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Atti del 1°Congresso SI-EFPP - Roma, 6 maggio 2000

"Costanti e Evoluzioni del Setting in Psicoterapia Psicoanalitica"




Significatività del timing nella psicoterapia psicoanalitica di gruppo con soggetti in AIDS

Salvatore Sapienza



Il particolare stato di malattia invalidante e destruente sul piano fisico e mentale dell'AIDS, ha permesso all'interno di un trattamento psicoanalitico di gruppo di considerare l'importanza del timing, cioè dell'incidenza della variabile temporale nella determinazione di un valido setting terapeutico.
Si è assistito infatti, durante cinque anni di psicoterapia, alla constatazione che il mantenimento rigoroso dello stesso spazio e di un uguale tempo ha attivato la trasformazione di elementi beta in gamma cioè l'elaborazione di stati mentali non pensabili e dolorosi in funzione adattiva e riparativa.


Nell'AIDS, i significati reali, immaginari e simbolici esprimono una valenza di punizione, di malattia e di morte. L'eros si è trasformato in thanatos, il desiderio in fobia, il contatto in evitamento.
Che fare della richiesta di aiuto psicoterapeutico da parte di persone sieropositive e già affette da AIDS?
Che senso ha prendere in trattamento persone già destinate alla morte?
Alla luce di queste premesse, da anni sono solito svolgere con soggetti sieropositivi e/o in AIDS una psicoterapia psicoanalitica di gruppo all'interno della 1° Divisione di Malattie Infettive del P.O. Garibaldi di Catania.
La dimensione gruppale in tale modalità assistenziale è stata privilegiata a quella individuale, in quanto attiva e mobilita un livello mentale sottostante che sappiamo costituito da fenomeni, configurazioni emotive, ansie primitive, che mettono in crisi l'assetto affettivo di base al fine di favorire una crescita emozionale e processi trasformativi. Le recenti acquisizioni cliniche ci evidenziano poi come le terapie antiretrovirali rallentano sì il decorso della sieropositività all'HIV, ma accentuano cambiamenti del corpo e della sua rappresentazione: ci si riferisce in particolar modo alla lipodistrofia a livello addominale, sul gibbo e alla relativa lipoatrofia del viso e dei glutei. Queste alterazioni sono presenti indipendentemente dal sesso e dall'età.
Oggi la situazione è parecchio cambiata. Alla rilevazione diagnostica può seguire un periodo anche lungo di isolamento, preludio alla rimozione oppure alla negazione, forieri la prima, di uno stato depressivo, la seconda, dell'innestarsi di una fase ipomaniacale, cioè di spostamento e investimento libidico su aspetti focali. Ma per evitare che nel tempo più dilatato che c'è tra momento diagnostico e variabilità di prognosi, si instaurino dei meccanismi di scotomizzazione e rimozione, è importante che si promuovano processi reali di consapevolezza, attraverso l'elaborazione dei vissuti più profondi che l'incontro con la malattia suscita ed agita, elaborazione che può essere promossa attraverso, per esempio, o un supporto psicologico o una vera e propria psicoterapia, possibilmente di gruppo.
Ancor prima che inizino a manifestarsi i segni fisici della malattia, il soggetto viene coinvolto in un processo intenso e violento di destrutturazione interna, che riguarda le rappresentazioni e i vissuti emotivi sui quali fino ad allora aveva fondato la relazione mente/corpo, l'esperienza del sé, come un'unità fisica e mentale che possiede coesività nello spazio e continuità nel tempo e quindi della propria esistenza. Sperimenta improvvisamente il crollo delle certezze acquisite, l'inutilità dei progetti in corso, l'interruzione della continuità temporale, la presenza incombente della fine, la fragilità dei legami affettivi: l'esperienza di un "cambiamento catastrofico" che ha una varietà di decorsi, riportabili alle differenze individuali di personalità, alle diverse risonanze emotive, alla particolarità della storia psichica personale e, in parte, anche ai contesti sociali di appartenenza.
Negli anni scorsi, quando non si conosceva bene la malattia e non erano ancora state approntate terapie adatte, l'angoscia che seguiva l'iter diagnostico, nella maggior parte dei casi, spingeva la persona o a chiudersi nella negazione dell'evento, mantenendo quanto più a lungo il "segreto", o a cristallizzarsi in un circuito ripetitivo di ansie e depressioni; l'attesa ansiosa di veder comparire da un giorno all'altro nel proprio corpo i segnali "annunciati" della malattia, era incalzata dall'abbandono depressivo all'ineluttabilità degli eventi, abbandono spesso elaborato come reazione all'isolamento e all'allontanamento da parte degli altri, isolamento e allontanamento non sempre realmente agiti, ma spesso ulteriormente giustificati dalla persona, che introietta e fa propria l'immagine di alterità.
Ci si è anche chiesto prima di iniziare la psicoterapia se le domande dei pazienti per il trattamento, contenessero un significato e una valenza trasformativa o piuttosto meramente quella di un appoggio consolante. Ci si chiede se sia prioritario e fondamentale lavorare senza perdere l'obiettivo di dare una dignità conoscitiva alla realtà della vita psichica del giovane paziente oppure perdere di vista il vertice di osservazione psicoanalitico e colludere con un'assistenza e un supporto psicologico certamente decoroso e significativo, ma privo di enzimi trasformativi e quindi terapeutici.
Il paziente soprattutto la notte è solo con i suoi pensieri, nuove ed antiche angosce occupano spazio e tempo, pensieri appunto non pensabili, incubi, cioè elementi beta di Bion. Un paziente mi chiese di partecipare al gruppo a condizione che lo aiutassi in una sola cosa e ad una sola condizione, mi disse: mi aiuti a non pensare, ho solo questo in testa, questo e soltanto questa cosa.
Si assiste ad un'osservazione scrupolosa ed ossessiva del proprio corpo, si scansiona ogni minimo cambiamento e questo rimarcare i propri tratti corporei elicita un dolore profondo per il corpo ormai vissuto e sentito come alieno.
Ecco allora che si esprime o il rifiuto ad eseguire correttamente un protocollo di terapia farmacologica o l'attuazione pedissequa di questo, quasi ossessiva, (si ricorda che attualmente il protocollo terapeutico prevede l'assunzione di circa 20 pillole al dì). Dunque non attuare uno schema o attuarlo sotto l'egida del perfezionismo, non vuole significare scontato e bieco rifiuto della terapia, ma sembra esprimere l'esigenza di una difficoltà a modificare un assetto all'interno di una nuova collocazione esistenziale, come dire che bisogna riordinare gli assi cartesiani del tempo e dello spazio, collocare il mouse del proprio costrutto mentale in un nuovo topos, si ricorda che il mouse nella letteratura dei PC veniva inizialmente denominato come strumento per indicare le coordinate x e y, cioè gli indicatori spaziali e temporali.
é oltremodo evidente che in presenza dell'AIDS non si può, non si deve parlare, come molti sono soliti, di paura, di fobia, di angoscia di morte, di separazione, di lutto anticipato, quasi a diventare degli esperti in pornografia della morte. Il paziente, infatti, non vive come se fosse sotto una terribile e costante minaccia: si tratta realmente di morte e di modificazione concreta del sè corporeo; la minaccia non è solo interna e fantasmatica, ma è tangibile, obiettiva, poiché egli osserva il lento e continuo cambiamento dello stile di vita, è tangibile anche attraverso l'assenza degli altri malati, alle sedute o in ambulatorio.
Al dolore mentale s'inscrive la sofferenza di un'identità somatopsichica in alterazione; s'innesta una sfera di dubbio legata all'identità globale e di profonda ambivalenza verso un corpo prima percepito, vissuto ed espresso come unico, forte, sessuato, poi avvertito come corpo dannato e traditore.
Il compito del conduttore è dunque quello di favorire, secondo l'accezione psicoanalitica la trasformazione degli elementi beta in alfa in contesto duale, in questo caso beta in gruppo gamma in quanto gruppale; in sintesi, lavorare per favorire la metabolizzazione di pensieri non pensabili, cioè trasformare l'angoscia, parafrasando Bion, in prodotti digeribili e assimilabili dal costrutto mentale.
L 'analisi di gruppo infatti crea all'interno dei pazienti, al pari di un racconto, di un sogno, di una fantasia, la trama di una dinamica e consente attraverso le sensazioni spesso informi, le amplificazioni emotive che si producono, ma anche attraverso i blocchi di pensiero o gli aspetti confusionali come i pensieri bizzarri, così definiti da Bion, la possibilità di produrre elementi gamma fruibili dal gruppo stesso per nuove costruzioni, per illuminare aree cieche, per elaborare nuovi pensieri, per favorire l'evolvere di una trasformazione K > O.
Nel trattamento della patologia in AIDS si avverte l'impellenza, il desiderio di realizzare qualcosa che non ha un razionale, considerata l'ineluttabilità attuale della prognosi. Paradossalmente l'esperienza clinica invita a cogliere engrammi emotivi degni di essere annotati, ove il bisogno di contenere un'angoscia inondante, diventa inevitabile e non procrastinabile. Si avvertono momenti in cui si assiste a continue operazioni ove tratti passionali e mitici animano il momento fecondante; il vecchio e il nuovo si intrecciano ed il prevedibile e l'ignoto accelerano il senso di paura e di gioia, di eccitazione e smarrimento per quello che si incomincia ad allucinare per poi diventare pensiero trasformativo. L'ingresso di nuovi membri nel gruppo o l'uscita momentanea o come spesso accade, definitiva, per l'avvenuto exitus, contribuisce ad apportare quegli elementi indispensabili affinché possa di fatto lievitare e possa iniziare su un altro piano il lavoro di trasformazione terapeutica. Si può, per rendere icastico tale processo, sovrapporre tali fasi terapeutiche, all'iter che conduce al pane, in qualcosa cioè che all'inizio contiene parti indipendenti, solide, liquide e gassose, e che poi, dopo un tempo, diventano nuove e diverse.
Così, come nella madia, almeno una volta la settimana, vengono versati secondo un ordine qualitativo e quantitativo, l'acqua, la farina, il lievito, il sale nelle giuste proporzioni, che non sono trascrivibili in quanto verrebbe meno il tratto specifico di quel pane, così nel gruppo terapeutico vengono immessi tutti gli ingredienti che il gruppo ritiene utili. In questa fase di aggregazione e distribuzione degli elementi sono in nuce i processi trasformativi di una specifica ed irripetibile forma e sapore di pane. Nella madia si costituisce l'area di appartenenza, di lingua e di categoria, spazio e tempo sono dunque strettamente intrecciati tra loro e seguono le vicende dei membri e del gruppo analitico.
Si delinea così accanto al tempo esterno delle sedute, appiattito in senso diacronico, il tempo che possiamo definire curvo per la sua caratteristica di scavalcare gli anni e congiungere atti distanti, alternare estensione diacronica e sincronica, il procedere in avanti e a ritroso; in questo tempo racchiuso nella madia può avere senso parlare di passato e futuro a proposito della propria nascita o morte. Il tempo curvo dell'analisi benché sia vicino al sogno ed alla rèverie, è il tempo connesso con la rielaborazione analitica, è lo iato tra due momenti della vita reale, il prima ed il dopo. Nella madia il tempo anticipa e precede già un'essenziale trasformazione, si fonde tra passato e futuro, tra quello che è stato e quello che sarà. La metafora della preparazione del pane elicita il senso trasformativo di elementi nobili, così si arriva alla lievitazione, per continuare ad usare l'immagine suggestiva della preparazione del pane. Gli ingredienti sono pronti nella realtà, oltre che nella mente-madia dell'analista. Si procede dunque alla lavorazione che richiederà del tempo. Durante le sedute si oscilla tra una dimensione angosciosa di vuoto, di frammentazione per i vari contributi dei singoli alla ricerca di un legame, di una trama, pur sapendo che ciò, è esattamente quello che Bion raccomanda di non fare: non saturare la mente di nozioni teoriche e mantenerla in uno stato di sospensione, liberandola da memoria e desiderio.

E' ovvio che il conduttore assume le funzioni di mente vicariante, capace di prendere seco il gruppo, ma è altresì stridente avvertire la sensazione di sclerosi operativa: nell'ultimo lustro è come se al pari di Caronte, avessi traghettato 22 persone. Certamente, mi sono ritrovato così ad essere sì un terapeuta di un gruppo, ma anche il conduttore di un gruppo mortifero.
Ma non bisogna dimenticare che un gruppo può soffrire di angoscia di morte o di disgregazione indipendentemente dalla sua composizione, queste sono valenze rimosse che si manifestano sotto forma di sintomi, di inadeguatezza o di disturbi in tutti gruppi. Semmai la differenza è che in questo gruppo l'angoscia si realizza nella dissoluzione fisica e mentale.
Per di più sappiamo che come entità psichica il gruppo è più soggetto all'angoscia rispetto all'individuo per due motivi:
- perchè è più fragile la coesione e l'interazione, in quanto è molto dipendente per la sua sopravvivenza dalla presenza degli individui e per le ovvie istanze centrifughe
- perchè, parafrasando Matte Blanco, se Carlo fa parte del gruppo, il gruppo fa parte di Carlo e quindi se Carlo muore, muore una parte del gruppo

Ogni volta dunque che si svolge la seduta si mette in moto l'ansia di disgregazione del gruppo stesso, non solo perchè composto da sieropositivi, ma anche perchè semplicemente si forma una realtà gruppale. Per certi aspetti è proprio questa peculiarità a favorire la modificazione degli assunti di base, che rappresentando modi primitivi di essere, poichè psicologicamente determinati e derivati dall'istinto di conservazione, caratterizzati da uno scarso grado di pensiero cosciente, favoriscono l'alternanza e quindi la ripresa della dinamica intrapsichica.
Eufemisticamente, mi limito a facilitare la risoluzione dei conflitti, favorendo la verbalizzazione delle emozioni, attuando un clima non basato sul dover fare o dover essere, ma realizzando un accoglimento, una tollerabilità, una permeabilità a sostegno e ad integrazione di parti scisse e frazionate, ed in certi casi anche la ricomposizione di parti corporee vive, ma intrise dal dolore fisico e mentale.
In sostanza, fatte salve alcune differenti valutazioni sul piano emotivo che si avvertono nel gruppo con persone in AIDS, il lavoro non si discosta eccessivamente da un altro gruppo clinico a conduzione analitica. Gli assunti di base nel loro declinarsi elicitano una dinamica straordinariamente intensa e ricca di elementi psicoterapeutici.
Parlare per esempio del silenzio-rumoroso, ha significato poter riorganizzare un assetto nuovo, un tentativo per trasformare una resistenza rigida e modificare l'immobilismo mentale, per poter riattivare il pendolo dell'orologio che si era drammaticamente fermato, come arrugginito da un'angoscia esistenziale. Voler bloccare il tempo in fondo significa evitare che tutto proceda e l'assetto rigido e mummificato ne amplifica il drammatico e temuto epilogo. Lavorare per riprendere dunque il tempo: Freud nella Traumdeutung afferma che il tempo non esiste nell'inconscio e tutto ciò che è espressione temporale viene tradotto sistematicamente in raffigurazioni spaziali.
Nell'esperienza analitica si esperimenta che c'è un gioco continuo, una collisione, tra il tempo esterno ed il tempo interno. Non si può escludere nessuno dei due se non al prezzo di ridurre l'esperienza.
L'unica possibilità di modulare un tempo nell'esperienza analitica è quello di considerarlo a livello di fragile continuità, ove si aspetta l'inevitabile sincope, l'auscultare corda che rassicura ma inquieta nello stesso momento, si ascolta per verificare, nel tempo e nello spazio, il ritmo della vita. In questo senso verrebbe superata l'immagine del tempo soggettivo come flusso continuo e viene considerato fondamentale l'elemento del fuori, dei limiti, dell'urto costitutivo tra l'interno e l'esterno, fra il tempo del soggetto ed il tempo oggettivo del gruppo. La genesi del tempo, cioè la creazione soggettiva della temporalità, ha la caratteristica di essere inaccessibile ad una mente individuale; solo nel corso di un'esperienza intersoggettiva, solo nella relazione tra due menti è possibile cogliere la relazione temporale. Nell'analisi avviene una scoperta nuova della temporalità, quindi si attiva una funzione cronopoietica, cioè l'invenzione di nuove forme di temporalità, e nuove esperienze temporali che sono in coincidenza con la genesi di nuove forme simboliche. L'urto con l'altro e l'assunzione interna del tempo dell'altro costringe a modificare il proprio arco temporale, un continuum che oscilla tra un'indentificazione e una rimozione. Così la rimozione di parti essenziali, di temporalità precedente, diventa necessaria per inventare e creare spazi per nuove esperienze temporali. Il vero fondamento della temporalità risiede nel continuo conflitto tra prematurità ed esperienza dell'incontro con il gruppo, conflitto che spinge il soggetto, discontinuamente, da uno stadio all'altro del suo sviluppo. Si osserva nel lavoro analitico come l'immissione nel campo di un'esperienza temporale progressiva è necessaria per poter osservare livelli altrimenti non osservabili. Allo stesso modo un modello temporale infinito consente al sistema analitico di osservare livelli mentali e affettivi diversi da quelli osservati dal punto di vista lineare. Corrao a proposito riferiva delle ipseità infinite nel gruppo, quindi una visione del tempo nel gruppo ove il tempo di un paziente incontra il tempo di un altro. Si ritrova il proprio tempo smarrito nell'altro, il suono ritmico delle sedute diventa heimliche, come il battito cardiaco del cuore materno. Ma diventa unheimliche quando questo ritmo viene infranto da ripetute esperienze mortifere altamente traumatiche. La forbice temporale che si apre tra esperienza di morte ed aspettativa di vita, conflitto tra eros e thanatos, esperienza e infinità del desiderio, descrive anche l'impossibilità di far coincidere vita individuale e corso temporale della malattia. Quest'ultima precede e le sopravvive mostrando l'ineluttabilità dello scarto tra esigenza e progetto, perché all'interno del tempo storico ci sono tempi e ritmi di vita che la morte sottrae ogni giorno.
Riporto brevemente lo stallo temporale in una seduta: la penultima prima della pausa estiva, in cui, dopo avere ascoltato per tutto il tempo gli interventi, non riuscivo a comprendere niente di quello che veniva detto, mi sembrava che il gruppo riempisse il tempo di cose insensate, ne io per quanto mi sforzassi sembravo capire di più di quello che accadesse, ne ero convinto che il gruppo lo facesse. Mi sembrava di assistere ad un'insalata di parole, un'insieme di cose, di riferimenti, di citazioni, di battute, di date, il mio silenzio era esplicito riferimento al disperato immobilismo del gruppo nei miei confronti. Alla fine mi accorsi che C., una giovane di 20 anni, era rimasta l'unica a non parlare o almeno così mi sembrava di ricordare e nel valutare che la prossemica della sua collocazione spaziale era di maggiore distanza, l'impressione era che fosse rimasta tutta la seduta nella posizione che mi ricordava il pensatore di Rodin, insolitamente ripiegata su se stessa, chiusa come se non guardasse gli altri, ne li vedesse, però non mi sembrava che evocasse un'immagine di angoscia, semmai di attesa pacata, quasi intrisa di rassegnazione, aspetto che mi permise di proporre una comprensione della dinamica gruppale; mi ricordai che tempo fa C. aveva parlato a lungo dei giochi che faceva un tempo in riferimento a quelli computerizzati che fanno adesso i suoi figli, così interpretai che il gruppo stava giocando a mosca cieca e si era dimenticato della persona che da tanto tempo faceva la conta, cioè dall'inizio della seduta e che aspettava il là per continuare appunto il gioco che era rimasto bloccato. All'improvviso mi sembrò che il parlare precedente, essendo intriso di forti dosi di negazione, non sembrasse capace di realizzare tra i membri delle relazioni mentali feconde. Mi sovvenne che da circa un mese C. parlava poco, era notevolmente dimagrita e temeva per l'infausta diagnosi di un tumore. Si può pensare che C. si fosse fusa con l'assetto mentale del gruppo ed incarnava l'AdB < D essendone la leader latente. Rappresentava cioè l'esempio tangibile di una vita che accelerava verso la morte, come se fosse portatrice di morte a se e agli altri, o come se fosse un vivente morto o ancora un essere con delle parti di se già morte o peggio ancora come se dovesse vigilare l'avanzare delle parti morte su quelle vive. Sulla disposizione nel cerchio ed alla associazione al gioco della mosca cieca si ritiene sia stato determinante il senso di isolamento dall'insieme, come se il gruppo avesse voluto prendere una distanza maggiore da ogni elemento di contagio visivo diretto (non dimentichiamo che contagio deriva dal latino contagium che significa toccare e nell'immaginario spesso il contatto sociale oltre che visivo è sinonimo di contagio).

Marramao fa notare che pochi hanno riflettuto sul fatto che la parola tempo derivata dal latino tempus, contiene un' ambivalenza semantica presente nei due verbi greci: teìno che significa tendere, distendere, e témno che significa tagliare. Tempo dunque come distensione o continuità e tempo come cesura o discontinuità.
L'incedere spesso repentino e vorticoso di elementi beta nel gruppo attraverso il turbinio di pensieri non pensati, spesso in concomitanza con la ripresa dopo la pausa, ma anche e sempre alla modifica e cambio delle sede, per vicende interne alla divisione, mi ha obbligato a reggere agli sconfinamenti dei pensieri; così ho potuto constatare che la modifica anche annunciata del ritmo delle sedute da una a due settimanali, e/o il cambio della stanza, quindi la modificazione del setting attiva nel gruppo fantasie distruttive, apparentemente non adeguate allo stato che ritenevo essere non così estremo. E' evidente che lo scardinamento anche della variabile spaziale attiva enormi processi di sofferta elaborazione e contenimento del gruppo. La funzione gamma, l'omologa della alfa in ambito duale, viene faticosamente riattivata, e spesso elementi mitopoietici sembrano rappresentare un valido strumento di trasformazione di stati primitivi di angoscia destruente (Romano). Si è soliti notare all'improvvisa e non elaborata modificazione del setting, che il gruppo ripiomba in luoghi dove per dirla con Freud (1938),.i grandi sauri scorazzavano e gli equiseti erano alti come palme...
Il gruppo sembra vivere per negare il futuro e contemporaneamente si alloca nel passato, due momenti del pensiero angosciato, come se l'allucinazione della morte possa far abortire l'immediatezza del presente e quindi rendere impossibile l'investimento del desiderio nel futuro e di converso si ritorna a stati embrionali della vita, ove appunto non esiste ancora una percezione temporale. Per certi aspetti si tratta di somministrare un'esperienza di contenimento, riproporre il ritmo, le scadenze, la durata. Ciononostante si ritiene che avvenga una collusione con una distorione temporale cioè una delle molteplici manifestazioni regressive e sintomatiche che il rapporto con il tempo comporta. In certi momenti sembra che il gruppo chieda un'obliterazione del presente da parte di un passato che non si può recidere poiché continuamente riverberato dalla constatazione del proprio status di malattia. A volte sembra che il gruppo richieda un tornare indietro, per riappropriarsi di un tempo non vissuto o vissuto in modo tale da volerlo rivivere. Pensieri persecutori, alimenti per crediti d'indennizzo diretti alla società, all'istituzione o più semplicemente al conduttore del gruppo, ma per comprendere questo aspetto, penso, ci sarebbe bisogno di altro tempo.

Bibliografia:

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