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Atti del 1°Congresso OPIFER

"Prospettive relazionali in psicoanalisi"


Paradigm shifts: traversalità e psicoanalisi

Contributi della psicoterapia breve alla psicoanalisi

Ferruccio Osimo



Quello del rapporto tra psicoterapia breve e psicoanalisi è un argomento complesso, anche perchè per parlare di rapporto bisognerebbe in qualche modo poter fare riferimento alla posizione di ciascuna delle due. Entrambe invece continuano a rifiutarsi di prendere posizione. Anzi sembrano trovarci gusto a presentarsi in modi sempre diversi, a cambiare spesso vestito, a rifarsi il trucco in modo sempre più ardito, per colpire sempre più profondamente e lasciare il segno o, forse si dovrebbe dire, arrivare al cuore. Insomma non è chiaro quale sia il loro rapporto di parentela. Sono forse sorelle, cugine, madre e figlia, sono amiche, nemiche o sono due aspetti di un'unica cosa? Sono forse come la Conchita protagonista di uno dei capolavori Bunueliani, "Quell'oscuro oggetto del desiderio", la donna che, per meglio affascinare, si presentava con due facce diverse a seconda dei casi?
Si è scritto che Freud avesse un'amante, neanche troppo segreta. Non stupirebbe poi tanto se avesse avuto anche un'altra figlia, oltre ad Anna. Se l'ha avuta non sappiamo come l'abbia chiamata. Forse, se fosse stato affetto dalla propensione tipicamente emiliana a dare ai figli i nomi più improbabili, sarebbe stato capace di chiamarla Psicoterapia come primo nome, e Breve come secondo.
Per quanto mi riguarda, mi piace considerarle come due sorelle, che nel corso degli anni si sono sentite in simbiosi, hanno a lungo giocato insieme durante l'infanzia, si sono amate, hanno litigato, si sono allontanate, per poi ritrovarsi in epoca più matura.
Per affrontare il discorso, scelgo allora di porre l'accento su alcuni aspetti soltanto di tale rapporto, parlando di tre delle sue fasi principali.
Durante la fase infantile, psicoanalisi e psicoterapia breve erano sempre insieme e anzi venivano spesso confuse tra loro perfino dal padre. Solo retrospettivamente, riguardando le foto dell'album di quegli anni, fu possibile rintracciare i lineamenti e le fattezze che più di altri vennero assunti e sviluppati da psicoterapia breve e distinguerli da quelli di psicoanalisi.
La fase adolescenziale fu quella che fece assistere allo scoppio della guerra e che inaugurò un clima pieno di accuse incrociate. Le accuse preferite erano: "psicoanalisi, tu sei troppo lunga e inefficiente". E dall'altra parte: "Sei tu, psicoterapia breve a non essere che una pallida caricatura della psicoanalisi, che resta l'unica vera terapia del profondo, radicata nella relazione e nei fenomeni transferali".
Sembra che a queste fasi sia poi seguita quella della maturità, che poi sarebbe quella attuale. Ma occorre stare all'erta, poichè la cosa ci riguarda da vicino e rende difficile essere obiettivi. Ed è facile pensarsi maturi... anche quando non lo si è.

Fase infantile

S.Ferenczi, nelle prime righe del suo lavoro su "L'ulteriore sviluppo di una terapia attiva in psicoanalisi" (1920, p.199) scrive: "La psicoanalisi come la si applica oggi è una disciplina la cui caratteristica principale è la passività". Ferenczi sentì profondamente l'esigenza di introdurre modalità tecniche più attive e ciò contribuì notevolmente agli aspetti più travagliati del suo rapporto con il fondatore della psicoanalisi. Alcune pagine più avanti (ibidem, p.207) prosegue: "In apparente contraddizione con la regola fondamentale della psicoanalisi in certi casi ho dovuto decidere di incoraggiare o scoraggiare direttamente i pazienti alla produzione di pensieri e fantasie. Così facendo li ho talora indotti a compiere operazioni che rischiavano di trarmi in inganno, come la contraffazione di un sogno. D'altra parte ogni qual volta mi rendevo conto dell'abuso delle associazioni libere consistente nella produzione di idee o fantasie fuorvianti, futili e di diversioni, non ho esitato a far loro notare che in quel modo stavano solo tentando di sfuggire al compito più difficile e ad esigere che riprendessero il corso di pensieri che avevano tralasciato. Si trattava di casi in cui i pazienti desideravano evitare qualcosa che li toccava da vicino, ma dolorosamente, ricorrendo allo stratagemma di girarci attorno con le parole o con il pensiero".
Lo stesso Freud, agli albori della nuova scienza da lui fondata, portò a termine svariati trattamenti che potremmo definire brevi. In Osimo (2001, capitolo XI) si può leggere l'illustrazione di una psicoterapia breve ante litteram, descrittaci da Breuer e Freud negli Studi sull'isteria. Occorre tuttavia dire chiaramente che l'abbreviamento della psicoanalisi non rappresentò mai un sogno del suo fondatore che anzi guardò con sospetto i tentativi effettuati in questa direzione. La sua preoccupazione, a quanto pare, era quella di lasciare che la scoperta fondamentale dell'inconscio potesse dispiegare il suo potenziale in ogni possibile direzione. Le impostazioni tendenti a una maggiore brevità, come quelle di Ferenczi, Rank, Adler e Reich, furono infatti da Freud sempre osteggiate. La raccomandazione di un atteggiamento di passività dell'analista, che si pone come cassa di risonanza per raccogliere le associazioni libere dell'analizzando, finì così col favorire il progressivo allungamento dei trattamenti psicoanalitici.
Non fu certo una coincidenza casuale se Freud mise fine al rapporto col suo brillante allievo Rank, quando quest'ultimo pubblicò "Il trauma della nascita" (1924). Rank attribuiva al trauma della nascita il ruolo di precursore di tutti i traumi successivi. Di qui la teoria che la rinnovata esperienza di tale evento traumatico e delle paure ad esso collegate all'interno del transfert analitico, riesca a prevenire "l'inconscia riproduzione del medesimo trauma al momento della separazione dall'analista" (p.214). Appare dunque un po' crudele che la dolorosa separazione tra Rank e Freud avvenisse proprio in seguito alla pubblicazione di questa teoria. L'enorme insistenza di Rank sul trauma della nascita e la sua idea di fissare un limite temporale, fecero scattare l'opposizione di Freud, benchè tali punti di vista teorici mantengano tutta la loro importanza in relazione alle forme brevi di psicoterapia. Rank aveva infatti molto a cuore il versante terapeutico della psicoanalisi, quindi i suoi aspetti di esperienza emozionale, più che quelli di costruzione teorica: "...le potenzialità terapeutiche non si correlano affatto, come ci aspetteremmo, all'aumento della nostra conoscenza, anzi [....] perfino un semplice atto terapeutico può venire vanificato da un eccesso di nozioni e di introspezione [razionale]" (ibid., p.202).
L'accento posto da Adler sui complessi di inferiorità e di superiorità e quindi pure sugli aspetti di potere inerenti alla relazione analista/analizzando, nonché le modificazioni della tecnica e del setting da lui introdotte in conseguenza di ciò, sono sicuramente pertinenti all'abbreviamento della terapia. Adler fu il primo analista a rinunciare all'uso del lettino, scegliendo di sedersi di fronte ai pazienti e sottolineando "...moltissimo che lo sviluppo di una persona può avvenire normalmente solo se viene raggiunto un livello adeguato di attitudine alla collaborazione" (1932, p.199). Adler affrontò il problema dell' "eccesso di gratificazione" prodotto dalla terapia, che ingenera dipendenza dal terapeuta, con la conseguente difficoltà a portare a conclusione il trattamento. Chiamò tale fenomeno "psicopatologia del bambino viziato", o anche "un modo di vedere la vita in base al quale l'individuo vede gli altri come se fossero sempre a sua disposizione" (ibid., p.195). L'approccio adleriano prevede insomma che i tentativi del paziente di far assumere al terapeuta un ruolo troppo protettivo vengano contrastati molto precocemente e ciò rappresenta un contributo di Adler all'accelerazione del processo terapeutico.
Nel 1933 Reich pubblicò il volume "Analisi del carattere", nel quale descriveva un nuovo approccio psicodinamico ai disturbi di personalità. Reich criticò la "regola fondamentale" delle associazioni libere, in base alla considerazione che il carattere dell'individuo "si esprime quasi sempre attraverso uno specifico atteggiamento o modo d'essere che è rappresentativo di tutto il suo passato" (p. 72). "Il modo del paziente di parlare, di guardare e di salutare l'analista, il tono della voce, la misura della sua cortesia convenzionale ecc. danno indicazioni utilissime per valutare le resistenze utilizzate dal paziente per contrapporsi alla regola fondamentale" (p.73, rielaborato). In altre parole, quando siamo alle prese con un problema del carattere, le difese del paziente sono scolpite nel suo comportamento o "armatura" caratteriale (ibidem), che il paziente percepisce come il proprio modo di essere naturale, vale a dire come parte di sé stesso. Coerentemente, la raccomandazione tecnica di Reich è di concentrarsi sulle "difese dell'Io" (ibidem, p.95), dato che "In assenza di una precedente elaborazione completa e sistematica delle [....] difese dell'Io, nessuna interpretazione farebbe presa dal punto di vista affettivo" (ibidem, p.95, corsivo mio). Un'altra fondamentale raccomandazione di Reich è la seguente: "...noi ci limitiamo ad isolare il tratto caratteriale e cerchiamo se possibile di far notare al paziente i collegamenti superficiali tra il carattere e i sintomi presentati, ma naturalmente rimettiamo a lui la decisione se utilizzare o meno tale conoscenza per modificare il proprio carattere." (ibidem, p.79, rielaborato). Queste posizioni teoriche e tecniche così come l'insistenza di Reich sulla esigenza di liberare le emozioni dal corpo, assumono un ruolo di primaria importanza nella psicoterapia breve contemporanea.

Fase adolescenziale

Le prime fondamentali esperienze cliniche esplicitamente finalizzate a rendere la psicoanalisi "più breve e più efficace" furono quelle descritte nel libro di Alexander, French et Al. (1946), che costituisce una vera pietra miliare della psicoterapia. Quello che segue è il riassunto di un esempio clinico di straordinario interesse, riportato dagli autori con lo pseudonimo di "caso P" (p.293-299).
CONSULTAZIONE: Il paziente era un uomo di 19 anni, di intelligenza notevole. Sul piano sintomatico era "talmente depresso da non riuscire a concentrarsi al corso di formazione tecnica che frequentava; tale stato depressivo era inoltre aggravato dall'ansia di essere bocciato e di dover poi affrontare la delusione del padre". Il paziente non era in grado di venire alle sedute per più di venti minuti alla volta, e fu visto in totale per 35 sedute dalla Dr.ssa Adelaide McFayden Johnson. "Durante la raccolta dell'anamnesi, il paziente incontrò difficoltà nel raccontare che sua madre si era accidentalmente ustionata a morte quando il paziente aveva tre anni". Dal punto di vista psicodinamico, spiccavano due conflitti principali:
Ambivalenza verso le donne. Il paziente aveva sempre creduto che la madre adottiva fosse la sua madre biologica fino a quando, all'età di otto anni, la matrigna gli aveva improvvisamente detto la verità [....] in quel momento il paziente non aveva reagito verbalmente, ma era rimasto "come istupidito". Un altro elemento fu la sua reazione di irritazione di rimando ai tentativi iniziali della terapeuta di esplorare l'ansia in relazione alle donne.
Inconscio risentimento verso il padre. "...dapprima affermò di non avere mai avuto altri sentimenti se non di affetto per il padre, un operaio specializzato che, precedentemente, aveva fatto per molti anni il proprietario e gestore di una catena di case da gioco. Nonostante si vergognasse della professione passata del padre, il paziente aveva la sensazione che avrebbe potuto riuscire a uguagliarne il successo soltanto se si fosse messo anch'egli a giocare d'azzardo"."Disse [....] che sentiva che non avrebbe mai superato il padre".
TERAPIA: " Nella prima parte della terapia, vennero in primo piano tutte le paure collegate al fatto che la matrigna si era comportata in modo particolarmente seduttivo con il ragazzo, cosa che [....] aveva l'effetto di intensificare la resistenza e il risentimento verso la terapeuta". "Mentre si trovava nel bel mezzo di tale sua lotta con sentimenti e conflitti di ordine sessuale, chiese di sdraiarsi sul lettino, per non dover vedere in faccia la terapeuta ma, dopo alcune sedute, il paziente chiese di sua spontanea volontà di mettersi nuovamente seduto. Da quel momento il suo rendimento scolastico cominciò a migliorare, ma era ancora depresso". A un certo punto riferì il vissuto di stare cercando "qualcosa di familiare [....]. Si tratta di una cosa che mi renderebbe più forte. Sento che un giorno la troverò". Il modo poco realistico in cui viveva le donne, il grande desiderio di 'qualcosa di familiare che mi renda più forte', unitamente alla resistenza che frapponeva ad affrontare gli avvenimenti relativi al periodo in cui la madre era morta, indussero la terapeuta [....] a concentrare l'attenzione proprio su quell'incidente. A un certo punto, con il tono di qualcuno che parlasse incidentalmente, il paziente si chiese a voce alta: "Le avevo detto che tre settimane fa sono andato all'Ospedale xxx e mi sono fatto dare copia del mio certificato di nascita?". Il motivo di ciò, spiegò il paziente, era che aveva deciso di voler sapere quale fosse il cognome della madre, che adesso, molto stranamente, non si ricordava più. Disse inoltre di aver raccontato al padre di avere fatto un sogno, che in realtà si era inventato, nel quale era stato il paziente stesso a dare fuoco alla madre. Il padre si era limitato a fare "Uhm". La terapeuta commentò che forse il paziente aveva della rabbia verso la madre, che era morta a l'aveva abbandonato. Il paziente rispose: "Dovevo essere un fetente, visto che nessuno dei miei parenti mi ha mai voluto". Dopo avere preso atto dell'insicurezza di essere amato e della rabbia relativa, la terapeuta chiese nuovamente quale fosse il famoso cognome della madre. La risposta rabbiosa del paziente fu: "Non lo voglio dire [....] l'ho con me, ma non voglio guardare perché prima, dopo averlo guardato, sono stato male per un sacco di tempo". Dopo che qualche residua resistenza venne superata, il paziente iniziò finalmente a svuotare il portafogli "porgendone il contenuto alla terapeuta", ivi compreso il "falso certificato di nascita che riportava il cognome della matrigna". "Alla fine estrasse il certificato che riportava il cognome della sua vera madre. Ma invece di porgerlo alla terapeuta, disse: 'Il nome è G.' e ripose il certificato nel portafogli". Dopo qualche battuta, la terapeuta disse empaticamente: "...credo che lei abbia rimosso non soltanto la rabbia che sente verso sua madre, ma anche il fatto che vi amavate". Il paziente allora disse che aveva pensato di scrivere a sua zia per chiederle di mandargli una fotografia della madre. "All'improvviso gli occhi gli si gonfiarono di lacrime e si lasciò cadere singhiozzando sul lettino" Dopo dieci minuti si era calmato e disse, con grande animazione nella voce: "E' stupido, ma mi sembra come se mia madre fosse qui tutto intorno a me. E' una sensazione così familiare". Poi si ingaggiò in una specie di ricapitolazione immaginaria accelerata di alcune domande fondamentali che avrebbe voluto porre alla propria madre, alle quali la terapeuta fornì delle risposte. Forse ciò che il paziente cercava non erano tanto le risposte, ma un'esperienza relazionale correttiva in relazione alla terapeuta, che potesse "dargli" quelle emozioni che avrebbe voluto provare in relazione a sua madre. Difatti poco prima che la seduta finisse esclamò: "Lo so con chi ho parlato: con mia madre! E mi sento benissimo!". "Sento che mia madre è tutto intorno a me".
RISULTATI: Dopo questa seduta la depressione si sollevò, il paziente riuscì a portare a termine con successo il suo corso e si formò una visione più realistica dei suoi genitori. Nel periodo di follow-up, cioè per i due anni dopo la conclusione della terapia, rimase asintomatico e nella sua vita avvennero molti cambiamenti positivi. Nell'ultima lettera alla terapeuta scrisse che "in vita sua non era mai stato soddisfatto come adesso delle sue relazioni con gli altri".
COMMENTO: Questo caso clinico fornisce a un osservatore imparziale forti indizi di quanto segue:
La ri-esperienza delle emozioni conflittuali nel transfert, vale a dire all'interno del rapporto reale con un/a terapeuta che sia capace di rispondere emotivamente, produce un cambiamento terapeutico. Si tratta di quello che Alexander (ibid., p.22) chiamò esperienza emozionale correttiva, ed è ciò su cui si impernia il cambiamento psicodinamico.
Se tale ri-esperienza può essere prodotta con rapidità, anche il cambiamento psicodinamico può avere luogo rapidamente, vale a dire che la fase di consolidamento del cambiamento o "rielaborazione" non necessita di un tempo particolarmente lungo, bensì di un'esperienza emozionale adeguata.
Impiegando un approccio efficace può essere possibile riattivare e risolvere anche dei traumi relativamente precoci, indipendentemente dalla durata, dalla frequenza e dal numero totale delle sedute.
Senza dubbio le ricerche di Alexander, French et Al. rappresentano per tali motivi l'inizio della psicoterapia breve e della accelerazione di processo.
Seguendo l'esempio di Freud, che ruppe le relazioni con i suoi allievi più promettenti, le istituzioni psicoanalitiche ufficiali hanno sempre reagito contrapponendo una forte resistenza alle idee più innovative. La stessa cosa avvenne infatti dopo la pubblicazione del libro di Alexander e French, che furono attaccati in modo selvaggio e del tutto irrazionale da Jones (1946) e da Eissler (1950). Anche in ambito psicoanalitico vi sono tuttavia delle eccezione. Una di esse è rappresentata da Fromm (1964) che, sebbene in epoca più recente, scrisse che: "...se un terapeuta ha il coraggio di utilizzare la comprensione profonda (insight) resa possibile dalla psicoanalisi per approcciare il paziente in modo molto diretto, potrebbe fare in 20 ore ciò che, come analisti, ci sentiamo obbligati a fare il 200 ore. Non hanno senso i falsi pudori ad usare delle modalità dirette ogni volta che ciò sia possibile". In un articolo sui punti di vista tecnici di Fromm (Bacciagaluppi, 1989) leggiamo infatti: "Ci ricorda alcune delle moderne tecniche di psicoterapia breve [....] e conferma che Fromm aveva un approccio estremamente diretto verso la resistenza".


Fase matura

Quando Balint, nel 1955, iniziò a sperimentare delle forme brevi di psicoterapia, benchè conoscesse Alexander, ripartì da zero con la sua ricerca. D'altronde, mentre Alexander era un innovatore spregiudicato, il cui motto era "nothing succeeds like success", Balint fu un diplomatico capace di mediazioni sottili. Fu il fondatore del Brief Psychotherapy Workshop della Tavistock Clinic, formato da un gruppo selezionato di clinici di grande esperienza, uno dei quali era Malan. L'idea di partenza fu quella di circoscrivere la zona del conflitto sulla quale concentrare il lavoro terapeutico, per la quale Balint coniò il termine "focus". Come ebbe a dirmi Malan, le terapie supervisionate all'interno del Workshop non erano mai realmente focali, dal momento che le interpretazioni si rivolgevano a tutto il materiale ritenuto significativo e non soltanto alle parti di esso ricollegabili al conflitto focale prescelto. Il termine focale come attributo della psicoterapia breve ebbe tuttavia enorme fortuna, essendo talora perfino erroneamente ritenuto intercambiabile con il termine breve. Questo termine compare anche nel titolo del libro di Balint su tale argomento, pubblicato postumo dalla moglie Enid e dal suo allievo Ornstein (1972). In sostanza che si tratta di un concetto rassicurante, in quanto il buon proposito della brevità rende più accettabile per un analista l'idea di circoscrivere, di focalizzare l'intervento, mentre tale focalizzazione fornisce un'apparente spiegazione della brevità. In realtà la questione è così posta riduttivamente, poiché anche un caso psicodinamicamente semplice, cioè con un solo focus conflittuale, non da alcuna garanzia della possibilità di un intervento terapeutico breve e risolutivo. Invece in altri casi, impiegando un approccio efficace, in un tempo relativamente breve è possibile risolvere delle situazioni relativamente più complesse sul piano psicodinamico, che possono presentare svariati foci conflittuali contemporaneamente. Dal momento che entrano in gioco anche altre variabili, l'uso del termine "focale" come etichetta per la psicoterapia breve, è altrettanto fuorviante di quanto sarebbe l'uso di termini come "lettino" o "associazioni libere" per etichettare la psicoanalisi lunga. Per citare lo stesso Balint: "Solevo ritenere che la quintessenza dell'analisi fosse rappresentata dalle cinque sedute settimanali sul lettino, dalle associazioni libere eccetera, ma ora mi rendo conto che l'essenza dell'analisi risiede nell'atteggiamento del terapeuta" (Malan, comunicazione personale).
A metà degli anni '60 Malan fondò il suo Brief Psychotherapy Workshop per terapeuti in formazione, ancora alla Tavistock Clinic. Si trattava di un gruppo molto diverso da quello del workshop di Balint, dato che quest'ultimo era composto esclusivamente da terapeuti esperti. Malan postulò l'inevitabile interdipendenza tra i criteri di selezione, la tecnica terapeutica impiegata e la qualità dei risultati che è possibile ottenere. La sua delucidazione del processo psicodinamico e dei fattori di cambiamento in Psicoterapia Breve è di valore inestimabile. Alcuni suoi libri, che sono stati tradotti in molte lingue (1963/75, 1979) sono ricchissimi di materiale clinico, che fornisce la base sulla quale si fonda la "scienza psicodinamica". Da questo punto di vista essi costituiscono la continuazione ideale del libro di Alexander, French et Al.. Malan tramite la ricerca clinica, riuscì a dimostrare la falsità della "ipotesi della superficialità", secondo la quale la psicoterapia breve è un trattamento superficiale, applicabile a pazienti con problemi superficiali e in grado di produrre risultati superficiali. Come Malan afferma con chiarezza: "Lo scopo di ogni momento di ogni seduta è quello di mettere il paziente in contatto con tanto dei suoi veri sentimenti quanto è in grado di tollerarne" (1979, p.74). Malan è sempre stato desideroso, cosa alquanto rara, di mettere le sue straordinarie capacità di penetrazione psicodinamica, a disposizione di tutte le persone da lui reputate in grado di dare un valido apporto alla psicoterapia breve, come Davanloo e McCullough Vaillant. I criteri di selezione da lui indicati per il suo approccio di psicoterapia breve, sono però applicabili a una quota inferiore al 10% dei pazienti psicoterapici.
Nel corso degli ultimi 25 anni la psicoterapia a breve termine ha fatto notevoli progressi, soprattutto grazie alle novità tecniche introdotte da Davanloo (1990) e spiegate teoricamente da Malan (1986a, 1986b). All'inizio degli anni ottanta Davanloo dimostrò per primo, con i casi clinici videoregistrati, che è possibile, promuovendo un cambiamento a livello profondo con il suo approccio estremamente incisivo, risolvere dei disturbi del carattere anche gravi in meno di 40 sedute. Le sue strategie per penetrare attraverso le barriere difensive anche dei pazienti più resistenti, sono innovative e alquanto spettacolari, e l'efficacia della Psicoterapia Intensiva Dinamica Breve, o IS-TDP, almeno nelle sue mani, è indubbia. Egli tende tuttavia a enfatizzare in modo esagerato gli aspetti di sistematicità e di onnicomprensività del suo metodo. Ciò rende spesso difficile integrare il suo insegnamento con le qualità personali di ogni allievo, che è ciò che servirebbe, favorendo invece la tendenza a scimmiottare il suo personalissimo stile. Ciò nondimeno le sue presentazioni audiovisive sono del massimo interesse e sono state di stimolo a molti, sebbene "Solo una minoranza dei suoi precedenti allievi, riesca ad usare il metodo di Davanloo così come è..." (Osimo, 1998). Altri hanno proposto nuovi approcci, in armonia con la loro personalità e da questa arricchiti.
Un esempio di ciò è illustrato nel volume di Della Selva (1996), un resoconto chiaro e conciso del suo approccio alla IS-TDP, che contiene illustrazioni cliniche di qualità eccellente.
Di particolare valore sono le ricerche condotte a New York dal Beth Israel Research Program (McCullough, Winston et Al, 1991). Tali indagini sondano le correlazioni fra tre diversi tipi di intervento del terapeuta e la frequenza con la quale ciascuno di essi è seguito da una risposta emotiva del paziente. I risultati della ricerca dimostrano una correlazione significativa tra il numero di interpretazioni di transfert seguite da una risposta emotiva e il livello di miglioramento del paziente al termine della terapia. Al contrario gli interventi del terapeuta seguiti da una risposta difensiva, hanno una correlazione inversa con la qualità del risultato terapeutico. Pure in collegamento con questa ricerca, un ulteriore filone nato dall'approccio di Davanloo è quello proposto da un gruppo di colleghi: Alpert (1992), Fosha, Sklar e altri (Alpert,1992; Fosha, 1992, 2000; Sklar, 1992). Tale gruppo di lavoro ha sviluppato la Psicoterapia Accelerata Empatica, o A.E.P., che pone un accento particolare sulla condivisione delle emozioni con il paziente come mezzo per accelerare il processo psicodinamico. Essi sottolineano inoltre l'importanza fondamentale della elaborazione dei sentimenti di cordoglio.
Infine un approccio di grande significato è lo START o Terapia Breve a Regolazione dell'Ansia, studiato da McCullough Vaillant. L'Autrice ha condotto una ricerca teorica incrociata di straordinaria penetranza sui meccanismi del cambiamento e sulla loro correlazione con le modalità di interazione tra terapeuta e paziente (McCullough Vaillant, 1997, McCullough Vaillant, Meyer et Al., 1996). Il suo approccio "...crea una connessione forte tra i dati della ricerca e la metodologia clinica e integra gli aspetti [efficaci] di teorie diverse, tra cui quelle psicodinamiche, comportamentiste, cognitiviste, e gestaltiste". (Osimo, 1998, p.98).
Tirando le somme, gli apporti della psicoterapia breve al processo psicoanalitico sono di tre tipi, che formano tra loro una sequenza logica:
ricerca approfondita sulla qualità dei risultati, quindi sui meccanismi del cambiamento profondo;
conferma empirica ripetuta della validità dell'intuizione originaria di Alexander in merito allo stretto collegamento tra la qualità della ri-esperienza emozionale e il cambiamento profondo;
individuazione di metodologie cliniche capaci di promuovere, accelerare e assistere tale ri-esperienza emozionale.

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