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PSYCHOANALYTIC INQUIRY - N. 1 / 1999


Discussion: Some Aspects of Compliance in Psychoanalytic Treatment
Gerald I. Fogel, M.D


[L'articolo è una discussione dei contributi di Rizzuto, Feldman, Levine e Lichtemberg pubblicati in questo numero della rivista].

Sebbene in ognuno degli articoli si rifletta in qualche misura il cambiamento di prospettiva nel clima psicoanalitico attuale - per cui, come minimo, paziente e analista sono considerati osservatori partecipanti di un campo intersoggettivo e interpersonale  e ognuno degli autori rivela in modo routinario i propri sentimenti e pensieri, utilizzandoli per comprendere ciò che accade nel processo analitico - non è possibile scorgere chiare linee di convergenza o di divergenza in questo gruppo di quattro articoli. Uno sfondo comune potrebbe essere rappresentato da almeno due importanti questioni: (i) è possibile definire un gruppo di pazienti che creano particolari problemi a causa della loro compiacenza nei confronti dell'analista, del processo analitico, del setting o della regola di base? e (ii) la compiacenza è un aspetto inevitabile o, addirittura, necessario all'analisi?

Rizzuto e Feldman si concentrano soprattutto sulla prima domanda, ma i loro contributi sembrano poco comparabili poiché solo la prima si pone il compito di coprire l'argomento in maniera sistematica. Feldman, invece, sembra avere uno scopo più modesto: egli cerca di sottolineare una specifica costellazione transferale in cui la compiacenza gioca un ruolo chiave ed è alla base di particolari difficoltà per l'analista. La seconda domanda è, d'altro canto, al centro della riflessione di Levine e Lichtemberg. Diversamente da Rizzuto e Feldman - i cui contributi potrebbero essere stati scritti in un'epoca precedente la svolta intersoggettiva - Levine e Lichtemberg si situano esplicitamente nel campo intersoggettivo. Pur affrontando il tema da angolature differenti, entrambi ritengono che il controtransfert sia sempre attivo e che desideri, bisogni, ansietà e modi di comprendere dell'analista facciano emergere inevitabilmente la compiacenza del paziente.

Passando a un'analisi più dettagliata dei quattro contributi,

Rizzuto ricorda come il paziente non debba compiacere solo l'analista. Egli deve in qualche misura "compiacere" anche i propri bisogni di crescita e i propri desideri che lo spingono a diventare ciò che egli è; inoltre deve in una qualche misura "compiacere" la regola fondamentale. Il paziente si trova quindi in una situazione piuttosto complessa, poiché dovrà compiacere l'analista per diventare ciò che egli realmente è, e questa relazione è simile a quella con la cosiddetta madre ambientale che fornisce, o dovrebbe fornire, spazio di gioco e di crescita: il bambino, attraverso una complessa relazione con la madre ambientale, riesce a compiacere le proprie spinte evolutive attraverso la compiacenza alla propria madre ambientale. Se tutto procede regolarmente, e il controtransfert non intrude in questa rappresentazione ideale, il paziente è in sintonia sia con la propria spinta naturale a evolversi sia con la richiesta dell'analista e far emergere questa spinta naturale. In altri termini c'è una serie di domande che l'analista deve continuamente porsi: chi o che cosa il paziente sta compiacendo? l'analista come figura transferale o il suo controtransfert? l'analista come levatrice o facilitatore del processo? ecc. Da questo punto di vista la chiave per comprendere l'articolo di Rizzuto è la sua completa devozione a ciò che essa definisce la spontaneità e autonomia del paziente. Nella parte teorica del suo articolo l'autrice descrive le vicissitudini evolutive della dialettica tra spontaneità/autonomia e compiacenza e come conflitti interpersonali, insorti in vari stadi evolutivi, vengano internalizzati e riattualizzati nel transfert dando luogo a quella dialettica cui si faceva cenno. Nella presentazione del proprio materiale clinico, invece, l'autrice mostra tre casi in cui questa dialettica non riesce a instaurarsi precisamente a causa di un problema che sottrae la compiacenza a questo gioco dinamico e la trasforma in una resistenza inconscia cronica e pervasiva collegata a disturbi precoci delle relazioni oggettuali, della simbolizzazione verbale e dell'internalizzazione (caso n. 1), al tentativo di evitare un trauma psichico massivo (caso n. 2) o alla paura dell'annichilazione (caso n. 3). In tutti e tre questi casi i pazienti compiacciono l'analista nel senso che fingono solamente di svolgere lavoro analitico, mentre - in realtà - gestiscono un problema di sviluppo o si difendono da angosce soverchianti. I sentimenti di rabbia, esclusione, impotenza, ecc. che questo atteggiamento genera nell'analista vengono visti da una posizione teorica classica con una particolare enfasi su teorie evolutive e su un approccio winnicottiano. Ciò significa che il controtransfert dell'analista non è da intendersi all'interno di un campo intersoggettvo (l'analista non deve prendere il comportamento del paziente come rivolto in nessun modo alla propria persona), poiché questo campo deve ancora svilupparsi. I sentimenti controtransferali di fronte alla compiacenza del paziente sono - di fatto - sentimenti che l'analista prova per l'incapacità del paziente a vedere l'analista come una persona reale, poiché egli stesso non è ancora "una persona reale". In questi casi l'analista deve essere gentile e compassionevole (seppure dolcemente confrontativo) e non richiedere che il paziente abbandono troppo precocemente le proprie difese.

La tesi presentata da Feldman nel proprio articolo sostiene che ci sia una categoria di pazienti analitici che usano la compiacenza nei confronti dell'analista per evitare sentimenti di separazione e differenza, con i correlati vissuti di panico, invidia, odio e le interazioni sadomasochistiche che possono conseguirne. Dalla prospettiva inversa, l'analista può compiacere con la fantasia inconscia di questi pazienti che l'esperienza di separazione deve essere evitata. Tali costellazioni di rapporto, volte a evitare la separazione anche nella relazione analitica, danno luogo a impasse e vicoli ciechi. I pazienti descritti da Feldman, in altri termini, sembrano presentare l'altra faccia della medaglia rispetto a quelli descritti da Rizzuto. In un caso si sottolinea la necessità di una vita in cui possa esserci la piena espressione di sé (Rizzuto), sebbene ciò possa essere fonte di profonde angosce; nell'altro si sottolinea la necessità di un ingaggio autentico con i propri oggetti e, così, la necessità dell'esperienza della separatezza (Feldman), anche in questo caso fonte di ansie non facilmente affrontabili. Non è strano, se vediamo le cosa dal punto di vista delle teorie presentate, notare che - sebbene entrambi gli autori situino il problema della compiacenza "la fuori", nel paziente e non nella relazione con l'analista - Rizzuto, nel suo materiale clinico, non descriva scenari interattivi, mentre lo fa Feldman, che è un kleiniano contemporaneo.

L'articolo di Levine si discosta completamente da quelli di Rizzuto e Feldman, poiché egli non è interessato a descrivere un particolare gruppo di pazienti o un particolare problema clinico. La sua posizione riguarda piuttosto il processo generale dell'analisi. Egli affronta il problema per cui, nel campo intersoggettivo, anche un analista sufficientemente buono non può evitare di esercitare qualche pressione sul paziente. Si determina così il paradosso di analisi che utilizzano la tecnica classica a beneficio del paziente e, al tempo stesso, esercitano su di lui una pressione proveniente da azioni dell'analista soggettivamente motivate. Non solo - secondo l'autore - tutto ciò è inevitabile, ma è anche necessario e, anche se non sempre, positivo. Secondo Levine l'analista non dovrebbe essere nella posizione di chi cerca di convogliare la verità al paziente, bensì in quella di chi offre una possibile versione della verità (le sue impressioni e convinzioni soggettive) che il paziente può accettare, rifiutare, espandere, revisionare, ecc. Da questo punto di vista l'analisi è un reciproco tentativo di esercitare la propria influenza soggettiva sull'altro. A questa pressione costante il paziente (come pure l'analista) non può non rispondere che con compiacenza, avversatività, critica, ecc., co-creando il campo intersoggettivo dell'analisi. Questo gioco di reciproche influenze e compiacenze non può quindi essere evitato, ma si può solo cercare di interpretarlo con la chiara consapevolezza che anche l'interpretazione mette in campo un ulteriore elemento soggettivo di suggestione/compiacenza (o critica, avversatività, ecc.). Fogel, pur ammettendo che il campo intersoggettivo dell'analisi sia una creazione comune di paziente e analista, trova che la posizione estrema di Levine sia non condivisibile e che si possa immaginare qualche intervento dell'analista che non eserciti una pressione di tipo soggettivo sul paziente. La giustificazione teorica che permette di considerare contemporaneamente l'esistenza di un campo intersoggettvo cocreato e di interventi che non siano il risultato della posizione soggettiva dell'analista, si può trovare se si ammette che il "motore" del lavoro analitico non sia il transfert positivo irreprensibile, ma la funzione di holding o di contenimento del processo analitico. Da questa prospettiva la forza motivazionale non si trova più là fuori nel paziente bensì nel campo intersoggettivo che è co-creato da contenitore e contenuto.

Il contributo di Lichtemberg, infine, sembra avere aspetti in comune con Levine e con Rizzuto. D'accordo con il primo, Lichtemberg ritiene che il controtransfert o l'ideologia dell'analista possono influenzare il paziente, il quale, a sua volta, può essere fin troppo desideroso di compiacere. Più in sintonia con la Rizzuto sembra essere, inoltre, l'opinione che ci siano varietà di compiacenza necessarie e utili. In effetti, secondo la posizione teorica di Lichtemberg - per cui paziente e analista si trovano costantemente in un sistema motivazionale specifico - la possibilità di cooperare al processo analitico prevede un certo grado di reciproca compiacenza tra i membri della coppia analitica.

Gerald I. Fogel, M.D.
2250 NW Flanders
Portland, OR 97210


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