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PSYCHOSOMATIC MEDICINE - VOL. 63, N. 2 / 2001

History of Treatment for Depression:
Risk Factor for Myocardial Infarction in Hypertensive Patients

Hillel W. Cohen, Shantha Madhavan, and Michael H. Alderman


 

Fra i fattori di rischio tradizionalmente associati ai disturbi cardiovascolari (fumo, ipertensione, elevata colesterolemia), la depressione è ritenuta ormai da tempo un importante fattore per lo sviluppo di eventi cardiaci. Questo studio dei ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia e Medicina Sociale dell’Albert Einstein College of Medicine di New York è il più ampio studio longitudinale mai effettuato sulla depressione come fattore di rischio per infarto del miocardio in una coorte di pazienti con ipertensione essenziale indipendentemente diagnosticata.

Questo lavoro fa parte di un programma di monitoraggio epidemiologico sull’ipertensione iniziato nel 1973. I dati si riferiscono al periodo 1981-1994 in cui alla domanda di routine (è attualmente in trattamento o è stato mai trattato per uno dei seguenti disturbi?) è stato aggiunto l’item per la depressione. Sono stati arruolati nello studio tutti i soggetti ipertesi senza storia precedente di malattia cardiovascolare (n=5474, di cui 3451 maschi e 2023 donne) e considerati esposti coloro che hanno risposto si alla precedente domanda. Il gruppo è stato seguito per una media di circa 5 anni ed è stato valutato quanto una depressione precedente possa essere associata ad un successivo episodio infartuale.

Il 3.5% degli uomini ed il 6.4% delle donne hanno riportato un trattamento precedente per depressione mentre a 5 anni sono stati registrati 979 eventi vascolari (112 infarti del miocardio di cui 51 fatali, 138 eventi cardiaci, 192 eventi di ischemia cardiaca e 425 eventi di disturbi non-cardiovascolare). Il tasso di incidenza annuale per sesso è stato di 11.1x1000 nei maschi con depressione contro il 4.9x1000 nei maschi non depressi (differenza statisticamente significativa) e di 4.6x1000 nelle donne con depressione contro il 2.2x1000 nelle donne non depresse (differenza non significativa). La misura di associazione del rischio relativo è stata molto simile per entrambi i sessi, pari a 2.3 (95% CI = 1.00-5.29) nei maschi, e a 2.14 (95% CI = 0.64-7.21) nelle donne. Il modello di regressione di Cox con l’infarto come variabile dipendente e altri fattori di rischio noti come variabili indipendenti, ha evidenziato una associazione significativa di alcuni fattori di rischio (età, colesterolo totale, razza bianca, storia di diabete, sesso maschile, fumo, ipertrofia ventricolare sinistra), fra cui la depressione (hazard ratio = 2.1, 95% CI = 1.04-4.23).

Il risultato complessivo dello studio è stato quindi che, in ampio gruppo di pazienti ipertesi con storia di depressione e senza storia di disturbi cardiovascolari, la depressione è associata ad un successivo infarto del miocardio. Le donne hanno riportato storia di depressione precedente in misura maggiore dei maschi (circa il doppio) ma sono risultate meno a rischio di sviluppare eventi infartuali rispetto ai maschi depressi.

Lo studio ha sofferto della principale limitazione dovuta al fatto che la storia di depressione è stata solo riferita dal paziente e non verificata su documentazione clinica, per cui è probabile che i dati siano risultati approssimati per difetto (esclusi i pazienti depressi ma non trattati). Inoltre non è stata usata una misura della depressione: il fatto però che sia stato chiesto se il paziente aveva in precedenza effettuato terapia antidepressiva (non se aveva ricevuto diagnosi di depressione), rende la condizione clinica di severità tale da assimilarla ad una diagnosi di depressione maggiore del DSM (ma espone maggiormente lo studio ad un errore di tipo II).

I risultati rispondono anche ad alcune questioni che vengono spesso sollevate circa il rapporto tra disturbi cardiovascolari e depressione. Ad esempio, viene ipotizzato che la depressione sia la complicazione di una grave malattia fisica. Lo studio, escludendo soggetti con precedenti disturbi cardiovascolari, indica che qui la depressione è realmente un fattore di rischio indipendente poiché non risulta da comorbilità o come conseguenza di altre patologie cardiovascolari. Inoltre, viene ipotizzato che l’associazione depressione-infarto sia solo indiretta: i pazienti depressi assumono stili di vita (fumo, alcol, dieta) che, essi, sono invece a rischio per l’infarto. Ancora una volta, lo studio ha mostrato che la depressione è indipendentemente associata all’evento infartuale poiché persiste dopo aver corretto per fumo, alcol., colesterolo e indice di massa corporea.

Lo studio lascia aperto il problema dell’efficacia del trattamento antidepressivo nei pazienti ipertesi come fattore protettivo contro l’infarto. Il primo autore dello studio (Cohen) riferisce i risultati di un suo studio (pubblicato nel 2000 sull’American Journal of Medicine) in cui ha dimostrato che è i triclici possono avere effetti cardiotossici (i pazienti depressi trattati avevano lo stesso fattore di rischio di esito infartuale dei pazienti depressi non trattati) al contrario degli SSRI (i pazienti depressi trattati risultavano non associati a eventi infartuali, al contrario dei pazienti depressi non trattati).

Hillel W. Cohen, DrPH
Department of Epidemiology and Social Medicine
Albert Einstein College of Medicine
Room 1302 Belfer
1300 Morris Park Avenue
Bronx, NY 10461 (USA)

Email: hicohen@aecom.yu.edu



 
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