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PSYCHOMEDIA
LIBRI - Recensioni e Presentazioni



Come un pescatore di perle
Saggi e racconti di Helen Brunner

Prefazione di Luisa Accati, postfazione di Alberto Schon

Ibiskos Editrice, Empoli, 2001, pp. 138, Euro 14.50
e-mail: info@ibiskos.it - http:// www.ibiskos.it

Recensione di Antonino Lo Cascio



Autrice: Helen Brunner, psicologa psicoterapeuta, è nata a Cambridge (G.B.) nel 1954. Vive e lavora a Trieste. Oltre all'attività clinica svolge consulenze e interventi di formazione. Ha pubblicato vari articoli su riviste specializzate del settore: Medico e Bambino, Erbamatta, Percorsi, Resine.

Contenuto: Si tratta di una raccolta di saggi e racconti scritti nell'arco di una decina d'anni che, utilizzando spunti di storia personale e professsionale, approfondiscono la tematica del rapporto tra psicoanalisi ed ebraismo.

Indice

Composizioni di Luisa Accati - p. 5

Ho incontrato un piccolo grande signore - p. 13
Racconto che, a partire dagli incontri con Bruno Bettelheim e Cesare Musatti, spiega il rapporto dell'autrice con la psicoanalisi.

Le zucche "baruche" - p. 33
Breve racconto con "flash" di ricordi d'infanzia.

Da governante a Israele. Quale collegamento con il maternage? - p. 37
Testo polisemico che prendendo spunto da un viaggio in Israele si sviluppa come una ricerca sull' identità ebraica, utilizzando riferimenti sia professionali che letterari. Pubblicato sulla rivista Resine, Marco Sabatelli Editore, Savona, anno XX, n.77-78, gennaio 1999.

Donne e scrittura - p. 65
Saggio che racconta dell'incontro dell'autrice con alcune scrittrici ebree attraverso la lettura dei loro libri. In particolare è approfondito il lavoro di Clara Sereni, Giacoma Limentani, Lia Levi e Grete Weil - Conferenza tenuta all'A.D.E.I. di Trieste, novembre 1996.

Shining: tra il familiare e l'inquietante - p.103
Lettura in chiave psicoanalitica del film "Shining" di Stanley Kubrick utilizzando come testo di accompagnamento il saggio di Sigmund Freud "Il perturbante (Das Unheimliche)". Intervento al convegno Il metodo e la follia. Orrizonti della psiche nel cinema di Stanley Kubrick, Trieste, dicembre 1997.

"Come un pescatore di perle..." - p. 119
Intervento al Convegno Psichiatria e nazismo (Venezia, ottobre 1998) che contiene alcune riflessioni sulla trasmissione tra le generazioni di esperienze traumatiche come quelle della Shoah.

Odore di psicoebraismo di Alberto Schon - p.131

Bibliografia - p.135



Ho iniziato a leggere questo curioso e prezioso libro della collega Helen Brunner con un pregiudizio positivo, una posizione in armonia con la calda segnalazione di Tommaso Losavio, che, tra l'altro, conferma così le sue qualità di talent scout. Un interesse che, via via, si è trasformato in un'autentica passione.
Soltanto molto tempo dopo ho potuto comprendere che la mia passione di lettore era andata a stimolare un'altra e forse più intensa zona di passioni, quella che appartiene al cinefilo che è in me, e che non dorme mai.
Credo che mi sia accaduto di essermi completamente perso nella lettura, che è poi il modo abituale -pur se raro- con il quale -nel mio mondo privato- entro in rapporto con i pochi oggetti d'amore che posso incontrare.
Si perché, man mano che ero andato avanti nella lettura, oltre la limpida prefazione di Luisa Accati, le pagine della Brunner -belle, nette, coinvolgenti- avevano cominciato a scorrere davanti a me sempre più velocemente, fino a raggiungere quella fatidica velocità di 24 fotogrammi al secondo, il numero magico che trasforma le immagini fisse in immagini in movimento.
Così, solo dopo lo sperdimento, nel mio lento lavoro di emersione, durante le dovute tappe per la decompressione, ho immaginato, prima, di aver letto una sceneggiatura e poi, come in una dissolvenza incrociata, mi sono potuto vedere, sprofondato nell'unica poltrona del mio cineforum personale, immerso nella visione di questo film immaginario: un film assolutamente virtuale, ma -non per questo- meno vivo e reale.
Cercherò dunque di parlarvi di questo film, nel modo tendenzioso e distorto che mi si è imposto, man mano che mi lasciavo attivamente coinvolgere dal mondo personale dell'Autrice, una regista che ho sentito subito di amare molto.
Del film, in parallelo al titolo -sufficientemente ermetico nel suo rimando a Walter Benjamin- mi è piaciuto anche il suo sottotitolo esplicativo, un uso -quello del sottotitolo- che i cineasti tendono ingiustificatamente a trascurare. Il secondo titolo recita: "Le vicissitudini del Sé alla ricerca del proprio senso individuale" , un'enunciazione questa che illustra la stremante trattativa che il film mette in scena ed attiva verso i valori del mondo.
E, in effetti, le immagini create dall'Autrice scavano nell'avarizia dei significati offerti dall'esistenza e vengono mosse, ondivaghe, dalla sovrabbondanza di Senso accreditato dalle rispettive culture di riferimento.
Non solo le immagini, ma tutto il film si muove nella ricerca del ruolo dell'ebreo nel mondo d'oggi o, meglio e dippiù -come si farà dire alla Levi di "Una bambina e basta"- il misterioso ruolo dell' 'individuo e basta' nel mondo di oggi.
E, considerato l'oggi in cui vediamo il film, mi riferisco ovviamente alla situazione in Medio Oriente, può venire in mente la inquieta poetica di Alda Merini che le permetteva di affermare che "... la vera misura dell'uomo è la pace".
Ma questo è il commento dello spettatore coinvolto, torniamo a questa strana ed avvincente pellicola, uno speciale format fuori dai canoni, che si conclude con dei particolarissimi titoli di coda, impregnati da quell'intenso profumo di psicanalisi che vi porta Alberto Schon.
Di fatto, la psicoanalisi pervade tutte le immagini sin dalle prime inquadrature, anche se il film sembra una sorta di journal intime della memoria, che scandaglia i fondali del mestiere del vivere, alla ricerca dell'identità.
La regista -che è anche la sceneggiatrice- si interroga e, come fanno i bambini per sapere, interroga anche il mondo dei grandi, degli scrittori, degli avi, delle nonne, madri, zie putative, per cercare di comprendere la misteriosità del vivere, dell'esserci, con tutti i dubbi e le incertezze che -al pari di alcune certezze- animano il nostro quotidiano.
Ma la nostra Autrice cura anche tutti i dettagli del suo film: è assolutamente perfetto il casting, particolarmente interessante è anche il montaggio, con l'inserimento di documentari -o documenti- di grande qualità filmica, come i cortometraggi della Sereni o della Limentani o i flashes di Lia Levi e di Grete Weil.
In una sequenza abbastanza speciale, Giacometta Limentani ci fa fisicamente oltrepassare la porta della D -io da parte mia vedo le porte di "Io ti salverò" o se volete oltre lo specchio di Alice- conducendo per mano lo spettatore nel meraviglioso continente della D.
E' un film che mette in campo la sensibilità del femminile e che parla attraverso le immagini interiori, illuminate da particolari tagli di luce; un film che sa utilizzare perfino -come fossero delle sincopi musicali- i trailers e locandine del materiale citato, con una consequenzialità spontanea e sapiente.
Il film è concluso dall'analisi d'un vero cult movie, le cui immagini, assolutamente shining e assolutamente perturbanti, vengono osservate da vari vertici grazie all'attenzione penetrante della regista, che si dimostra così non solo una sperimentata sceneggiatrice ma sfoggia anche una critica cinematografica di ottima qualità, capace di andare ben oltre quella dei fratelli Gabbard.
Sembra proprio che con l'analisi di "Shining", la nostra Autrice abbia voluto inventare un midrash: qualcosa che c'invita a guardare alla lucida ed ordinaria follia di Kubrick come ad un nostro personale labirinto. Un percorso "impossibile", all'interno del quale, prima di uscirne, è possibile ricondurre e derubricare l'oggetto "perturbante" in un affetto caldo e familiare. Come a suggerirci che "tutto quello che ci capita non può che essere colpa di una fortuna".
E, come dice ancora la Merini -della quale ho un attimo fa stravolto la citazione, sostituendo 'fattura' con 'fortuna'- :"Il poeta non rigetta mai la propria ombra"
Non ho ancora accennato alle musiche del film: anche la colonna sonora risulta efficacissima e giustamente coinvolgente. Le citazioni espresse dai sottili archi della sua orchestra toccano con intollerabile intensità Berg e Mahler e vengono alternate, con grande capacità compositiva, a percussioni intensissime, spontanee, di sapore tribale. I toni recitanti del pianoforte poi, la cui tastiera bianca e nera disegna un ordito affettivo e affettuoso, accompagnano lo spettatore per tutta la durata del film.
Ma allora, nessuna critica a questo sapiente collage, dove le citazioni si mescolano attraverso rotture armoniose al testo originale e assumono magicamente gli stessi colori delle immagini girate dalla Brunner?
Sì, è corretto avanzare una critica:
la pellicola è breve, troppo breve, nel senso che lo spettatore vorrebbe ancora e ancora vedere... Come si dice in Brasile: "Porqué parou?", letteralmente: "Perché è finito?". O meglio, più direttamente nella sua forma affermativa: bis, bis ! come urliamo noi in Europa. fra lo scrosciare degli applausi.
Il nostro desiderio inappagato si consola augurandosi che presto potremmo vedere un nuovo film della Brunner dal titolo "Come un pescatore di perle: Parte seconda: Le perle ritrovate".
Poiché, come si capisce facilmente, le perle di Helen Brunner, al pari degli esami, di certo non finiscono mai.

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