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Psicoterapia e Scienze Umane, 1999, XXXII, 3

Una questione d'onore

Guido Bonelli

 
Una ragazza di quasi diciotto anni, Valeria, si è uccisa a Milano nello scorso marzo, gettandosi da una finestra, dopo essere stata stuprata da tre uomini. Prima, ha scritto ai familiari, dicendo che non riusciva più a guardarsi allo specchio senza ripensare all'accaduto
Il volto riflesso nello specchio - osserva l'autore - "vale come la nostra identità, che lo specchio ci aiuta a valutare: esso ci mette a tu per tu con il nostro sé, non riproduce soltanto la nostra figura, ma in qualche modo anche l'entità imponderabile che in essa si estende. Un altro sé, che è ancora il nostro sé, ci giudica dallo specchio " (p. 101). Un trauma psichico, dice l'autore che nel vissuto delle donne è irrimediabile: si tratta di una vera e propria onta, un disonore incancellabile rispetto a un "rudere ideologico", il "concetto di integrità fisica come criterio di valutazione e come presupposto di accettazione sociale della donna." (p. 102), proveniente dall'assolutizzazione del valore di integrità sessuale, secondo le categorie di giudizio del violentatore, nella "furia d'impossessamento del maschio", di cui è il complemento speculare. Il perdurante carattere di "infamante" viene poi da un coinvolgimento ancestrale  per cui, una volta violato in tal modo il sesso, alla donna non resta più spazio per esistere, come già testimoniato dalla vicenda di virtù romana, narrata da Livio, della stoica Lucrezia, violentata da Sesto Tarquinio, che, pur  ritenendosi innocente, non volendo vivere nel disonore, si trafigge il cuore. Atto non dissimile da quello della ragazza di Milano. 
L'A esprime qui la preoccupazione che iI gesto di Valeria possa assumere, per altre donne nella medesima situazione, anche alla luce di certi vissuti femministi, la medesima funzione «pedagogica» che Lucrezia, profondamente umiliata, intendeva dare al suo gesto, mantenendo in tal modo alto il livello della tensione, senza elaborazione del trauma. La vergogna da stupro - sostiene l'A - è totalmente esente da colpa, ed è pure la meno fondata tra le varie forme di vergogna. 
Viene qui ricordato un passo autobiografico del giovane Freud decenne, cui il padre narrò un episodio della sua gioventù: un sabato, a passeggio per le vie del paese, ben vestito, con in testa un berretto di pelliccia nuovo. Viene apostrofato da un cristiano, che gli butta il berretto nel fango urlando: "Giù dal marciapiede, ebreo!". Il padre di Freud andò in mezzo alla via e raccolse il berretto, comportamento all'epoca considerato assai remissivo da Sigmund: episodio certo meno drammatico dello stupro, ma che mostra una vergogna elaborata con prudenza e pazienza.
Nella donna che subisce lo stupro nulla può, a detta dell'A, oggettivamente giustificare la vergogna.
Viene a questo punto ricordato il mito di Aiace, ripreso da Sofocle: l'eroe, il più forte dei Greci, offeso, dopo la morte di Achille, per non averne avuto le armi, vorrebbe vendicarsi uccidendo Ulisse, il beneficiario, e gli Atridi, ingiusti giudici. Fuorviato da Atena, in stato di allucinazione, fa strage di pecore, credendo di ammazzare i nemici. Uscito dalla follia, si rende conto dell'impresa ridicola e, non riuscendo a sopportare la vergogna, si uccide gettandosi sulla sua spada. Si tratta di una vergogna oggettivamente priva di fondamento, in quanto l'eroe ha agito privo delle facoltà mentali, a somiglianza della colpa d'incesto dell'ignaro Edipo. E'una sofferenza che non trova un'adeguata giustificazione e che per questo mette in crisi il senso del mondo, da cui la tragedia, dato che Aiace rappresenta il guerriero teso alla manifestazione della forza, cui conseguono nome e onore. "Siamo, come si vede, all'interno di quella che è stata definita la «civiltà di vergogna» (shame culture) che caratterizza la fase più arcaica ed elementare dell'organizzazione sociale, anteriore all'insorgere del sentimento della colpa (guilt culture) e delle istanze propriamente etiche " (p. 105).
Aiace è rappresentazione del concetto di hamattl, in relazione ad Ate, traviamento mentale che subentra dall'esterno ad opera degli dèi, esempio di incapacità di superare il trauma che lo porterà all'annullamento di sé.
Due - a detta dell'A - le strade oggi di fronte a noi relativamente all' analoga situazione dello stupro e conseguente coinvolgimento della vittima: o una differenziazione dal sesso, col considerarlo parte di noi come qualsiasi altra e come qualsiasi altra suscettibile di ricevere violenza - strada della modernità e della ragione che non porta a provare onta e di conseguenza sofferenza psichica; oppure consideriamo il nostro sesso parte non del nostro corpo, bensì del nostro sé, per cui una offesa così grave al nostro sesso significa essere noi stessi sporcati - questa, afferma l'A, è "una strada che conduce in un vicolo cieco. Infatti ricevendo non soltanto nella carne, ma anche assumendo e convalidando nel sé la violenza dell'integralismo maschilista, ci portiamo appresso il marchio d'infamia ... Lo stupro allora diventa condizione di vissuto permanente, diuturna memoria dell'umiliazione patita. Dalla violenza fisica, per sua natura circoscritta, può uscire qualsiasi forma, anche la più grave, di devastazione psicologica" (p.106). 
Per questo, forse, Valeria, come già Aiace, ha lavato il proprio disonore con la morte.

Fin qui il saggio di Guido Bonelli, arricchito da nutrite, assai interessanti note cui si rimanda chi volesse approfondire l'argomento, riguardo soprattutto ai concetti di colpa e vergogna.
Ritengo utile tuttavia riproporre alcuni interrogativi, per stimolare la riflessione, aggiungendo nel contempo poche note, spero chiarificatrici, principalmente di carattere storico.
L'onta conseguente allo stupro per la donna è un relitto di organizzazione maschile o qualcosa di intrinseco all'essere donna? 
Il luogo della ferita per la donna è una parte di sé come qualsiasi altra, oppure è una parte del proprio sé?
Credo che il fatto che la violenza subita nello stupro sia spesso vissuta dalla donna come condizione di grave vergogna sia un dato indubitabile, indipendentemente da età, razza o latitudine: questo è un primo dato su cui riflettere.
Prima però di affermare che "bisogna contrastare questo atteggiamento con cui la vittima assume, e quindi convalida, il sistema di valori dello stupratore: l'"onta" della donna stuprata è un relitto (purtroppo ancora patogeno) di organizzazioni sociali arcaiche e maschiliste" (p. 106), bisogna, a mio parere, capire fino in fondo perchè per qualsiasi donna lo stupro costituisce un'onta, e per far questo non si può prescindere da una considerazione di come è evoluto nel tempo questo vissuto sia individuale che collettivo.
Scopriamo allora che tale vissuto è antico quanto la storia stessa dei rapporti uomo-donna, e spesso è stato condiviso e rinforzato dalla reazione emotiva dell'ambiente in cui la violenza si è perpetrata. 
Per la cultura maschilista (e quale altra ha avuto il diritto di essere riconosciuta e validata, per lunghissimo tempo?), civile o religiosa che fosse, la donna è (stata) oggetto soprattutto sessuale, sia che venisse "rispettata" come moglie o usata come concubina, tanto nel mondo greco che in quello romano.
I miti delle Menadi e delle Amazzoni della cultura greca potrebbero essere stati frutto di un tentativo di affrancamento e ritorsione da parte delle donne. 
Nella cultura romana, un uomo troppo dedito alla moglie veniva criticato.
Per certi versi, non molto difforme la situazione presso gli Ebrei poligami, quale ci viene tramandata dal Talmud:
Sempre a Roma, le giovinette, spose non infrequentemente prima dei 12 anni, in seguito alla precoce deflorazione si dice diventassero donne violente o frigide. La repressione sessuale era comunque interiorizzata: la casta matrona "filava la lana, e teneva la casa", come si legge su una lapide funeraria sull'Appia antica. Ogni desiderio sessuale, soprattutto rivolto a uomini che non fossero il marito imposto e subito, si configurava come degradazione morale. Dunque Lucrezia, pugnalatasi per non sopravvivere all'onta dello stupro, era secondo Tito Livio un modello di virtù femminile, poiché in tal modo aveva protetto il buon nome della discendenza.  La donna non aveva/ha timore di affrontare la morte, pur di non cedere ad un'azione vergognosa; così pure va letta la storia delle vergini martiri del Cattolicesimo..
Ancora nel Medioevo, per quanto, nascoste spesso nell'ombra dei monasteri, donne illuminate rifulgano di luce vivissima, ispiratrici e cercate consigliere di re e pontefici,  la donna , anche di alto lignaggio, generalmente subisce. E lo stupro, evidenziandone l'aspetto di maggior umiliazione (quello sessuale come area di possibilità e libertà di essere e porsi come persona di pari dignità rispetto all'uomo), continua ad arricchirsi di nuove valenze umilianti ed offensive, una ferita del sé profondissima. Andrea Cappellano, nella sua Ars Amandi relativa al fin'amors, "De Amore", pure considerata all'epoca opera di grande raffinatezza e sensibilità nell'illustrare i rituali dell'amore cortese, non esita ad esortare il cavaliere, qualora si trovi in luogo e situazione opportuna, ad abusare anche con la forza della dama dal cuore. E se allora, come oggi, le cure degli uomini sono soprattutto volte a protegger le donne più giovani, c'è il fondato sospetto che ciò avvenga soprattutto per questioni pecuniarie legate al matrimonio ed alla dote.
Il sessuale, inteso come magma incandescente e vitale di pulsioni, viene violentemente represso e bloccato dalla cultura del maschio (poi tramandata generalmente anche dalle femmine, una volta divenute a loro volta madri di altre femmine), la sessualità, quando non totalmente repressa, viene incanalata per un'unica strada, predeterminata e imposta dalla più giovane età, e la donna in ogni modo violentata aumenta il proprio disprezzo verso se stessa, identificandosi sempre più con l'aggressore di un oggetto svalutato e abusato. Lo stupro è frequentemente subito, su una strada di campagna, in una bettola fumosa, nelle stalle di un convento, tra le cortine damascate del letto in un castello, anche ad opera del legittimo marito, spesso di 40, 50 anni maggiore di una sposa bambina o giovinetta.
Con tali profonde radici nel vissuto individuale e collettivo, rinforzate nel tempo dal perpetuarsi della violenza, ritroviamo senza stupircene nel bel mezzo del Novecento questa osservazione di Simone de Beauvoir, a proposito del corpo delle donne, per l'uomo "una resistenza da abbattere, e penetrandovi il maschio si realizza come attività" (De Beauvoir, 1961, p. 49).
Trattandosi di "una storia infinita", si potrebbe quasi parlare di una sorta di coazione a ripetere transgenerazionale, sia per l'uomo sia per la donna, in cui la donna è sempre votata a passività, a sottomissione all'uomo; e l'uomo sempre all'aggressività. Non è certo con un atto di volontà cosciente, quindi, che si potrà mutare, da parte della donna, come qui si ipotizza, il vissuto di onta conseguente allo stupro. La razionalizzazione, si sa, porterebbe solo ad un ulteriore rafforzamento della difesa (vedi a questo proposito certe prese di posizione estreme del movimento femminista, per la verità segnalate anche dall'autore, non certo a un'elaborazione del lutto conseguente alla violenza, né ad alcun vero insight. Con un puro atto di volontà, le funzioni integratrici dell'Io non potrebbero mettersi all'opera, né tanto meno condurre a un'integrazione del Sé, e si perpetuerebbe, immodificato, e magari rafforzato, il vissuto di onta.
Ancora una volta, quindi, il metodo psicoanalitico appare poter essere la forma elettiva di aiuto, in grado di promuovere una rifondazione dell'identità della donna come persona, cogliendo anche le attuali contraddizioni nel suo stesso modo di essere e di porsi, nonché quelle dell'uomo, e permettendo una storicizzazione di vicende e vissuti, e quindi un nuovo approccio al rapporto uomo-donna e alla realtà dello stupro.

Bibliografia aggiuntiva del recensore
De Beauvoir S., (1949), Il secondo sesso, Milano: Il Saggiatore, 1961
Cappellano A:, (1200), Trattato d'Amore, Roma: Perrella, 1947

Indirizzo dell'autore:
Facoltà di Scienze della Formazione, Via S. Ottavio 20, 10124 Torino.

 

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