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Psichiatria e
Psicoterapia Analitica
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GRAVIDANZA FIVET: rappresentazioni materne ed aspetti psicologici

Stefania Andreotti, Anna Rosaria Bucci, Maria Ilena Marozza


Introduzione

Fin da quando l'uomo ha abbandonato la vita solitaria e nomade per riunirsi in tribù, la prole ha rappresentato la continuità del sangue ed il potere delle braccia per coltivare e per combattere: avere figli è stata una inevitabile necessità.
Il fatto che tra le tribù primitive non esistessero scapoli si può ricondurre all'impossibilità di sopravvivere al di fuori di una rigida divisione dei compiti e di un solido nucleo in grado di espandersi.
In una civiltà contadina come quella descritta dalla Bibbia che aveva fatto della fecondità uno dei suoi primi impegni, la sterilità non poteva che essere vissuta come punizione.
Di fatto la sterilità si è sempre presentata e continua oggi a presentarsi come un problema.
Cercheremo in questo articolo di indagare il mondo rappresentazionale di chi ha cercato di superare la sterilità col ricorso a tecniche di concepimento artificiali. In particolare prenderemo in considerazione una particolare tecnica di fecondazione assistita: la FIVET ovvero la fecondazione in vitro con trasferimento dell'embrione in utero. Obiettivo di questo studio è valutare se esiste una distorsione delle rappresentazione materne nelle gravidanze indotte con tale metodica.

Rappresentazioni materne in gravidanza

Si è parlato ampiamente delle rappresentazioni materne in gravidanza ovvero delle modificazioni che riguardano il mondo rappresentazionale della donna. Il concetto di rappresentazione può essere considerato uno dei cardini nella teoria psicanalitica: esso viene inteso come modo attraverso cui il soggetto organizza e costruisce con processi di introiezione ed identificazione immagini mentali di sé e dell'altro. Si tratta cioè delle rappresentazioni dinamiche, delle costruzioni attive che operano al di fuori della consapevolezza e che non costituiscono solo dei semplici schemi cognitivi di interpretazione della realtà.
Freud (1915) pone la rappresentazione accanto all'affetto come elemento costitutivo della pulsione ed al centro della vita psichica del soggetto.
La letteratura ci offre una vasta gamma di studi che hanno indagato le rappresentazioni materne durante la gravidanza.
La donna in gravidanza ricapitola l'intero sviluppo della relazione con la propria madre: dal sentirsi feto, alle precoci identificazioni infantili che ora vengono confrontate con gli atteggiamenti e i sentimenti sul bambino che sta per nascere, fino alla propria individuazione.
Soifer (1971) individua l'incidenza di crisi d'angoscia in diversi momenti della gravidanza.
Nella fase iniziale l'incertezza sull'avvenuto concepimento può determinare sensi di colpa legati al precoce desiderio di prendere il posto della propria madre.
Intorno al quarto mese, con l'inizio dei movimenti fetali, la gravidanza può essere vissuta con valenze opposte: può essere negata oppure esperita come pericolosa ed aggressiva. La percezione dei rivolgimenti interni del feto si traduce in fantasie di svuotamento, di perdita, nella paura di un parto prematuro anticipando, in tal modo, il problema della separazione.
Il nono mese è il momento delle rapide trasformazioni e nei giorni precedenti il parto si intensificano la paura di morire di parto, la paura del dolore, del figlio deforme o della sua morte.
Secondo la psicoanalista inglese Raphael-Leff (1980) si può suddividere la gravidanza in tre periodi corrispondenti alle tre fasi del rapporto con la madre della Mahler (1975): fase autistica, la fase simbiotica e la fase di individuazione-separazione.
La prima è la fase autistica normale, caratterizzata in un primo momento da uno stato di inattività vigile e poi da una fase simbiotica in cui bambino e madre sono inclusi in un confine comune: "l'unità duale". In gravidanza questa non è un' illusione ma una realtà . La seconda fase, quella simbiotica, comprende una precoce individuazione. Infine la terza fase, che culmina con la nascita, comporta la reale separazione ed il riavvicinamento extrauterino.
Soulè (1982) riferisce che all'inizio della gravidanza vi è nelle donne un vuoto rappresentativo poiché l'attenzione è focalizzata tutta sul corpo materno. E' verso l'ottavo mese che la maggioranza delle donne riesce a rappresentarsi il nuovo nato come altro da sé. In uno studio Lumley (1980) evidenzia che la capacità di costruire l' immagine del feto come individuo è in stretto rapporto con la vita affettiva della donna: tale costruzione è tanto più precoce quanto maggiore è l'investimento affettivo e minore l'ambivalenza nei confronti del bambino e della gravidanza stessa.
Negli ultimi mesi di gestazione comincia a instaurarsi una particolare relazione oggettuale imposta dai movimenti fetali che inducono la caratterizzazione del feto come realtà a sé.
Tali rappresentazioni possono anticipare le percezioni postnatali relative a diversi tratti del temperamento del bambino.
La Bibring (1959, 1961) parla di due importanti compiti adattativi in relazione a due stadi della gravidanza .Il primo si riferisce all'accettazione dell'embrione e poi del feto, come parte integrante di sé: si ha un'esperienza di fusione col feto che perdura nei primi mesi della gravidanza fino alla percezione dei movimenti fetali che rompono l'unità narcisistica precedente e possono determinare nella donna la percezione del bambino come un nuovo oggetto autonomo dentro di sé. A questo punto inizia il secondo compito adattativo che consiste nel riorganizzare le proprie relazioni oggettuali per prepararsi all'evento della nascita- separazione dal bambino dentro di lei.
Ferraro e Nunziante Cesaro (1985) suggeriscono che durante la gravidanza il vissuto definito del Sé gravidico contiene elementi di ambivalenza. Tale vissuto si va modificando nel corso della gravidanza ed assume comunque aspetti diversi da donna a donna: il bambino nel ventre materno viene considerato ora come perturbante, ora come parte indifferenziata del Sé, parte idealizzata o intrusiva del partner sessuale ed ora come frutto dell'amore di coppia che si materializza nel sorgere di un' altra vita.

Influenza delle rappresentazioni materne in gravidanza sulla relazione madre bambino

I cambiamenti che si verificano durante la gravidanza comportano sostanziali modificazioni del mondo rappresentazionale della donna attraverso un processo che implica contemporaneamente l'elaborazione di nuove rappresentazioni mentali relative al sé come madre ed al futuro bambino ed una revisione delle rappresentazioni del sé costituitesi attraverso l'infanzia.
Stern (1995) ha definito costellazione materna quella condizione di riorganizzazione della vita psichica della donna, di un profondo cambiamento delle rappresentazioni di sé come persona, moglie, figlia, madre. Secondo l'autore il mondo delle azioni oggettivamente rilevabili ed il mondo delle rappresentazioni soggettive sono in continua interazione in un processo di influenzamento e modificazione reciproca . Intorno ai quattro mesi fino al settimo mese c'è un improvviso aumento di reti di schemi relativi al nascituro. Tra il settimo ed il nono mese c'è una progressiva riduzione delle rappresentazioni, forse come difesa della madre contro l'inevitabile discordanza tra le proprie fantasie e l'imminente realtà del nascituro. Dopo la nascita la madre ricomincia a ricostruire le sue fantasie.
La gravidanza porta ad una regressione nel vissuto infantile e la donna gravida ricapitola l'intero sviluppo della relazione con la propria madre .
Si assiste ad una profona destrutturazione e riorganizzazione del senso di identità della donna. La neomadre vede se stessa trasformarsi da figlia in madre del proprio bambino. Le rappresentazioni materne della propria madre, molto più della realtà storica, sono considerate quelle più indicative di come una donna sarà madre.
Bowlby nel 69, nell'ambito dell'elaborazione della teoria dell'attaccamento, ha dato un contributo allo studio delle rappresentazioni con il concetto di modello operativo interno (internal working model). I modelli operativi interni possono essere considerati come rappresentazioni mentali dinamiche che operano al di fuori della consapevolezza e che vengono costruiti a partire dall'esperienza relazionale precoce con le figure di attaccamento. Essi costituiscono la matrice con cui viene letta la realtà ed influenzano ogni tipo di relazione affettiva futura che in un modo o nell'altro tenderà a ripetere la primitiva relazione tra il piccolo e la figura di attaccamento. Essi non costituiscono solo schemi cognitivi di interpretazione della realtà ma assumono rapporti più complessi che comprendono gli affetti, le fantasie consce e inconsce, la memoria e i piani di azione rilevanti nelle relazioni significative. Il concetto di modello operativo permette di superare la visione statica di immagine o mappa per costituirsi come una visione attiva, una rappresentazione dinamica con caratteristiche cognitivo-affettive.
Nel '50 Bowlby ha cominciato a parlare di uno stretto rapporto tra la qualità dell'attaccamento provato per la propria madre ed il pattern di attaccamento del figlio; gli studi successivi hanno portato alla descrizione di diverse modalità di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente, disorganizzato-disorientato.
Lo studio della trasmissione intergenerazionale dei pattern di attaccamento e di come le fantasie inconsce della madre sul bambino si riflettono sullo sviluppo del bambino stesso è stato ed è tuttora argomento di indagine per i ricercatori influenzati da Bowlby.
In quest'ultimo decennio numerose ricerche sulla relazione precoce madre bambino si sono rivolte allo studio della gravidanza allo scopo di individuare una continuità tra lo stile materno che si sviluppa durante la gravidanza ed il maternage che verrà offerto al bambino dopo la nascita.
Dagli studi di Raphael-Leff (1986) emergono due orientamenti materni: la madre facilitante e la madre regolatrice. La prima considera la maternità come un'esperienza conclusiva della sua identità femminile, si sente arricchita e si abbandona alla regressione che le permette di vivere quell'unione fusionale col feto. La madre regolatrice considera la gravidanza come un passaggio obbligato per avere un bambino e prova fastidio per le trasformazioni corporee, resiste alla disorganizzazione psicologica rinforzando le proprie difese psichiche e le proprie razionalizzazioni. I movimenti fetali sono avvertiti come una presenza estranea, le fantasie sul feto limitate.
Il gruppo di studio di Ammaniti dell'Università di Roma (1990) ha elaborato un' intervista semistrutturata (l'IRMAG: Intervista per le rappresentazioni materne in gravidanza), quale strumento valutativo delle rappresentazioni in gravidanza. L'obiettivo è stato quello di esplorare nella donna che si trova ad affrontare la maternità, l'area delle rappresentazioni mentali concernenti non solo se stessa come persona e come madre, ma anche il partner e la propria famiglia d'origine.

Aspetti psicologici della gravidanza FIVET

La FIVET offre oggi a molti la possibilità di avere un figlio. Tale metodica prevede l'induzione della crescita follicolare e della maturazione ovocitaria multipla, il prelievo degli ovociti, la fecondazione in vitro e la coltura embrionaria nei primi stadi della segmentazione ed infine il trasferimento degli embrioni nella cavità uterina.
In uno studio condotto da Guerrini Degl'Innocenti ed al. (1992) è stato valutato in un campione di coppie sottoposte alla FIVET il significato attribuito all'esperienza di fecondazione assistita. Sono stati esaminati diversi aspetti quali:
- il significato di avere un figlio
- il vissuto relativo all' infertilità
- la modificazione del rapporto di coppia in seguito al progetto di avere figli
- le convinzioni della coppia relative all'adozione
Gli autori hanno evidenziato nelle coppie una propensione ad accentuare gli elementi concreti e somatici della procreazione con inibizione di quelli fantasmatici ed affettivi al fine di evitare il conflitto tramite il non riconoscimento emotivo.
A tale proposito Laffont (1994) ha suggerito la necessità di un supporto psicologico alle coppie sottoposte alla FIVET per favorire una maggiore introspezione e conoscenza intrapsichica. L'obiettivo dell'autore è finalizzato a superare una genitorialità il cui intento sia procreare "come gli altri" per sentirsi "uguali agli altri". L'intervento psicologico più valido nel contesto di gravidanze FIVET sembra proprio inserirsi nel promuovere e supportare una conoscenza che vada oltre il corpo e nella ricerca di un oggetto interno da conoscere per conoscersi.
Si può pensare che il lavoro di diventare genitori sia reso in queste coppie estremamente difficile da quella sorta di coartazione affettiva che per molti anni ha fatto da scudo alla loro vulnerabilità psichica di fronte all'incapacità di procreare.
I bambini che nascono dopo un lungo periodo di sterilità e da fecondazione artificiale sono sottoposti a numerosi rischi psicologici sia per il possibile equivoco che una nascita possa risolvere i problemi relazionali della coppia, sia perché -secondo Leclaire (1989)- essi sono caricati della responsabilità di riparare la ferita narcisistica subita dai genitori per non aver concepito naturalmente. Essi sarebbero investiti, loro malgrado, della responsabilità di dover dare ai genitori piaceri e riparazioni nel tentativo di cancellare tale ferita.
Da una revisione della letteratura internazionale emergono valutazioni relative a diversi aspetti della FIVET: in particolare la Boivin (1995) ha valutato lo stress mediante il General Health Questionnaire rispetto alla riuscita della gravidanza e gli aspetti stressanti e frustranti della FIVET nei tentativi falliti rilevando che tale metodica è un'esperienza comunque più stressante di una gravidanza spontanea e che nelle donne comporta un generale abbassamento del desiderio sessuale. Sia negli uomini che nelle donne é possibile rilevare frustrazione di fronte ai tentativi falliti.
In uno studio successivo (Boivin 1996) ci si è proposti di esaminare lo stress associato con la fertilizzazione in vitro in 20 donne che hanno compilato una lista di sintomi quotidiani durante la FIVET e durante il periodo senza trattamento. La check list includeva items relativi allo stress, all'ottimismo, al disagio fisico, alla relazione coniugale e sociale. In conclusione la FIVET era associata con più stress, ottimismo e disagio psichico rispetto ad un ciclo mestruale senza trattamento e con maggiori variazioni nelle relazioni di coppia e sociali.
Hynes ed al.(1992) hanno valutato il livello di depressione, autostima, fiducia nelle donne in trattamento FIVET ed in un gruppo di controllo. Come intuibile il gruppo FIVET aveva minore autostima e maggiore depressione dei controlli al loro primo ciclo di trattamento e, sia prima che dopo il ciclo era meno fiducioso in sé rispetto ai controlli. Dopo una fallita procedura FIVET, le donne erano ancora più depresse e con più bassa autostima rispetto all'inizio del trattamento. Le strategie di coping che mostravano migliore efficacia erano quelle centrate sul problema anziché sull'evitamento.
Van Balen ed al.(1996) comparano le esperienze di gravidanza e parto tra i genitori FIVET, altre coppie precedentemente infertili, e coppie fertili. Inoltre indagano l'impegno psicologico dei trattamenti. I risultati hanno dimostrato che il peso psicologico dei trattamenti FIVET supera il disagio fisico. Complicazioni durante la gravidanza erano più frequenti in madri FIVET e in altre madri inizialmente infertili piuttosto che nelle madri fertili. Comunque i controlli a distanza tra fertili e non fertili non erano significativi. Le coppie FIVET e le coppie infertili valutavano la gravidanza come più stressante ma più eccezionale. Inoltre i padri FIVET gioivano più dei padri degli altri gruppi.
La definizione di un profilo psicologico di partecipanti ad un programma FIVET è apparsa una preoccupazione degli studiosi dalla passata decade, anche se i risultati delle varie ricerche non hanno individuato tratti patologici o profili personologici sovrapponibili tra di loro.
Rilevante appare la ricerca condotta da Mazure e Greenfeld (1989) circa molti parametri psicologici di soggetti sottoposti a trattamento FIVET i cui risultati riportiamo solo parzialmente. Gli autori hanno valutato i sentimenti circa l'infertilità e la FIVET: di 200 partecipanti il 49% delle donne e il 15% degli uomini consideravano l'infertilità come l' esperienza più preoccupante della loro vita, comparabile ad una perdita importante come morte o divorzio.
E' interessante il fatto che la maggior parte delle donne che avevano cercato un trattamento di sostegno psicologico erano riuscite nella fecondazione.
Nessun pattern di aberrazione personologica gli autori hanno riscontrato nelle coppie FIVET anche se si evidenzia qualche elevazione di scala all'MMPI in relazione allo stress emotivo. Inoltre si è visto che c'è una più alta percentuale di nevrosi tra i soggetti che hanno infertilità da cause non certe piuttosto che tra coloro che iniziano un protocollo FIVET . Circa il rilevamento di ansia, si conclude che non ci sono dati sostanziali: l'ansia pare legata all'infertilità piuttosto che alla FIVET.
Usando il Profile of Mood States a cinque fattori rispetto alla valutazione di umore depresso , si è rilevato che lo stato depressivo non si riscontra tanto all'inizio del trattamento quanto dopo un insuccesso ed in ogni caso sono le mogli a presentare valori notevolmente più alti.
Bringhenti ed al. (1997) rilevano più specificamente che le donne che partecipano ad un programma FIVET non necessariamente presentano segni di maladattamento psicologico. Il loro livello di ansia di stato può essere considerato una risposta situazionale allo stress del trattamento. Il superamento della condizione di infertilità mediante la FIVET può portare la donna ad aver una buona disposizione personale, un alto livello di autostima, un miglioramento della relazione coniugale.
A proposito del rapporto col figlio concepito mediante fecondazione artificiale, appare interessante il lavoro di McMahon ed al.(1997) che hanno studiato i livelli di ansia durante la gravidanza e il grado di attaccamento al feto da concepimento FIVET in un campione di 70 coppie che avevano concepito mediante FIVET ed in un campione di controllo. In questo lavoro sono stati rilevati livelli di ansia più spiccati in madri FIVET circa la sopravvivenza e la normalità del bambino durante lo sviluppo fetale e preoccupazioni per la sopravvivenza quando questo si fosse separato da loro. I livelli d'ansia erano maggiori in madri che avevano sperimentato due o più di due cicli di trattamento. I padri FIVET non differiscono tra loro nelle normali prove d'ansia e non si è evidenziato un livello d'ansia significativo in relazione alla gravidanza.
Padri e madri FIVET non differivano sui livelli di attaccamento al bambino durante la gravidanza.
Colpin ed al.(1996) invece valutano la relazione genitori- figlio ed il funzionamento psicosociale in bambini di 24-30 mesi nati da FIVET ed altrettanti concepiti naturalmente avvalendosi dell'osservazione delle interazioni madre-fanciullo e di questionari di autovalutazione: i risultati indicano che le madri FIVET hanno meno fiducia nelle possibilità di autonomia del bambino rispetto alle madri di controllo.
Raul-Duval ed al.(1994) hanno studiato dalla nascita ai tre anni l'attitudine psicosociale di un gruppo di 33 bambini FIVET con un gruppo di bambini concepiti naturalmente ed altri nati in seguito a stimolazione ovarica senza fecondazione in vitro. Nel gruppo FIVET sono stati trovati disturbi del sonno e della nutrizione che scompaiono con la dimissione dal reparto. Lo sviluppo dei bambini è soddisfacente e la relazione con la madre eccellente. Gli autori concludono che non c'è nessun ostacolo nello sviluppo del bambino.

Considerazioni conclusive

I lavori esaminati conducono verso diversi ordini di considerazioni .
Gli studi a carattere più genericamente psicologico, dopo aver escluso la presenza di tratti tipici nelle coppie che richiedono la FIVET ed aver accertato l'eguale incidenza di tratti psicopatologici in coppie che affrontano gravidanze naturali e gravidanze FIVET, segnalano però il progressivo aumento di tratti d'ansia, depressivi e il conseguente crollo dell'autostima - specialmente nelle donne - con il crescere dei tentativi falliti.
La gravidanza FIVET dunque, se per un verso non può essere considerata come una richiesta "sintomatica" né tantomeno anomala quanto a motivazioni psicologiche, si presenta di per sé come un'esperienza altamente stressante, caratterizzata da una sua specifica psicodinamica. In questo senso, l'elemento forse più caratteristico che richiede un'interpretazione accurata sembra essere il frequentissimo riscontro nelle gravidanze FIVET, non soltanto in fase iniziale, di un basso livello di vita fantasmatica, con un vuoto rappresentativo rispetto al feto e rispetto al ruolo genitoriale. L'immaginazione materna è invece in massima parte assorbita da preoccupazioni concrete di carattere medico, centrate sul corpo e sui disturbi fisici.
Si può pensare che la coartazione della vita fantastica sia il risultato di un meccanismo difensivo volto a proteggere la madre specialmente dal rischio di essere disillusa rispetto al desiderio di superare il limite biologico della sterilità attraverso la fecondazione assistita. Le scarse percentuali di successo e specialmente il numero dei tentativi falliti costituiscono un deterrente ad investire anche l'iniziale gravidanza della possibilità evolutiva.
La gestazione si carica così di un vissuto di eccezionalità ma anche di una forte angoscia di perdita del feto, prima, di separazione dal bambino poi. Il carattere concretistico e medico dei pensieri materni può anche essere correlato con il carattere altamente tecnico e strumentale attraverso il quale la gravidanza viene ottenuta, che sposta interamente il contesto emotivo dall'elaborazione delle rappresentazioni di coppia, delle passate relazioni con i propri genitori e dell'anticipazione del proprio futuro genitoriale, agli aspetti tecnici: sono questi ultimi piuttosto che la relazione umana gli agenti responsabili di una possibile gravidanza.
Un'altra interpretazione di questa "alexitimia" gravidica è forse possibile considerando i trascorsi di sterilità di queste donne e i motivi della sterilità: bisogna infatti valutare quanto il protrarsi di tale stato abbia potuto incidere sulla difficoltà ad elaborare un'immagine materna di se stessa o, al contrario, la possibile correlazione della sterilità con un blocco elaborativo delle proprie antiche rappresentazioni materne. Per questo motivo sembra indispensabile effettuare degli studi di gruppi omogenei quanto a storia clinica, in correlazione con lo studio accoppiato di gruppi di donne sterili.
Visto il valore funzionale delle fantasie di gravidanza relativamente alla preparazione all'assunzione di un ruolo genitoriale, si può pensare che in questi casi vi possano essere difficoltà nei primi momenti del post-partum, cosa che sembrerebbe confermata dai (pochi) studi che segnalano una componente ansiosa maggiore relativamente alla separazione dal bambino. Peraltro la già segnalata tendenza ad iperinvestire il bambino "straordinario" quale oggetto riparatorio di una ferita narcisistica potrebbe porsi come ulteriore ostacolo rispetto allo sviluppo di una positiva capacità di affrontare i momenti separativi.
Mancano però studi accurati per supportare tali ipotesi.
A partire da questi risultati le linee di ricerca che sembra opportuno approfondire e che il nostro gruppo di lavoro ha già cominciato a sviluppare, seguono due principali direzioni
1) valutare lo stile di attaccamento materno in correlazione con lo stile di attaccamento del bambino nato da gravidanza FIVET
2) valutare il momento d'insorgenza e l'evoluzione nel corso del tempo delle fantasie sul feto e sulla nuova identità in gravidanza FIVET studiandole in base alle loro caratteristiche formali e di contenuto.
3) valutare l'incidenza di angoscia di separazione e di reazioni depressive alle separazioni in madri che hanno portato a termine la gravidanza FIVET.

RIASSUNTO

L' infertilità è un' esperienza molto frustrante nella vita di una coppia. Durante gli ultimi venti anni l'endocrinologia riproduttiva ha proposto diverse metodiche per superare questo problema. Una di esse è la fecondazione in vitro con trasferimento dell'embrione in utero. Lo scopo di questo articolo è passare in rassegna la letteratura relativa all'assetto psicologico di donne infertili che scelgono questo metodo di trattamento della sterilità. Vengono esaminate le ricerche che hanno tentato, senza successo, di individuare un profilo personologico, o psicopatologico, di chi fa ricorso alla FIVET. Vengono quindi valutati gli studi centrati sulla specifica psicodinamica dell'esperienza FIVET e sulle caratteristiche delle rappresentazioni materne in gravidanze FIVET.

parole chiave: infertilità, FIVET, psicopatologia

ABSTRACT: Infertility is a frustrating experience in the life of a couple. During the last twenty years, reproductive endocrinology has provided new technologies for treatment of infertility. One such technology is the in vitro fertilization/embryo transfer. The aim of this paper is to study the psychological adjustment of infertile women entering IVF/ET treatment. Studies are considered which attempted, with limited success, to identify a psychological or psychopathological profile of IVF/ET participants. Studies are then considered focussing on the psychodynamics of the IVF/ET experience and on the maternal representation in IVF/ET pregnancy.

key words: infertility, in vitro fertilization/embryo transfer (IVF/ET), psychopathology

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Cattedra di Psichiatria
Università degli Studi di Roma "Tor Vergataî

Indirizzo per la corrispondenza :
Stefania Andreotti
via F.Turati 13
00185 Roma

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