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CONTEMPORARY PSYCHOANALYSIS
VOL. 36, N. 2 / 2000
Interview with Benjamin Wolstein

Irwin Hirsch


L'intero numero della rivista è dedicato a questa lunga intervista di Hirsch a Benjamin Wolstein, figura storica del William A. White Institute e deceduto nel 1998 a 76 anni, pochi mesi dopo essere stato intervistato. Loewus presenta l'intervista, e poi Levenson, Maroda, Renik, i coniugi Richards, Wilner, Zaphiropoulos, lo stesso Hirsch, Shapiro, e Miller la commentano in vari suoi aspetti. Alla fine la Shapiro presenta una bibliografia completa di Wolstein, che scrisse molto, cominciando a pubblicare libri fin dagli anni '40. In genere i commenti sono elogiativi, anche se alcuni sottolineano come a volte Wolstein eluda alcuni punti di fondo e quindi frustri il lettore, lasciando alcune domande volutamente aperte. In questa intervista Wolstein in modo molto colloquiale parla del suo percorso culturale e del suo modo di lavorare coi pazienti, spronato da Hirsch che mira a chiarire il suo pensiero fino alle estreme conseguenze (ad esempio Hirsch gli chiede se, come e perché limita la sua partecipazione affettiva, e al limite sessuale, nell'incontro coi pazienti, oppure in che misura e perché rispetta le regole del setting, quanto è disposto a concedere al paziente, quanto si autorivela, ecc.). Wolstein fu analizzato da Clara Thompson, che Wolstein considera la figura del William A. White Institute che maggiormente lo ha influenzato. La Thompson a sua volta fu analizzata da Ferenczi, e Wolstein si considera così un esponente della scuola ungherese, tanto da aver anticipato di molti anni temi che oggi sono diventati di pubblico dominio in psicoanalisi, quali l'uso del controtransfert, le autorivelazioni dell'analista, ecc. Secondo Wolstein, vi può essere stata una sorta di "trasmissione generazionale" dal concetto di "dialogo dell'inconscio" di Ferenczi, a quello di "esperienza psicoanalitica diretta" della Thompson, a quello di "campo esperienziale della terapia" formulato da Wolstein stesso. Per Wolstein nella psicoanalisi la esperienza diretta, co-partecipata da paziente e analista, gioca un ruolo molto importante come fattore curativo, più della interpretazione, che comunque deve essere prodotta dal paziente e solo facilitata dall'analista disponibile all'ascolto e alla comprensione. Nel complesso questa intervista rende bene l'idea della cultura psicoanalitica espressa dalla scuola interpersonale del William A. White Institute, cultura lontana dall'ortodossia nordamericana della Psicologia dell'Io (prevalentemente medica), a cui gli psicologi del White Institute si differenziavano nettamente. L'intervista rivela altresì una difficoltà da parte di Wolstein ad andare a fondo a certi nodi teorici, rimanendo sul piano intuitivo, anche se con una grossa dose di originalità, di esperienza e di sensibilità per quanto riguarda l'essenza del processo analitico.

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