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Psicoterapia e Scienze Umane, 2001, XXXIV, 3

Il trattamento della compulsività sessuale in un paziente gay

Jack Drescher

 
Jack Drescher, psichiatra e psicoanalista statunitense particolarmente esperto, sia come didatta sia nella pratica clinica privata, di problematiche relative all'omosessualità, presenta in questo articolo un suo recente intervento ad un convegno tenutosi presso il W. Alanson White Institute di New York, in cui è Membro di Facoltà, Supervisore e Training Analyst.
Il tema del nascondimento è molto comune nelle narrative evolutive dei giovani che in seguito diventeranno gay: il fortissimo e traumatizzante impatto sociale dall’umiliazione pubblica seguito all'aperto palesarsi del loro desiderio omosessuale, e a comportamenti difformi dalle aspettative di genere, acuisce il bisogno di nascondersi . L’esperienza di essere scoperti, puniti e umiliati per ciò può portare a sviluppare strategie volte al celarsi, perduranti anche dopo la rimozione del trauma.
La cultura dominante, che collega sesso e intimità affettiva, raramente immagina che la stessa connessione possa essere perseguita egualmente da adolescenti gay ed eterosessuali. Altrettanto raramente accade che un adolescente gay venga incoraggiato dai genitori a frequentare persone dello stesso sesso, o cerchi intimità fisica o emotiva con una persona del suo stesso sesso. La situazione è aggravata del fatto che questo avviene in un periodo evolutivo fondamentale della vita. Di conseguenza, alcuni adolescenti soddisfano bisogni emozionali e sessuali con incontri furtivi, il che nell'età adulta può divenire uno stile di vita, in una sorta di rabbiosa " caccia al sesso", come la chiama lo scrittore gay John Rechy in The Sexual Outlaw (Rechy, 1977, p. 28).
Data l'ostilità che le espressioni esplicite di intimità omosessuale continuano a suscitare anche in ambienti cosmopoliti come New York, le attività sessuali si svolgono in clandestinità, con livelli altissimi di angoscia interpersonale, e possono comunque diventare la modalità relazionale più significativa, da alcuni, come Rechy, vissuta come un atto trionfale di volontà, da altri come una "forza" irresistibile, coagente e disagevole.
Storicamente, psicoanalisti clinici come Socarides (1968) hanno ritenuto il comportamento sessuale compulsivo negli uomini gay una prova dell’"origine" nevrotica dell’omosessualità, il che è stato fonte di confusione tra il trattamento della sessualità compulsiva e la cosiddetta cura dell’omosessualità, anche se, in tempi recenti, da protratte esperienze cliniche si è evidenziato che gli uomini gay che vivono la propria attività sessuale come compulsiva, non considerano per questo compulsiva la loro attrazione sessuale (Drescher, 1998), per quanto il fatto di dover vivere la propria sessualità clandestinamente in ambiti spesso degradati possa causare vergogna di essere gay.
Segue un breve esempio clinico che mostra la distinzione tra il concetto di compulsione sessuale e quello di identità sessuale, ed è volto al rispetto delle identità sessuali delle persone gay, pur focalizzando dei comportamenti compulsivi.
Riguardo ai meccanismi dissociativi, Drescher puntualizza con chiarezza che "l’identità sessuale di una persona non è patognomonica di alcun suo stile difensivo. Concentrare la nostra attenzione sul modo in cui i pazienti gay tendono a dissociare non ci deve portare ad oscurare il fatto che essi costituiscono comunque un gruppo eterogeneo. Il diniego, l’intellettualizzazione, la razionalizzazione e le altre difese hanno altrettante probabilità di essere individuate in un paziente gay di quante ne hanno di essere colte in qualsiasi altro paziente." ( ibidem)
Va però non sottovalutato il fatto che molti uomini gay, soprattutto per lo stigma sociale che li accompagna, hanno avuto ripetuta esperienza di eventi traumatici, donde una tendenza a rimuovere quanto è legato a sensazioni di angoscia e vergogna provenienti dal mondo esterno e interno, con evidente rinforzo delle attività dissociative.
La concettualizzazione di H.S. Sullivan (lui stesso gay, mai però outcoming) sulla dissociazione è pertanto utile anche applicata alla comprensione clinica e al lavoro terapeutico con i pazienti gay, particolarmente con quelli sessualmente compulsivi. Secondo Sullivan, la dissociazione si manifesta come "lacuna" inconscia o disattenzione selettiva riguardo a certi temi. Questo è frequente in molte persone gay, che, sotto la spinta delle pressioni sociali, cominciano precocemente a dissociare la consapevolezza del loro orientamento sessuale. Secondo Sullivan, non esiste Sé se non esiste l'altro: conseguentemente, celarsi in rapporto al proprio Sé equivale al farlo nei confronti degli altri. .
Le forme dissociative possono avere gradi diversi di gravità: tra le più gravi, gli incontri sessuali che hanno luogo mentre si finge di dormire.
Segue la trascrizione di una vignetta clinica, in cui il terapeuta, seguendo il criterio dell’indagine dettagliata proposta da Sullivan, cerca di esplorare il materiale rimosso.
Drescher osserva che "quando un paziente, a prescindere dalla sua identità sessuale, subisce la propria sessualità come una forza compulsiva che rimane al di fuori del suo controllo cosciente, le sue attività sessuali possono avere luogo in uno stato simile a quello della reverie, un grave fenomeno dissociativo." ( ivi, p 87). Lo stato di reverie può essere esperito come un sogno ad occhi aperti.fuori dalla vita di ogni giorno. Nel caso riportato, il terapeuta aiuta il paziente a venire a contatto coi sentimenti che stanno dietro la fantasia.
A volte questo cercare di capire attraverso una indagine dettagliata viene vissuto come una violazione, e il paziente diviene ansioso, irritabile o rabbioso . Ma sono proprio questi i sentimenti che egli, non potendo permettersi di sentirli, sta dissociando. "Il fine ultimo nel lavoro con ogni paziente, quando si conduce l’indagine dettagliata, è quello di portarlo in una posizione in cui egli non desidera affatto ritrovarsi, impedendo al tempo stesso all’angoscia del paziente di raggiungere dimensioni insopportabili." ( ivi, pp 87-88).
Drescher mostra come il paziente, confrontato suo malgrado con sentimenti di impotenza, provi rabbia, giudicando rabbiosamente anche se stesso per le reveries. che vuole restino fuori dalla sua esperienza cosciente. Egli si sente anche rabbiosamente giudicante nei confronti dei propri comportamenti, non appena si rende conto di essi: "Odio dover parlare di queste cose! ". Il terapeuta gli fa allora notare che egli, in quei momenti, smette di pensare, come se entrasse in uno stato di trance. Il paziente lo riconosce, osservando che si tratta di un tentativo disperato di nascondersi, e recuperare la persona che era in passato. "Era un po’ come tuffarsi in una piscina e non avere il problema di stare a pensare come fare per nuotare. Ci sarebbe sempre stato qualche cosa che ti avrebbe fatto sentire bene anche quella volta. Poi, a un tratto, era tutto finito." (idib., p. 88).
Proprio questo intollerabile senso di disperazione contribuiva ai suoi sentimenti di compulsione sessuale, che il terapeuta precedente aveva cercato di esorcizzare con l'esaltazione della monogamia, non ottenendo alcun risultato terapeutico. Drescher nota: "quando il paziente mi invitò ad assumere una posizione terapeutica simile a questa, gli segnalai che lo scoraggiamento predicatogli dal suo primo terapeuta non sembrava essere riuscito a porre fine alle sue attività, e dunque quale vantaggio sarebbe potuto derivargli dal tentativo di spingermi a scoraggiarlo a mia volta? Il paziente mostrò un fastidio crescente per il fatto che io evitavo di assumere questo ruolo della figura di autorità disapprovante nello stesso modo compiacente in cui tale ruolo era stato assunto dal suo terapeuta precedente. Va notato che questa frustrazione del tentativo del paziente di portarmi ad assumere quel ruolo gli stava permettendo di sperimentare in modo più completo la propria rabbia e il proprio fastidio." (idib., p. 89), dandogli la possibilità inoltre di esprimere il vissuto che i suoi comportamenti fossero "privi di senso", cioè, "cattivi. Dopo ripetuti interventi del terapeuta, volti anche a stimolarne la curiosità, il paziente potè cominciare ad esprimere sentimenti di angoscia e di solitudine che lo inducevano alla degradata compulsione sessuale, di conseguenza a comprendere le origini della propria angoscia, e a tollerare i sentimenti che provava, in tal modo conseguendo maggior sensazione di controllo, e accresciuta capacità di osservare le proprie azioni, parlarne con se stesso più apertamente e ridiscuterle col terapeuta.
Osserva ancora l'A: "Grazie al mio rifiuto di identificarmi in modo proiettivo col ruolo del guardiano morale, il paziente poté arrivare progressivamente a comprendere che era necessario per lui confrontarsi con le sue riserve riguardo a questa sua tendenza ad andare alla ricerca di uomini con cui fare del sesso anonimo. Questa presa di coscienza aumentò la sua consapevolezza sul conflitto interiore che egli covava nei confronti dei suoi comportamenti sessuali." (idib., p. 90), insight che lo portò a diminuire la frequenza delle sue visite a luoghi degradati, in cui esprimere la propria sessualità.
"Infine, in piena contraddizione con la pretesa storica della psicoanalisi di equiparare l’omosessualità con la compulsività sessuale, desidero segnalare che sebbene questo paziente avesse sperimentato la riduzione di quella che in precedenza considerava come una compulsione sessuale, non modificò per nulla la sua identità sessuale e neppure perse l’attrazione che provava nei confronti degli uomini." (idib., p. 90).
Il paradigma interpersonale ha mostrato che si ha un'irruzione di angoscia quando la conoscenza del Sé appare pericolosa per il sistema di relazioni esterne e questo vale sia per gli uomini gay che per gli psicoanalisti.
Emerge qui la questione della neutralità analitica. Freud, dice Drescher, prese a modello il chirurgo, la cui unica meta è eseguire l’operazione nel modo più corretto possibile (Freud, 1912). Ma, secondo lui, la neutralità psicoanalitica non è possibile. " Per avere conferma di ciò, basta studiarsi la storia della psicoanalisi, una disciplina che espresse la propria angoscia nei confronti dell’omosessualità integrando i pregiudizi culturali nelle sue teorie e nella sua pratica, nonché infantilizzando e patologicizzando le identità gay e lesbica (Drescher, Psychoanalytic Therapy and the Gay Man, 1998)." ( idib., p. 91).
Simile angoscia di fronte alla variabilità della sessualità umana esiste anche nell’idealizzazione controtransferale della monogamia, espressa con l'etichettare in senso dispregiativo i comportamenti sessuali non monogami di un paziente come "compulsioni", "acting out" o "resistenza" , sicchè l'ingresso di un paziente in una relazionalità monogamica viene salutato vittoriosamente dal terapeuta al termine di un'analisi, senza di accorgersi che questa aspettativa a senso unico serve solo a prendere le distanze, in senso psicologico, dal comportamento compulsivo, e impedisce al terapeuta di empatizzare con aspetti anticonformisti del suo paziente.
Inoltre, patologicizzare un comportamento può essere il riflesso di un giudizio controtransferale verso di esso. Questo non permette di entrare empaticamente nella soggettività del paziente. Dunque, il terapeuta deve assolutamente evitare di colludere con le richieste del paziente ad assumere un ruolo da baby-sitter o da guardiano morale. Invece, per quanto sia complicato, egli dovrebbe cercare di accettare il desiderio del paziente tanto per forme di eccitamento sessuale non convenzionali, quanto per una relazione più convenzionale. Sarebbe poi utile il mantenimento di un certo scetticismo riguardo al desiderio del paziente verso relazioni convenzionali e alla tendenza ad etichettare la propria sessualità come compulsiva.
In conclusione, " Il tentativo idealizzato, ma comunque impossibile, di raggiungere la neutralità non consentirà al terapeuta di superare quei momenti inevitabilmente penosi in cui egli sentirà una fortissima tendenza controtransferale ad assumere un atteggiamento giudicante nei confronti del paziente. Ben più consistentemente, è il rispetto per le differenze che può produrre i migliori risultati. " (idib., p. 91)

Qualche nota più ampia su qualche aspetto del pensiero di Drescher.
Nella sua documentata e approfondita relazione, appare centrale il tentativo di tener ben distinte le due questioni della compulsione sessuale e dell'identità sessuale.
Esperienze cliniche, come qui riportato, hanno evidenziato che gli uomini gay con un vissuto compulsivo dei propri desideri sessuali, non necessariamente vivono come compulsiva la loro attività sessuale.
Drescher ha indicato chiaramente che, quando un qualsivoglia paziente, etero- o omosessuale, subisce la sessualità come compulsione al di fuori di ogni controllo cosciente, siamo già nell'area della dissociazione, una sorta di reverie, in cui le fantasie possono essere agite senza integrazione col Sé, e un'attività sessuale anonima serve come puntello alla propria autostima.
In un caso riportato dall'A nel suo libro Psychoanalythic Therapy & the Gay man, imprescindibile punto di riferimento per chi si occupa come terapeuta di pazienti gay, un paziente etichetta come compulsione sessuale il desiderio di allontanarsi dalla sua relazione importante, volendo sentirsi eccitante e attraente, ma soprattutto volendo sottrarsi ad ogni impegno emotivo, pur aggiungendo di "essere in una buona relazione, in cui sentirmi protetto ed accudito, mi protegge dai miei propri sentimenti compulsivi" (idib., p. 288, traduzione dall'inglese del recensore), il che avviene dando al partner il ruolo di una baby-sitter, guardiana della coppia. Analogamnete nel caso riportato in questo studio, il paziente vorrebbe rivestire di tale ruolo il suo terapeuta, per essere bloccato nell'agito delle attività sessuali compulsive. Drescher sottolinea come un'idealizzazione controtransferale della monogamia impedisca a molti terapeuti di assumere un atteggiamento rispettoso nei confronti dei desideri del paziente per una diversità sessuale, da cui l'etichetta di comportamento compulsivo e talora la supervalutazione (spesso solo presuntiva) per relazioni monogamiche. Viceversa, " se le contraddizioni del paziente fossero esperite come accettabili dal terapeuta, allora il paziente non sarebbe costretto a dissociare da quanto prova e potrebbe ricavarne degli insights." (ibidem). Al paziente che nota di non riuscire a collegare comportamento sessuale e amore, il terapeuta chiarisce " ciò che lei chiama " compulsività sessuale "è un comportamento che emerge quando non può tollerare i suoi sentimenti di rabbia, contrarietà, risentimento o deprivazione.Lei non collega questi sentimenti con amore, ma con sesso". (ibidem).
La dissociazione può essere anche posta al servizio del celare una identità sessuale di uomo gay, troppo angosciante per essere dichiarata pubblicamente e a volte anche con se stessi, come finora è avvenuto soprattutto per le fortissime pressioni culturali e morali.
Non è infrequente, osserva l'A, che il terapeuta cerchi di stabilire lui l'identità sessuale del suo paziente, in questo modo rinforzando le difese dissociative, piuttosto che le tendenze integrative, non permettendo al paziente di conoscersi ed esprimersi sinceramente e liberamente. Questo probabilmente deriva dalle difese del terapeuta, di fronte alla esplicitazione del Sé sessuale da parte del paziente, evocando risposte controtranferali spesso difficili da affrontare.
Infatti, scrive l'A, inevitabilmente i veri sentimenti del terapeuta, specie verso i comportamenti omosessuali, emergeranno manifesti."Questo potrebbe includere la scelta delle parole da parte del terapeuta, il genere di topiche esplorate, o in quali scegliere di rimanere in silenzio." (idib., p. 197).
Un altro aspetto importante relativo all'"identità sessuale" , riguarda il fatto che, se anche è vero che "gli affetti sono una parte dell'identità di una persona, l'identità di una persona non può essere definita da un singolo affetto " (idib., p. 212). Dunque, se si definisce come omosessuale una persona che è attratta dalle persone dello stesso sesso, se ne perdono di vista tutte le altre qualità e sentimenti.
Identità sessuale è un concetto più flessibile di identità di genere o di orientamento sessuale.: "include tutti i possibili sentimenti e attitudini verso il genere di qualcuno e le attrazione sessuali". (ibidem). Non è quindi attraverso le personali attrazioni che si definisce l'identità di una persona e, per quanto si riferisce all'uomo gay, la sua identità sessuale non è la stessa cosa di un orientamento omosessuale.Il sentirsi attratto dallo stesso sesso è solo un aspetto dell'identità di un uomo gay.
Altro aspetto interessante, trattato da Drescher nel suo libro, è l'aver messo in luce che "culture diverse, usando diversi marcatori linguistici, producono identità sessuali diverse" (idib., p. 300). In Gay New York di Chaucey (1994), si può vedere come, verso fine 800/ primi 900, le identità sessuali fossero basate sui ruoli di genere, e non sulle attrazioni sessuali.
In realtà, dice l'A, i fattori che contribuiscono alla costituzione dell'identità sessuale sono assai complessi, ma ben poco conosciuti. L'identità sessuale può essere soggetta a cambiamenti: una persona può sentirsi attratta sessualmente in modo diverso da come sentiva precedentemente, o, meno frequentemente, "una identità sessuale può cambiare quando un individuo cambia la propria prospettiva sui suoi sentimenti sessuali. Così, il coming out è un esempio comune di cambio di identità sessuale. L'attrazione sessuale potrebbe non essere cambiata, mentre cambiano i sentimenti della persona su ciò." (idib., p. 216).
Per tutti questi motivi, il compito del terapeuta va improntato al massimo rispetto, tolleranza e preparazione approfondita in materia sessuale, e "non richiede...un abbandono dei principi e delle tecniche di un approccio psicoanalitico" (idib., p. 172)

A corollario della chiara esposizione di Drescher, vorrei accennare ad un altro interessante punto di vista psicoanalitico. Vent'anni fa, Fritz Morgenthaler ha espresso un originale, e per i tempi assolutamente coraggioso e controcorrente punto di vista sull'omosessualità, asserendo con fermezza e valide argomentazioni scientifiche che "la sessualità, qualunque sia la forma in cui si manifesti, non può essere mai una nevrosi, una psicosi, uno stato morboso. La psicopatologia può invece essere soltanto espressione di uno sviluppo disarmonico in tutta l'organizzazione psichica" ( Morgenthaler, 1975, p. 6).
Tra l'altro, Morgenthaler si è occupato della coazione a ripetere dell'investimento sessuale e della soggezione all'oggetto sessuale da parte della persona omosessuale, senza tuttavia equiparare tout court ed esclusivamente l’omosessualità con la compulsività sessuale, come molti psicoanalisti hanno fatto e continuano a fare, e come in questo studio è ricordato da Drescher.
Morgenthaler sottolinea con grande raffinatezza di pensiero come la coazione a ripetere dell'investimento sessuale sia al servizio del processo secondario, per la salvaguardia dell'investimento sessuale dell'oggetto, evitando la temuta e pericolosa dipendenza da un oggetto d'amore che delude rivolgendosi ad altri partner, il che avviene sia nel caso dell'omosessualità che dell'eterosessualità . Di conseguenza, viene temuto un approfondimento del rapporto. e si instaura una coazione a ripetere che mira ad evitare la delusione rispetto al legame: ma questo avviene, come Morgenthaler sottolinea frequentemente, indipendentemente dal tipo di orientamento sessuale: per chiunque, omosessuale o eterosessuale, le difficoltà dipendono dal fatto che la capacità di amare viene limitata o resa impossibile.
Tuttavia, nel caso della persona omosessuale nevrotica, in conseguenza delle pesantissime pressioni del background social-religioso, secondo Morgenthaler si manifesta una tendenza coatta rispetto al partner sessuale, tanto più marcata, in quanto, appunto, date le gravi discriminazioni della società e della religione rispetto alla cultura omosessuale, la dipendenza non può essere, per così dire, spostata sulle istituzioni sociali, che quasi sempre tende ad escludere, o sui figli (sul ruolo svolto dalle gravissime restrizioni sociali, cfr. il ricco articolo di Paul Parin, che tra l'altro ha lavorato per molti anni con Frirz Morgenthaler, soprattutto nel campo dell'etnopsicoanalisi.).
Di conseguenza, nel corso del rapporto terapeutico, Morgenthaler ritiene essenziale che le regressioni derivate dalla problematica della dipendenza si trasformino in regressioni al servizio dell'Io, sicché i moti indirezionati e liberi del sessuale (nota A) possono nuovamente avere accesso in maniera non coatta all'esperienza vissuta.
Da notare che questo principio di teoria della tecnica è valido con qualsiasi paziente, qualunque sia l'orientamento sessuale della persona.

Nota A: Per quanti fossero non familiari col pensiero di Morgenthaler, ricorderò che col termine "sessuale" egli intende la pulsionalità dell'Es. Parlando del sessuale in opposizione alla sessualità organizzata, Morgenthaler indica un potenziale energetico di base, connotato da moti indirezionati, in quanto privi di una meta specifica, atemporali, incondizionati e inconsci. Il perseguimento di un principio sarà poi compito dell'Io.

BIBLIOGRAFIA AGGIUNTIVA:
DRESCHER J. (1988), Psychoanalythic Therapy & the Gay Man, The Analithic Press, Hillsdale, NJ.
MORGENTHALER F. (1982), L'omosessualità, Psicoterapia e Scienze Umane, 1, pp. 3-37.
MORGENTHALER F. (1984), Sessualità e psicoanalisi, Psicoterapia e Scienze Umane, 2, pp. 3-28.
PARIN P. (1985), "The Mark of Oppression", Psicoterapia e Scienze Umane, 4,1985, recentemente in L'omosessualità nella psicoanalisi, Einaudi, Torino, 2000, pp. 3-35.

Questo articolo è stato presentato al convegno Desires and addictions: compelling forces, tenuto presso il William Alanson White Institute, New York, il 30 ottobre 1999. Esso ha anche costituito parte di una relazione tenuta dall'autore presso il Seminario internazionale di Psicoterapia e scienze umane, Bologna, 19 maggio 2001. Traduzione di Fabiano Bassi.

Jack Drescher, 420 West 23 Street, New York, NY 10011

 

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