una tutela particolare nei suoi confronti, purchè però si tratti di rapporti consensuali tra coetanei.
Un grande problema interpretativo, posto dalla nuova normativa, è stato quello della previsione, all'art. 609-bis, co. 3, c.p., "dei casi di minore gravità", nei quali la pena è diminuita fino a due terzi così da rendere possibile il patteggiamento.
La difficoltà consiste nel fatto che né la legge n. 66/96, né il sistema normativo nel suo complesso forniscono alcuna indicazione per poter comprendere il vero significato di tali casi. Ne consegue che è il giudice a dover valutare concretamente il caso secondo una sua valutazione soggettiva e questo comporta enunciazioni diverse di fronte a casi simili. Il grave danno sembra doversi registrare a carico di quei minori che, per la situazione di abuso che hanno vissuto (ad esempio intrafamiliare), non hanno il coraggio di denunciare e così il loro silenzio, magari accompagnato anche da atteggiamenti affettivi nei confronti proprio del loro presunto abusante, rendono concreta l'ipotesi del "caso di minore gravità" (131).
Infine, i fatti di violenza sessuale, siano essi consensuali o meno, sono puniti in maniera particolarmente grave (reclusione da 7 a 14 anni) ove il soggetto passivo abbia un'età inferiore a 10 anni. Con tale disposizione il legislatore ha voluto dare una risposta forte ad un fenomeno grave che ormai sta emergendo anche nei paesi industrializzati: la pedofilia (132).

Il reato di corruzione di minorenni
La legge n. 66/96 ha totalmente riformulato la definizione del reato di corruzione di minorenne (art. 609 quater), configurandolo nelle ipotesi in cui vengono compiuti atti sessuali in presenza di minore di anni 14 al fine di farlo assistere a tali atti e prevedendone la procedibilità d'ufficio.
La condotta è punibile solo se compiuta al preciso fine di fare assistere il minore a tali atti (si tratta cioè di una fattispecie a dolo specifico), mentre non rileva penalmente se l'azione è compiuta, pur consapevolmente in presenza del minore, per un fine diverso, quale potrebbe essere quello della mera soddisfazione del piacere personale (ad esempio nel caso di rapporti fra coniugi costretti a coabitare nella medesima stanza con figli di età inferiore a quattordici anni) (133). Inoltre, per integrare tale fattispecie di reato, occorre comunque che il minore abbia un'età tale da poter rimanere influenzato dall'episodio cui assiste. Questo è, infatti, l'ultimo indirizzo della giurisprudenza che ritiene sussistente il reato solo nel caso in cui il minore abbia la possibilità di percepire l'atto lascivo nella sua materiale realtà(il che non si verificherà, ad esempio, nel caso del neonato o del minore di un anno) (134). Questo è considerato un aspetto particolarmente preoccupante, considerando il fatto che spesso i minori sono costretti a vivere, in certi ambienti, in condizioni di promiscuità, per cui non possono evitare di assistere al compimento di atti sessuali fra adulti, con i danni che ne conseguono per la loro personalità in sviluppo (135).
Infine, va notato che il reato di corruzione di minorenne è un reato di pericolo e non di danno. Ciò implica che, per la consumazione delittuosa, non è necessaria l'effettiva corruzione, ma è sufficiente l'apprezzabile possibilità di tale evento da valutarsi in relazione alle circostanze di tempo, di luogo, di modalità in cui si compie l'azione e alle condizioni personali del soggetto passivo (136). La giurisprudenza, con la sentenza 25/2/69, ha ritenuto che il reato non sussistesse quando il minore, pur trovandosi nel luogo dell'attività, stesse dormendo, perché in tal caso il pericolo di corruzione non deve essere confuso con il pericolo di risveglio del minore.
La predisposizione di questo reato, contemplando il caso in cui siano compiuti "atti sessuali" in presenza di minore di 14 anni al fine di farlo assistere ad essi, è rivelatrice del chiaro intento del legislatore di voler rendere legittima la consumazione di atti sessuali nei confronti o in presenza di un minore di età tra i 14 e i 16 anni, purchè consenziente e non avente legami con il soggetto agente tra quelli indicati nell'art. 609-quater n. 2. Infatti, il vecchio testo di questa ipotesi di reato (art. 530 c.p.) prevedeva due diverse situazioni criminose (137) (e cioè il fatto di colui che, al di fuori dei casi di violenza carnale e atti di libidine violenti, commette atti di libidine su o in presenza di un minore di sedici anni e il fatto di chi induce un minore di sedici anni a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri), nelle quali veniva tutelato maggiormente il minore tra i quattordici e i sedici anni - in quanto per l'infraquattordicenne trovavano applicazione le specifiche norme relative alla violenza carnale e agli atti di libidine violenti (artt. 519, 520, 521) - e il minore di quattordici anni che si trovava in tutte quelle ipotesi in cui i fatti non potevano rientrare nelle precedenti fattispecie.
Importante è stata, inoltre, l'abolizione, da parte del legislatore, della causa di non punibilità, prevista dalla vecchia disciplina nell'art. 530 c.p., costituita dal fatto che il minore fosse "persona già moralmente corrotta". Tale disposizione, infatti, presupponeva l'irreversibilità della personalità del minore che aveva vissuto esperienze corruttive o perverse nei suoi confronti, quando invece, essendo un soggetto in piena formazione e non ancora strutturato e stabilizzato, deve fortunatamente essere ritenuto capace di recupero (138).

La legge n. 269/98: "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù"
Con la legge n. 269/98 sono state previste tutte le incriminazioni corrispondenti agli ulteriori sviluppi dell'attività criminale riguardo allo sfruttamento sessuale dei minori e, in specie, il fenomeno dilagante della pedofilia. La legge è stata redatta in adesione alla Convenzione sui diritti del fanciullo (ratificata ai sensi della legge n. 176/91) e alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma del 1996, la quale si concluse con l'approvazione del Progetto delle dichiarazioni di intenti e del programma operativo, in cui si poneva come obiettivo la cooperazione a livello locale, nazionale, regionale ed internazionale dei paesi aderenti per combattere il fenomeno.
Sono dunque perseguibili condotte quali l'induzione e lo sfruttamento della prostituzione del minore di 18 anni, anche quando il fine è quello di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, la distribuzione o la divulgazione (anche per via telematica) di tale materiale o di informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento di minori ed inoltre la prostituzione minorile a scopo di turismo sessuale (139).
L'aspetto più interessante di questa normativa, non solo dal punto di vista giuridico e criminologico, ma anche etico e sociale, è costituito dall'aver inserito tali condotte in una definizione più ampia di "riduzione in schiavitù di minori", coinvolti in attività sessuali e, dunque, la loro collocazione sistematica tra i "reati contro la personalità individuale", in quanto considerate condotte criminali che compromettono la libera determinazione della "personalità individuale" del minore in crescita. La legge così mostra di considerare, come bene giuridico leso dalle nuove fattispecie di reato, lo sviluppo della personalità del minore sotto il profilo però della sua libera autodeterminazione piuttosto che della cosciente esplicazione della libertà personale (come invece ha fatto la legge n. 66/96) (140). Le nuove figure di reato, infatti, non incriminano gli atti sessuali compiuti con violenza o minaccia (e dunque in assenza del libero consenso della vittima), ma lo sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile, che oltre ad essere di per sé atti caratterizzati da profondo disvalore sociale e morale, costituiscono anche una grave lesione alla personalità individuale di soggetti che, a causa dell'età, non sono completamente in grado di autodeterminare la propria condotta.
L'elemento discriminante dalla legge n. 66/96 è costituito sia dalla finalità di lucro che il coinvolgimento del minore in tali attività comporta, sia dalla differenziazione di queste tipologie di comportamento da altre forme di abuso sessuale su minore di tipo familiare o extrafamiliare ove non sia presente però la finalità economica. Il legislatore, dunque, ha inteso colpire la cosiddetta "mercificazione professionalmente organizzata del sesso minorile" (141), con riguardo sia alle prestazioni sessuali vere e proprie, sia alla creazione o riproduzione di suoni o immagini a contenuto erotico.
In Italia la prostituzione minorile coinvolge sia minori italiani che stranieri, questi ultimi spesso vittime della tratta, un crimine che si fonda sulla compravendita e lo sfruttamento di esseri umani sottratti con violenza o inganno dai luoghi di origine, portati nei Paesi occidentali e venduti come schiavi. Numerose vittime sono state rapite da organizzazioni criminali internazionali, altre sono state vendute dalle proprie famiglie o attirate con false promesse di lavoro.
Non è facile quantificare il numero di minori che sono costretti a prostituirsi in Italia perché esistono, specialmente nel caso di minori italiani, numerose situazioni di prostituzione familiare o amicale che è difficile portare alla luce (142).
La lotta contro la prostituzione minorile richiede, dunque, uno sforzo di coordinamento sia a livello locale che nazionale ed internazionale perché l'organizzazione del crimine è complessa e articolata. Per perseguire tale reato è necessario anche un efficace coordinamento con i paesi destinatari dei flussi di turisti interessati a questo tipo di mercato: le polizie locali, infatti, sono autorizzate a segnalare agli organismi internazionali la nazionalità di coloro che sono considerati sospetti autori di violenze sessuali sui minori nei paesi di destinazione "turistica".

Le attività svolte dopo la legge n. 269/98
Dopo la ratifica della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, gli appuntamenti considerati più significativi per valutare il più recente percorso compiuto dall'Italia nella prevenzione e nel contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti sono stati due: il Secondo congresso mondiale di Yokohama contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori (svoltosi nel dicembre del 2001) - preceduto da importanti conferenze intergovernative che hanno consentito di avviare un confronto a livello regionale - e la Sessione speciale delle Nazioni unite sull'infanzia (143).
La Sessione speciale di New York ha verificato i risultati, gli obiettivi e gli impegni che erano stati presi con la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Inoltre, in occasione del primo incontro mondiale sull'infanzia nel 1990 (al quale ha partecipato anche l'Italia), è stato adottato il documento A World Fit for Children, nel quale la lotta contro ogni forma di violenza, abuso e sfruttamento sessuale a danno di bambini ed adolescenti è stata riaffermata tra le priorità assolute dell'attività politica internazionale.
In tale testo i fenomeni di abuso e violenza sui minori vengono additati come fossero "un'epidemia", contro la quale ogni "attività strategica" di contrasto (legislativa, sociale, culturale, economica, sanitaria, educativa, ecc.) si presenta complessa e destinata ad incontrare non poche difficoltà.
Vengono segnalate una serie di azioni che i paesi devono attuare in modo prioritario nella lotta contro ogni forma di violenza ed in particolare contro la tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori: ridurre e contrastare ogni forma di discriminazione sociale e culturale e di emarginazione, da cui possono generarsi le condizioni che favoriscono l'abbandono e lo sfruttamento dei minori; attivare le istituzioni, la società civile e le comunità locali affinchè ci sia una diffusa assunzione di responsabilità rispetto al problema "sia nel Nord che nel Sud del mondo"; garantire ogni misura di protezione che risulti necessaria; provvedere al recupero, al reinserimento sociale e alla cura dei minori vittime dei vari fenomeni di violenza (144). Tale documento si configura come uno stimolo per l'Italia a proseguire lungo i percorsi già avviati, a migliorarli e ad aprirne di nuovi. Infatti deve essere fatto ancora molto per riuscire ad ottenere migliori condizioni di vita per i minori vittime di tali fenomeni e per prevenire a livello primario, l'insorgere del trauma della violenza e, a livello secondario e terziario, l'aggravarsi dei danni e degli effetti conseguenti (145).
Successivamente, in preparazione del Congresso di Yokahama, si è svolta a Budapest, nel novembre 2001, una Conferenza intergovernativa, conclusasi con l'adozione del Commitment and Plan of Action for Protection of Children from Sexual Exploitation in Europe and in Central Asia. Questo documento è molto chiaro nell'indicare che il criterio-guida, che le politiche nazionali e sovranazionali devono seguire per contestare contro ogni forma di violenza sull'infanzia, deve essere quello della logica "zero tolerance" (146), la quale si concretizza in una serie di comportamenti che ogni paese deve realizzare integralmente come propria strategia d'azione, senza prevedere eccezioni: prevenire e reprimere la violenza sui minori, proteggerli, applicare ed adeguarsi alla normativa, integrare e programmare gli interventi.

La legge n. 154/01: "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari"
Grande importanza ha avuto l'emanazione della legge n. 154/2002, la quale ha introdotto (all'art. 282-bis c.p.p.) la misura coercitiva dell'allontanamento del familiare violento. La ratio della norma è stata quella di predisporre un rimedio rapido ed efficace nei casi più gravi di violenza in famiglia, di pornografia e di sfruttamento della prostituzione minorile, attuati in danno dei prossimi congiunti o del convivente. Gli ordini, che possono anche essere emessi dal giudice laddove non si sia in presenza di reati perseguibili d'ufficio, possono essere di vario tipo: allontanamento dalla casa familiare (anche se questa è di proprietà esclusiva del soggetto allontanato), divieto di frequentazione di luoghi in cui abitualmente si trova il minore, obbligo di pagamento di un assegno al familiare che permanga in uno stato di bisogno.
Anche in precedenza era possibile ottenere misure di allontanamento, ma la novità (147) della legge sta nella possibilità di farvi ricorso anche laddove non si sia di fronte a situazioni che si configurano come reato accertato: è il caso degli ordini di protezione emanabili in sede civile, ma in presenza di una certa situazione di grave e pregiudizievole disagio (condizione che si può verificare in casi di grave e ripetuta "violenza assistita" (148), trascuratezza e maltrattamento psicologico ai danni di minori). Con questa normativa, dunque, si è registrato un importante progresso perché è stata eliminata l'ingiustizia, finora realizzata, per cui il minore diventava vittima due volte: prima perché subiva l'abuso, poi perché subiva anche l'allontanamento da casa (149).
È inoltre interessante rilevare che in questa legge è presente un altro aspetto fortemente innovativo: l'introduzione di una più ampia definizione di violenza (150), che viene individuata in tutte quelle situazioni di grave pregiudizio dell'integrità (fisica o morale) o della libertà di un componente qualsiasi del nucleo familiare causate da un altro componente della famiglia (legittima o naturale).
Dal punto di vista dei minori, la legge riconosce il diritto del bambino a non essere sradicato dal proprio ambiente familiare quando sia necessario porlo al riparo dal ripetersi della violenza. Sotto questo aspetto, per poter applicare attentamente la legge, è necessaria la collaborazione tra magistratura e servizi sociali (151), perché è ormai dimostrato che un genitore non abusante o maltrattante non è per questo necessariamente protettivo e, anzi, necessita anch'esso di un forte sostegno. Purtroppo la difficoltà di tale integrazione comporta una scarsa applicazione della legge. Ma va anche ricordato che, se da un lato, si può considerare l'introduzione di tali norme come un fatto positivo, dall'altro, è opportuno (specialmente nei casi di abuso sessuale e di maltrattamento grave) una valutazione attenta della protettività del genitore che rimane con il minore. Non può, infatti, essere esclusa l'ipotesi che tale adulto di riferimento abbia comportamenti fortemente ambivalenti nei confronti del coniuge maltrattante o abusante allontanato e possa agire sul figlio con minacce e ritorsioni (152).

6.3 La realtà dell'abuso: elementi descrittivi
Un'importante ricerca sull'argomento è stata quella compiuta da Sgroi, Blick e Porter (153), i quali nel 1982 hanno individuato varie fasi dell'abuso sessuale, che si ripetono ancora oggi:
1. fase dell'adescamento: l'abusante mette in atto una serie di comportamenti per attirare su di sé il minore, separandolo dagli altri componenti della famiglia, in particolare dalla madre e creando delle situazioni che lo facilitino nei suoi piani;
2. fase dell'interazione sessuale: durante la quale l'abusante passa a forme di violenza via via sempre più intrusive e devastanti (ad esempio da discorsi pornografici a esibizionismo, voyeurismo, a contatti fisici fino alla penetrazione, a volte con il coinvolgimento anche di altri minori, o inducendo il/la bambino/a a compiere a sua volta atti sessuali su fratelli e sorelle più piccoli;
3. fase del segreto (il quale è presente anche nella fase precedente): in cui l'abusante costringe con vari mezzi il minore al silenzio;
4. fase dello svelamento dell'abuso;
5. fase della rimozione: caratterizzata dal tentativo di negare la realtà dell'abuso o di minimizzarlo, o di negare o minimizzare il danno derivato al/alla bambino/a dall'abuso stesso (154).
Più recentemente, la Commissione Scientifica "Monitoraggio del maltrattamento" del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia (CISMAI) ha realizzato nel 1999 una rilevazione del maltrattamento e dell'abuso sessuale sui minori sulla base dei dati raccolti da alcuni centri e servizi del CISMAI in relazione ai casi di maltrattamento e/o abuso sessuale segnalati o in carico a tali enti negli anni 1998 e 1999. Alla rilevazione hanno partecipato 7 centri o servizi aderenti al Coordinamento e, di questi, 2 sono servizi/centri pubblici, mentre 5 sono servizi/centri privati (che spesso hanno però convenzioni con gli enti pubblici per gestire l'intervento nei casi di abuso sessuale su minori).
Il materiale raccolto è riferibile a 928 minori segnalati o in carico negli anni indicati (155).

Nome Centro/Servizio Provincia N. casi
CAF Milano 189
CBM Milano 326
Fondazione Maria Regina Teramo 34
Centro Infanzia Violata Roma 29
Numero Blu Cagliari 178
Servizio Tutela Minori Desio - Seregno 79
Centro Tutela Bambino-TCF Bergamo 93
TOTALI 7 928

Rilevazione della violenza sui minori nei centri CISMAI

Lo strumento per la rilevazione è stato una scheda specifica, elaborata in tre anni dalla Commissione.
Riguardo alle varie tipologie di violenza, dal diagramma relativo (realizzato dalla ricerca del CENSIS) risulta che dopo le situazioni a rischio di violenza (oltre il 26%) e la trascuratezza (quasi il 22%) - situazioni queste in cui dovrebbe maggiormente operare l'attività di prevenzione - la tipologia di violenza percentualmente più commessa è l'abuso sessuale (circa il 20%).

Emerge, dunque, l'immagine di un bambino abbandonato a se stesso, non stimolato, non curato, isolato affettivamente e spettatore della conflittualità in famiglia che spesso arriva a coinvolgerlo.
Tali violenze, secondo questa ricerca (156), sono commesse, nella quasi totalità dei casi, in ambiente domestico (91%).

Anche da un'altra ricerca (157) svolta nel 2002, dalla Scuola Romana Rorschach (Centro studi e intervento infanzia violata), sui dati raccolti da 35 audizioni protette di minori sessualmente abusati, è stato confermato quest'ultimo risultato. L'abuso sessuale è stato distinto in:
- abuso sessuale intrafamiliare ed intradomestico: quando l'abuso sessuale è commesso dal genitore o comunque da un parente convivente con il minore;
- abuso sessuale intrafamiliare ed extradomestico: quando l'abuso è perpetuato da un parente non convivente o da un amico di famiglia;
- abuso sessuale extrafamiliare: quando l'abuso è compiuto da un soggetto estraneo al minore e/o alla famiglia.

Le tipologie dell'abuso sessuale

È emerso che si ha un numero più elevato di casi di abuso sessuale intrafamiliare extradomestico. Considerando poi, oltre a questa, la percentuale dei casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico, il numero dei casi di abuso intrafamiliare risulta fortemente maggiore rispetto a quello dei casi di abuso extrafamiliare. Dalla ricerca del CENSIS (158) risulta infatti che chi ha compiuto violenza è in prevalenza il padre (autore principale o unico), seguito dalla madre (secondo autore).

Tipo violenza Autore principale Secondo autore Terzo autore
Abuso sessuale Padre Estraneo Sconosciuto
Maltratt. Fisico Padre Madre Sconosciuto
Trascuratezza Padre Madre Altri parenti
Maltratt. Psicologico Padre Madre Altri parenti
Situaz. a rischio Padre Madre Altri parenti
Ipercura Padre/Madre Madre/Padre -

Relazione tra autore e vittima della violenza

Definire il contesto dell'abuso significa, in primo luogo, comprendere il tipo di relazione esistente tra l'abusante e la vittima (159). Infatti, la violenza compiuta dall'estraneo è sicuramente diversa da quella massa in atto dal padre incestuoso, così come è diversa quella compiuta dal vicino di casa o dal conoscente.

Soggetto agente MILANO NAPOLI VENETO
Padre-patrigno 16 23 14
Altro familiare 4 19 4
Fidanzato - 18 1
Amico 2 5 6
Insegnante 10 - 7
Conoscente 28 14 13
Persona "autorizzata" 10 2 11
Estraneo 30 19 44
Totale 100 100 100

Relazione tra l'abusante e la vittima (valori percentuali)

Una particolare categoria di abusanti è quella delle cosiddette "persone autorizzate", cioè di coloro che, in virtù dell'attività che svolgono (infermiere, medico, ecc.), hanno l'opportunità di entrare in relazione con la vittima in maniera naturale (160).
Le violenze che il bambino subisce nell'ambito familiare sono, comunque, quelle più rilevanti perché la carenza di un sostegno o dell'affetto della famiglia è quella che più gravemente condiziona la regolare strutturazione della personalità e l'adeguato sviluppo del processo di socializzazione del bambino. La famiglia abusante non è soltanto la famiglia autoritaria e dispotica, né solo quella sfruttatrice in senso economico del bambino (considerato come "merce"). Può danneggiare il minore anche la famiglia che, per rispettare "troppo" la sua libertà, lo lascia solo ad esplorare la vita; quella che - per assicurargli un luminoso avvenire - è particolarmente esigente e perfezionista; quella che per iperprotezionismo gli impedisce di fare esperienze significative e strutturanti perché tutto costituisce pericolo; quella ripiegata narcisisticamente su se stessa e quindi portata ad inculcare nel figlio l'idea che tutto il mondo è ostile e negativo e che solo il modello familiare è valido; quella che attraverso il ricatto della riconoscenza, per l'amore dato e per i sacrifici compiuti, soffoca il bambino con un amore possessivo e distruggente (161).
Per svolgere adeguatamente il proprio ruolo genitoriale, e così captare le esigenze del bambino, e per saper rispettare la sua sensibilità sono necessari nei genitori un'adeguata maturità personale ed un forte controllo di sè e delle proprie reazioni. Il che non è facile, specialmente in una società che tende ad infantilizzare anche gli adulti, che isola ed emargina la famiglia, che moltiplica le situazioni di fragilità familiare, che propone continuamente modelli diversi e spesso contrastanti di educazione (162).
Per quanto riguarda la composizione familiare, da un'ulteriore rilevazione (163) sulla violenza all'infanzia, compiuta nel 2002 dalla Dott.ssa Celeste Pernisco, pedagogista, è emerso che la maggioranza dei bambini vittime di violenze vive in nuclei costituiti da entrambi i genitori biologici conviventi (il 56%) e la famiglia "normale" continua ad essere l'ambito in cui si verificano la maggior parte degli abusi.

Negli abusi sessuali consumati in famiglia, possono essere riconosciute modalità complesse di realizzazione, tanto da poterli distinguere in tre sottogruppi (164):

a. abusi sessuali manifesti:
lo sono, di solito, gli abusi di tipo incestuoso, consumati nella maggior parte dei casi da figure maschili con figlie femmine, ma dovrebbero essere considerati tali anche altri rapporti simili, di cui si parla poco: tra padri e figli maschi; tra madri e figli maschi; tra fratelli e sorelle.
Questi tipi di violenze sono, per i traumi e le conseguenze che lasciano sul minore, i più evidenti e sono quelli sui quali è possibile intervenire con fermezza; ma la difficoltà nel riconoscerli è proprio nel fatto che avvengono all'interno del nucleo di vita più vicino al bambino: la sua famiglia.

b. abusi sessuali mascherati:
lo sono pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi del bambino, ispezioni ripetute e applicazioni di creme e preparati medicinali.

c. pseudo-abusi:
a questo gruppo appartengono gli abusi dichiarati quando in realtà non sono stati concretamente consumati per:
o convinzione errata, a volte delirante, che il/la figlio/a (più frequentemente la figlia) sia stato/a abusato/a; dietro a tali convinzioni c'è talvolta la proiezione sul/la figlio/a di esperienze di abuso subite nella propria infanzia dal genitore;
o consapevole accusa all'ipotetico autore di abuso sessuale finalizzato ad aggredirlo, screditarlo, perseguirlo giudizialmente. Queste accuse avvengono frequentemente da parte di madri o nonne contro i padri nel corso delle separazioni;
o dichiarazione inventata dal/dalla giovane, di solito adolescente, per sovvertire una situazione familiare insostenibile. Anche se l'abuso non si è realizzato, sono situazioni che vanno sempre prese in considerazione perché indicano che il minore ha sicuramente un disagio e, pertanto, deve essere aiutato;
o l'abuso sessuale "assistito", quando cioè il/la bambino/a assiste all'abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori.


d. abusi sessuali extrafamiliari:
sono forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, ormai adulti, poiché, quando l'abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sull'opportunità non solo di denunciare il fatto all'autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l'abuso.
Il problema delle conseguenze psicologiche di questi soggetti non ha un'evoluzione univoca (165), ma è in funzione della situazione psicologica individuale e soprattutto di come l'ambiente familiare e sociale in cui vivono reagisce.
Nella maggior parte dei casi vi è una situazione di trascuratezza fisica e/o affettiva, in cui vive il minore, che non gli permette di sviluppare la capacità di discriminare i pericoli e lo rende predisposto ad accettare qualunque attenzione affettiva gli venga proposta dall'esterno, credendola compensatoria di una vuoto affettivo intrafamiliare.
Quando la negazione e l'omertà non reggono e il problema diventa palese, il bambino subisce dalla propria famiglia altre violenze, che consistono nel costringerlo a ripetute e minuziose descrizioni dei fatti alle diverse autorità (in numero anche superiore al necessario). Tutto questo perchè il pensiero dominante per il genitore offeso diventa la vendetta, quasi perdendo di vista i bisogni e le angosce del/la proprio/a figlio o figlia (166).
Riguardo al sesso delle vittime di abuso sessuale, dalla ricerca svolta da Terragni (167) risulta che si tratta soprattutto di soggetti di sesso femminile e di età media raramente al di sotto dei sei anni. Egli sostiene che "parlare di violenza nei confronti di bambini significa, nella grande maggioranza dei casi, parlare di violenze nei confronti di bambine e adolescenti". Per i maschi è stato comunque registrato un notevole rischio di abuso sessuale extrafamiliare, a differenza delle femmine dove l'abuso avviene più frequentemente nell'ambito familiare.

Età MILANO
Femmine
MILANO
Maschi
NAPOLI
Femmine
NAPOLI
Maschi
VENETO
Femmine
VENETO
Maschi
Minorenni 36 75 54 100 42 58
Maggiorenni 64 25 46 0 58 42
Totale 100 100 100 100 100 100

Incidenza degli abusi e delle violenze a seconda dell'età e del sesso delle vittime (valori percentuali)

Età MILANO NAPOLI VENETO
Fino a 6 anni 2 2 4
Da 7 a 11 anni 33 19 26
Da 12 a 14 anni 33 40 38
Da 15 a 16 anni 32 39 32
Totale 100 100 100

Età dei _vittime di abusi e violenze sessuali (valori percentuali)

Lo stesso risultato è stato confermato sia dalla rilevazione compiuta nel 1999 dal CISMAI (168), sia da quella compiuta nel 2002 dalla Scuola Romana Rorschach (169):


Rilevazioni statistiche sul sesso ed età delle vittime di abuso sessuale compiute dal CISMAI nel 1999

Si può notare che l'unica differenza emergente dalle tre ricerche (compiute da Terragni, dal CISMAI e dalla Scuola Romana Rorchach) riguarda l'età in cui i minori subiscono con più frequenza abusi sessuali: nel 1998 era tra i 12 e i 14 anni, nel 1999 tra i 6 e i 10 anni, nel 2002 nella cosiddetta preadolescenza/adolescenza.
Il cambiamento registrato dal 1999 al 2002 potrebbe essere il risultato di un maggior numero di denunce da parte dei minori-preadolescenti, dovute al fatto probabilmente che in questi ultimi anni sono state realizzate più iniziative di sensibilizzazione all'interno delle scuole (anche in luoghi dove prima l'argomento era considerato una specie di "tabù"), c'è stata una maggior diffusione sul territorio e conoscenza dei consultori ed infine, sicuramente, perché la violenza e l'abuso sessuale sono diventati un argomento più discusso che in passato.

Dalla rilevazione compiuta dalla Dott.ssa Pernisco (170), maschi e femmine non risultano subire una quantità diversa di azioni abusanti per quanto riguarda la violenza sessuale "tradizionale" (come gli atti di libidine e i rapporti sessuali penetrativi o nell'avvio alla prostituzione), mentre nelle violenze connesse alle attività organizzate di pedofilia i maschi sono coinvolti in misura quasi doppia rispetto alle femmine.

È stato inoltre rilevato che i bambini stranieri subiscono maggiormente le varie forme di violenza sessuale rispetto ai minori italiani.

Le statistiche evidenziano, infatti, che i bambini extracomunitari sono, più spesso di quelli italiani, vittime di rapporti sessuali, indotti alla visione di pornografia ed avviati alla prostituzione (171). La causa, probabilmente, si può ricondurre alla loro stessa situazione di vita, caratterizzata da un quasi totale abbandono sia da parte delle istituzioni, sia da parte della famiglia (costretta a lottare per la sopravvivenza con un elevato numero di figli).

6.4 Gli indicatori dell'abuso sessuale
Nel caso di violenze sessuali su minori al di fuori del contesto familiare, molto spesso i genitori preferiscono non denunciare subito all'autorità giudiziaria il crimine, sia perché il danno in ogni caso non è totalmente risanabile, sia perché esiste il rischio che l'apertura del procedimento esponga il bambino a morbose curiosità e a facili etichettature (soprattutto se il contesto familiare è un piccolo paese), sia infine perché la necessaria rievocazione del fatto in sede giudiziaria può aprire nuove ferite nel minore impedendogli di superare il trauma di cui è stato vittima (172). Il rischio di violenze di questo tipo è particolarmente elevato in bambini che non sono seguiti a sufficienza dai genitori per incuria o disinteresse: la consapevolezza di ciò fa sentire i genitori oscuramente colpevoli e poco disposti alla denuncia.
Per accertare l'effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori (173), i quali però non possono costituire un elenco completo e certo sul quale poter desumere con esattezza se l'abuso si è realizzato oppure no. Sono molti, infatti, i casi in cui la sintomatologia clinica non è troppo esaustiva e dove rimangono molti dubbi (ad esempio quando non c'è stata penetrazione).
Gli indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e si distinguono (174) in:
1. indicatori cognitivi
2. indicatori fisici;
3. indicatori comportamentali/emotivi.

Tra gli indicatori cognitivi rientrano le conoscenze sessuali inadeguate per l'età, le modalità di rivelazione da parte del bambino dell'abuso sessuale, i dettagli dell'abuso e, a volte, si verifica una certa confusione nel ricordo dei fatti e nella sovrapposizione dei tempi. Per scoprire questi indicatori, le aree da indagare sono: il livello di coerenza delle dichiarazioni, l'elaborazione fantastica, la distinzione tra il vero e il falso, il giudizio morale e la chiarezza semantica.
Gli indicatori fisici di abuso sessuale sono: la deflorazione, la rottura del frenulo, le ecchimosi e i lividi in zona perineale, i sintomi di malattie veneree ed altri che devono considerarsi più equivoci per le molteplici cause che possono averli generati, come le incisure imenali, le neovascolarizzazioni a livello del derma nelle grandi labbra (nelle bambine) o le irritazioni del glande o del prepuzio (nei bambini) oltrechè arrossamenti e infiammazioni aspecifiche localizzate (175).
Gli indicatori comportamentali ed emotivi comprendono sentimenti di paura, depressione, disturbi del sonno e dell'alimentazione, un comportamento ipervigilante che indica la paura della ripetizione del trauma, la mancanza di interesse verso le attività ludiche con i compagni, l'alterazione significativa della personalità con possibili sintomi psiconevrotici (isteria, fobie, ipocondria) (176). La timidezza e la paura si manifestano soprattutto in presenza del genitore abusante o nei confronti di adulti di tal sesso. A causa dei sensi di colpa e delle minacce che ricevono, i bambini abusati possono mettere in atto comportamenti autodistruttivi fino al suicidio.
De Young (177) ritiene che un ulteriore indicatore comportamentale di abuso sessuale sia una spiccata erotizzazione della propria vita: infatti i bambini abusati tendono a diventare sessualmente aggressivi nei comportamenti e nei giochi. Vero è che occorre tener conto che tali indicatori di abuso non possono essere utilizzati indiscriminatamente, poiché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause; bisogna fare attenzione al rischio di vedere una correlazione illusoria tra causa supposta (abuso sessuale) e conseguenze (indicatori), dove questa non c'è (178). Nel caso degli indicatori fisici, ad esempio nelle bambine, una diagnosi di neovascolarizzazione è giudicata compatibile con atti traumatici ripetuti (quali atti di abuso sessuale), ma anche con esiti di infiammazioni vaginali. La stessa integrità dell'imene si presta a conclusioni equivoche, in quanto apparenti lacerazioni di essa possono in realtà corrispondere a particolarità morfologiche congenite.
L'equivocità può riguardare anche gli indicatori comportamentali. La presenza di incubi, l'eccesso di masturbazione e la depressione non costituiscono di per sé sintomi di abuso sessuale e possono essere ricollegati a varie cause che incidono sulla vita e crescita del bambino. Anche gli indicatori cognitivi possono trarre in inganno: spesso si è portati a pensare che, se un bambino ha conoscenza in materia di sesso inadeguate alla sua età, non può che averle acquisite attraverso contatti sessuali diretti. In realtà, frequentemente capita che il bambino abbia visto determinate scene nei film oppure abbia ascoltato gli adulti che ne parlavano (179).
Gli indicatori da soli non possono, dunque, essere considerati gli indici certi di un avvenuto abuso sessuale: sono necessarie ulteriori indagini sulla situazione.

6.5 Le conseguenze dell'abuso sessuale
Si può affermare con certezza che un bambino che non comprende il significato delle azioni dell'adulto, non per questo non riporterà un danno: non è cioè la comprensione intellettuale di ciò che accade a dare la misura dell'effetto traumatico dell'abuso sessuale.
A proposito della violenza sessuale intrafamiliare, Lanza (180) ha scritto:
L'incesto, in tutte le sue manifestazioni, anche quelle più raffinate e sottili (che sono poi quelle che creano forme di dipendenza psicologica), quando ha come referente un minore, è in modo assoluto una forma di violenza con effetti permanenti e irreversibili. La violenza è qualcosa che ha a che fare con la "forza" e il "potere", è un "male" che aggredisce la persona nella sua totalità, la tocca nella libertà, crea "sofferenza" reale e lascia "paura".
La violenza all'interno della famiglia può causare una serie di conseguenze nocive per le vittime, quali gravi danni fisici, disturbi psicologici a breve e a lungo termine e il bisogno di andare via di casa. Emery e Laumann-Billings (181) ritengono che le conseguenze della vittimizzazione siano comunque una funzione di almeno cinque classi variabili:
1. la natura dell'atto abusivo (percosse, abuso sessuale) come pure la sua frequenza, intensità e durata;
2. le caratteristiche individuali della vittima (ad esempio l'età);
3. la natura della relazione tra vittima e abusante (coniuge, patrigno, ecc.);
4. la risposta degli altri all'abuso (sostegno sociale, intervento legale o psicologico e soprattutto reazione della famiglia);
5. i fattori legati all'abuso che possono esasperare i suoi effetti o sostenere alcune delle conseguenze dell'abuso stesso (caos familiare precedente all'atto abusivo).
La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell'impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio "gentile") ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l'immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di strumenti, potere e autorità rispetto all'adulto, sono nell'impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L'abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall'adulto, anche quando non c'è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall'abuso stesso.
Per parlare di "mancato consenso" non è inoltre necessario che il minore sia completamente all'oscuro del significato sessuale degli atti compiuti dall'adulto: infatti è la posizione di vantaggio di questo rispetto al minore e il clima di soggezione, confusione, ambiguità, colpevolizzazione creato dall'adulto ad impedire alla vittima una reazione efficace. Per i bambini piccoli inoltre il "bene" è obbedire all'adulto; per loro un'azione che non solo risponde al requisito dell'obbedienza, ma che viene anche premiata dall'adulto è "buona" (182).
I mezzi usati dagli abusanti sono un insieme di lusinghe e minacce, di promesse e intimidazioni, di uso di forza fisica e di atteggiamenti gentili, in un'alternanza di facce e ruoli via via assunti da chi abusa al fine di togliere alla vittima qualsiasi possibilità di difendersi.
In molti casi le ragazze e le donne che sono state da bambine vittime d'abuso non ricordano i tentativi che hanno inizialmente fatto per difendersi dalla violenza e sono convinte che l'abusante non abbia mai fatto uso di forza fisica. In realtà, ricostruendo con loro la storia, si scopre che spesso durante le prime aggressioni è stato fatto uso di vera e propria coercizione fisica. Successivamente il senso di impotenza, la vergogna, la disperazione, i ricatti a cui venivano sottoposte dall'abusante («Se non ci stavo lui picchiava la mamma e i miei fratelli»; «Mi diceva che dovevo essere gentile con lui; se poi non lo ero diventava cattivo»), l'isolamento in cui venivano costrette, la paura che provavano ed i messaggi ambigui e distorti che ricevevano toglievano loro totalmente la possibilità di reazione (183).
La confusione, il fallimento dei tentativi di difesa, la sessualizzazione traumatica, la ripetizione dei messaggi dell'abusante che addossa alla minore la responsabilità dell'abuso, fanno sì che essa dimentichi la reale successione dei fatti e non riesca a darne la giusta interpretazione neanche da adulta. In molti casi l'abusante arriva a pretendere dimostrazioni "d'amore": «Mi diceva le frasi d'amore che dovevo dirgli e non voleva che lo chiamassi papà; però se cercavo di ribellarmi cambiava faccia e diceva: "Devi fare come ti dico io, perché sono tuo padre"» (184).
Per quanto riguarda la durata dell'abuso, si può intuitivamente concordare con l'affermazione secondo cui un episodio isolato risulta meno dannoso di un'esperienza protratta nel tempo. Tuttavia i dati disponibili sono contraddittori in quanto la durata e la frequenza dei rapporti sono comunque elementi collegati ad altre variabili quali l'età del bambino all'esordio, il contesto familiare o extrafamiliare, la natura della relazione con l'abusante ed il tipo di attività sessuale commessa (185). A questo proposito, un sintomo particolare è costituito dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD), il cui rischio tende ad aumentare quando l'abuso fisico è più grave e di lunga durata e quando l'abuso sessuale avviene in una relazione segreta o comporta un senso di pericolo o colpa da parte del bambino vittima. È stato inoltre dimostrato che lo stupro, in particolare, comporta un più elevato rischio di PTDS rispetto ad altri traumi comuni, a causa della forte coercizione fisica utilizzata (186).
Si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo e formazione del bambino, agendo sulla regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. Anche nell'età adulta persistono disturbi di relazione rappresentati da sentimenti di paura e diffidenza nell'incontro con gli altri e di ostilità nei confronti delle figure parentali; varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcolismo.
Anche la "Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia" (187) afferma che «l'intensità e la qualità degli esiti dannosi dell'abuso sessuale derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell'evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all'abuso». Inoltre «il danno è tanto maggiore quanto più:
a. il fenomeno resta nascosto, o non viene riconosciuto;
b. non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale;
c. l'esperienza resta non verbalizzata e non elaborata;
d. è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dall'abusante».
L'abuso sessuale che si verifica in un clima di calore affettivo, di lusinghe, di gratificazione mediante le concessioni di speciali privilegi e di estrema segretezza, può essere per il bambino traumatico e sconcertante al pari di un'aggressione violenta (188).
Molti bambini subiscono per anni un abuso sessuale ma, mentre crescono, aumenta in loro la consapevolezza che qualcosa è sbagliato e possono rendersi conto improvvisamente di ciò che sta loro succedendo (per esempio nel corso di un tentativo disperato di proteggere un membro più giovane della famiglia da un abuso dello stesso tipo, o quando la possessività e la gelosia del padre diventano intollerabili).
Non c'è da stupirsi che i bambini vittime di abuso sessuale si dimostrino molto ansiosi. Un'adolescente può apparire orgogliosa del potere che ha sul padre o su altri uomini, ma dietro questo atteggiamento si cela un grande bisogno di affetto. Essa continuerà ad incontrare difficoltà nel dare e nel ricevere amore, anche quando magari sarà stata inserita in una famiglia diversa (ad esempio adottiva) (189).
Il fatto che tali effetti non si protraggano a lungo termine dipende, probabilmente in larga misura, dalla possibilità di una diagnosi e di una terapia precoci.
Uno dei caratteri più tipici dell'abuso sessuale, soprattutto intrafamiliare, è l'instaurazione e il mantenimento del segreto riguardo all'atto compiuto, che crea forti barriere nel minore sia a livello interiore, che nelle relazioni con gli altri.
L'abusante costringe la vittima al silenzio con l'imbroglio; con i bambini piccoli viene usato il "discorso del gioco": «Questo è un gioco che si fa sempre tra padri e figlie, però non lo devi dire a nessuno». Il bambino viene anche ricattato e minacciato: «Se parli mi uccido» oppure «La mamma e i tuoi fratelli finiscono sul lastrico», «Viene un mostro e ti uccide». Sono tutte frasi riferite dai bambini quando parlano delle violenze subite durante l'infanzia. E ancora (in casi di abuso extrafamiliare): «Se lo dici a qualcuno, lo dico ai tuoi genitori», con un'incongruenza di messaggi spaventosa e colpevolizzante, oltre che altamente confusiva per il/la minore (190).
La vittima della violenza, inoltre, per poter sopravvivere ad eventi così distruttivi mette in atto potenti meccanismi di difesa che rendono possibile quello che viene chiamato "adattamento all'abuso". Attraverso di esso il bambino tenta di ripararsi in qualche modo dal senso di catastrofe e di distruzione e può permettersi l'illusione che niente sia cambiato, che il suo papà sia comunque un papà buono che gli vuole bene e che la rovina che gli è caduta addosso possa essere in qualche modo tenuta sotto controllo.
Tali meccanismi patologici di adattamento partecipano al mantenimento del segreto. Il far finta di essere altrove durante gli atti abusivi (sentirsi per esempio parte del muro o un piccolo animale che guarda da un angolo della stanza quanto succede), sforzi auto-ipnotici di induzione anestetica riguardo al dolore fisico e alla sofferenza psicologica, e sforzi di non sentire rientrano nei primissimi meccanismi messi in atto dal bambino per difendersi dall'assoluta confusione, angoscia e paura che prova al termine dell'atto abusivo (191).
Tali reazioni sono determinate, oltre che dagli atti abusivi in sé, anche dalle circostanze in cui avviene l'abuso. Ad esempio le aggressioni notturne avvengono nell'assoluto silenzio e al buio mentre il/la bambino/a dorme, di modo che ciò che avviene è contemporaneamente negato dalle stesse circostanze, che rendono più facile la negazione della realtà dei fatti da parte dell'abusante («Hai fatto un sogno»).
Il bambino e la bambina vengono premiati o perlomeno non puniti quanto più e quanto meglio riescono a mettere in atto i meccanismi di difesa, cioè quanto più e meglio riescono a tenere il segreto richiesto dall'autore della violenza, segreto che non è solo verbale ma anche emotivo e comportamentale (192).
Infatti non sempre e non subito il bambino abusato ha comportamenti sintomatici manifesti. Ad esempio, se il brusco calo di rendimento scolastico è uno degli indicatori di violenza sessuale, tuttavia ci sono bambini e bambine che riescono a mantenere una buona riuscita scolastica, per poi riferire più tardi: «L'unica cosa a cui mi aggrappavo era la scuola».
Ciò non significa che il bambino e la bambina non siano danneggiati, ma che essi riescono a mantenere per un periodo più o meno lungo i meccanismi di adattamento messi in atto ai fini della sopravvivenza. Il segreto, anche quello emotivo, evita la punizione e tiene sotto controllo la paura di perdere i familiari o di sentirsi la causa della loro rovina. Invece, il pianto, la paura manifesta e i tentativi di ribellione portano alla punizione, scatenano la rabbia dell'abusante e ne aumentano i comportamenti sadici, che possono essere a lungo mascherati da atteggiamenti comprensivi e solidali. Infatti, spesso, il consolare il bambino triste, che è proprio tale perché vive una situazione di violenza, è da parte dell'abusante il preludio di nuovi atti abusivi (193).
Fattore basilare di mantenimento dell'abuso è la negazione da parte di chi abusa della realtà dei fatti, negazione che spesso persiste tenacemente anche dopo la rilevazione e l'accertamento dell'abuso, e persino di fronte a referti medici inequivocabili. Il negare degli abusanti comprende il negare di avere abusato e di avere progettato l'abuso. Infatti è affermazione ormai consolidata che l'abuso non è un "raptus": prima della messa in atto dei comportamenti abusivi ci sono dei pensieri, delle fantasie sul bambino ed una progettazione per così mettere in atto l'abuso con la ricerca delle circostanze ad esso favorevoli (194). I meccanismi di negazione agiscono molto spesso anche negli altri adulti non abusanti (ad esempio nella madre connivente, che pur sospettando o essendo a conoscenza dell'abuso non ha la forza di cambiare la situazione) e persino negli stessi operatori, che si possono far condizionare nelle loro attività dalla condizione economica della famiglia o dalla buona educazione impartita al bambino dalla famiglia stessa (195).
Le reazioni negative dell'ambiente circostante, a seguito dello svelamento dell'abuso, riportano il minore al silenzio e al segreto, lo spingono alla ritrattazione, aggravano la stigmatizzazione (la visione negativa che il bambino e la bambina hanno di se stessi come cattivi, colpevoli, irrimediabilmente sporchi e contaminati dagli atti abusivi), aumentano il profondissimo senso di vergogna e colpa che egli prova (196); inoltre aumentano le difficoltà di relazione, determinate dalla situazione abusiva, e portano il minore all'isolamento totale, confermando in esso la convinzione di non poter condividere con nessuno la propria sofferenza, né di poter trovare in nessun luogo le risposte alla propria confusione.
Tutte queste reazioni sono dette "forme di abuso secondario" (197).
Per poter meglio comprendere che cosa prova, nella maggior parte dei casi, una bambina vittima di abuso sessuale da parte ad es. del padre, significativa è la testimonianza di una bambina, riportataci dal Centro Artemisia di Firenze (che si occupa di maltrattamenti e abuso sessuale all'infanzia), la quale ha vissuto una tale esperienza:
La prima volta avevo 12 anni ed è avvenuto così. C'erano degli ospiti in casa, e così io, mia madre e mio padre abbiamo dormito tutti nella mia stanza: mia madre nel mio letto, ed io e mio padre in due brandine. Mio padre aveva messo le brandine una accanto all'altra. Non sapevo che il giorno dopo il mondo per me sarebbe stato irriconoscibile. Così mi sono addormentata come sempre.
Ad un certo punto mi sono svegliata. Ho realizzato che era mio padre, cercavo di mandarlo via ma non ci riuscivo. Cosa stava facendo?
Ecco capivo cosa stava facendo. Era chiaro. Pensai di chiamare la mamma. Ma era vero quello che stava succedendo. Sì, era vero.
E se era vero, come facevo a dirlo alla mamma? Così non ho urlato. L'ho lasciata dormire tranquilla. Avevo sempre cercato di non darle dei dispiaceri: la mamma era lì, eppure ormai era lontana, come in un altro mondo.
Ho visto il mondo diventare un buco nero. Ma forse ho sognato? - pensai. Ma l'impressione non era di un sogno.
È così che sono cambiata.
Mi aggrappavo alla mia vita precedente, cercando di essere uguale, anche se non lo ero più. Cercavo di pensare che era stato un sogno, ma io non ero più quella di prima e tutto era diverso: mi sentivo sempre più strana ed ero sempre triste.
Intanto cercavo di fare le cose di sempre, ma anche le cose di sempre non erano più per me le stesse.
Mio padre mi prometteva sempre grandi cose che si sarebbero fatte fra un anno e che poi non si facevano mai. Mi diceva: Usciamo! Per parlarmi dei suoi progetti su di me. Io uscivo. Ma dopo un po' mi diceva che dato che ero grande c'erano cose che dovevo sapere. Quelle cose erano molto strane, non mi piacevano. Cercavo di cambiare discorso, ma lui ritornava sempre lì.
Poi ha cominciato a controllare "se crescevo". Aveva un'aria tanto normale, era così normale, secondo lui, "che un papà si preoccupasse dello sviluppo della figlia", che io non osavo oppormi. Come potevo dirgli quello che sospettavo? Ed io come potevo essere così cattiva da sospettare cose del genere? Che mostro ero?
Avrei voluto chiedergli spiegazioni ma non osavo. Intanto stavo sempre più male. E capivo che era colpa sua. Ma non sapevo oppormi, non osavo chiedere niente. Stavo diventando muta.
Così non ho chiesto aiuto quella notte alla mamma, così non ho chiesto aiuto per anni, così non mi sono ribellata. E intanto il tempo passava e non mi riusciva più di stare in mezzo agli altri.
Per anni e anni ho avuto questa sensazione: che io in realtà ero morta.
Ho aspettato tanto e per tanto tempo che mio padre mi desse una spiegazione, che si giustificasse. Ma non lo ha mai fatto.
Nel frattempo continuavo a giurare dentro di me che non avrei mai dato quel dispiacere alla mamma. Nel frattempo lo odiavo. Perché adesso era chiaro, era così chiaro tutto. Era una mostruosità, era un inferno ma era reale.
Tutto era buio ormai dentro e fuori di me. Tutto era paura.
E alla fine per la paura, ho iniziato a tenere un coltello sotto il cuscino, quando andavo a dormire. Così se fosse venuto ad ammazzarmi mi sarei potuta difendere...


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