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JOURNAL OF PERSONALITY ASSESSMENT - VOL.73, N. 2 / 1999

Writing a Good Cookbook: I. A Review of MMPI High-Point Code System Studies

Writing a Good Cookbook: II. A Synthesis of MMPI High-Point Code System Study Effect Sizes

Robert E. McGrath and Joel Ingersoll


 
Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI ) di Hathaway e McKinley è uno dei test psicodiagnostici più usati al mondo, compresa l’Italia, nonostante abbia più di 50 anni di vita. Circa 10 anni fa James Butcher e colleghi hanno pubblicato la seconda edizione rivista del questionario, con l’aggiornamento dei contenuti degli items, l’introduzione di nuove scale complementari e di contenuto e l’aggiornamento del campione normativo di riferimento (MMPI-2). Come sanno coloro che usano nella pratica clinica il MMPI, vi sono più modi per interpretare un profilo MMPI. Uno dei più diffusi, suggerito anche dai manuali del test, è di interpretare il codetype, ossia la combinazione di più scale cliniche che hanno maggiore elevazione di punti T rispetto alle restanti scale di base. Il metodo interpretativo dei codetypes fu introdotto da Halbower nel 1955 che iniziò a classificare i profili dei pazienti ambulatoriali afferenti al Department of Veterans Affairs (VA). Lo scopo era quello di aumentare l’omogeneità dell’interpretazione. In sintesi: protocolli con elevazione delle Scale 2-3 hanno un profilo psicologico diverso e omogeneo che non viene individuato interpretando per sommazione la Scala 2 e la Scala 3 separatamente?
Gli autori dello studio qui presentato (diviso in due articoli) hanno accuratamente rivisto la letteratura sui codetypes (o, come più descrittivamente li chiamano, high-point code system) per valutare se il largo uso clinico dei codetypes è giustificato in base all’evidenza empirica. Nella prima parte, sono stati selezionati 10 studi empirici che, per il loro disegno di studio, sono maggiormente coerenti con l’obiettivo di individuare un metodo interpretativo esauriente e clinicamente utile (profili classificati in base alla combinazione delle più elevate scale cliniche, individuazione chiara dei predittori ossia dei criteri di validazione esterna, indagine su più codetypes, indagine svolta su più campioni psichiatrici). I 10 studi selezionati vanno dal primo libro pubblicato sui codetypes (di Marks e Seeman, del 1963) all’ultimo sul MMPI-2 (di Graham, Ben Porath e McNulty, del 1999). Questi lavori hanno prodotto una mole di dati su 8.614 pazienti psichiatrici con correlazioni studiate fra 172 combinazioni di scale e 3.900 criteri esterni. Il confronto descrittivo fra questi studi è praticamente impossibile a causa dell’estrema eterogeneità dei criteri di studio, soprattutto per quel che riguarda il modo di selezionare i codetypes. Ad esempio, alcuni autori hanno considerato codetype le scale cliniche con T>70, altri le scale che risultano avere i maggiori punteggi T rispetto alle altre scale indipendentemente dal valore assoluto di T o della distanza di T dalle altre scale con punteggio inferiore, altri ancora le scale con almeno 5 punti T superiori alle altre scale. Ne risulta un dato paradossale: gli autori (e gli psicologi nella loro pratica clinica) adottano strategie differenti per individuare i codetypes i quali invece sono stati adottati proprio con lo scopo di migliorare l’omogeneità di interpretazione dei profili MMPI.
La seconda parte del lavoro di McGrath e Ingersoll esamina i risultati dei 10 lavori selezionati con una metodologia quantitativa, confrontando le medie dell’ampiezza dell’effetto (mean effect size) dei 10 studi con la procedura statistica meta-analitica. L’effect size è una procedura statistica che riflette la forza di una relazione, ossia individua un coefficiente medio di correlazione fra il codetype e il criterio esterno di confronto. Esaminando ciascuno studio, la mean effect size risulta bassissima, generalmente inferiore a 0.10. McGrath e Ingersoll hanno confrontato i risultati dei singoli studi aggregandoli per variabili di possibile moderazione della forza della correlazione. Sono stati così confrontati studi su adolescenti vs adulti, pazienti psichiatrici ambulatoriali vs ricoverati, tipi di dati (criterio esterno fornito dalle valutazioni dello staff psichiatrico, dalle cartelle cliniche, da questionari auto-somministrati), MMPI vs MMPI-2, selezione dei codetypes più restrittiva vs meno restrittiva. La media generale dei coefficienti di correlazione risulta anche in questo caso molto bassa, da r=0.59 a r=0.71, che spiega meno dell’1% della varianza delle variabili di criterio.
Le conclusioni del complesso e ragionato studio di McGrath e Ingersoll sui codetypes del MMPI sono poco incoraggianti. Benché sia un criterio molto usato nella pratica clinica, e che quasi certamente continuerà ad esserlo, il metodo dei codetypes non è il sistema migliore per interpretare un profilo MMPI. Il principio del sistema dei codetypes è corretto e coerente (interpretazione dei profili per uniformità dei tratti psicologici) ma l’evidenza empirica finora accumulata suggerisce che è più fondato il metodo semplice della combinazione lineare delle singole scale più elevate, incluse quelle di contenuto. Gli autori si chiedono infine come mai gli psicologi clinici si sono così fidati dei codetypes finora. I principali motivi sono due. Il primo è che i manuali MMPI continuano a fornire indicazioni in questo senso, ingenerando un elevato senso di fiducia nel clinico per autorità verso gli autori. Il secondo è che spesso viene mal interpretato il concetto di significatività statistica degli studi empirici. La significatività statistica è funzione di molti fattori, compresi il livello alfa (il valore della p che si è deciso di accettare – usualmente 0.05 o 0.01 – per cui si rischia di rifiutare l’ipotesi nulla quando è invece vera), il livello beta (relativo alla potenza dello studio, ossia all’ampiezza del campione in rapporto al numero di variabili studiate per cui si rischia di accettare l’ipotesi alternativa quando invece è falsa) e l’effect size (di cui abbiamo parlato prima). Gli studi empirici con il MMPI sono in genere effettuati su un ampio numero di soggetti, per cui spesso si trovano risultati significativi di correlazione fra le scale MMPI e il criterio esterno, anche se in realtà l’effect size è basso. Questo risultato viene interpretato come clinicamente significativo, confondendo i due concetti di significatività (clinico e statistico). Ne deriva che l’assunzione di significatività per le i codetypes MMPI deve essere considerata in modo molto più critico da parte dello psicologo clinico. Considerato l’ampio uso del MMPI anche fra gli psicologi italiani, ed anche nella pratica psicologica forense, il monito dei due autori americani è da tenere in grande considerazione.

Robert E. McGrath
School of Psychology
Fairleigh Dickinson University
Teaneck, NJ 07666, USA
Email: mcgrath@alpha.fdu.edu

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