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PSYCHOMEDIA
LIBRI - Recensioni e Presentazioni


Giovanni Camardese e Luigi Janiri (a cura di)

Manuale di Riabilitazione per i Disturbi dell’Umore
Modelli teorici e paradigmi clinici a confronto

Alpes Italia Roma, 2012

Prefazione al volume di Paolo Girardi




 



Prefazionedi Paolo Girardi

    Nell’ambito delle malattie mentali i disturbi dell’umore rappresentano patologie estremamente rilevanti per il loro impatto sociale, con una prevalenza life-time pari all’ 11,2% ed una prevalenza a 12 mesi del 3,5% (European Study of the Epidemiology of Mental Disorders), risultano altamente ricorrenti e richiedono pertanto programmi di intervento integrato e a lungo termine per il completo superamento dei sintomi e della compromissione funzionale associata.

    Fiumi di inchiostro sono stati versati sul trattamento di questi pazienti e la terapia farmacologica ha senz’altro compiuto notevoli progressi nelle ultime decadi, sebbene non risulti ancora affrancata dai problemi relativi alla compliance, responsabile di molteplici ricadute. I tassi di remissione completa degli episodi di malattia non sono ancora del tutto soddisfacenti ed alcuni pazienti presentano elevate frequenze di ricorrenza, con una notevole porzione della loro esistenza (fino al 50%) vissuta nel disagio. Molti pazienti presentano inoltre condizioni piuttosto difficili da trattare, in particolare se ci si prefigge come obiettivo clinico il soddisfacente recupero funzionale.

    Ulteriormente complessa appare anche la gestione delle fasi libere dagli episodi e di quelle in cui è` presente una sintomatologia sub-sindromica, comunque vissuta come invalidante e talora in grado di compromettere significativamente il funzionamento del paziente in importanti aree della vita.

    In tale contesto i fattori psicosociali e gli eventi negativi della vita mostrano infine un peso notevole sulla variabilità osservata nell’evoluzione e nel decorso della patologia affettiva, potendo precipitare il verificarsi degli episodi o procrastinando i tempi di un recupero completo.

    Le caratteristiche dei disturbi dell’umore nonché i limiti delle terapie ed il rinnovato interesse verso tali fattori psicosociali hanno indotto alcuni studiosi alla formulazione di specifici modelli d’intervento psicosociale, che hanno conosciuto un notevole sviluppo nell’ultima decade, giocando un ruolo sempre più significativo nella gestione dei pazienti e nel perseguimento dell’obiettivo di una migliore qualità di vita.

    Tale sviluppo appare inoltre sostenuto dalla necessità di colmare quel gap che si riscontra tra l’efficacia teorica delle terapie attualmente disponibili ed il “mondo reale” della pratica clinica.

    I modelli teorici di riferimento di ciascun paradigma d’intervento appaiono talora decisamente differenti ma risulta molto frequente il riscontro di sovrapposizioni negli obiettivi attuali con una rilevante presenza dei target psicoeducazionali (consapevolezza della patologia, incremento dell’adesione ai trattamenti, riconoscimento precoce dei sintomi prodromici, promozione di abitudini di vita sane, evitamento di sostanze psicotrope, etc.).

    La letteratura sull’argomento è in notevole fermento ed i risultati di meta-analisi e review sistematiche confermerebbero già la validità di approcci che attivino circoli virtuosi di interazione tra terapia e riabilitazione psicosociale.

    Già da alcuni anni, infatti, alcune linee guida per il trattamento dei disturbi dell’umore raccomandano l’integrazione della terapia farmacologica con interventi psicoterapici e psicosociali, allo scopo congiunto di riconoscere i fattori di rischio e gli eventi che possono scatenare una ricaduta, migliorare la gestione dello stress, fronteggiare le emergenze e le recidive, attenuare i sintomi residui. In particolare, per i disturbi bipolari la Family Focused Therapy, la Psicoterapia Interpersonale e dei Ritmi Sociali e la psicoeducazione di gruppo vengono segnalate tra gli interventi validati ed efficaci nel migliorare i sintomi depressivi e nel prevenire le ricadute.

    L’utilità di questo manuale risiede nell’illustrare i principali modelli teorici ed alcuni paradigmi di intervento riabilitativo che vengono utilizzati nella gestione clinica dei pazienti affetti da disturbi dell’umore. Oltre a fornire al lettore conoscenze aggiornate sulle varie tecniche riabilitative, alcune schematizzazioni ne agevolano l’apprendimento e ne permettono l’applicazione pratica.

    La sezione speciale che descrive l’applicazione di alcuni modelli precedentemente esposti fornisce gli strumenti per organizzare specifiche attività gruppali per pazienti bipolari ed unipolari, incoraggiandone la diffusione e stimolandone una maggiore fruibilità.

    Tali competenze possono senz’altro arricchire il panorama degli orientamenti di ciascun professionista della salute mentale, indirizzandolo ad una visione più moderna della psichiatria in cui i diversi livelli di intervento, quali prevenzione, cura e riabilitazione, non appaiono rigidamente collocati in modo sequenziale ma procedono in parallelo, per incidere favorevolmente sul rischio della cronicità.



Introduzione di Luigi Janiri

    Il presente Manuale di Riabilitazione per i Disturbi dell’Umore, a cura di Giovanni Camardese e del sottoscritto, si propone, come esplicitato con chiarezza nel titolo, di confrontare modelli teorici e paradigmi clinici in un’area, come quella dei Disturbi Affettivi, di crescente rilievo e impatto psico-sociale. Basti pensare all’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla depressione che nel 2020 sarà la seconda causa di disabilità al mondo dopo le patologie cardiache. La depressione è una malattia che non solo comporta pesanti ricadute su chi ne è affetto, ma si ripercuote anche su famiglie e mondo del lavoro: basti pensare ai giorni lavorativi persi da un soggetto depresso rispetto a quelli che perde chi depresso non è. Inoltre un paziente depresso su tre lo è ancora dopo un anno, uno su dieci deve continuare la terapia farmacologica dopo cinque anni dal primo episodio e più della metà dei malati avrà una ricaduta nell’arco della sua esistenza. Queste cifre sono indicative, ancor più della prevalenza o dell’incidenza del disturbo, del forte disagio che serpeggia nel mondo contemporaneo e che si esprime nei singoli individui, incarnandosi in una malattia carica di sofferenza e di penosi vissuti. Il collegamento con il disturbo bipolare, poi, è ancora sempre più evidente, se si pensa alla quota sommersa della depressione bipolare, alle forme farmacologicamente indotte o innescate, ai disturbi di personalità con specifiche manifestazioni affettive e ai tratti temperamentali, spesso subclinici ma a rischio di scompenso e di instabilità dell’umore. Da tutto ciò discende automaticamente la necessità, messa a fuoco in quest’opera, non solo di affrontare e trattare la disabilità che dai disturbi affettivi si genera, ma anche di prevenire in via secondaria e terziaria le temibili ricadute e le perniciose complicanze di essi.

    Per comprendere l’importanza delle strategie preventive si deve riflettere sul valore della funzione dell’informazione e della comunicazione nel rapporto tra il medico e il paziente. Valga come esempio il caso clinico di una persona che ricopre un ruolo particolarmente prestigioso e svolge, prevalentemente all’estero, delicati compiti istituzionali. Egli fu colpito, ormai parecchi anni fa in una capitale europea, da un episodio maniacale devastante che mise seriamente a rischio la sua carriera e ne sconvolse i precari equilibri familiari e relazionali. Per fortuna questo episodio fu l’ultimo perché subito dopo, quando mi feci carico della bipolarità del paziente, gli prescrissi una monoterapia con litio, che egli ha assunto con straordinaria assiduità e diligenza e continua ad assumere ad oggi. Pur tollerando bene il trattamento farmacologico e non ricavandone significative reazioni avverse, il paziente mi ha posto, nel lungo tempo della nostra frequentazione, tanti e vari quesiti relativi alla sua convivenza con il litio e, oltre, sulla sua malattia. Tra le sue tante domande ne ricordo alcune: cosa c’entrasse la sua personalità, connotata in senso narcisistico, nella sua malattia; se fosse destinato a prendere farmaci a vita; se la nascita di un figlio avrebbe comportato un rischio di trasmissione genetica della malattia, e in che misura; se prendere il litio così a lungo avesse potuto compromettere la sua fertilità e, anche qui, che rischio ciò comportasse per un eventuale figlio; se sarebbe riuscito a “riabilitarsi” definitivamente nel mondo del lavoro rispetto a quella crisi infamante e vergognosa che l’aveva segnato così profondamente. Nonostante che egli non abbia mai seguito formalmente con me una psicoterapia, ritengo che i nostri incontri, pur essendo ormai rari, abbiano un’assoluta valenza psicoterapeutica, proprio per questa richiesta da parte del paziente, che io sento il dovere di accogliere, di essere rassicurato, confortato, in una parola contenuto rispetto al “corpo estraneo” che lo abita.

    Pensando alla riabilitazione, ma anche alla comunicazione con il paziente con un disturbo affettivo, e segnatamente con il paziente bipolare, mi sono venute in mente due opere per me significative in questo campo. La prima, anche in ordine di comparsa, è “Lithium treatment of manic depressive illness – a practical guide” di Mogens Schou (Karger, Basel, 1980), in cui l’autore, un punto di riferimento storico in tema di terapia con litio, fornisce pure molte risposte a domande sul disturbo bipolare del tipo di quelle postemi dal mio paziente. La seconda è il “Manuale di psicoeducazione per il disturbo bipolare” di Colom e Vieta (Fioriti, Roma, 2004), che più direttamente si dà il compito di informare e di addestrare, tramite gli operatori, pazienti e familiari (e – perché no? – anche i curanti) sulla malattia e i possibili trattamenti, al fine di permettere una convivenza con essa più serena e adattiva, migliorare la compliance terapeutica e raggiungere obiettivi di prevenzione. Il capitolo 4 del nostro volume affronta l’argomento della psicoeducazione e il capitolo 6 lo introduce nello specifico del lavoro psicoeducativo con pazienti bipolari.

    L’attività psicoeducativa è una forma di attività socio-sanitaria e consiste in un approccio pedagogico alla salute mentale, con il doppio scopo di mantenere accettabili livelli di quest’ultima e di prevenire disturbi e malattie di interesse psichiatrico e, ancor prima, disagi psicologici e interpersonali. In particolare la psicoeducazione è volta a fornire informazioni e ad impartire istruzioni, in modo chiaro, didattico e concreto, sul problema psichico in oggetto così che i pazienti e il loro milieu socio-familiare possano imparare ad affrontarlo al meglio da molteplici punti di vista: dallo stile di vita al clima relazionale, dal rapporto con l’ambiente terapeutico al consolidamento dell’Io del paziente, dalla gestione dello stress e dei conflitti all’adattamento in un’accezione eco-psichiatrica. In tale prospettiva la psicoeducazione rappresenta un fondamentale ingrediente di qualsiasi progetto di prevenzione, sostegno, assistenza e trattamento nell’area della salute mentale e del confronto con il disagio psichico. Essa dovrebbe pertanto essere integrata nel lavoro clinico (farmaco- e psicoterapeutico) e assistenziale, lungo un percorso di trattamento che, data la cronicità di alcuni disturbi mentali, e nella fattispecie del disturbo bipolare, non si può non immaginare che come un work in progress.

    Colom e Vieta articolano gli obiettivi psicoeducativi nei disturbi dell’umore in tre livelli: 1) dotare il paziente di un adeguato insight, migliorare la compliance alla farmacoterapia e creare le condizioni per un riconoscimento precoce, da parte del soggetto e del suo ambiente, di nuovi episodi di scompenso timico; 2) prevenire le ricadute e le complicanze correlate allo stress, allo stile di vita e al rischio di comportamenti autolesivi; 3) incrementare la capacità di coping del paziente rispetto alle conseguenze psico-sociali degli episodi di malattia e ai sintomi residuali e intervallari e migliorarne le abilità interpersonali e sociali tanto da migliorarne globalmente la qualità della vita. Sotto il profilo metodologico tale attività di prevenzione secondaria e terziaria poggia la sua praticabilità sull’apprendimento di modalità di comunicazione e di espressione efficaci e positive, così da creare un’atmosfera di rete (paziente e suo milieu, ambiente terapeutico, gruppi di auto-aiuto, ecc.) realmente e concretamente utile al benessere psico-sociale dell’individuo sofferente.

    Mi sembra che lo sforzo di questa nostra opera vada nella direzione di individuare obiettivi psicoeducativi inerenti a questi tre livelli fino a configurare interventi sul campo clinico, direttamente a contatto con il paziente. Si può anche constatare come nel primo capitolo del Manuale vengono offerti elementi di conoscenza sui disturbi affettivi, sulle fasi e gli episodi di malattia e sui segnali di ricaduta o di crisi. Il secondo capitolo è incentrato sul trattamento integrato di tali disturbi, dal ruolo dei farmaci a quello delle psicoterapie e delle terapie alternative, fino al contributo al trattamento dei familiari e dei caregivers. Si veda come l’offerta terapeutica per questi casi, oltre ad essere molto variegata, necessita di un elemento forte non tanto di combinazione o associazione, quanto di vera e propria integrazione. A tale livello il concetto di equipe terapeutica e di team multiprofessionale e pluridisciplinare è particolarmente pertinente.

    Ma c’è un altro fattore, oltre alle caratteristiche cliniche di malattia, che osta al recupero del paziente con disturbo affettivo, e di cui bisogna tener conto nella prevenzione e nella riabilitazione: il rischio di stigmatizzazione, al pari di quello in cui incorrono altre persone affette da psicosi, anche se in modo e misura differenti. Tanto maggiore è tale rischio quanto più ciò che neutralmente chiamiamo disturbo si muove dall’area della illness (sofferenza soggettiva) a quella della sickness (malattia socialmente riconosciuta) quale la psicosi è nei suoi risvolti positivi (necessità di garanzia e tutela) e negativi (pericolo di stigma).

    Credo che, attraverso il Manuale che è sotto gli occhi del lettore, la questione dell’assistenza e, più in generale, della cura implichi assunzione di responsabilità, accudimento, partecipazione empatica, nei confronti di pazienti che fino a non molto tempo fa erano “orfani” di un’adeguata considerazione da parte dei servizi pubblici, di idonei strumenti educativi, riabilitativi e psicoterapeutici, di un giusto coinvolgimento dell’entourage familiare e sociale. È infatti solo di recente che si comincia a parlare, per i soggetti depressi e bipolari, di associazioni di utenti e di familiari, di gruppi di mutuo aiuto, di Forum per scambio di informazioni su Internet, di specifiche terapie di sostegno. È in questo nuovo clima di “rivoluzione culturale”, che si affianca alle strategie di lotta allo stigma e anzi ne è parte integrante, che si inserisce questo Manuale di Riabilitazione per i Disturbi dell’Umore. Il capitolo 5 affronta proprio il ruolo del self-help come risorsa riabilitativa nei disturbi dell’umore in una gamma di soluzioni che va dai gruppi di auto-mutuo-aiuto alle comunità virtuali. L’organizzazione di un gruppo di auto-mutuo-aiuto “facilitato” per pazienti depressi, descritta nel capitolo 7, rappresenta una interessante innovazione nel campo della riabilitazione dei disturbi affettivi.

    Il capitolo 3 è quello centrale del volume, in cui vengono passate in rassegna le strategie riabilitative e i modelli di intervento psico-sociale per i Disturbi dell’Umore: è su questo background di esperienze e di teorie che si inseriscono le prassi clinico-riabilitative e i programmi di ricerca del gruppo del Day Hospital di Psichiatria del Policlinico Gemelli. Tale gruppo, composto, oltre che da Camardese e dal sottoscritto, da ricercatori, dottorandi e dottori di ricerca, specializzandi e tesisti dell’Istituto e della Scuola di Psichiatria dell’Università Cattolica, si è avvalso della preziosa collaborazione di operatori dell’Associazione “La Promessa” nella formulazione dei progetti di trattamento psico-sociale e degli interventi psicoeducativi. A tutti costoro, citati nell’elenco degli autori, si deve la realizzazione di questo Manuale e va dunque il caloroso ringraziamento dei curatori. In particolare a Beniamino Leone si deve il suggestivo progetto grafico di copertina. La speranza degli autori di questo poderoso lavoro collettivo è di fornire a operatori e cultori dell’argomento uno strumento valido, aggiornato e agile per la loro attività a sostegno dei pazienti, dei loro familiari e in generale delle persone loro vicine, il cui grado di sofferenza è comparabile a quello degli stessi pazienti.


Indice

    PARTE GENERALE

    CAPITOLO 1 – I Disturbi dell’Umore

    1.1 Cenni di psicopatologia (R. Serrani, M. Treglia e B. Mattioli)
    1.2 Epidemiologia dei Disturbi dell’Umore (M. Treglia e R. Serrani)
    1.3 Eziologia (R. Serrani e M. Treglia)
    1.4. Gli episodi di alterazione dell’umore (B. Leone e L. De Risio)
    1.5 Disturbi unipolari e bipolari (L. De Risio, B. Leone e G. Camardese)

    CAPITOLO 2 - Il trattamento integrato dei Disturbi dell’Umore

    2.1 Il ruolo dei farmaci (M. Di Nicola, C. Battaglia, G. Camardese e L. Janiri)
    2.2 Le psicoterapie (M. Mazza, D. Harnic, G. Marano e V. Catalano)
    2.3 Le terapie alternative (B. Leone, L. De Risio e G. Camardese)
    2.4 Il ruolo del contributo personale, di familiari e carers nel progetto terapeutico (D. Harnic e M. Mazza)

    CAPITOLO 3 - Strategie riabilitative e modelli di intervento psicosociale per i Disturbi dell’Umore

    3.1 Introduzione (G. Pozzi e, G. Pizi)
    3.2 Il Social Skills Training (G. Luci)
    3.3 Cognitive Remediation (C. Battaglia, A. Bruschi)
    3.4La Terapia Occupazionale (M. Mazza, D. Harnic, G. Marano e V. Catalano)
    3.5 La Riabilitazione Vocazionale (G. Pizi, L. Pucci e B. Leone)
    3.6 Assertive Community Treatment (M. Treglia, R. Serrani e L. Pucci)
    3.7 Le terapie dell’arte (R. Serrani, C. Battaglia, G. Pizi)
    3.8 Lo Psicodramma (G. Pizi, L. Pucci e B. Mattioli)
    3.9 La Terapia Interpersonale e dei Ritmi Sociali (IPSRT) (A. Bruschi e C. Battaglia)

    CAPITOLO 4 - La Psicoeducazione

    4.1 Cenni storici (M. Vasale, L. D’Alessandris e C. Verrocchio)
    4.2 La psicoeducazione in psichiatria (M. Vasale, L. D’Alessandris e C. Verrocchio)
    4.3 Le origini degli interventi psicoeducativi in psichiatria: il programma di Anderson e l’approccio familiare integrato di Falloon (R. Serrani e M.Treglia)
    4.4 L’intervento psicoeducativo (M. Vasale, L. D’Alessandris e C. Verrocchio)
    4.5 La psicoeducazione di gruppo per pazienti bipolari: il modello di Colom e Vieta ed il Programma di Barcellona (M. Vasale, L. D’Alessandris e C. Verrocchio)
    4.6 Il ruolo della psicoeducazione nella riabilitazione dei pazienti depressi (R. Serrani, B. Mattioli e G. Pizi)
    4.7 L’avanguardia della psicoeducazione: biblioterapia e teleterapia (B. Leone, L. De Risio e G. Pizi)

    CAPITOLO 5 - Il ruolo del self-help come risorsa riabilitativa nei disturbi dell’umore: dai gruppi di auto-mutuo-aiuto alle comunità virtuali.

    5.1 Il self-help: origine, organizzazione e modalità (B. Mattioli, G. Pizi e G. Camardese)
    5.2 I gruppi di “auto-mutuo-aiuto” (B. Mattioli e G. Camardese)
    5.3 Il self-help nei disturbi dell’umore (B. Mattioli, G. Pizi e G. Camardese)
    5.4. Le comunità virtuali (B. Mattioli e G. Camardese)

    PARTE SPECIALE

    CAPITOLO 6 - ORGANIZZAZIONE DI UN GRUPPO DI PSICOEDUCAZIONE PER PAZIENTI BIPOLARI

    6.1 Un modello di psicoeducazione integrata di gruppo per i pazienti bipolari (L. D’Alessandris, R. Franza, G. Luci, G. Camardese, L. Janiri, M. Vasale)
    6.2 Descrizione del modello (L. D’Alessandris, R. Franza, G. Luci, G. Camardese, L. Janiri e M. Vasale).

    CAPITOLO 7 - ORGANIZZAZIONE DI UN GRUPPO DI AUTO-MUTUO-AIUTO “FACILITATO” PER PAZIENTI DEPRESSI

    7.1 Razionale e presupposti teorici (G. Camardese, B. Mattioli e L. Janiri)
    7.2 Modello organizzativo di un gruppo di auto-mutuo-aiuto “facilitato” per i depressi (G. Camardese, B. Mattioli e L. Janiri)

    Appendice Umori(stica)




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