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PSYCHOMEDIA
Tesi

Tesi di Laurea di Laila Fantoni

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico

Capitolo I - La realtà dell'abuso sessuale

3. La violenza sui minori



3.1 La classificazione
La classificazione della violenza, considerata dagli esperti quella più completa tra le varie esistenti, è stata proposta da Francesco Montecchi (11), il quale ritiene che "pur nell'artificiosità degli schemi e delle classificazioni, queste ci permettono di discriminare e riconoscere il fenomeno per poterlo prevenire e curare, nonché per poter promuovere e difendere la nuova cultura dell'infanzia, e offrire una più vasta capacità di attenzione ai problemi e alle esigenze più profonde dell'anima infantile da parte delle varie categorie di professionisti che si occupano di famiglia e di bambini".
1. Maltrattamento:
a. fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile;
b. psicologico: è forse l'abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha già determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole incremento negli ultimi anni con lo stile di vita della società consumistica e materialistica e la crisi della famiglia.
2. Patologia della fornitura di cure. Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non solo nella carenza di cure, ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte, considerandole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Si possono distinguere le seguenti forme (12):
a. incuria: cioè la carenza di cure fornite (la cosiddetta violenza per omissione);
b. discuria: quando le cure, seppur fornite, sono distorte ed inadeguate se rapportate al momento evolutivo del bambino;
c. ipercura: quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo gruppo è compresa la sindrome di Münchhausen per procura, il medical shopping e il chemical abuse.
3. Abuso sessuale. Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende (13):
a. abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri o padri e figli maschi, nonché forme mascherate in inconsuete pratiche igieniche; è attuato da membri della famiglia nucleare (genitori, compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti della famiglia);
b. abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce spesso una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia; è attuato, di solito, da persone conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti ecc.).
A questa classificazione si può aggiungere una distinzione ancora più ampia (14):
c. abuso istituzionale, quando gli autori sono maestri, bidelli, educatori, assistenti di comunità, allenatori, medici, infermieri, religiosi, ecc., cioè tutti coloro ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all'interno delle diverse istituzioni e organizzazioni;
d. abuso da parte di persone sconosciute (i cosiddetti "abusi di strada");
e. sfruttamento sessuale a fini di lucro da parte di singoli o di gruppi criminali organizzati(quali le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, agenzie per il turismo sessuale);
f. violenza da parte di gruppi organizzati(sette, gruppi di pedofili, ecc.).
Non è affatto infrequente che vengano attuate da parte di più soggetti forme plurime di abuso (ad esempio, abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fini di lucro; abuso da parte di adulti della famiglia e di conoscenti, ecc.).

3.2 Le radici della violenza
I cosiddetti "rischi o fattori di violenza" (soprattutto familiare) sono stati individuati utilizzando il "modello ecologico di Bronfenbrenner" (15), secondo quattro livelli di analisi (16):
- le caratteristiche individuali;
- il contesto sociale immediato;
- il contesto ambientale più ampio;
- il contesto sociale e culturale.
Riguardo alle caratteristiche individuali, il basso livello di autostima, lo scarso controllo dell'impulso, l'affettività negativa e l'eccessiva risposta allo stress sicuramente aumentano la probabilità che un individuo possa divenire perpetratore di violenza familiare. Anche la dipendenza da alcool e droghe gioca un ruolo importante sia come fattore di rischio sia come elemento predisponente alla violenza.
In relazione al contesto sociale immediato, le caratteristiche del sistema familiare hanno importanti implicazioni per l'eziologia o l'esercizio della violenza intrafamiliare: a questo proposito occorre citare la struttura e la dimensione della famiglia ed anche eventi "paranormativi", come la perdita di un lavoro o la morte di un familiare. Alcuni autori (17) hanno rilevato che le famiglie che abusano dei loro figli sono spesso caratterizzate da un maggior numero di eventi stressanti, anche se ciò non vuol dire che tutte le famiglie colpite da tali eventi abusino dei loro figli. Tuttavia, laddove ciò accade, pare che gli abusanti siano più aggressivi e ansiosi dei non abusanti.
In riferimento al contesto ambientale più vasto, la violenza intrafamiliare è legata anche alle caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, come la povertà, l'assenza di servizi per la famiglia, l'isolamento e la mancanza di coesione sociale. Inoltre alti livelli di disoccupazione, abitazioni inadeguate e violenza nella comunità contribuiscono ad aumentare il rischio. Considerando che certamente non tutte le famiglie povere abusano dei propri figli, varie ricerche hanno sottolineato che la principale differenza tra famiglie povere che abusano dei figli e quelle che non abusano consiste nel grado di coesione sociale e di assistenza reciproca trovata nelle loro comunità (18). Altre ricerche successivamente hanno dimostrato che le famiglie abusanti socializzano meno con i propri vicini di casa rispetto alle famiglie non abusanti (19).
Infine, la ricerca ha dimostrato che esiste uno specifico contesto sociale e culturale della violenza intrafamiliare. Si ritiene, infatti, che tale tipo di violenza sia compiuta attraverso precisi valori culturali: basti pensare all'uso della punizione fisica nella privacy familiare.
Ma se cause facilitanti la violenza dei minori (concause) possono essere le difficili condizioni di vita della famiglia (povertà, emarginazione, solitudine) e/o cause psicologiche (frustrazioni personali, immaturità, ecc...), da vari studi emerge che la "vera causa" sia il fatto che il genitore, che maltratta il figlio, abbia avuto nella propria infanzia tristi esperienze di abuso o di trascuratezza (20). La cosiddetta ripetitività dell'abuso o ciclo intergenerazionale della violenza sembra essere, infatti, l'aspetto più caratteristico delle storie di famiglie che compiono maltrattamenti o abusi, dove l'azione violenta o di trascuratezza viene trasmessa da una generazione all'altra (21). Secondo un'altra ipotesi (22) questa "familiarità" della violenza in famiglia potrebbe ascriversi ad una causa genetica piuttosto che ambientale, nonostante l'influenza dell'ambiente sia nondimeno rilevante.
A parte queste diverse tesi, si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo del bambino come la formazione del legame di attaccamento, la regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. In particolare persistono, anche nell'età adulta, disturbi relazionali rappresentati da sentimenti di paura e di ostilità nei confronti delle figure parentali e reazioni di forte diffidenza nei confronti di altri adulti e dei partners; inoltre si rilevano varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo e tutto questo può costituire una predisposizione per compiere violenza sui propri figli, ma ciò non è detto che avvenga (23).
Comunque bisogna anche aggiungere che la violenza sui minori è strettamente legata al più generale fenomeno della violenza diffusa nella società (affermazione accreditata dal fatto che ci sono anche tantissime violenze al di fuori della famiglia). E questo non soltanto perché chi subisce quotidiana violenza tende ineluttabilmente a scaricare le proprie frustrazioni sui soggetti più deboli che gli sono vicini e che appaiono sotto il suo dominio, quanto principalmente perché sono identiche le cause culturali di ogni forma di violenza.
Nella società attuale si è cominciato a credere che l'educazione sia equivalente al condizionamento del comportamento umano e quindi che, con l'eccessivo utilizzo dell'attività educativa, siano venute meno la spontaneità e la libertà dei processi maturativi del bambino. Ma contro tale affermazione bisogna sostenere che "il condizionamento sociale è lo strumento che ha reso umano l'uomo" e per questo importantissimo. Il problema perciò non è di ridurre il condizionamento sociale ma di individuare quale condizionamento bisogna porre in essere e con quali scopi: bisogna mettere in atto dei condizionamenti utili al bambino, limitandoli al massimo, ma soprattutto essendo sempre tesi ad impedire che diventino deterministicamente operanti e dunque tali da soffocare le possibilità ed aspirazioni del bambino, per trasformarli al contrario in suggerimenti e spinte esistenziali positive (24).
Inoltre bisogna rendersi conto che, nella società moderna, l'infanzia è stata collocata all'interno della famiglia ed i bambini sono considerati un'appendice dei genitori. Il fenomeno esistente è quello dell'"adultocentrismo", dove sono i bambini che devono adeguarsi alle abitudini degli adulti e non viceversa. Quindi, è un "bambino a rischio" quello che non riesce a trarre dall'ambiente (socio-culturale in senso ampio) tutte le risorse necessarie per un suo armonico e pieno sviluppo psico-fisico e relazionale (25).
Secondo le ricerche (26) svolte dalla Dott.ssa Paola Di Blasio, Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo all'Università Cattolica di Milano, che da anni si occupa di abuso e maltrattamento all'infanzia, è emerso che ogni agente causale, sia se considerato isolatamente, sia in associazione con altri, può essere responsabile solo di una parte dell'evento di violenza realizzatosi. Infatti è stato osservato che molte persone (anche minori) presentano la capacità di mantenere un discreto adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli: questo perché, magari, i fattori di rischio che esistono nella loro condizione di vita, sono neutralizzati - o comunque affievoliti - dai cosiddetti "fattori protettivi" (ad esempio la relazione soddisfacente con almeno un componente della famiglia).


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