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JOURNAL OF PSYCHOTHERAPY INTEGRATION - VOL.9, N. 4 / 1999

Beyond Psychotherapy: Dialectical Therapy

Tullio Carere-Comes

(Recensione di Luca Panseri) 

La psicoterapia esiste realmente, cioè è un "fenomeno robusto", oppure è solamente un contenitore convenzionale  per una varietà di pratiche eterogenee e incompatibili? Prendendo le mosse da questa domanda fondamentale nellâambito di  ricerca dei fattori comuni della terapia, Carere mostra come sia possibile identificare principi comuni a tutti i metodi terapeutici.
L'Autore ha individuato quattro bisogni umani fondamentali a cui corrispondono altrettanti punti cardinali utilizzabili per tracciare una mappa con cui orientarsi nella relazione terapeutica.

I quattro vertici e i due assi ortogonali che li congiungono definiscono la struttura basilare del campo terapeutico inteso come "lo spazio relazionale generato dalla logica interna del processo terapeutico e non dalle preferenze personali o ideologiche del terapeuta e del paziente".
Il nome scelto per l'approccio integrativo proposto da Carere è Terapia Dialettica poiché ciò a cui comunemente ci si riferisce con il termine psicoterapia è qualcosa di più di un semplice trattamento psicologico.
La terapia è  infatti un processo dialettico che si svolge sui due livelli di base dello sviluppo umano: quello naturale o psicologico (remaking) e quello culturale o filosofico (uncovering).
Il primo livello può essere graficamente rappresentato come lâasse orizzontale del campo terapeutico in cui sono collegati un polo "materno" e un polo "paterno" nei quali il terapeuta risponde ai bisogni psicologici fondamentali di attaccamento sicuro e di cooperazione responsabile.
Nel lavoro terapeutico di vertice materno il terapeuta è impegnato nel creare unâatmosfera relazionale in cui il paziente possa sentirsi incondizionatamente accettato e compreso.
Il terapeuta si pone invece nel vertice paterno quando chiede al paziente di svolgere un'attività che implichi sforzo e fatica, impegno e collaborazione.
Lo sviluppo dei pattern di attaccamento sicuro e di cooperazione responsabile è indispensabile per la costituzione di un sé psicologico sano e avviene nellâambito familiare se i fattori di crescita corrispondenti ö materno  e paterno ö sono presenti in misura e qualità sufficiente. Qualora  questo non si sia verificato e il paziente abbia sofferto di uno sviluppo psicologico difettoso, gli  sarà possibile trovare nella relazione terapeutica una nuova fonte di crescita e di nutrimento (esperienza emotiva correttiva).

Il secondo livello descritto da Carere può essere graficamente rappresentato da un asse verticale che  connette  il vertice K con il vertice O del campo terapeutico e che costituisce il livello filosofico del processo della terapia. 
Muovendosi su questa linea il terapeuta cerca di rispondere ai bisogni fondamentali di conoscenza ("conosci te stesso") e di accesso alla sorgente generativa dell'esistenza e aiuta il paziente a divenire consapevole delle condizioni passate e presenti della propria vita, a scoprirne o dare loro significato e a decidere cosa fare di esse (adattarsi o trascenderle).
Il  vertice K è il vertice base del campo terapeutico. In esso si attua una neutralizzazione sistematica di ogni preconcezione e giudizio. In questa posizione il terapeuta non agisce con modalità materne né paterne ma sta in un atteggiamento di ascolto che può essere  di tipo sintetico, cioè globale e non selettivo, o analitico, cioè focalizzato e discriminativo. 
Il terapeuta opera qui come uno scienziato, che in modo pragmatico e euristico, cerca di scoprire con il paziente gli aspetti psicologici ed esistenziali disfunzionali e i possibili rimedi a essi. 
Al  vertice K è posto in relazione il vertice O . Il simbolo O (mutuato da Bion)  indica l'ignoto, contrapposto alla conoscenza e indica  anche la totalità dell'esistenza, la matrice originaria di tutti i fenomeni. Sorgente  generativa e rigenerativa di ogni cosa, O è la potenza inconscia di guarigione che esiste in ognuno di noi. La funzione principale del  terapeuta nel vertice O è quella di cercare di attivare nel paziente questo potere di guarigione. Per farlo, il terapeuta  stesso deve sapersi aprire con fiducia al contatto con lâignoto e ciò può essere reso possibile dallâutilizzo di molteplici simboli che come afferma Carere "possono essere evocati e invocati per facilitare una comunicazione con lâignoto che sarebbe a volte troppo ardua se non fosse mediata da qualche rappresentazione familiare". Oltre a questa funzione "mistica", nel lavoro di vertice O il terapeuta deve esprimere la propria capacità artistica. Stimolare cioè attraverso la propria immaginazione simbolica quella del paziente per narrare assieme a lui una storia che abbia un senso. 
La linea verticale che congiunge i vertici K e O rappresenta l'asse culturale, necessario completamento dellâessere umano, unico essere del mondo naturale ad avere anche una dimensione  spirituale che gli permette di giungere a sapere di non sapere.
Il movimento dialettico fra il polo del conoscere (K) e quello dell'essere (O) permette di attuare la  neutralizzazione di  teorie e  preconcetti che ostacolano il vero processo di conoscenza e di rinnovarlo e fecondarlo attraverso l'affidamento alla dimensione generativa e rigenerativa dellâesistenza. 

La creazione di una mappa, cioè di una teoria generale della relazione terapeutica, rappresenta la risposta affermativa alla domanda iniziale sull'esistenza della psicoterapia come fenomeno robusto.
La possibilità di fornire una descrizione accurata del campo terapeutico testimonia della sua esistenza  e si costituisce come riferimento necessario nell'interminabile processo di elaborazione e confronto con gli approcci integrati di tipo assimilativo. Questi ultimi sono caratterizzati da un forte radicamento in una teoria e incorporano altre tecniche e teorie, reinterpretandole e riformulandole secondo i concetti e il linguaggio della teoria di base.
Un confronto dialettico fra l'approccio pluralistico delle teorie assimilative e la visione unitaria di una teoria generale fornirà alle prime un riferimento a principi comuni e alla seconda un ulteriore arricchimento e perfezionamento. 

Il lavoro di Carere è di assoluta originalità nel panorama della ricerca  psicoterapeutica contemporanea.
Egli descrive con estrema chiarezza e profondità i principi comuni del processo terapeutico attraverso unâanalisi sistematica dei  bisogni fondamentali dellâessere umano, fornendo al terapeuta una mappa per potersi orientare momento per momento durante lâinterazione con il paziente. 
La proposta di Carere è senz'altro una proposta forte, fondata su una solida base epistemologica, ma è anche un modello aperto al dialogo proprio perché un dialogo autentico è garantito da un vertice neutrale, cioè da una posizione in cui venga neutralizzata ogni presunzione di verità. 
Il metodo fenomenologico, costitutivo dellâoperazione psicoterapeutica, attraverso la neutralizzazione sistematica di ogni preconcezione e giudizio, permette di porsi con maggior libertà  di fronte al quesito fondamentale di ogni pratica terapeutica: "qual è il bisogno del paziente in questo momento?".
Il movimento consapevole di oscillazione dialettica fra i quattro vertici del quadrilatero permette di bilanciare continuamente il proprio atteggiamento terapeutico riducendo il rischio di assumere rigide posizioni unilaterali. 
Un'attitudine dialettica è infatti il miglior antidoto contro "gli abusi teoretici" poiché comporta unâattenzione particolare agli approcci stereotipati. Se il terapeuta non si identifica con le teorie, ma le usa quando servono, può permettersi di essere libero nei loro confronti e di soggiornare in uno spazio ateoretico, in un vuoto di sapere da cui può attingere continuamente nuovi elementi di esperienza e di conoscenza. 
Il modello proposto da Carere è perciò anche molto impegnativo.
Il terapeuta, per essere veramente tale, dovrà essere sempre disposto a mettere in discussione i propri presupposti, a rinunciare a un attaccamento difensivo alle proprie teorie di riferimento e a disporsi in un atteggiamento di apertura nei confronti del processo terapeutico.
Nel vertice O il  terapeuta deve anche saper attivare dentro di sé  e suscitare nel paziente un atteggiamento di fiducia nell'esistenza, quella che Jaspers chiamava "fede filosofica", in cui lâuomo fa esperienza di un senso e un fine. "Fede" che non è  "un contenuto determinato, un principio, bensì una direzione, un incondizionato, una forza che guida la vita" (Jaspers, 1919).
In assenza di questa prospettiva risanativa  lâesistenza verrà vissuta  come un'esperienza caotica e insensata e la potenza trasformativa inconscia fraintesa come semplice manifestazione di onnipotenza infantile. 
Il terapeuta insomma deve riuscire ad essere padre, madre e scienziato ma anche mistico e artista a seconda di ciò che il processo terapeutico gli chiede di essere. Lungi dallâapparire un obbiettivo troppo ambizioso o addirittura onnipotente, questo sembra essere un modello cui tendere nella consapevolezza delle proprie predisposizioni temperamentali ma anche nella tensione verso una crescita delle proprie capacità relazionali. Nelle parole di Carere "il vero terapeuta non è il terapeuta stesso con il suo bagaglio di teorie e tecniche: il vero terapeuta è il processo. Quello che noi possiamo fare è facilitare il processo, non produrlo".

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