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INTERNATIONA JOURNAL OF EATING DISORDERS: - N. 3 / 1999

RECENSIONE DEGLI ARTICOLI 
 
Mortality and Causes of Death in Eating Disorders in Denmark 1970-1993: A Case Register Study
C. Emborg

La mortalità nei disturbi alimentari è, naturalmente, un problema importante. Gli evidenti danni fisici indotti dalle pratiche anoressiche e bulimiche rendono il legame tra i disturbi alimentari con la morte ben più evidente che nella maggior parte delle altre malattie mentali (e per lo psichiatra può essere quasi motivo d'inconscio sollievo una tal prova della gravità delle malattie mentali: se un disturbo psichiatrico può portare alla morte, ha dunque senso l'appartenenza della psichiatria alla medicina). Questo studio danese indaga il tasso e le cause della mortalità nei disturbi alimentari, usando come database i registri di degenza negli ospedali psichiatrici o nelle cliniche psicosomatiche danesi nel periodo 1970-1993. 2763 casi sono stati testati, con un follow-up medio di 10,3 anni. La mortalità al follow-up è stata del'8.4%. Tra le cause primarie di morte, nei certificati di morte primeggiavano il suicidio da farmaci (7,4%), causa ignota (5,2%), infarto acuto del miocardio (4,8%) e cirrosi epatica per alcolismo (4,3%). Come cause secondarie o contribuenti, vi erano l'anoressia (6,1%), l'alcolismo (5,2%) e la broncopolmonite (3,5%).
 

A Prospective Study of the Influence of Eating-Disordered Mothers on Their Children
W.S. Agras, L. Hammer, and F. McNicholas

L'influenza dei genitori sui figli è un vecchio problema della psichiatria, che porta in sé sia un inconfondibile profumo freudiano, che un più "duro" sentire di scienza genetica. Questo studio esamina lo stile di allevamento delle loro figlie da parte di un campione di madri affette da un evidente disturbo alimentare (N=41), rispetto a quello di un campione di controllo di madri non disturbate (N=153). I risultati colpiscono: le figlie delle madri con disturbo alimentare succhiavano in maniera significativamente più rapida, ed erano svezzate in media 9 mesi più tardi. Le madri con disturbo alimentare, inoltre,  nutrivano le loro figlie in maniera più irregolare, usavano più frequentemente la somministrazione di cibo per motivi non nutrizionali ma ansiolitici (risultato che conferma una vecchia intuizione della Hilde Bruch), e - dulcis in fundo - naturalmente mostravano molta più preoccupazione verso il peso delle loro figlie dopo i due anni di età.
 

Parental Input and Weight Concerns among Elementary School Children
L. Smolak, M.P. Levine, and F. Schermer

Ancora genitori e figli. Stavolta si esamina l'effetto di due precisi comportamenti dei genitori. Il campione prendeva in esame un centinaio di madri ed i loro figli, che frequentavano l'ultimo o il penultimo anno delle scuole elementari. I comportamenti esaminati nei genitori erano: i commenti espliciti sul peso dei figli, e i comportamenti in grado di fornire modelli impliciti, quali: (1) i loro lamenti verso il proprio peso (non quello dei figli); (2) il numero di diete negli ultimi 6 mesi; e (3) la soddisfazione espressa verso la loro propria magrezza. Le variabili misurate nei figli, per mezzo della Body Esteem Scale e di una intervista, riguardavo il grado di soddisfazione dei bambini del loro corpo, le preoccupazioni verso il peso, e i tentativi di perdere peso. I risultati mostravano che gli agenti più potenti sembravano essere proprio i commenti espliciti, soprattutto quando espressi dalle madri.
 

The Role of Familial Values in Understanding the Impact of Social Class on Weight Concern
J. Ogden and D. Thomas

A lungo, nel campo dei disturbi alimentari, si è detto che questi disturbi fossero diffusi soprattutto nelle classi più agiate. In seguito questo dato è stato messo in dubbio, anche perché è diventato difficile definire le classi non agiate in termini materiali. Negli ultimi anni, alcuni studi hanno smentito la vecchia ipotesi, mentre altri la hanno invece confermata. Questo studio torna ad investigare questo campo già molto arato, trovando stavolta una conferma: la preoccupazione per il peso è risultata maggiore nelle famiglie di livello economico e di istruzione più elevata. Quel che è originale è il tentativo di indagare anche la possibile azione mediatrice dei cosiddetti "valori" espliciti. I ricercatori hanno esaminato due classi valori in qualche modo contrapposti: da una parte l'importanza dell'apparenza fisica e del raggiungimento di obiettivi di elevata gerarchia sociale; dall'altra, l'importanza della costituzione di una famiglia affettivamente serena e coinvolgente. Secondo i ricercatori, l'azione mediatrice ipotizzata appare presente, ma contribuisce solo in parte a spiegare l'effetto della classi sociali sulle preoccupazioni riguardo il peso. Vi sarebbe una sorta di effetto "diretto" (che, detto così, appare un po' misterioso a dire il vero) della classe sociale sull'ideazione verso il peso.
Una interessante nota in parte. Secondo lo studio, è vero che gli individui delle classi meno agiate danno meno importanza ai valori del successo sociale, ma è anche vero che valutano i loro eguali sociali come più vocati a questi valori rispetto a quanto fanno gli appartenenti alle classi sociali più elevate.
 

Problem Eating Attitudes and Behaviors in Young Children
C. Kelly, L.A. Ricciardelli, and J.D. Clarke

Analisi fattoriale e valore predittivo dell'insoddisfazione corporea e dell'autostima della versione per minorenni del diffusissimo Eating Attitudes Test (EAT). Dall'EAT sono stati estratti 4 fattori. Esso è stato poi correlato con altri test. Sono stati trovati fattori differenti nelle femmine rispetto ai maschi. Nelle prime, i fattori possono essere denominati, in base ai loro item, "Dieting", "Food Preoccupation", "Social Pressure to Eat", e "Restricting and Purging", confermando numerosi vecchi studi. Nei maschi, invece, i fattori possono essere denominati "Global Problems", "Dieting versus Purging", "Dieting and Food Preoccupation", e "Emotional Eating". Nel primo fattore andavano item molto eterogenei, finendo per essere quindi una sorta di misuratore generale - o, appunto, globale - di problemi alimentari. Nel secondo finivano items di dieta e di purging, ma con segno opposto (versus), di modo che la presenza dell'uno, il dieting, predice l'assenza dell'altro, il purging. Ed infatti i comportamenti compensatori sono rarissimi nel sesso maschile. Nel terzo fattore andavano altri item di dieta e preoccupazione verso il cibo. Nel quarto fattore sono finiti alcuni items ad elevato contenuto emozionale (per esempio, "Mi sento in colpa dopo aver mangiato").
 

Binge Eating Disorders in Females: A Population-Based Investigation
J.F. Kinzl, C. Traweger, E. Trefalt, B. Mangweth, and W. Biebl

Quanto si abboffano 1000 donne australiane (età 15-85 anni) intervistate da dietologi per telefono? 122 hanno incontrato i criteri diagnostici per l'abboffata semplice accompagnata da sensazione di perdita di controllo (non potersi fermare), 84 quelli di una sindrome da abboffate (in cui l'abboffata è accompagnata da almeno 3 di 6 possibili comportamenti associati: mangiare velocemente, mangiare senza aver fame, mangiare da soli, sentimenti di disagio e nervosismo verso l'alimentazione e perdita di controllo), e 33 del Binge Eating Disorder, (il controverso Disturbo da Abboffate da tempo in panchina nell'appendice B del DSM, in cui gli episodi della sindrome di cui sopra si avverano almeno 2 volte a settimana nei precedenti 6 mesi).
 

Eating Pathology before and after Bariatric Surgery: A Prospective Study
P.S. Powers, A. Perez, F. Boyd, and A. Rosemurgy

Comportamenti alimentari in obesi operati. Prima dell'intervento, abboffate episodiche nel 52%, disturbo da abboffate nel 16%, e sindrome da alimentazione notturna nel 10% dei pazienti. Nei vari follow-up (da 1 a 5,5 anni), le abboffate naturalmente sparivano del tutto. Tuttavia, ben il 33% mostrava vomito autoindotto almeno 1 volta alla settimana. Tutti i pazienti spiegavano il vomito come rimedio all'alimentazione proibita dopo l'intervento. Soltanto un paziente ammise la volontà di perdere peso come motivazione.
 

Personality and the Prediction of Weight Loss and Relapse in the Treatment of Obesity
W.S.C. Poston II, M. Ericsson, J. Linder, T. Nilsson, G.K. Goodrick, and J.P. Foreyt

Secondo qualcuno - Eraclito, mi pare - il destino di un uomo è nel suo carattere. Quindi, ci si può legittimamente chiedere: il tipo di personalità può predire la perdita di peso ed il mantenimento della perdita in obesi che iniziano un trattamento dimagrante? Purtroppo no, almeno secondo questo studio, che usa il Karolinska Scales of Personality (KSP) in 102 obesi.
 

Laxative Withdrawal in Eating Disorders. Treatment Protocol and 3 to 20-Month Follow-up
P. Colton, D.B. Woodside, and A.S. Kaplan

Quando si parla di purging, troppo spesso si pensa soltanto al vomito auto-indotto, lasciando alle altre tecniche utilizzate dalle pazienti poca attenzione. Tra queste cenerentole, spicca l'uso dei lassativi, quasi altrettanto diffusi e dannosi per la salute rispetto al vomito. Questo studio presenta un protocollo ospedaliero per il trattamento di questo sintomo, e dei dati preliminari di efficacia. Il trattamento è psicoeducazionale, con un chiaro contratto per le misure di contenimento comportamentale: bagni chiusi a chiave, immediata interruzione dell'uso di lassativi, alimentazione controllata. In questi primi, difficili giorni, alla paziente sono date delle fibre, a patto che bevano almeno 250 ml di acqua. La reazione ansiosa è immediata, ma questa viene combattuta soltanto con la rassicurazione e l'educazione. Materiale informativo ed educazione diretta da parte del medico al monitoraggio consapevole dell'attività intestinale normale viene dato al paziente. Man mano che i fenomeni normali (movimenti intestinali, flatulenze, ecc) ritornano, la paziente viene educata a riconoscerne il significato fisiologico, e a spostare l'attenzione da quello emotivo ed ansiogeno: l'acquisto di peso, la perdita di autostima. Terminato questo periodo, inizia un trattamento di desensibilizazzione alla presenza di lassativi nei negozi. I dati preliminari mostravano che su 14 pazienti, 8 non assumevano lassativi al follow-up di 3-20 mesi (media 14,1 ± 5,2 mesi).
 

The Impact of Emotion upon Eating Behavior: The Role of Subliminal Visual Processing of Threat Cues
C. Meyer and G. Waller

L'influenza delle emozioni nell'eziologia dei disturbi alimentari è oggetto di crescente curiosità e studi, tanto da porsi in qualche modo in opposizione al trionfante paradigma cognitivo. La crescita di questa corrente è parallela alla crescita della psicologia delle emozioni, o scienza affettiva, disciplina nata all'incrocio tra psicologica sperimentale, cognitivismo e psicologia evolutiva. Lo studio di Meyer e Waller vuole dimostrare alcune ipotesi. Quella principale sostiene che alcune emozioni sono degli antecedenti innati ed universali all'alimentazione eccessiva. La seconda dice che queste emozioni sono di tipo negativo. La terza che questi schemi emotivi sono sganciabili da schemi interpersonali. La quarta, infine, che questi schemi sono più forti in alcune sottopopolazioni eating disordered.
Il protocollo dello studio prevedeva che 120 studentesse universitarie completassero le scale Drive for Thinness, Bulimia e Body Dissatisfaction dello EDI. In questo modo le studentesse vennero suddivise in high scorers e low scorers. Dopo una settimana, si eseguì un test di stimolazione subliminale. Alle studentesse venne detto che il test serviva ad indagare la capacità di percepire stimoli visivi in stato di fame lieve. Per tale motivo alle studentesse fu raccomandato di astenersi dal cibo nelle 4 ore precedenti il test. Gli stimoli subliminali erano costituiti dalla proiezione di una parola: gallery (stimolo neutro), hungry (stimolo alimentare), happy (stimolo emozionale positivo), angry (stimolo emozionale negativo di ostilità) e lonely (stimolo emozionale negativo di abbandono). Ad ogni stimolo furono esposte 10 high scorers e 10 low scorers. Finito il test, il ricercatore si allontanava dalla stanza, comunicando la necessità di un breve impegno per un altro esperimento. Lasciando la stanza, il ricercatore invitava le studentesse a sfamarsi con dei crackers al formaggio già pronti.
Alla fine, due furono le categorie che mangiarono in maniera significativamente maggiore: tutte le studentesse che erano state sottoposte allo stimolo di abbandono, e le high scorers sottoposte allo stimolo di ostilità. Il risultato è estremamente importante per la comprensione dei meccanismi della motivazione emozionale nei disturbi alimentari. 
 

An Experimental Test of the Relationship between Self-Esteem and Concern about Body Shape and Weight in Restrained Eaters 
A. Meijboom, A. Jansen, M. Kampman, and E. Schouten

Il problema dell'autostima è da sempre la pietra angolare della ricerca nei disturbi alimentari, il sospettato numero uno, il maggiordomo colpevole che si nasconderebbe dietro la persona dell'insoddisfazione verso l'aspetto corporeo. Naturale quindi cercare di valutare la relazione tra queste due variabili. Questo studio lo fa con una metodologia originale, usando la valutazione di un test di decisione lessicale (lexical decision). Il soggetto doveva decidere, nel minor tempo possibile, se certe sequenze di lettere formavano parole o meno. Le parole presentate erano sia neutre che di significato mirato, cioè riguardavano l'aspetto o la bassa autostima. Gli stimoli erano sia sopra- che subliminali. Al test partecipavano soggetti normali, classificati in mangiatori più o meno continenti in base ad un questonario autosomministrato. L'ipotesi sosteneva che i mangiatori più continenti mostrassero maggiore capacità di riconoscere le parole mirate all'aspetto o all'autostima. Il risultato, interessantissimo, confermò l'ipotesi usando gli stimoli subliminali, ma non usando quelli sopraliminali. Una buona conferma, dunque, dell'esistenza di processi cognitivi inconsci.
 

Night Eating and Binge Eating Disorder in Obese Patients
G.F. Adami, A. Meneghelli, and N. Scopinaro

Interviste agli obesi patologici. Si scopre che abboffate e mangiate notturne sono egualmente presenti, ma che la presenza di mangiate notturne è del tutto indipendente dalla preoccupazione verso il cibo e lo stare in dieta.
 

Body Image, Psychological Functioning, and Parental Feedback Regarding Physical Appearance 
D.J. Schwartz, V. Phares, S. Tantleff-Dunn, and J.K. Thompson

Uno studio retrospettivo sui rapporti tra immagine corporea e commenti sull'aspetto da parte dei genitori. Le ragazze sembrano ricevere commenti soprattutto dai papà, visibilmente preoccupati. Nelle ragazze, sia i commenti positivi che le prese in giro negative (teasing) sono molto efficaci sulla soddisfazione, o l'insoddisfazione, verso il corpo. Nei ragazzi, molto meno. 
 

Psychological Factors in Nutritional Disorders of the Elderly: Part of the Spectrum of Eating Disorders
D.M. Clarke, M.L. Wahlqvist, C.R. Rassias, and B.J.G. Strauss

Due casi di anziane donne che hanno mostrato grave restrizione alimentare in età avanzata. Nel primo caso, uno stato di stress emotivo causato da un lungo matrimonio insoddisfacente e frustrante era andato a sovrapporsi ad una esperienza precoce di scarsa nutrizione per povertà. Questa esperienza aveva lasciato degli strascichi di "ossessività nutrizionale", cioè di attento controllo di una sana nutrizione, che erano poi improvvisamente esplosi in una estrema deprivazione. Nel secondo caso, invece, si trattava di una donna che era stata imbarazzata tutta una vita per la sua incontinenza fecale, tanto da essere terrorizzata da alcuni cibi. Questa fobia era infine sfociata in comportamenti anoressici.
I disturbi alimentari nell'anziano sono rari, ma non assenti. Come in questi due casi, spesso offrono interessanti esempi di anoressia senza paura di ingrassare, ed illuminano sul significato emotivo della nutrizione.
 

The Reliability of the Eating Disorders Examination-Self-Report Questionnaire Version (EDE-Q)
K.H. Luce and J.H. Crowther

La Eating Disorders Examination (EDE) è considerata il golden standard per la valutazione sintomatologica dei disturbi alimentari. Questo studio valida la versione auto-somministrata, con buoni risultati.
 

Patulous Eustachian Tube in a Case of Adolescent Anorexia Nervosa
A. Karwautz, A. Hafferl, D. Ungar, and H. Sailer

La iperpercezione della propria voce e del proprio respiro, o autofonia, è spesso frutto di una troppo rapida perdita di peso. Pertanto, si può presentare nell'anoressia all'esordio. Questo è il primo caso documentato. Si tratta probabilmente del primo caso di anoressia diagnosticata da un otorino.
 

 

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