PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI
-->ContPsy -->40/3 - 2004

CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 40, N. 3 / 2004
Let It Be and Become Me: 
Notes on Containing, Identification, and the Possibility of Being

Ofra Eshel


Questo articolo rappresenta una rielaborazione personale dei concetti bioniani di "contenimento" e di "reverie", derivati dalle intuizioni di Melanine Klein sulla identificazione proiettiva, che sono alla base degli aspetti più importanti e terapeutici del rapporto sia tra l'analista e il paziente sia tra la madre e il bambino. L'articolo fondamentale di Bion a cui viene fatto riferimento, e di cui viene riportato fedelmente un lungo brano all'inizio dell'articolo, è "Attacchi al legame", del 1959, contenuto nel libro Second Thoughts, del 1967 (trad. it.: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma: Armando, 1979). Il passo terapeutico cruciale è quello di potersi identificare completamente e fino in fondo, da parte del terapeuta, nelle esperienze dolorose proiettate dal paziente, processo che viene qui chiamato "I-identification". E' il contenimento di queste emozioni, fino alla identificazione con esse, che costituisce in definitiva la trasformazione di queste parti che poi vengono terapeuticamente reintroiettate dal paziente. A questo riguardo vengono citati tutti quegli autori che hanno discusso questo tema, ad esempio Grotstein, che per descrivere meglio questo delicato e cruciale aspetto del processo terapeutico ha usato metafore mitiche e religiose, e precisamente ha fatto riferimento al mito della crocifissione di Cristo, della pietas, dell'esorcismo, della perdita dell'innocenza, dell'analista come capro espiatorio e così via (vedi l'articolo in due parti nei numeri 4/1994 e 3/1995 di Contemporary Psychoanalysis e segnalato su Psicoterapia e Scienze Umane, 1/1996, p. 162, in parte ripreso nell'articolo di Kerry Gordon sul n. 1/2004 di Contemporary Psychoanalysis e segnalato su Psicoterapia e Scienze Umane, 2/2002, p. 279). Infatti in questa fase l'analista in questa "convergenza" col paziente soffrirebbe realmente quanto il paziente, assumendo su di sé, per così dire, la sua sofferenza, e non si tratterebbe solo di una identificazione parziale. Vengono citati tanti altri autori, come Grinberg, Bollas, la Little, Maroda, Kristeva, Bianchedi, e Ogden. Di quest'ultimo però viene citato solo il libri Subjects of Analysis, del 1994, e non Projective Identification and Psychotherapeutic Technique, del 1982 (trad. it.: Identificazione proiettiva e tecnica psicoanalitica. Roma: Astrolabio, 1994), in cui tratta questo stesso argomento e in modi molto simili (vedi l'articolo "La identificazione proiettiva", pubblicato Internet al sito http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt49ip88.htm).

Come si può vedere, questi studi clinici del processo terapeutico riprendono, in modo più o meno consapevole, tematiche fenomenologiche; non solo, ma riprendono anche sviluppi della psicoanalisi discussi negli anni 1930-40, si pensi ad esempio al concetto di "esperienza emozionale correttiva" di Alexander del 1946 (sugli aspetti fenomenologici di certa psicoanalisi contemporanea, e sul ritorno di idee del passato, si veda l'editoriale del n. 2/2004 della rivista Psicoterapia e Scienze Umane).

PM--> HOME PAGE --> NOVITÁ --> EDITORIA --> RIVISTE --> RECENSIONI
--> ContPsy -->40/3 - 2004