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PSYCHOMEDIA
LIBRI - Recensioni e Presentazioni



Antonella Ivaldi

Nel laboratorio dello psicoterapeuta
Un esperianza critica per colmare il divario tra formazione teorica e pratica clinica


Franco Angeli, Milano, 2008




Presentazione di Nino Dazzi

Questo è un libro originale, che pur presentando (e presupponendo) una notevole massa di conoscenze e generali e specialistiche sulla psicoterapia (in più ambiti) intende tuttavia concentrare la sua attenzione essenzialmente sugli aspetti formativi pratici e su un percorso in particolare quello del "laboratorio".

Si tratta di un'esperienza in un piccolo gruppo, dove l'interazione tra partecipanti e conduttori, non può che essere costante, permettendo ai soggetti in formazione di fruire di uno spazio preciso e di un luogo dove ci si possa osservare reciprocamente, dove si possa apprendere a utilizzare al meglio clinicamente l'osservazione, dove i ruoli paziente-terapeuta non sono fissati a priori. Ne risulta una condizione di reciprocità che favorisce la spinta alla cooperazione, limitando gli aspetti di aggressività e competizione, pure necessariamente presenti. La dimensione di gruppo diventa così fondamentale e i soggetti possono concedersi di affrontare (e magari condividere) emozioni di base come la vergogna e il timore del giudizio degli altri, in una rete di relazioni che amplifica singole interazioni diadiche. Che esperienza può fare un soggetto in formazione in un contesto simile? Innanzitutto la fondamentale esperienza dell' "essere visto": "visto" può voler dire "osservato" (come in un processo diagnostico), ma "visto" può voler dire anche "preso in considerazione", "in relazione reversibile e quindi tendenzialmente paritetica", ecc. Si pongono così le basi per quel processo di apprendimento della psicoterapia che sfugge all'impostazione tradizionale e in cui le componenti a livello implicito sono naturalmente agevolate.

Si tratta innanzitutto di provare a dare una risposta efficace a quel gap che caratterizza la gran parte dei processi formativi e di apprendimento tradizionali, spesso denotati da contrapposizioni valoriali radicali, come teoria contro pratica o più banalmente (ed è un problema che si ripropone sempre) come è possibile armonizzare una "buona" teoria ("buona" nel senso di accettabilmente rigorosa e frutto di attenta sistematizzazione) con una "buona" pratica, che rischia peraltro sempre di frammentarsi in una congerie di singole vignette cliniche o di pratica di strumenti.

Questi brevi commenti potrebbero peraltro essere letti ancora una volta come "teoria" e quest'introduzione come la presentazione di un libro che affronta ö ed è un tema attualmente trattatissimo ö una volta ancora, teoricamente, il tema della relazione.

E la relazione c'è, a livello teorico, ma solo o prevalentemente come fattore di sfondo.

Ce n'è invece molta a livello di esperienza, a livello di vissuti, a livello di partecipazione incorporata negli scambi clinici, nei protocolli terapeutici riportati, nelle difficoltà in cui si trova l'autrice quando descrive il suo percorso formativo e il suo arrivo "al laboratorio", terapeuta alle prime armi con un entusiasmo che è impossibile non cogliere, ma anche con tanti dubbi e timori di sbagliare, di non essere all'altezza.

Mi pare importante sottolineare che il "laboratorio" è un luogo particolare: luogo dove si sperimenta l'incontro tra teoria e pratica, dove il "maestro" (chi sa di più, chi ha maggiore esperienza) si affianca all'allievo, con cui entra in stretto rapporto.

Debbo confessare che leggendo le pagine dedicate al "laboratorio" (cap. I e II) mi sono talora sentito davvero dentro a un gruppo, con vissuti di condivisione dell'autenticità con cui i soggetti si presentano e interagiscono, finalmente lontani dalla preoccupazione dell'apparire e in grado di permettersi di essere come sono.

Gli inquadramenti teorici usati a sostegno della legittimità e utilità della particolare esperienza gruppale descritta possono essere più o meno accettabili a seconda degli orientamenti teorici dei singoli terapeuti (e l'Autrice inclina dichiaratamente per un cognivitismo evoluzionistico).

Ma a parte concetti teorici ormai largamente circolanti (oltre a "relazione" ad es "alleanza terapeutica") c'è un "common ground" clinico molto fruibile, al di là delle letture specifiche.

Aspetti di grande rilievo come l'invio e la valutazione (come assessment globale) e il contratto sono affrontati nel III capitolo nell'ottica coerente dell'apprendistato artigianale, della "bottega del terapeuta". In specie è molto utile l'approccio teso ad utilizzare le categorie teoriche per comprendere il caso, ma altresì ad utilizzare il caso per identificare le categorie teoriche.

Di particolare interesse le esemplificazioni cliniche specie quelle relative a pazienti difficili in cui appoggiarsi a una rete di lavoro diminuisce il rischio, anche se può generare difficoltà particolari (v. le narrazioni, sullo stesso paziente, delle terapeute I e II). é l'esperienza della coterapia.

Il capitolo IV (l'arte della relazione terapeutica) sviluppa temi come quello del "lavorare con le emozioni", dell'empatia (di cui è sottolineata correttamente la complessità), fondendo persuasivamente problematiche tradizionali come quella del transfert e controtransfert con vissuti importanti come quello della frustrazione in seduta.

Compaiono anche utilizzazioni nuove come quella affrontata nel paragrafo intitolato "Gestione del transfert e controtransfert in due stanze di lavoro. Un'ipotesi migliorativa?"

Ritorna subito peraltro la dimensione più autenticamente esperienziale anche all'interno di situazioni tecnicamente collaudate come quella di prova simulata, dove il contrasto è di simulazione, ma le emozioni sono vere! E come sarà successivamente difficile affrontare l'eventualità, sempre possibile, del fallimento di e con un paziente.

l'ultimo capitolo sulla "Comunicazione terapeutica" si presenta senza dubbio più tecnico, anche perché affiorano (e non potrebbe essere altrimenti) in modo significativo le opzioni teoriche e tecniche dell'Autrice, ad es. le riflessioni su pazienti che utilizzano un doppio setting, individuale e di gruppo, secondo il modello cognitivoöevoluzionista (TCE), oppure l'impiego di una concettualizzazione e di una tecnica come quella del "triangolo drammatico".

E tuttavia, al di là delle barriere di scuola, l'Autrice mostra non solo di essere a conoscenza, ma di trarre clinicamente profitto da studi ed esperienze condotti in area psicoanalitica da clinici e ricercatori come Joseph D. Lichtenberg, Daniel Stern, Frank Lackmann e Beatrice Beebe.

In conclusione un libro molto utile, a tratti brillante, ma quello che è più apprezzabile molto autentico e molto vivo.

N. D.


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