PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI

--> Psicoter. Sci. Um. --> 2000

Psicoterapia e Scienze Umane, 2000, XXXIII, 4

Bion: i miti come modelli dell'esperienza analitica

Riccardo Pacifico

 
Centrale e specifica del pensiero di Bion la questione del mito, non oggetto, ma mezzo di interpretazione, anche in relazione alla ricerca e al metodo in psicoanalisi:  quindi mitologia applicata alla psicoanalisi.
Tre le dimensioni fondamentali in cui l'interpretazione coglie gli elementi psicoanalitici e i suoi oggetti: senso, passione ed estensione nel campo del mito; riguardo a questo ultimo punto, è essenziale, da parte dello psicoanalista, che l'esperienza  dell'oggetto psicoanalitico sia interiormente accompagnata da coscienza e conoscenza di una dimensione "mitologica" o "come se", da cui ricavare un indispensabile equipaggiamento di paradigmi e formulazioni sintetiche .
L'analogia tra mito e sogno ha profonde radici nel mondo psicoanalitico.
A partenza da Freud, l'attività mitopoietica è riconosciuta come una modalità inconscia di pensiero tuttora persistente, che trasforma  pulsioni infantili rimosse in "miti endopsichici". Freud riteneva che i racconti mitologici corrispondessero ai "residui deformati di fantasie di desiderio di intere nazioni",  ai sogni ad occhi aperti . 
Abraham vedeva nel mito un brano della superata vita infantile dei popoli, tradotto dalla psiche in un linguaggio simbolico.
Jung scorgeva nel mito analogie col pensiero onirico e riteneva che i racconti mitologici fossero fatti della stessa sostanza dei sogni, frutto di una "attività fantastica inconscia",  con una funzione immaginativa transpersonale, accessibile in virtù di un abbassamento del livello mentale, luogo di rappresentazione di figure archetipiche emergenti da uno "strato-base psichico-collettivo". Con una differenza: nel sogno, le rappresentazioni si impongono autonomamente, invece nei miti la loro configurazione viene da una stratificazione culturale; in ambedue, vengono organizzati gli archetipi. 
La necessità di decifrazione origina dal fatto che abbiamo a che fare col prodotto di una interpretazione, dato che interpretiamo un dato ignoto, portatore di un senso trasformato. Come afferma Green (1980),  interpretare un sogno o un mito significa  interpretare qualcosa di già interpretato .
Freud era certo dell'esistenza di una precisa corrispondenza tra significante (onirico/mitologico) e significato (inconscio), per cui considerava  possibile una chiara lettura  del sogno e del mito, che riconducesse alla realtà e ai significati psichici originari , mascherati dall'inconscio. Orgoglio illuministico, commenta Pacifico.
Dato che per Jung, invece,  i miti e i sogni non stanno al posto di qualcosa che è stato cosciente, ma evocano ciò che è essenzialmente inconscio. Perciò  il simbolo junghiano non svolge, come in Freud, una funzione equilibratrice, bensì  dinamica e trasformativa .
Nella teorizzazione di Bion, sogno e  mito non possono più essere definiti prodotti o formazioni inconsce , in quanto primo risultato di un lavoro-del-sogno. Tramite tale lavoro, secondo Bion,  la funzione alfa trova la possibilità stessa di pensare, contenendo l'esperienza per renderla disponibile ad ogni ulteriore processo di pensiero,  precedendo e stabilendo, attraverso la barriera di contatto,  una differenziazione, non rigida,  tra conscio e inconscio.
Mito e sogno, nella Griglia di Bion, sono situati alla riga C, in cui si trovano gli elementi di pensiero visivo, le pittografie,  trasformate a partire dalle emozioni dalla funzione alfa. 
Bion distingue i miti in particolari e generali : i primi sono contigui alla dimensione del sogno, cioè formulazioni-alfa di campi emotivi, rappresentazioni soggettive di eventi contingenti , quindi privi di valore e circolazione sociale; tuttavia, in alcuni casi, la loro forza espressiva si trasmette al gruppo che sogna, come propri, sogni privati. La preconcezione, sorta di mito privato, incontrandosi con la  realizzazione , dà origine alla concezione . 
Invece i miti generali, che fanno parte di un patrimonio culturale allargato e collettivo, sono quelli che anche nel linguaggio popolare sono considerati  miti, quali i racconti biblici dell'Eden e della Torre di Babele, la cui elaborazione registra, in una simbologia figurativa e sempre rievocabile, una serie di fatti che la collettività vuol ricordare come particolarmente rappresentativi, significativi e validi nel tempo . 
La differenza tra i due tipi di miti, spiega Bion, sta nel fatto che nel mito generale  i metaboliti-alfa si presentano in una congiunzione narrativa stabilizzata dalla tradizione costituendo le versioni gruppali e individuali di una stessa vicenda , quindi , un sogno valido per tutti i membri del gruppo.
Le storie mitologiche trasmesse dalle diverse tradizioni sono quindi, secondo Bion, sistemi organizzati di pensieri onirici , aventi funzioni di raccordo e fissazione; in esse,  nessuna delle componenti può essere compresa , se non in rapporto con le altre, né tantomeno isolata, senza distorcere del senso globale, proprio come in un sistema scientifico - deduttivo i vari elementi vengono fissati tramite la loro inclusione nel sistema, o come in una forma narrativa, metodo elettivo per esprimere l'emozione da immagazzinare e imporre, senza ricorrere alle spiegazioni, coesione e integrazione, agli elementi alfa del lavoro del sogno. 
"Ordine, connessione e amalgama tra le parti, concrezione e trasmissione del senso: a ben vedere, l'essenza del mito, per Bion, è il mythos della Poetica aristotelica: synthesis o systasis, "composizione" degli elementi in esso combinati, la costruzione e al tempo stesso il principio strutturale di una trama: "un tutto compiuto" le cui parti "devono essere coordinate in modo che, spostandone o sopprimendone una, ne resti come dislogato e rotto tutto l'insieme" (ivi, p 110).
Seguendo le vicissitudini del mito lungo l'asse genetico-evolutivo orizzontale della Griglia, si osserva che Bion postula diversi usi o trattamenti categorizzati , in modo particolare quelli indicati nelle colonne 3, 4 e 5, notazione, attenzione e indagine. Così, nella prima, punto 3, l'emergere nella mente di un tema mitologico consente ad analista e paziente la memorizzazione immaginale del campo emotivo ricostituitosi durante la seduta,"nel senso che l'esemplarità narrativa di un mito pubblico, la sua tipicità socialmente condivisa si adattano in modo oltremodo conveniente - e comunque con maggiore pregnanza e significatività di quanto possa fare la formula occasionale e idiomatica di un mito personale - alla immediata e fotografica registrazione e ritenzione di un'esperienza che ha luogo o viene verbalizzata in analisi." (ibidem).
E' però indispensabile che il mito venga sottoposto a  più complessa elaborazione , onde evitare, nello spazio mentale,  regressive strumentalzzazioni da parte dalla funzione "psi" (colonna 2) , ostacolanti il pensiero. 
Invece , sottoposto ad una attenzione più liberamente ricettiva (colonna 4), il mito, anziché  costituire una resistenza alla conoscenza, può costituire una sorta di modello per l'esplorazione analitica (C4), proprio come per uno scienziato una formula matematica già esistente, da applicare al problema cui sta lavorando.
Quindi, per la sua densità e presa narrativa, esso si connota come uno strumento correlato al contesto dell'esperienza, ma anche utile come fattore generativo dell'emergere di nuovi rapporti, sia decrittivi che esplicativi, tra concetti ed eventi analitici. 
Dunque, i miti possono essere utilizzati sia come opportunità o condizioni di figurabilità delle emozioni, sia come forme esemplari dell'esperienza analitica, modelli di problemi teorici e clinici . Ne consegue, come ha osservato L. Grinberg, che  i repertori mitologici mettono a disposizione del lavoro analitico una ricca "galleria di quadri verbali", espressione sintetica delle teorie psicoanalitiche usate dall'analista  sia per percepire lo sviluppo del paziente sia per dare interpretazioni chiarificanti su aspetti dei problemi del suo sviluppo. Racconti e miti rappresentano variabili valide per ogni periodo della vita, in cui possono svilupparsi le libere associazioni di analista e paziente, dando significato a dettagli altrimenti impercettibili.  "Attraverso lo scandaglio associativo, i miti vengono così ad assolvere, relativamente al lavoro interpretativo dell'analista e alla rielaborazione dell'analizzato, quella che, forzando la stretta ortodossia del lessico bioniano, si potrebbe definire una funzione alfa di secondo grado, costituendosi come i transiti mentali di una "percorribilità trasformativa" (Preta, 1993, p. 195), dalla realtà interna alla realtà esterna" (ibid., p. 112), che dà accesso ad una configurazione comunicabile, tramite una forma discorsiva e narrativa. Siamo agli antipodi di una tradizionale pratica analitica, poiché si tratta di usare un materiale inconscio (la catena delle libere associazioni, appunto) per interpretare uno stato mentale conscio. Qualora poi il mito non si imponga da sé, l'analista deve scoprire a quale mito si debba utilmente far ricorso, come più congeniale al momento analitico in corso, e al problema che in esso si presenta, naturalmente scegliendolo tra quelli congrui e familiari alla cultura del gruppo di cui il paziente fa parte .
I materiali mitologici annotati e oggetto di attenzione, poi, sono sottoposti ad indagine (colonna 5), attivamente diretta e concentrata, e assunti come modelli cognitivi per illuminare un materiale altrimenti sconosciuto . Preliminarmente, sono però necessari uno scavo e un metodo investigativo che Corrao (1992 ) sintetizza e descrive come una procedura in quattro fasi, e cioè:  la decostruzione della trama mitologica; l'isolamento delle sue componenti; la decodificazione degli elementi; la loro risignificazione e ricombinazione alla luce di nuove connessioni che diano ordine. 
Osserva Pacifico: " Viene provocata in questo modo una messa in risonanza del campo mitologico indagato, in cui però l'evidenziamento e l'espansione dei singoli elementi che lo costituiscono non sono diretti, come nel metodo amplificativo di Jung, a dipanarne i collegamenti e le affinità - i filoni archetipici comuni - con altri reperti mitologici (anche i più diversi e distanti per epoca e geografia), ma piuttosto ad intensificare il significato, l'evocazione cognitiva di cui quelle stesse componenti, all'interno del mythos di appartenenza, sono autonomamente portatrici." (ibid., p. 114).
Il secondo momento della indagine mitologica è, al contrario, di ricomposizione e sintesi. L'emergere nella mente di un fatto selezionato, punto prospettico riordinatore e catalizzatore della riaggregazione,  in base a una congiuntura tematica alternativa, che ristabilisce un ordine logico restauratore, e quindi ad una trasformazione , in cui si risolve la tensione conoscitiva, relativa a un'esperienza emotiva, o all'apprendere qualcosa a suo riguardo. Ciò costituisce un'emozione, per cui si può affermare che i miti sono utilizzati da Bion "come modelli per il "legame K" e le sue vicissitudini, così che le loro trame, e i singoli elementi emblematici che se ne possono estrarre, possono essere adattati e correlati ad uno o più degli usi del pensiero rappresentati sull'asse orizzontale della Griglia" (ibid., p. 115), distribuendosi dai processi difensivi di "psi" (colonna 2), all'indagine (colonna 5)" .
Centrale, a questo punto,  il tema della curiosità,  stato della mente che ricerca la verità, tuttavia sotto la guida di una volontà di conoscenza ambivalente, che può generare conoscenza/vita o morte 
In questa tensione verso il cambiamento (trasformazione catastrofica in O) , sempre la paura accompagna la fatica della conoscenza e della comprensione, oltre al ben conosciuto fatto che, ad ogni sintesi interpretativa frutto dell'analisi, il paziente sperimenta una depressione per la scoperta che la devastazione della personalità è  più profonda e grave di quanto supposto. 
Di questo Bion parla appunto usando dei miti introdotti da lui, ancorché "storici": quello dei ladri-archeologi di Ur e quello della tragica vicenda di Palinuro, come la si legge nell'Eneide. Nella stanza di analisi, dice Bion, ci sono  due persone egualmente spaventate, impegnate nella sofferenza del pensare, col compito di perseverare nelle incertezze, tollerare cioè la frustrazione e il negativo connessi alla kenosis terapeutica. Ma  il sapere deve essere commutato nel linguaggio dell'Effettività, in azione (colonna 6), per aprirsi un varco, proprio come i profanatori della tomba di Ur,  tra i fantasmi-sentinelle dei morti e i loro custodi-sacerdoti , riportando alla luce le parti più primitive della mente , e cioè  le identificazioni proiettive patologiche, gli attacchi al legame e la psicosi.

L'analisi di Pacifico, accuratamente condotta, si muove con agilità nel non facile, per quanto intensamente approfondito, terreno del paradigma bioniano, mostrando, con puntuale ricostruzione, la centralità, nell'opera di Bion, del mito come attività di conoscenza (legame K) rispetto a quegli elementi di cui lo psicoanalista va in cerca.
Nell'Introduzione al pensiero di Bion, di Grinberg, Sor e Tabak de Bianchedi, si legge: "I miti offrono una versione narrativa dei problemi, in cui i diversi personaggi nella loro interazione sviluppano il dramma dell'uomo e del gruppo alla ricerca della verità, specialmente quando ricerca e curiosità si riferiscono alla conoscenza di se stessi" (Grinberg, Sor, de Bianchedi, 1993, p. 85).
Collegandoci ad un altro punto dell'articolo di Pacifico, val qui la pena di ricordare un altro bel saggio, ad opera di Sergio Molinari, "W.R.Bion di fronte al mito di Edipo", in cui l'A esplora il ruolo  che la situazione edipica ha svolto nel processo di costruzione della stessa Griglia. L'ipotesi interessante è che "la situazione edipica,  sia come pre-concezione emotiva ...sia come idea che Bion si stava formando sulla centralità della pre-concezione edipica, abbia costituito il fatto scelto che, dando coesione e collegamento ... ha determinato il "precipitare" della griglia" (Molinari, 1981, p. 696). Iniziando a parlare della griglia, dice Molinari, Bion spiegava che essa serviva a compattare fenomeni dispersi, dalla definizione di ciò che intendeva parlare ai concetti freudiani di memoria, attenzione ed esplorazione, a problematiche riguardanti gli agiti, il che si ricollega ad una sua descrizione della struttura peculiare del mito di Edipo, i cui elementi sembrano corrispondere all'asse coi numeri della Griglia (ipotesi definitorie; elementi psi, cioè falsi; notazione;attenzione; indagine; azione.
Ci si potrebbe chiedere se invece non sia avvenuto che Bion abbia costretto il mito di Edipo a combaciare con le sue preconcezioni.Questo comunque sarebbe in accordo con la visione bifocale di Bion. Scrive ancora Molinari "Il mito di Edipo può essere considerato uno strumento che servì a Bion per "scoprire " la griglia, o meglio l'asse orizzontale della griglia, e quest'ultimo asse può essere considerato uno strumento che permise a Bion, già consapevole di alcuni difetti della classica teoria edipica freudiana, di completare la costruzione della griglia" (ibid., p. 698).
A completamento della lettura, segnalo infine, ad opera di un gruppo di psicoanalisti , una interessante esemplificazione dell'uso del mito come spunto alle libere associazioni, in relazione al mito scelto, senza alterarne gli elementi base,  il cui risultato è stato la scoperta non del mito, ma della psicoanalisi (Camargo et al., 1997).

Bibliografia aggiuntiva

CAMARGO C.A.V., SANDLER E.H., BOTELHO E.Z.F., SEREBRENIC F.T., CESAR G.L.M.S., MATTOS L.T.L., RIVERA M.L.L., SANDLER P.C., WETZEL S.G.W.B. (1997), Nine psycho-analysts in search of a myth, INTERNATIONAL CENTENNIAL CONFERENCE ON THE WORK OF W. R. BION : W. R. BION: PAST AND FUTURE  

GRINBERG L., SOR  D., TABAK DE BIANCHEDI E., Introduzione al penseiro di Bion, Cortina, Milano, 1993.

THE "W.R.BION. PAST AND FUTURE" PROJECT, Torino, 1997, a cura di Silvio A. Merciai (un sito ricchissimo ed imprescindibile, collegato ad una importante mailing-list, per chi vuole approfondire il pensiero di Bion)

MOLINARI S. (1981), W.R. Bion di fronte al mito di Edipo, Rivista di Psicoanalisi, 3/4, 695-704.

Riccardo Pacifico, Via Jerapoli 1, 00146 Roma. 

 

PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI

--> Psicoter. Sci. Um. --> 2000