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PSYCHOMEDIA
LIBRI - Recensioni e Presentazioni


Coratti B., Lorenzini R., Scarinci A., Segre A.

I territori dell'incontro

Alpes Italia Roma, 2012

Prefazione al volume di Maria Grazia Manfredonia




 



Prefazionedi Maria Grazia Manfredonia

    Ho sempre pensato che il cinema (e la letteratura) facciano bene alla salute.

    Mille volte mi è successo, fin da piccolo, di trovare sollievo e consolazione nella visione di un film. Quando vedo un film, le traversie che attraversano i personaggi rendono le mie meno gravi o anche solo meno solitarie, i loro successi mi danno speranza di poterne ottenere anch’io, mi segnano la strada, come si dice, ma anche, più semplicemente, perdendomi nelle loro storie, anche sorridendone, dimentico le mie, e forse proprio così, in un processo quasi osmotico, le capisco meglio.

    Insomma, non so com’è, ma da sempre esco dal cinema più contento di come ci sono entrato, e forse per questo cerco di andarci spesso, ogni qual volta posso.

    Ora scopro, leggendo questo libro, che quel benessere che mi provoca la visione di un film, quelle “illuminazioni indirette” che mi arrivano dal conoscere storie di altri che un po’ somigliano alle mie, si può a buon diritto chiamare “terapia”.

    Del resto, applicando il principio basagliano della “terapia della vita”, è del tutto ovvio che, nelle storie di altri, si possono trovare, con la sintesi che solo la narrazione filmica può avere, risposte e stimoli nuovi anche in chiave terapeutica.

    Mi sembra pertanto magnifico e sacrosanto che qualcuno abbia pensato di “usare” il cinema e la letteratura a scopi terapeutici e abbia cercato di dare alcuni strumenti e una sistematizzazione che aiuti in questo percorso.

    E’ un tipo di lavoro simile e simmetrico a quello che ho cercato di fare io, assieme allo sceneggiatore Fabio Bonifacci, quando abbiamo scritto “Si può fare”. Qui si porta il cinema nella terapia psichiatrica, là cercavamo di portare la terapia psichiatrica basagliana nel cinema.

    Quando ci siamo trovati a pensare ad un film che raccontasse quella colossale rivoluzione culturale che ha portato il movimento basagliano e la legge che ne è scaturita, abbiamo capito subito che il film, per raggiungere il suo scopo, non doveva essere solo un progetto di settore, rivolto agli addetti ai lavori, ma al contrario doveva parlare alla più ampia platea possibile.

    Dovevamo perciò trovare il modo di coinvolgere anche il pubblico che non sapeva nulla dei manicomi e della loro chiusura, che al solo pensiero di vedere un film che parlava di follia e di malattia, provava, se non un vero e proprio rifiuto, per lo meno un disagio.

    Dovevamo in altre parole rendere appassionante ed universale la vicenda della nostra “sporca dozzina” di ex reclusi manicomiali. Inoltre volevamo raccontare una favola vera, un’utopia realizzata. Dunque entrambi questi elementi dovevano essere presenti nel film: da una parte cercavamo lo slancio del sogno possibile, il passo un po’ eroico di una battaglia che “si può fare” , dall’altra, essendo la vicenda ispirata a tante storie realmente accadute, la nostra regola è stata: tutto deve sembrare vero.

    Il soggetto di Bonifacci conteneva sin dall’inizio tutti gli elementi della favola, le cadute, i successi insperati, i colpi di scena, i drammi, l’epilogo, e aveva già in pieno il senso “epico” del film, e dunque prima di scrivere la sceneggiatura abbiamo visitato la cooperativa Noncello di Pordenone e a lungo frequentato una Comunità Terapeutica a Cesano Maderno, vicino Milano. I quasi due anni di incontri coi veri pazienti sono stati, oltre che un’esperienza umana bellissima, la principale fonte del lavoro di scrittura prima e di regia poi.

    Nella costruzione del film, la grande sfida era calare nella nostra storia personaggi credibili e “autonomi” dal racconto. Per questo un anno di preparazione degli attori, con tante prove, sono stati essenziali. Tante piccole e grandi cose presenti nel film, sono il frutto di questo lavoro.

    Proprio nell’ottica di rendere credibile la nostra storia e di accompagnare lo spettatore nel percorso di attraversamento del disagio mentale e dei suoi risvolti sociali, abbiamo deciso di eleggere protagonista del film non uno psichiatra, ma un sindacalista. Nello, così come la maggior parte delle persone, non sa niente di psichiatria; quando conosce i suoi “nuovi soci”, li guarda da profano, e, in definitiva, li tratta alla pari, come persone. Ne avverte il disagio ma non è certamente questo il centro del suo relazionarsi con loro, riesce a vedere anche “il resto”, senza pregiudizi e anzi con una forte tensione nel trovare in loro delle qualità, delle capacità. E in questo Nello rivela una straordinaria istintiva dote di “talent scout” e di motivatore. Tutto ciò è chiaramente molto terapeutico, molto “basagliano”, ma Nello non lo sa, né tutto sommato gliene importa un granché.

    Poiché era essenziale che lo spettatore entrasse in un mondo misterioso e nuovo senza indizi di finzione e potesse credere che gli attori fossero davvero utenti psichiatrici, abbiamo rovistato nei teatri, nelle scuole e tra le pieghe dei film cercando attori bravi ma non popolari. Un lavoro lungo e complesso, ma bellissimo. Per un anno abbiamo fatto incontri, perché era impensabile sottoporre qualcuno ad un provino così a freddo, senza un po’ di preparazione. Poi abbiamo selezionato una quarantina di attori che ci sembravano giusti e che fossero disposti a un percorso di avvicinamento al provino. Li abbiamo fatti incontrare coi veri pazienti, hanno letto libri, visitato i manicomi dismessi e i loro musei, hanno visto film e documentari sul tema. Poi abbiamo fatto dei provini “sui generis”, più che altro di improvvisazione, alla ricerca del personaggio, a prescindere dalla vicenda. Per questo abbiamo creato, col prezioso aiuto di mia sorella, la dott.ssa Maria Grazia Manfredonia, vere e proprie cartelle cliniche nelle quali si raccontava succintamente tutta la storia familiare e il percorso clinico di ciascuno di loro. Gli attori hanno costruito i loro personaggi a partire da questo materiale e al momento del provino gli abbiamo chiesto di mettere in scena una seduta di terapia. Io fingevo di essere il loro terapeuta e loro inscenavano un giorno qualsiasi, raccontando, sotto mia sollecitazione ogni tipo di cosa, dal rapporto coi loro familiari a quello che avevano fatto il pomeriggio prima. Ne è uscita una strana galleria di ritratti: alcuni ancora oggi mi sorprendono per la loro potenza, altri esprimevano solo cenni, più che altro si intravedeva una potenzialità. Da questi provini è uscito il gruppo.

    E’ stato un po’ un azzardo fare la selezione perché ovviamente i provini erano qualcosa di molto diverso dai personaggi del film, bisognava guardare soprattutto alle potenzialità di crescita. Molti attori scelti hanno fatto un primo provino non proprio soddisfacente, ma con un’emozione dentro e un sapore di verità che suggerivano una possibilità di evoluzione verso il personaggio che avevamo in mente.

    Una volta selezionato il gruppo (che era ancora incompleto, altri si sono aggiunti in corsa), abbiamo provato per alcune settimane tutti assieme. In questo mi ha aiutato molto mia moglie, Maria Rosaria Russo, attrice e a sua volta interprete del film. Mi ha insegnato ad amare gli attori e a pensare con la loro testa.

    All’inizio le prove erano delle pure improvvisazioni, il testo è arrivato molto dopo. Passavamo le giornate in uno stanzone a Santa Maria della Pietà, che poi sarebbe divenuto uno dei set del film, in modo da dare anche all’ambiente, disadorno e fatiscente, il ruolo che aveva nella vita reale delle persone in esso rinchiuse. Abbiamo affrontato un solo tema al giorno senza nessuna altra traccia mentre Rosaria prendeva appunti e la sera selezionavamo insieme le cose buone che erano emerse. A un certo punto del lavoro gli attori sono diventati padroni del loro personaggio a tal punto,che oggi credo che lo possano far agire in qualsiasi situazione si presenti loro.

    Come si vede quindi, sia nella costruzione della storia che nel tratteggio dei personaggi abbiamo cercato di fare un percorso che dalla realtà clinica e storica ci conducesse alla vicenda narrata nel film.

    D’altra parte la “trasformazione” più evidente che si racconta in “Si può fare”, quella di un gruppo di ex internati manicomiali in persone autonome e libere, non è, per così dire, un’ invenzione narrativa, un artifizio, ma la sintesi di tante storie di persone vere che ho incontrato, conosciuto o anche solo di cui ho sentito raccontare.

    E’ anche, più in generale, la storia di una “rivoluzione” che ha cambiato radicalmente non solo la gestione sanitaria e sociale dei “matti”, ma la stessa idea di follia e il modo in cui la malattia mentale viene concepita culturalmente. “Da vicino nessuno è normale” dice un vecchio adagio basagliano. Ecco, mi interessava affrontare il tema della normalità, vera, presunta, millantata, così rassicurante ma anche così grigia, rispetto ai colori della vita. I protagonisti della nostra storia sono al contempo completamente fuori dal normale eppure così simili a tutti noi, tanto che ad un certo punto ci si identifica completamente con loro. Questo era lo scambio di identità che più mi interessava  scandagliare, quello tra i miei matti e lo spettatore.

    Credo che in questo senso il libro raccolga la stessa sfida e la rilanci, invitando pazienti e terapeuti ma anche tutti quanti noi a percorrere la stessa strada in direzione opposta: partendo dal problema reso oggettivo dal racconto filmico o letterario, riguardare la propria esperienza psichica traendone senso e significato e, se possibile, una migliore qualità della vita.


Indice

    Prefazione

    Introduzione

    PARTE I

    1. La psicoterapia cognitiva e gli home work

     

    PARTE II

    2. Il razionale della biblioterapia e della cinematerapia

    2.1. Lo stato dell’arte 2.2. Sintassi e grammatica dell’opera 2.3. Il processo di cambiamento con la lettura di un libro e la visione di un film 2.4. Film e libri nella fase di assessment 2.5. Narrative cinematografiche e letterarie e tecniche di intervento 2.5.1. Fantasie sulle conseguenze 2.5.2.Tecnica di modellamento e sostituzione delle immagini 2.5.3. Visualizzazione e coping imagery 2.5.4. Tecnica del turn-off 2.5.5. Modificazione immaginativa attraverso la ripetizione 2.5.6. Tecnica della proiezione nel tempo 2.5.7. Tecniche di addestramento e di potenziamento delle capacità immaginative 2.5.8. Focalizzazione senso motoria immaginativa 2.5.9. La moviola 2.5.10. Dissuasione cognitiva 2.5.11. Modeling 2.5.12. Desensibilizzazione sistematica 2.5.13. Tecniche di implosione e di flooding (esposizione) 2.5.14. Problem solving 2.5.15. La metacognizione 2.6. Il contributo alla relazione terapeutica e alle aspettative del paziente 2.7. La chiusura della terapia nelle immagini di un film e nel testo di un racconto 2.8. Didattica e visione di gruppo 2.9. Film e riabilitazione 2.10. Letteratura, cinema e metafora 2.11. Immagini mentali e immaginazione 2.12. La conoscenza extrariflessiva 2.13. Raccomandazioni e cautele sull’utilizzo di film e libri

     

    Parte III

    DISTURBI CLINICI: INDICAZIONI E PROPOSTE

    3. Le Psicosi

    4. I Disturbi dell’Umore

    5. I Disturbi dell’Alimentazione

    6. Addiction

    7. I Disturbi d’Ansia

    8. I Disturbi di Personalità

    9. I Disturbi Dissociativi

    10. La relazione terapeutica nelle rappresentazioni cinematografiche e narrative

    11. Il sistema curante nella letteratura e nella filmografia

    12. Il libro, o il film, è un cavallo bianco che squarcia il sipario della mente oltre il disturbo

     

    PARTE IV

    13. L’utilizzo dei film e dei libri da parte degli psicoterapeuti di approccio cognitivo-comportamentale: una ricerca esplorativa

    13.1. Introduzione 13.2. Metodo e strumenti d’indagine 13.3. Procedure di elaborazione e analisi dei dati 13.4. Conclusioni

    BIBLIOGRAFIA




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