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Psicoterapia e Scienze Umane, 1999, XXXII, 1

Tra amore e potere: la relazione tra sessi

Claudia Zanardi

 
In questo articolo si assume la relazione d’amore tra i sessi "come luogo di intreccio tra amore e potere nel conflitto che si crea nella dipendenza della relazione amorosa tra l’affermazione di Sé e del proprio desiderio e il riconoscimento dell’altro/a e del desiderio dell’altro/a" (Zanardi 1999, p. 63). Essa viene proposta come topos previlegiato per l’approfondimento del momento specifico in cui le dinamiche di potere si sostituiscono a quelle di amore. 
Secondo l’A, malgrado i profondi cambiamenti del ruolo femminile nella società occidentale negli ultimi decenni, con crescita di autonomia, conseguente anche alla maggior presenza della donna nel mondo del lavoro, sembrano tuttavia permanere invariati stereotipi di vita modellati su  dominio maschile e sottomissione femminile . 
Nel saggio ci si interroga appunto sulle dinamiche relazionali di potere o sottomissione,  presentandone alcune definizioni, che ne individuano le radici nella relazione primitiva del bambino con la madre, più precisamente in un rapporto di privazione, con vicende diverse in maschio e femmina. La sottomissione della donna viene ricondotta ad un rapporto della bambina con una madre a sua volta deprivata e deprivante, senza possibilità di affermare la propria differenza. Allo scopo di mantenere la propria identità, la donna sarebbe quindi costretta a vivere rapporti di sottomissione nella relazione, per non perderla, e non perdersi. Diverso per l’uomo, quantunque la radice della dinamica di potere stia anche per lui nella privazione, necessitata dal doversi staccare dal corpo della madre, disidentificandosene, per raggiungere ed affermare la propria mascolinità (problema vissuto diversamente dalla femmina, data la sua identificazione corporea col corpo della madre ): "Il bimbo, nel suo sviluppo psichico, reagisce con il potere e l’onnipotenza all’impotenza di fronte ad una necessità di separazione corporea dalla madre...per raggiungere una sua individuazione anche corporea, potrà affermare la sua differenza e la sua identità soltanto con il potere, e spesso  con il potere sessuale" (ibid., p. 70)  Anche il rapporto d’amore con la donna ("la madre"), pertanto, viene sottoposto al suo controllo. 
Per esemplificare le dinamiche di potere esercitato e subito nella relazione d’amore tra uomo e donna, l’A sceglie una novella di Dostoevskij, La Mite (1876). 
La storia viene narrata dall’uomo dominatore, "che capisce tutto". Davanti alla bara della moglie appena suicidatasi, egli proclama con onnipotenza nutrita di onniscienza che, se fosse arrivato cinque minuti prima, tutto questo non sarebbe mai avvenuto. Racconta poi la propria vita, a partire dall’accusa, quando era ufficiale, di non aver difeso l’onore del reggimento, col rifiutarsi a un duello con un superiore ubriaco, con conseguente espulsione ed ignominia, conferma del vissuto di non essere mai stato amato. Horney (1932) sottolinea come tipico dell’uomo il terrore di essere rifiutato e deriso, connesso con angoscia di inadeguatezza sessuale, emotiva, economica. Gratificazione e indipendenza sarebbero ottenute dall’uomo tramite il controllo della donna. 
Un’inaspettata eredità permette al protagonista, perseguitato dalla reputazione rovinata, di crearsi un piccolo spazio, aprendo un banco dei pegni, che subito trasforma in strumento di potere: il controllo onnipotente può costituire una fonte di rassicurazione (Rivière, 1964). 
E’ a questo punto che egli incontra la Mite. Orfana a 13 anni di padre e madre, vissuta per tre anni in un rapporto di schiavitù presso zie cattive, sottomessa, umiliata, oggettivizzata come "una bocca inutile", la giovane aveva preso a frequentare il banco dei pegni al fine di procurarsi denaro per cercare lavoro tramite annunci sul giornale. Impegnava perciò piccoli oggetti dei genitori. Centrale il pegno finale di un’icona lasciatale dalla madre, cui era attaccatissima, simbolo del vitale legame con una figura materna persa e idealizzata, quasi una consegna di Sé, della sua stessa identità. 
Da parte sua, l’uomo, notata nella ragazza una mitezza, che gli permette di ferirla con facilità, prefigurando rivincita e riscatto alle umiliazioni nell’esercizio di un potere, si affretta a chiederla in sposa: "il dominatore ha bisogno di qualcuno capace di riconoscerlo, di riconoscere il suo potere, la sua esistenza. Tuttavia esercitando il potere nell’umiliazione dell’altra, distrugge la possibilità di essere riconosciuto, di esistere." (Zanardi, 1999, p. 75). La giovane viene pertanto frustrata nella ricerca di soggettività attraverso la relazione, perché il marito, temendo di entrare in un rapporto di dipendenza, la tratta con distacco, risponde al totale aprirsi di lei col silenzio. L’uomo infatti (Dinnerstein, 1976) cerca di evitare il bisogno di "vorace dipendenza", per accedere a competenza, autonomia, dignità; quindi deve ripudiare i suoi bisogni verso la madre, per potersene separare, proiettando rabbia e terrore originariamente dirette verso di lei sulle altre donne. 
Il racconto entra nel vivo della vicenda: rea di essersi ribellata al potere dell’uomo (col rendere "un ricordo " a una vecchietta, in cambio di un oggetto di minor valore), venuta casualmente a conoscenza da un ufficiale delle antiche disavventure del marito nel reggimento, viene spiata in quest’occasione da lui, in tal modo involontario testimone della nobiltà d’animo di lei. L’amore e l’ammirazione riportano l’uomo a contatto con la dipendenza, col rischio di frammentazione del Sé. Solo un ristabilimento della posizione di potere potrà salvarlo. Pertanto, al suo rientro a casa, la umilia, lasciandole supporre un suo disegno di ucciderla, col porre in silenzio sul tavolo quella stessa rivoltella che, nei primi tempi della loro relazione, le aveva mostrato, simbolo del suo potere. Ancora silenzio quando, svegliandosi al mattino, la vede in piedi accanto al letto, con la rivoltella puntata contro la sua tempia. Ulteriormente umiliata , la donna fugge, e l’uomo si sente di nuovo il più forte.. Ma allorché, comprato un letto e un paravento, fa ritorno a casa per sancire da vincitore la separazione, lei torna e si ammala di una febbre violentissima per sei settimane, atto mancato mediante il quale, col rispondere sullo stesso piano, si sottrae al potere del marito, nullificandolo, ed assumendolo in proprio, assieme alla propria punizione. Miller (1991) ha sottolineato che l’uso del potere da parte della donna porta alla distruzione dei suoi rapporti. In questo caso, il corpo si ammala, e la relazione è rotta.Quando la donna si riprende, la sua mitezza e umiliazione raggiungono l’apice, con gran soddisfazione del marito Il dramma è in agguato: un giorno, mentre lavora, la donna si mette a cantare, e questo per l’uomo è intollerabile: "che mi abbia dunque dimenticato?". Improvvisamente, il dominatore cessa di esistere; cerca allora di recuperare il potere attraverso l’amore, come tentativo di controllo onnipotente. Dopo aver ceduto alle richieste del marito, la donna , in preda a violenti sensi di colpa , gli promette rispetto e fedeltà: ancora una volta, sull’amore ha vinto il potere, il riconoscimento di Sé passa attraverso il riconoscimento del potere dell’altro. 
La situazione precipita rapidamente: mentre lui non c’è, lei si butta dalla finestra, abbracciata alla sua icona: "la soluzione della morte è per lei l’identificazione con la madre, con la relazione materna e forse paradossalmente una scelta di soggettività nel sottrarsi al potere affermando se stessa nella morte" (Zanardi, 1999, p. 80). 
Privato della sottomessa, per ritrovare il proprio Sé, l’uomo torna al banco dei pegni, dove vi saranno altri sottomessi su cui esercitare il potere: "Per poter esistere per se stessi si deve poter esistere per un altro/a. Se si distrugge l’altro/a, non c’è nessuno che possa riconoscere il proprio Sé. Nella mancanza di soggettività la relazione dominio-sottomissione è l’unico contenitore di due Sé frammentati che solo nel legame con l’altro/a, trovano una soluzione alla loro non-esistenza". (ibid., pp. 80-81). 
Fin qui il saggio della Zanardi. 
Il lavoro, assai accurato e ben documentato, per certi versi, ricorda il filone di ricerca della sexual asimmetry, enfatizzando la diversità tra potere e valore attribuito a ciascun sesso (Blok, 1987). Merita vedere più da vicino questo punto. 
L’"assunto di base" dell’A, e cioè le dinamiche di potere nel rapporto uomo/donna, con sottomissione della femmina e dominio del maschio, ripropone una vecchia storia, insita fin dalle origini nel dibattito interno alla psicoanalisi stessa: quella del "primato del fallo". Di diretta derivazione freudiana (per Freud, pur nella bisessualità sia maschile che femminile, l’invidia del pene rimane per la donna universale e determinante), addirittura rinforzato, soprattutto intorno agli anni ‘30, da posizioni (di psicoanaliste donne!) che sanciscono la disposizione passivo-masochista della donna (Deutsch, 1930; Lampl-de-Groot, 1927, 1933), il principio fallocentrico trova un robusto tentativo di contrastarlo nella teorizazzione kleiniana dei rapporti del bambino con la figura materna e della sua conoscenza innata degli organi sessuali e delle funzioni maschili e femminili  (Klein, 1932). 
Non va neanche dimenticato che la costellazione di potere appare rovesciata già nella visione junghiana del patriarcato, in cui l’Anima, figura simbolica femminile nell’uomo, respinta dall’uomo e proiettata nella donna, rende quest’ultima più "potente" sotto forma di "Grande Madre", lasciando l’uomo in veste di bimbo, quindi con un capovolgimento di potere e dipendenza; senza tuttavia escludere che l’uomo possa comunque accentuare il suo potere, svalutando sadicamente la donna. 
Certo, a tutt’oggi, nessuno può negare che il rapporto tra amore e potere continui ad esistere. Ma non è più concepibile il ricollegarlo a stereotipate definizioni dei ruoli sessuali, come avveniva, ad esempio, nell’Ottocento (cui il testo di Dostoevskij si riferisce). Non perdiamo di vista che Freud stesso si muoveva in un contesto ottocentesco, in cui la scienza medica metteva in primo piano l’enorme preoccupazione per la masturbazione, rea di  infettare il sistema nervoso, propagandosi perniciosamente per l’intero organismo, donde le prescrizioni frequenti di circoncisione e clitoridectomia quale cura radicale (Esquirol, 1805). In quegli anni, parallelamente, si diffondeva la castrazione delle donne per guarirle da disturbi nervosi, particolarmente dalle paralisi isteriche. Le donne stesse, a legioni, richiedevano l’intervento. Chiaramente, l’intervento aveva un significato simbolico, prima ancora che fisico, tanto che si verificarono guarigioni dopo interventi puramente "placebo". In ogni caso, guarigione dall’isteria e castrazione o mutilazione della clitoride o dell’utero venivano strettamente legate, tanto che, a poco a poco, si cominciò a vedere  l’aspetto puramente psicologico di questi collegamenti, soprattutto l’aspetto psichico curativo di simili operazioni. Questa violenza esercitata dal medico (uomo) sulla donna, che masochisticamente si assoggettava, era però possibile in quella cultura: non per questo il discorso rapporto uomo/donna e potere può essere generalizzato. 
Pertanto, ferma restando l’importanza dei condizionamenti culturali in cui lo sviluppo del singolo individuo ha luogo, dobbiamo tener presente che più accurate revisioni psicoanalitiche dei concetti di sessuale e sessualità (Morgenthaler, 1984), chiarendo le vicende della pulsionalità dell’Es, hanno mostrato come esse siano diverse per ogni individuo, sia esso uomo o donna. 
Impossibile quindi ricondurre il rapporto uomo/donna allo stereotipo "donna dominata e uomo dominatore". Anche recenti ricostruzioni storiche ad opera degli studi sul genere evidenziano che la donna non può che essere vista come uno dei due interlocutori-attori di una storia di relazioni, in una prospettiva assolutamente egalitaria. La differenza tra i sessi viene piuttosto a costituire uno spazio comune in cui dinamicamente avvengono le relazioni tra uomo e donna, con continua costruzione e ricostruzione dei ruoli sessuali in una parità di diritti e di opportunità che lascia spazio alle differenze di identità. Ne risulta una storia fatta di uomini e di donne, diversa nei vari periodi perché chiama in causa culture, valori e ruoli sempre diversi. Per cui una risposta ( dinamicamente aperta) alla domanda di Freud: "Che cosa vuole una donna?" si può forse collocare in una frammentazione di essa: "che cosa hanno desiderato i vari tipi psicologici, gruppi sociali, epoche storiche delle donne, e possiamo distinguere quali sono state le loro volontà da ciò che è stato voluto per loro?" (Young-Bruehl, 1990, p. 62). 

Bibliografia 

Blok, J., Mason, P. (1987). Sexual asymmetry. Amsterdam: Gleben.

 Deutsch, H. (1930). The significance of Masochism in the mental life of the woman. International Journal of Psycho-Analysis, 11:48-60.

Esquirol, J.E.D. (1805). Des passions, considérées comme causes, symptomes et moyens curatifs de l’aliénation méntale. Tr.it., Venezia: Marsilio, 1982.

Freud, S. (1914). Introduzione al narcisismo. Opere, vol.7. Torino: Boringhieri, 1975.

Klein, M. (1932). The Psychoanalysis of Children. Tr. it., Milano: Feltrinelli, 1969.

Lampl-de-Groot, J. (1927). The evolution of the Oedipus Complex in women. International Journal of Psycho-Analysis, 9: 332-345.

Lampl-de-Groot, J. (1933). Contribution to the problem of femininity. Psychoanalytic Quarterly, 2: 489-518.

Morgenthaler, F. (1984). Sessualità e psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane, 2:3-28.

Young-Bruehl, E. (1990). Freud sul femminile. Torino: Boringhieri, 1993. 

 

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