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JOURNAL OF PSYCHOSOMATIC RESEARCH - VOL. 47, N. 2 / 1999
Frequent consulters in general practice: 
a systematic review of studies of prevalence, associations and outcome

D. Gill and M. Sharpe


Perché alcuni pazienti consultano il medico più spesso di altri? Questo problema è oggetto di molti studi, sparsi in varie riviste. In questo lavoro, i due autori inglesi hanno effettuato una review sistematica su alcune fonti (Medline, PsycLit, Embase, pubblicazioni SCI, ricerca manuale) ed hanno selezionato 34 studi (elencati e descritti in una apposita tabella) con lo scopo di valutare le variabili cliniche e sociodemografiche associate al paziente che si sottopone spesso a visite mediche (frequent consulter).
Gli studi sono stati effettuati prevalentemente nel Regno Unito, negli USA e nei paesi scandinavi, ossia in quei paesi che adottano il sistema di managed care e che quindi hanno maggior interesse a promuovere queste indagini. La maggior parte degli studi ha usato il criterio di definire un numero minimo di consultazioni per stabilire il frequent consulter, generalmente da 9 a 14 visite annuali.
Il risultato maggiore è che una piccola proporzione di pazienti è responsabile per un numero sproporzionatamente elevato di visite mediche. I pazienti sono maggiormente rappresentati da donne, anziani, singoli o separati e con un basso livello economico. Le ragioni delle consultazioni sono di tipo medico (soprattutto malattie croniche) per una metà dei pazienti ma di tipo non medico nell’altra metà: disturbi psichiatrici (soprattutto depressione maggiore e distimia) e di somatizzazione da distress psicosociale (soprattutto solitudine e disoccupazione: in uno studio israeliano, ad esempio, solo uno dei 12 pazienti con oltre 30 visite annuali aveva un problema puramente organico). E’ interessante notare che uno dei fattori che maggiormente influenza la “decisione” di diventare un frequent consulter è l’insieme delle convinzioni (beliefs) sui propri sintomi: la maggior parte dei frequent consulters considerano con maggiore probabilità le proprie normali sensazioni fisiche come anormali o segni di malattia, e adottano per questo uno stile di external locus of control per cui tendono a percepire una grande influenza e potere del medico sulla propria salute.
Gli autori concludono questa review (che è una delle poche review che analizza una gran mole di dati sparsi in letteratura) ribadendo l’idea che l’approccio clinico ai pazienti, specialmente di primary care, dovrebbe essere integrato a livello multidisciplinare e differenziato a livello individuale. Il medico di base non ha tutte le necessarie competenze per trattare ogni problema presentato dal paziente. Un approccio basato esclusivamente sui sintomi fisici produce un circolo vizioso che rinforza le convinzioni ipocondriache dei pazienti frequent consulters. Un approccio basato soltanto sulla prescrizione di psicofarmaci non tiene in considerazione la bassa probabilità di efficacia a causa della convinzione di questi pazienti di avere una malattia organica e non mentale. Un approccio basato sul “modello biopsicosociale” consentirebbe invece di intervenire sulle convinzioni e le misinterpretazioni dei pazienti sulle sensazioni corporee e sui propri sintomi somatici. Ciò significa che tale approccio multidisciplinare e integrato può avere anche conseguenze economico-sanitarie importanti di risparmio su consultazioni specialistiche, esami e consumo di farmaci. Ma questo presupporrebbe una politica di indirizzo sanitario precisa che miri a individuare e far emergere quel mare magnum di disturbi di somatizzazione grazie al quale ansiolitici e antidepressivi risultano oggi fra i farmaci più venduti.
 

Dr. David Gill
University of Oxford Institute of Health Sciences
PO Box 777
Oxford OX3 7LF, UK
Phone: 01865 226603
Fax: 01865 220373


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