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JOURNAL OF PSYCHOSOMATIC RESEARCH - VOL. 47, N. 1 / 1999
A taxonony of medically unexplained symptoms

I. J. Deary


Ian Deary, autore di questo editoriale, è un esperto ricercatore nel settore della somatizzazione e in questo lavoro espone lo stato dell’arte per quanto riguarda un aspetto specifico del campo psicosomatico: i sintomi non spiegabili dal punto di vista medico (medically unexplained symptoms, MUS). 
Il campo dei MUS è storicamente e clinicamente frammentato. Storicamente, i MUS hanno ricevuto molte definizioni, tutte sostanzialmente equivalenti: sintomi psicosomatici, disturbi di conversione, disturbi somatoformi, sintomi somatici funzionali, ecc. Il termine MUS è stato introdotto da Richard Mayou nella prima metà degli anni ’90 ed ha il grande vantaggio di essere un termine onestamente descrittivo (sintomi che si presentano clinicamente ma per i quali l’osservatore non può trovare alcuna causa medica riconosciuta sulla base dell’evidenza clinica o di esami diagnostici). Clinicamente, i MUS sono ben conosciuti soprattutto ai medici di base e vengono poi “ripartiti” fra vari specialisti di diverse branche della medicina e ricevono nomi diversi a seconda dell’area specialistica interessata: sindrome dell’intestino irritabile in gastroenterologia, disfonia in otorinolaringoiatria, fibromialgia in reumatologia, dolore toracico non-cardiaco in cardiologia, lombalgia in ortopedia, ecc. Il quesito che si pone Deary in questo articolo è: i MUS costituiscono una singola entità diagnostica (poiché condividono una comune etiologia, tanto da giustificare l’esistenza di un unico termine) o si tratta di fenomeni diversi a seconda dei sintomi e degli organi interessati?
Da parte dei clinici sono state riportate molte osservazioni e case reports di soggetti che in un certo periodo della loro vita manifestano un MUS (ad es. fibromialgia) e che hanno una elevata probabilità di manifestare – contemporaneamente o in periodi di tempo successivi – un altro MUS in diversi distretti somatici (ad es. intestino irritabile e affaticamento cronico). Ora, esistono evidenze empiriche di tale predisposizione individuale a più MUS? Deary riporta i risultati dell’analisi dei dati aggregati elaborati dal suo gruppo di ricerca di Edimburgo su campioni sia clinici che di popolazione generale ottenuti per mezzo di un questionario appositamente costruito che, in sostanza, elenca i sintomi della diagnosi di “disturbo di somatizzazione” del DSM-III-R. 
Una prima parte di risultati riguarda l’analisi fattoriale esplorativa (Varimax principal component rotation), da cui emerge che – sommando tutti i dati – vi è un componente principale che spiega il 40% della varianza totale dei sintomi. Ciò significa che un singolo MUS tende ad associarsi significativamente a tutti gli altri MUS, e che quindi i soggetti tendono ad avere somatizzazioni funzionali multiple e persistenti, ad essere – per dirla con l’autore – dei serial somatizers. 
La seconda parte dei risultati riguarda l’analisi fattoriale confirmatoria (confirmatory factor analysis), da cui emerge un preciso modello statistico di equazione strutturale dei MUS. I 26 sintomi elencati nel disturbo di somatizzazione del DSM-III-R si raggruppano significativamente (coefficienti varianti fra 0.21 e 0.84, con media di 0.60) in 5 fattori o tratti latenti di secondo livello, fattori a cui (sulla base dei singoli sintomi clusterizzati) corrispondono clinicamente a 5 entità diagnostiche: sindrome fibromialgica, sindrome da fatica cronica, depressione somatizzata, ansia somatizzata e sindrome dell’intestino irritabile. Sembrerebbe quindi che i sintomi debbano essere attribuiti a 5 diverse categorie diagnostiche. Tuttavia, si evidenzia un fattore di terzo livello (quindi più generale ed inclusivo) di varianza comune che spiega ben il 69% (cioè fra i 2/3 ed i 3/4) della varianza totale delle 5 sindromi. Questo terzo fattore generale non viene denominato in alcun modo  (se non descrittivamente come general MUS latent variable) poiché è la parte comune di sintomi appartenenti a sindromi cliniche diagnosticamente eterogenee. Storicamente vi sono stati molti tentativi per denominare questo fattore comune a tutte le somatizzazione: la teoria dell’isteria di Freud (“gli isterici soffrono soprattutto di reminiscenze”), il costrutto di somatopsychic distress di Watson e Pennebaker o quello di abnormal illness behavior di Pilowski, e così via. 
La conclusione dell’autore è essenzialmente clinica. L’organizzazione sanitaria in generale (inglese ma anche italiana) determina il fatto che i pazienti “difficili” con sintomi “strani” vengano inviati dal medico di base a specialisti i quali tendono a sovra-prescrivere visite, esami, controlli e trattamenti farmacologici per vari motivi (scrupolosità o accanimento diagnostico, diagnosi di esclusione, risposta ai bisogni di rassicurazione del paziente, ecc). A volte i problemi restano poiché l’etiologia è “extra-organo”, per così dire; altre volte, i sintomi si attenuano o anche scompaiono ma – come si è visto – tendono a ricomparire in altri distretti corporei. Per questo motivo, Deary auspica che a livello della secondary e tertiary care il singolo specialista a livello di organo venga affiancato da una nuova figura professionale: lo “psicologo della salute” (health psychologist) che dovrebbe provenire da aree affini (psicologia clinica, psichiatria di consultazione), conoscere la letteratura e avere specifiche competenze nel campo psicosomatico per poter trattare i pazienti con MUS. Anche noi, con Deary, sogniamo un’organizzazione assistenziale in sanità interdisciplinare e integrata, con le sue stesse speranze di realizzazione ma con un pizzico di sfiduciato realismo in più che ciò possa avvenire nel nostro paese.

Prof. Ian J. Deary
Department of Psychology
University of Edinburgh
7 George Square
Edinburgh EH8 9JZ, UK
Phone: +44 131 650 3452
Fax: +44 131 650 3461
Email: I.Deary@ed.ac.uk
 


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