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CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 36, N. 4 / 2000
The Dilemma of Relational Authority

Ruth R. Imber


L'autrice riprende l'annoso problema dell'autorità dell'analista, cioè cosa rimane di questo concetto se si adotta una prospettiva interpersonale o relazionale. Con questa delicata questione, che è centrale perché mette bene in luce le debolezze di certe teorizzazioni della psicoanalisi relazionale, si sono confrontati numerosi autori anche sulle pagine di questa rivista: si veda ad esempio la recensione dell'articolo di J. Greenberg Analytic Authority and Analytic Restraint nel n. 1/1999 di Contemporary Psychoanalysis, segnalato su Psicoterapia e scienze umane, 4/1999 p. 157, e quello di T.J. Zeddies & F.C. Richardson Analytic Authority in Historical and Critical Perspective: Beyond Objectivism and Relativism nel n. 4/1999 di Contemporary Psychoanalysis, segnalato su Psicoter. sci. um., 3/2000 p. 158-159. In questo secondo articolo Zeddies e Richardson avevano criticato il tentativo di soluzione proposto da Greenberg, che consisteva nel far poggiare la autorevolezza dell'analista non nella sua supposta superiorità o conoscenza della "verità", ma nel prestigio sociale che gli viene conferito dalla comunità sociale allargata (e anche dalla rispettiva comunità professionale). Qui Ruth Imber ripercorre tutte le posizioni esposte da vari autori, facendo una accurata revisione della letteratura, e mostra come molti abbiano solo spostato il problema senza affrontarlo, o compiuto degli equilibrismi. Cita ad esempio Edgar Levenson che dice che l'analista "dovrebbe essere un esperto ma non una autorità", scordando che spesso un esperto è una specie di autorità o di figura comunque autorevole, per cui un transfert suggestivo diventa inevitabile ed è una pia illusione eliminarlo o fare finta che non esista. Inoltre vi è una asimmetria ineliminabile nella relazione analitica derivata dal fatto che il paziente chiede aiuto, per cui suppone che l'analista sia autorevole, altrimenti non andrebbe da lui. Non va dimenticato poi che è il paziente che vive l'analista come autorevole, indipendentemente dalle intenzioni di quest'ultimo. E così via. Vengono citati anche autori tradizionali o non appartenenti alla tradizione interpersonale, come Otto Kernberg, che correttamente sottolineano i pericoli teorici e tecnici di rifiutare il concetti di autorità analitica, neutralità tecnica, ecc. (la questione della autorità dell'analista è stata affrontata da vari autori, tra cui Kernberg, Hoffman, Brenner, Mclaughlin, e Schafer, nel n. 1/1996 della "autorevole" rivista Psychoanalytic Quarterly). Nel complesso questo articolo è critico verso i precedenti tentativi di affrontare i problema, e, tramite alcuni esempi clinici, mostra anche la marcata autorità esercitata inconsapevolmente sui pazienti proprio da autori che dicono di non esercitarla. Nella conclusione viene citato elogiativamente Irwin Hoffman (si veda la recensione del suo recente libro Ritual and Spontaneity in the Psychoanalytic Process: A Dialectical-Constructivist View, pubblicata sul n. 4/1999 di Contemporary Psychoanalysis, segnalata su Psicoter. sci. um., 3/2000 p. 159), che è un altro autore che si è sforzato di studiare questo aspetto dell'analisi, e che sottolinea gli inevitabili aspetti autorevoli dell'analista ma anche lo sforzo di vederli in continua tensione "dialettica" con il ruolo spontaneo e paritario, non ritualizzato, che pure esiste sempre e in modo parallelo nella stessa relazione analitica. La soluzione proposta da Hoffman per uscire dall'impasse creato dai circoli viziosi di molte teorizzazioni della psicoanalisi relazionale, anche se interessante perché basata su concetti antropologici (in particolare sul concetto di "rituale" di Victor Turner), mostra anch'essa i suoi limiti e spesso pare una reiterazione di vecchie idee già presenti nel movimento psicoanalitico. Il suo interesse mi sembra soprattutto quello di mostrare il modo con cui certi autori concepivano la psicoanalisi, o avevano imparato la psicoanalisi, prima di compiere la loro "revisione".

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