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CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 39, N. 2 / 2003
On Seeing What Is Said: 
Visual Aids to the Psychoanalytic Process 

Edgar A. Levenson


In questo articolo Edgar Levenson, che è una delle figure più note e rappresentative della tradizione sullivaniana del William Alanson White Institute, parla della importanza della prospettiva visiva e spaziale, più che verbale, nella situazione analitica. Partendo da uno dei punti centrali di Sullivan per cui quello che conta non è la comprensione verbale secondo una ipoteticamente corretta metapsicologia, ma quello che accade realmente, quello che facciamo, cioè la prassi, Levenson ora suggerisce un ulteriore passo avanti in questa direzione: egli dice che la nostra prassi, per sua stessa natura, è più organizzata in immagini che in parole, più in interazioni che in spiegazioni. Fornisce molti esempi del lavoro analitico, del funzionamento inconscio, delle libere associazioni, dei sogni, ecc., in cui si può vedere come in realtà sia attivo il codice visivo-spaziale, sia per il paziente che per l'analista. La tradizione psicoanalitica invece ha sempre privilegiato il codice verbale, e questo può aver portato a distorsioni sia nella pratica clinica che nell'insegnamento. Anche se la investigazione analitica sembra che avvenga tramite il linguaggio, può essere fuorviante concepirla solo come una elaborazione verbale delle narrative, e sembra più appropriato concepire le narrative analitiche come un modo per riaggiustare o riordinare il mondo visivo-spaziale del paziente. Levenson cita a questo proposito un noto lavoro di Marshall Edelson ("Telling and Enacting Stories in Psychoanalysis and Psychotherapy: Implications for Teaching Psychotherapy", The Psychoanalytic Study of the Child, 1993, 48: 293-325; una versione di questo lavoro compare anche on: Barron J.W., Eagle M.N., Wolitzky D.L., editors, Interface of Psychoanalysis and Psychology. Washington, D.C.: American Psychological Association, 1992), in cui viene sottolineata l'importanza delle immagini e delle storie (film, romanzi, ecc.) che vengono in mente sia all'analista che al paziente durante il lavoro analitico (per un commento di questo lavoro di Edelson, vedi Migone P., "L'approccio narrativo in psicoterapia", Il Ruolo Terapeutico, 2001, 87: 93-101. Edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt87-01.htm). Levenson fornisce supporto a queste sue posizioni sulla importanza del codice visivo-spaziale nel lavoro analitico anche tramite alcune acquisizioni della neurobiologia che negli ultimi anni hanno suscitato un grande interesse in psicoanalisi (si pensi alla importanza dell'emisfero destro, della memoria procedurale ecc.), e cita soprattutto i lavori di Allan Schore (autore del libro Affect Regulation and the Origin of the Self, Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1994) e di Daniel Siegel (autore del libro del 1999 La mente relazionale: neurobiologia dell'esperienza interpersonale, Milano: Cortina, 2001 - vedi scheda su Psicoterapia e Scienze Umane, 4/2001, pp. 131-132) (sia Schore che Siegel, che sono essenzialmente due neurobiologi, collaborano ad un gruppo di studio su questi temi, il primo da una prospettiva che Levenson definisce "kleiniana", mentre il secondo da una prospettiva interpersonale). Schore, ad esempio, sottolinea l'importanza anche di tecniche terapeutiche di "immaginazione guidata" (vedi l'articolo di Schore sul Journal of the American Psychoanalytic Association, 1997, 45: 807-840). Secondo Levenson uno dei motivi per cui la tradizione psicoanalitica ha privilegiato il livello verbale a scapito degli altri livelli che arricchiscono la complessità della esperienza umana è legato al fatto che vi era l'esigenza di conferire chiarezza alla situazione clinica, per sua natura costituita da un amalgama intricato di componenti molto diverse tra loro. Levenson aggiunge che una chiarezza definitiva di quello che accade in analisi non solo non è raggiungibile, ma forse neppure auspicabile. Inoltre, citando Howard Gardner (La nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva [1985], Milano: Feltrinelli, 1988), fornisce vari esempi del lavoro di ricerca di alcuni scienziati e filosofi (Russell, Einstein, Darwin, Kekulé [che anticipò la struttura dell'anello benzenico con un sogno], ecc.) in cui l'immagine visiva è servita come punto di partenza di grandi scoperte. Nell'ultima parte dell'articolo Levenson, nel sottolineare l'importanza del livello delle immagini e del codice visivo-spaziale (regolate dall'emisfero destro), elenca quattro "immagini visive" da lui ritenute utili nel lavoro con i pazienti: queste sono il quadrato (square), il piano (plane), il cerchio (circle) e l'elica (helix). Queste quattro immagini per Levenson sarebbero alla base di ogni tecnica psicoanalitica, indipendentemente da qualsivoglia metapsicologia venga adottata.

In sintesi, questo lavoro di Levenson si inserisce all'interno di un filone, molto in voga nella psicoanalisi americana contemporanea, in cui, alla luce sia di recenti acquisizioni delle neuroscienze sia degli studi provenienti dall'area della infant research, viene rivisitata la concezione psicoanalitica classica della terapia e del funzionamento mentale: vi è un ridimensionamento del ruolo della interpretazione verbale e una valorizzazione degli aspetti esperienziali, nel "qui ed ora", della relazione terapeutica. La psicoanalisi così, in modo più o meno sottile, viene trasformata in una terapia "esperienziale" (ad esempio così come insegnata e praticata, peraltro molto bene, dalla terapia della gestalt), oppure in una psicoterapia rogersiana (che aveva elaborato questi temi in modo molto sofisticato circa fin dalla metà del 1900), oppure in un approccio fenomenologico (vedi gli approcci "intersoggettivi" e della psicologia del Sé, la rivalutazione del concetto di enactment, le posizioni della psicoanalisi "post-moderna", ecc.). Le riflessioni di questi autori sono brillanti, ma si fa fatica a intravedere una reale differenza dalle posizioni esposte ad esempio da Alexander negli anni 1930 e 1940 con concetto di "esperienza emozionale correttiva" (per un approfondimento di queste tematiche, vedi Migone P., "Riflessioni sulla linea di ricerca di Daniel Stern", Il Ruolo Terapeutico, 2003, 92: 54-62, edizione su Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt92-03.htm; vedi anche: Meneguz G., "La psicoanalisi dello Zeitgeist aderente alla prospettiva post-moderna", Psicoterapia e Scienze Umane, 2003, 2: 5-33; Eagle M.N., "La svolta postmoderna in psicoanalisi", Psicoterapia e Scienze Umane, 2000, 4: 5-44, edizione Internet in inglese: http://www.psychomedia.it/rapaport-klein/eagle00.htm).


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