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Atti del 1°Congresso SI-EFPP - Roma, 6 maggio 2000

"Costanti e Evoluzioni del Setting in Psicoterapia Psicoanalitica"




La sensorialità nella relazione terapeutica col bambino, tra l'autosensorialità e la ricerca di senso

F. Castellacci, M. R. Ceragioli, S. Nissim, R. Paolicchi, G. Smorto

Centro Studi Martha Harris- Amhppia, Firenze



All'interno di una più ampia riflessione che come gruppo di studio sull'autismo, da tempo stiamo portando avanti, abbiamo scelto di offrire in questo spazio alcuni frammenti di lavoro con bambini a nostro parere indicativi del configurarsi dell'autosensorialità, della sensorialità in risonanze psichiche significative. Per inciso una notazione linguistica: il molteplice rimando che ha la parola senso, senso come facoltà di sentire, percezione, ma anche sentimento, significato ed infine direzione.


Frammenti dal lavoro con un bambino con tratti autistici
A guardarlo, con quella sua testa dalla strana forma allungata, con quel suo particolare modo di camminare di traverso ed in punta di piedi e soprattutto con quello sguardo spento e piatto, Luca dava l'impressione di un bambino grigio e senza mente.
Non utilizzava la scatola, portava da casa gli animaletti di plastica, un leone ed una tigre, oppure due galli uguali, o due cani uguali, due cavalli uguali. Li teneva in mano sempre nello stesso modo, stringendo le dita intorno alle zampe, "impugnandoli" come una pistola. Ascoltava il suono che facevano gli animali quando si davano i colpi o, nel caso degli uccelli, quando beccavano la superficie del tavolo, avvicinando l'orecchio ed escludendo lo sguardo oppure se li guardava appoggiando la testa sul tavolo , sembrava non ascoltare. Utilizzava le dita come uccelli, come zampe o come becco, e li osservava mentre li faceva muovere completamente assorbito, non c'era la sensazione che stesse giocando, piuttosto che fosse catturato dalle sensazioni che gli davano le sue dita o gli animali.
Sembrava avere esperienze prevalentemente di superficie, tattili, visive, uditive, cosi che due oggetti che producevano la stessa sensazione erano per lui uguali ed usati allo stesso modo, oppure sembrava che di un oggetto isolasse un solo aspetto per volta e da questo fosse attirato, il suono o il movimento. In quei momenti sembrava fare tutt'uno con gli oggetti, ed avere una percezione del mondo bidimensionale senza che lui potesse rappresentarsi l'interno di essi e tanto meno sentire delle emozioni in relazione ad essi. Io mi sentivo "non esistente" e spesso provavo impotenza, inutilità, delusione.
Un giorno, la seduta cominciò come sempre, L. si lasciò " portare" nella stanza ed una volta dentro iniziò a camminare avanti ed indietro senza guardarmi e senza guardarsi intorno, finché fu attratto dallo specchio che era nella stanza e dalla sua immagine riflessa; si guardava fisso negli occhi e lanciava delle grida, poi riprendeva le sue camminate sempre nella stessa parte della stanza. Sembrava che delimitasse il suo territorio all'interno del quale poteva sentire di avere il controllo di tutto ciò che vi era racchiuso, allo stesso tempo evitava di entrare in contatto con me.. Sentivo che ignorava le mie parole ,ignorava i tentativi di dirgli che cosa lui potesse provare in quella situazione, emozioni di paura, di spaesamento, di rabbia. L'intera seduta seguì questo andamento, si allontanava dallo specchio camminando in punta di piedi avanti ed indietro e dopo poco si riavvicinava allo specchio , lì in qualche modo si animava faceva delle smorfie, gridava e rideva in modo forzato. In quell'andare avanti ed indietro in modo così ripetitivo ed uguale, sembrava tracciare nello spazio come delle orbite prevedibili, tutto questo mi faceva sentire tagliata fuori, così come lui era tagliato fuori e dentro al suo mondo. Provavo un certo sgomento, continuavo per un po' a parlare e poi la voce mi moriva in gola e restavo in silenzio, anche il flusso dei pensieri in qualche modo si arrestava, non riuscivo a tenerli insieme. Si andò avanti a lungo in questo modo, finchè, continuando a parlargli, mi avvicinai allo specchio, prima di lato e poi davanti in modo da riflettermi nello specchio e così lui poteva vedere anche la mia immagine riflessa accanto alla sua, potevo dire quando si riavvicinava per guardarsi che si avvicinava anche a me, e che si allontanava da me, introducendomi così nella sua orbita, mi costituivo come polo di attrazione. Questo mettermi gradatamente dentro al suo spazio nel tentativo di incontrarlo sembrò aiutarlo , dallo specchio iniziò a lanciarmi qualche occhiata, come se per lui fosse troppo guardarmi in uno spazio tridimensionale e fossi meno pericolosa in versione bidimensionale, era quello il massimo che era disposto ad accettare. Il valore sensoriale di quel movimento, sembrava essere lo strumento più diretto per catturare la sua attenzione. E se, in questo suo andare e venire, esprimeva qualcosa che aveva a che fare con la presenza assenza del seno, dell'oggetto, mi mostrava come lui avesse risolto la questione sostituendo se stesso all'oggetto, ancorandosi nella parte sensoriale del suo sé.
La mia bussola poteva essere il rimanere in ascolto del sentire controtransferale. Se le qualità sensoriali degli oggetti erano le uniche che Luca potesse prendere, bisognava porsi a quel livello, intanto, perchè potesse "avere la sensazione " della mia presenza, prerequisito per la creazione di una relazione e per far circolare una emozione . La sua parte autistica continuava a spegnere le emozioni e quello che di vitale c'è nell'altro, anzi addirittura l'altro, ma allo stesso tempo, attraverso la 'seduta dello specchio', si intuiva il tentativo disperato di sfiorare la percezione di un legame, di potersi "permettere" di avere una esperienza lì con me.


Frammenti di una infant observation
Immaginate un piccolo bebe di 4 settimane, primo figlio di una coppia molto giovane. L'osservatrice, accolta con calore in famiglia, parla al gruppo del seminario di una mamma stanca, trascurata, e di un neonato molto vorace, con occhi vigili ma poco mobile. La relazione è difficile, l'allattamento viene descritto dall'osservatrice in termini di vissuti sensoriali intensi;"svuotamento, mutilazione, perdita di pezzi...." e verbalizza nel gruppo, un suo vissuto di angoscia quasi fisica. Dalle parole dell'osservatrice :" Francesco è attaccato al seno con la bocca stretta e le mani ad artiglio, la suzione è vigile e allarmata, il bebe tiene gli occhi ben aperti... Il latte cola giù, dai lati della bocca, sembra che Francesco non possa staccarsi dal capezzolo... La madre, al culmine di un disagio mimicamente visibile, si ritrae, stacca violentemente Francesco dal seno. Il bambinosembra andare in pezzi, trema vistosamente, poi si abbandona ad un lamento - pianto che lo scuote, senza pausa; pare scivolare giù dalle braccia allargate della madre che, immobile, sussurra: 'Ho il terrore dei suoi denti, li SENTO spuntare troppo aguzzi... vedi ( rivolta all'osservatrice) che bocca grande, piena di saliva...' E il bambino aveva solo 4 settimane!
Nella discussione, nel gruppo del seminario, l'osservatrice ricorda che si è creato un meccanismo che tiene legati madre e neonato.: il capezzolo in bocca " a tempo pieno", sembra essere la sola risorsa che permette a Francesco di restare calmo, diversamente il bambino esplode in un pianto disperato che impedisce a madre e bambino di rilassarsi e dormire. Laura si mostra incapace di dare dei limiti fiduciosi e fermi a Francesco , e Francesco, allo stesso tempo, scatena in lei il vissuto di un bambino divorante, concretamente....
Le osservazioni continuano, l'osservatrice "patisce" la drammaticità di un allattamento faticoso , che sembra lasciare la madre mutilata, improvvisamente perseguitata e respingente. Sente anche pena per lo sguardo sgomento della madre, che le sembra "..;una neonata anche lei...;"sente allora di dovere essere particolarmente attenta a cogliere i lenti e rari sorrisi di Francesco, alternati ancora a movimenti di suzione violenti , quando crolla, stremato, in un sonno improvviso. L'osservatrice tenta di condividere silenziosamente questa attenzione con Laura.
Qualche settimana più tardi,in una sorte di accordo musicale più armonioso, la madre accoglie l'osservatrice con impazienza: " Francesco dorme nella carrozzina, roseo; i lineamenti più distesi;. Laura lo scopre delicatamente. Lo vedi bene? chiede all'osservatrice.. è un pò cresciuto, vero? AD OSSERVARLO bene, fa come i fiori..;sboccia...Ho provato a non cedere, ad osservare quando era più sereno, per provare a togliergli il capezzolo di bocca...Certo, ancora non dorme da solo... vuole essere cullato in braccio per addormentarsi.. Ma a poco a poco, ...Il ciuccio proprio non lo vuole, lo sputa..
Guardiamo insieme Francesco, che ha spesso le palpebre mosse da un leggero fremito, che si diffonde alle guance e alle labbra. La bocca è chiusa, quasi a fare scomparire le labbra all'interno, i pugni sono chiusi. Laura mi guarda e chiede: 'come le pare? A lei piace guardarlo..'Laura guarda il bambino e sorride. Francesco sorride nel sonno, la bocca un pò arricciata, è scosso da un tremore diffuso, leggero, ripetuto. Agita i piedini, gli si sfila una scarpina,. La mamma lo copre lievemente con una coperta, sussurra che forse Francesco sta sognando, poi, volta verso di me ( l'osservatrice) afferma che si è accorta che il bimbo sogna spesso, e allora emette dei "gridolini".
Si china verso Francesco , fa per accarezzarlo, ma si irrigidisce perché il bambino, nel sonno, ha uno scoppio di pianto, con grida e singhiozzi. E' rosso in volto, lo solleva un pochino, mentre lui scuote il tronco violentemente, quasi a gettare via- fuori qualcosa, ha i pugnetti serrati, poi apre gli occhi sbarrandoli..;Laura sembra di nuovo impaurita, ma lo sguardo del bambino si aggrappa a le, che incerta ma tenera, lo raccoglie in braccio dicendogli: "mamma è qui, non capiamo ancora bene qualche volta, ma... a volte sogni dei brutti, brutti sogni....
Attraverso gli occhie la mente dell'osservatrice che tiene " i lenti e rari sorrisi" di Francesco, la madre può riconoscere l'esistenza di un interno che sogna anche brutti sogni.


E per concludere, un flash tratto dalla psicoterapia di un bambino encopretico
Leonardo, un bambino di 5 anni che trattiene le feci e finisce col farle nelle mutande, è agli inizi del suo secondo anno di terapia quando ritorna dalle vacanze di Natale con un pacchetto di patatine in mano. Appena ha finito di mangiarle, prima si rotola su e giù dal tavolo più e più volte guardandomi con intensità, poi , chiusa la luce centrale, esplorando la stanza con la lampada da tavolo, mi chiede di fargli vedere l'anno che è passato, di aprirgli l'armadio, parlando di ladri che possono essere venuti nella stanza, e infine vuole sapere come sono stata in questi giorni. La mia interpretazione che voglia sapere cosa ho fatto durante le vacanze perché forse si è sentito escluso dalla mia vita ed è geloso di qualcuno che invece potrei aver visto in sua assenza, provoca il passaggio ad un gioco.
Dinosauri lottano corpo a corpo tra le sue gambe, vicino ai genitali, con una ripetitività piatta che porta la mia mente lontano. Il rendermi conto di questa distrazione mi fa fantasticare attacchi di L. a me e viceversa. Un invito alla riflessione su ciò che sta avvenendo nella scena del gioco, accennando alla particolare collocazione degli animali, alla confusione che sembra suscitare, è seguita poco dopo da una smorfia di dolore, grida che " gli fa male, male, il pipi" e mi chiede con voce rotta da un' urgenza che mi fa provare quasi fisicamente un senso di paura e di allarme, di "toccarglielo e aggiustarglielo...." Mi sembra di essere in contatto con due bambini, di cui uno piccolissimo, caduto giù, quasi fisicamente caduto, rotto, ferito.... l'altro più grande in cui emergono all'improvviso forti fantasie di castrazione o di impotenza e mi sento portata a sostenerlo concretamente, a carezzargli, sostenergli la schiena , mentre gli parlo di lui come di un bambino che si sente ferito perché forse pensa che i suoi genitali siano piccoli se raffrontati a quelli di un maschio adulto. L. mi ascolta con attenzione, poi si rilassa e sta quasi per addormentarsi ..........
Alla fine della seduta ho la sensazione di aver vissuto un momento molto intenso e denso emotivamente e insieme mi domando se avessi fatto bene a toccarlo. Avevo colto e raccolto il suo bisogno di essere tenuto nel corpo oltre che nella mente, oppure avevo solo sostenuto sue possibili fantasie di fusione-confusione col corpo materno? O ancora, avevo colluso con la stessa autosensorialità espressa dal suo sintomo, difensiva da attacchi fantasmatici a me e al mio corpo, nell'assenza?

Pensiamo che ci sia un filo che lega le tre diverse situazioni che abbiamo voluto descrivere: un bambino catturato dall'autosensorialità, un neonato per il quale si sta sviluppando una relazione contenitiva, un bambino con una struttura più evoluta. In ognuna di esse c'è la presenza di un processo integrativo prodotto da uno psichismo esterno quello del terapeuta o dell'osservatore-madre che fa si che la sensorialità sganciata dall'autosensorialità sia presa in un processo di significazione, che consente lo stabilirsi di forme di psichismo. Come dice A. Green nessun psichismo può istaurarsi e provarsi come tale senza essere inizialmente pensato da un altro psichismo. Il sensoriale può essere così pensato come un elemento psichico per il quale la pensabilità da parte dell'altro può essere appena accennata, una sorta di albore di emozioni e di catene di significati che aspettano di essere incontrati in una relazione di oggetto. Ma quali costanti e quali variazioni del setting ci occorrono per attivare questo processo?
Citando Bion, "i pensieri selvaggi" di tutti noi aspettano, nello scambio di gruppo, di incontrarsi col coraggio di poter essere trasformati.



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